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Modelli di reddito minimo in Europa: condizionalità ed efficacia

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Academic year: 2021

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Modelli di Reddito Minimo in

Europa:

Condizionalità ed Efficacia

M

ASSIMO

B

ALDINI

Università di Modena e Reggio Emilia, CAPP

G

IANLUCA

B

USILACCHI

Università degli Studi di Macerata

G

IOVANNI

G

ALLO

Università di Modena e Reggio Emilia, CAPP

Versione Preliminare: Settembre 2017

Abstract

Questo lavoro effettua realizza una comparazione istituzionale delle politiche di reddito minimo in alcuni paesi europei, focalizzandosi sulle differenze nell'accesso alla misura e sui livelli di condizionalità previsti, e sulle innovazioni introdotte negli ultimi anni. Viene anche presentato un confronto sulla generosità delle varie misure di reddito minimo, tenendo conto sia del rapporto tra ammontare della prestazione e soglia di povertà di ogni paese sia degli elementi che contribuiscono alla determinazione della soglia di accesso. Con l’ausilio dei dati EU-SILC, il paper mira infine a valutare il contributo di queste misure nel contrasto all’incidenza e all’intensità del rischio di povertà, mettendo in luce le differenze esistenti tra i sistemi di alcuni paesi europei in termini di efficacia ed efficienza. I risultati mostrano grandi differenze negli effetti di queste politiche tra i diversi paesi europei, e che i cambiamenti istituzionali introdotti a seguito della crisi economica tardano a produrre risultati effettivi sui redditi delle famiglie in povertà, inclusi i gruppi sociali più colpiti dalla recessione.

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1. Introduzione

Le politiche di reddito minimo (RM) si sono iniziate a diffondere in Europa fin dal secondo dopoguerra, quando, durante le riforme beveridigiane del welfare state inglese, venne introdotto l'Income Support (1948). Da quel momento gli altri paesi europei, con rarissime eccezioni, hanno seguito l'esempio inglese dotandosi di misure di universalismo selettivo per le persone in povertà, consistenti in un trasferimento monetario per tutti quei nuclei familiari che, in seguito ad una prova dei mezzi, dimostravano di trovarsi sotto un determinato livello di reddito. Nel corso dei decenni l'evoluzione delle condizioni sociali ha prodotto alcune trasformazioni in queste politiche, la più rilevante delle quali è stata, in seguito alla disoccupazione di massa degli anni Settanta, l'affiancamento del trasferimento monetario a misure di inserimento attivo del beneficiario: nascevano così i “RM di inserimento” o RMI, che rappresentano la più recente “generazione” di politiche di RM (Ayala, 2000).

Allo stesso tempo va notato che le politiche di RM sono inserite, in ogni paese, in diversi contesti di politiche di mantenimento del reddito e, più in generale, in diversi scenari di welfare

state. Può dunque capitare che politiche di universalismo selettivo poco generose siano affiancate

da molte misure categoriali di contrasto alla povertà, così da determinare un quadro di contrasto alla povertà soddisfacente nel suo esito complessivo (Cantillon & Vandenbrouke, 2014).

Per analizzare questi aspetti il paper si concentrerà su una comparazione istituzionale di dieci paesi: la scelta è motivata da ragioni metodologiche sia di natura funzionale che sostanziale. Sul piano funzionale si tratta di paesi rispetto ai quali le basi dati consentono una piena comparabilità; sul piano sostanziale sono stati inseriti un gruppo di paesi in cui le misure di RM esistono da tempo in modo strutturato (Gran Bretagna, Germania, Olanda e Svezia), paesi in cui la loro storia è più recente (Francia, Spagna e Portogallo) e i due paesi 'ritardatari' (Italia e Grecia). Ci è parso interessante inserire anche un paese dell'est Europa (Polonia) in cui la soglia di povertà non è così bassa, ma confrontabile con alcuni paesi sud europei.

La sezione 2 dell’elaborato, dopo aver illustrato l’evoluzione storica delle politiche di RM, mira a evidenziare le importanti differenze ancora oggi esistenti nella condizionalità e generosità dei vari interventi di RM, ovvero negli elementi relativi al calcolo della soglia di accesso che influiscono in modo significativo nel determinare la diversa efficacia di questi strumenti (Immervol, 2010). La sezione 3 è invece dedicata a comprendere come l'insieme delle misure di mantenimento del reddito sia efficace nel contrastare la povertà: le politiche di reddito minimo infatti possono essere affiancate o meno da altre politiche assistenziali. Come incidono nell'insieme tutte queste misure? Per rispondere a questa domanda, tramite un’analisi dei dati EU-SILC verificheremo in che misura e con quali differenze le politiche di assistenza sociale dei paesi europei incidono nel ridurre la povertà dei cittadini dei paesi in esame. La sezione 4 conclude.

2. Sistemi di reddito minimo a confronto

In tutti i 28 paesi dell'Unione Europea sono oggi presenti misure che possiamo definire come politiche di contrasto alla povertà, tramite la garanzia di un RM per chi versa in condizioni di particolare bisogno. Certo Grecia e Italia non hanno ancora a tutti gli effetti messo in campo misure strutturali di universalismo selettivo, ma stanno recuperando lo storico gap: la Grecia con una misura sperimentale e l'Italia con un “quasi RM”, il REI, che pur essendo destinato ad alcune

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categorie e non all'universo dei poveri, rappresenta nelle intenzioni il primo passo verso un livello essenziale di assistenza, quindi rivolto a tutti coloro che si trovano sotto una certa soglia di reddito.

Tra le varie misure di RM esistono molti tratti in comune, ma anche alcune importanti differenze a partire naturalmente dalla più significativa, la generosità della misura, che, vista la natura differenziale di tutte le politiche di RM, ne determina anche l'estensione della platea di beneficiari.

Per prima cosa analizzeremo l'evoluzione delle politiche di RM in modo da poter individuare le principali tendenze che storicamente hanno determinato il contesto politico in cui le misure si sono sviluppate ed evolute, per poi concentrarci sull'analisi più puntale della condizionalità e delle generosità dei vari interventi di RM.

2.1. Da politiche di RM a sistemi di RM: la storia di un cambiamento

Le politiche di RM si sono iniziate a diffondere in Europa a partire dal secondo dopoguerra, in seguito alle riforme impresse da Lord Beveridge al welfare state, che fino a quel momento era costituito esclusivamente da politiche di assicurazione sociale.

Le riforme beveridgiane, che miravano a sconfiggere tra le altre cose anche la povertà, consentirono infatti l'introduzione, prima in Inghilterra e poi sull'esempio inglese nel resto del continente, di strumenti di assistenza e sicurezza sociale.

È per l'appunto inglese la prima politica di reddito minimo, l'Income Support (1948), a cui seguirono il Socialhja svedese (1956), il Sozialhilfe tedesco (1961), il Social Bijstand olandese (1963) e poi via via tutti gli altri (Ferrera, 2006). In questa prima fase, l'intento delle misure era quella di fornire una protezione di ultima istanza per tutti coloro che si trovavano in condizione di povertà estrema e, a causa della scarsa anzianità contributiva, erano esclusi dalle politiche di sostegno al reddito di tipo bismarkiano, di natura previdenziale. Va aggiunto che in questa fase, oltre a misure di universalismo selettivo come il RM, iniziano a diffondersi in tutti i paesi europei anche minimi categoriali di natura assistenziale, prevalentemente rivolti ad anziani e disabili, che solitamente ricevono trasferimenti più generosi rispetto a quelli del RM, per il fatto che si rivolgono a soggetti inabili al lavoro.

Negli anni 70 l'avvento della disoccupazione di massa e il conseguente impoverimento di molti cittadini spinge alcuni paesi che non si erano ancora dotati di strumenti di contrasto alla povertà a intervenire con misure di reddito garantito: è dunque la volta di Finlandia (1971), Belgio (1973), Danimarca (1974) e Irlanda (1975). In questi casi, pur intervenendo alcuni decenni dopo i paesi apripista, le politiche di RM non presentano significative differenze rispetto alla fase precedente.

Bisognerà aspettare la fine degli anni 80 per trovare un mutamento sostanziale in queste misure. La “terza onda” delle politiche di RM (Busilacchi, 2013), di cui è stato pioniere il revenu minimum

d'insertion francese (1988), è infatti caratterizzata dall'introduzione, a fianco del trasferimento

economico, di misure di inserimento sociale e lavorativo del beneficiario, volte a contrastare l'esclusione sociale oltre che la povertà economica.

L'accompagnamento di misure di inserimento all'erogazione del sussidio è un vero punto di svolta nella storia delle misure di RM europee: da questo momento infatti non solo i paesi che ancora non avevano introdotto misure di universalismo selettivo seguiranno il modello francese, ma

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via via anche in tutti i casi in cui vi era già stato un intervento legislativo in materia, si sono verificate delle correzioni e integrazioni volte a non caratterizzare il RM dal solo intervento “passivo” di natura economica.

Questo fenomeno si accentua sempre più con il passare del tempo a causa del diffondersi sul piano politico e culturale della logica dell'attivazione dei beneficiari e del welfare attivo come strumento per contrastare da un lato la dipendenza da welfare dei beneficiari e rafforzare gli strumenti e le capacità degli esclusi di reinserirsi sul versante sociale e occupazionale, e dall'altro di contenere la spesa sociale (Esping Andersen, 2002).

A fianco di questa svolta di policy sul piano sostanziale, riguardante la natura della misura, negli anni Novanta si assiste ad un altro fatto significativo sul piano politico nella storia delle misure di RM: l'intervento dell'Europa. Prima degli anni Novanta non si era infatti assistito a interventi sovranazionali nel campo del welfare, ma con la Raccomandazione n.441/92 per la prima volta si incoraggiano in modo chiaro i paesi membri a dotarsi di strumenti di reddito minimo per contrastare la povertà. Dei quattro paesi membri allora “ritardatari”, Spagna e Portogallo seguiranno tale indicazione, in linea di massima conformandosi al modello francese – sebbene il caso spagnolo sia del tutto peculiare perché caratterizzato da un sistema di redditi minimi introdotti dalle Comunità autonome piuttosto che da un intervento nazionale. Al contrario Italia e Grecia non si sono mai dotate di uno strumento di universalismo selettivo e solo negli ultimi tempi hanno iniziato a muovere i primi passi in questo settore. La parziale inefficacia dello strumento della Raccomandazione per intervenire sul versante del welfare ha indotto le istituzioni europei negli anni successivi a dotarsi di nuovi strumenti, come l'open method of coordination e la predisposizione e il confronto di Piani nazionali contro la povertà, per coordinare le politiche su questo tema (Ferrera et

al., 2002).

Questa iniziativa ha probabilmente incoraggiato una maggiore omogeneità tra le varie misure di reddito minimo che ad oggi presentano molti tratti comuni: si tratta di misure di universalismo selettivo che combinano il trasferimento economico a progetti di inserimento socio-lavorativo (sono dunque strumenti di reddito minimo del tipo “reddito minimo di inserimento”), hanno base giuridica che promana da un diritto esigibile a livello individuale ma si rivolgono al nucleo familiare; hanno una durata sostanzialmente illimitata fino a che non termina lo stato di bisogno e hanno un importo differenziale volto a colmare la distanza tra la condizione economica del beneficiario e una determinata soglia ritenuta “minima” (Busilacchi, 2013).

Come ricordato, oggi all'interno dei 28 paesi membri dell'Unione Europea solo Grecia e Italia non si sono ancora dotati di uno strumento di universalismo selettivo, sebbene anche nei due casi ritardatari sono stati compiuti negli ultimi tempi i primi passi che potrebbero portare in poco tempo a una politica di RM strutturale. Chiaramente i paesi più recentemente entrati nell'Unione, in particolare quelli più poveri, rappresentano un caso abbastanza specifico, per la bassa natura dell'importo, per la recente introduzione di queste politiche che quindi sono ancora in una fase di rodaggio e per la loro scarsa efficacia, tanto che possiamo parlare di forme “primitive” di RM.

Un aspetto che è importante sottolineare è che negli ultimissimi tempi è emersa una innovazione nelle politiche di reddito minimo che potrebbe farci parlare di una “quarta fase”: si sta cioè assistendo negli ultimi interventi legislativi, ad un passaggio da singole politiche di RM a veri e propri sistemi di reddito minimo. Cosa intendiamo con questa espressione?

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Come ricordato in apertura, durante l' “età dell'oro” del welfare state, a fianco delle politiche di reddito minimo in tutti i paesi sono sorte politiche di minimo categoriale, nella gran parte dei casi rivolte a chi non poteva lavorare (anziani e disabili), ma in alcuni paesi anche indirizzate ai disoccupati: si tratta di indennità assistenziali di disoccupazione, per le persone senza lavoro povere ed abili al lavoro, che avessero esaurito i più generosi ammortizzatori sociali di natura contributiva o non avessero le condizioni previdenziali per potervi accedere. In questi casi politiche assistenziali di supporto al reddito dei disoccupati poveri rappresentavano uno strumento temporaneo, prima di “scendere” ulteriormente in una misura universalistica di ultima istanza.

Quello a cui si sta assistendo negli ultimi anni è una maggiore integrazione tra queste misure e le politiche di reddito minimo, che, come detto, oggi hanno la forma del reddito minimo di inserimento: in effetti a ben vedere non è molta la differenza tra i due strumenti.

In sostanza in alcuni paesi le tradizionali politiche di reddito minimo, nate come misure fondamentalmente passive, hanno prima subito, durante gli anni Novanta sulla scorta del caso francese, una trasformazione con la previsione di strumenti di inserimento socio-lavorativo dei beneficiari, poi ulteriormente rafforzato la loro natura “attiva” durante il diffondersi delle politiche di attivazione nella prima decade del XXI secolo, fino a diventare dei veri e propri strumenti di “quasi workfare” laddove le sanzioni previste per chi non partecipava attivamente alle misure di inserimento previsto comportavano la sospensione della misura stessa. Oggi in alcuni paesi tale evoluzione si è completata trasformando il RM di fatto in una misura prevalentemente rivolta ai poveri abili al lavoro e volta alla loro attivazione, combinando questa misura con altri minimi categoriali rivolti a chi, per età o disabilità, non è in grado di lavorare.

Ecco perché in questi casi oggi potremmo parlare più che di politiche di reddito minimo, di un sistema di reddito minimo composto da varie politiche. Vediamo ora più nel dettaglio quali sono questi casi e chi invece non ha compiuto questo ulteriore passaggio.

2.2. Analisi comparata dei dieci casi di RM

Per analizzare in modo comparato le varie politiche di RM dei dieci paesi analizzati ci soffermiamo prima sulla condizionalità richiesta per l'accesso alla misura, per poi analizzare la generosità complessiva degli strumenti e infine concludere sinteticamente cercando di verificare se possiamo suddividere i paesi analizzati in clusters.

Le misure di RM sono strumenti di universalismo selettivo, dunque per essere definiti RM a pieno titolo la condizionalità della misura non dovrebbe limitare l'accesso a specifiche categorie ed escluderne altre (ragione per cui definiamo il REI italiano un “quasi RM”).

In tutti i paesi in cui è presente un RM, però, esistono alcune condizioni di accesso di natura socio-anagrafica legate all'età di accesso e alla eventuale condizione di essere residenti o cittadini di quel paese, condizioni legate al soddisfacimento degli impegni previsti dal progetto di inserimento e condizioni di natura economica.

Trattiamo brevemente le prime due categorie per poi concentrarci con più attenzione sull'ultima. Anzitutto va chiarito che quasi ovunque le misure di RM sono rivolte a tutta la famiglia ma l'accesso è individuale, quindi le condizioni si rivolgono alle caratteristiche de beneficiario che fa la domanda e che poi firmerà il progetto di inserimento.

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Sul piano delle condizioni socio-anagrafiche che determinano l'accesso agli strumenti di reddito minimo, ormai quasi tutti i paesi tendono a condizionare la misura al limite anagrafico dei 18 anni e alla residenza nel paese, in alcuni casi, come nel Rei italiano, prevedendo espressamente il numero di mesi minimi di residenza (in quel caso 24 mesi). In tutti i casi le misure di RM cessano a 65 anni, quando si passa alle misure categoriali per anziani poveri.

Eccezioni alla condizione della residenza sono il caso inglese, in cui basta essere addirittura presenti nel paese e quello svedese in cui è sufficiente il diritto di soggiorno. Una maggiore rigidità si verifica nel caso olandese, in cui i beneficiari della misura sono tenuti anche a parlare la lingua e se non conoscono l'olandese devono acquisire brevemente tale competenza: la ragione sta nel fatto che si ritiene impossibile favorire un inserimento occupazionale per chi non ha tale capacità.

In Germania, sebbene la misura di RM (rivolta ai disoccupati abili al lavoro) preveda la sola residenza come condizione, gli altri minimi categoriali prevedono invece il requisito della nazionalità: in sostanza mentre un cittadino non tedesco residente in Germania, se dimostra di poter essere reinseribile occupazionalmente può avere accesso alla misura, tale possibilità non è data ai non tedeschi poveri che non possono lavorare perché anziani o disabili.

Per quanto riguarda invece le eccezioni al limite della maggiore età, in Germania l'accesso avviene già ai 15 anni (quando termina l'obbligo scolastico), mentre in Francia è portato a 25 anni (meno, se si è care giver di minore). Anche nelle rentas minimas autonomicas spagnole solitamente il limite è 25 anni (ma l'indennità di disoccupazione nazionale assistenziale parte da 16 anni). Infine due paesi non indicano la soglia anagrafica di accesso: si tratta della Svezia, ma di fatto l'età di accesso è i 18 anni perché prima si è carico della famiglia, e l'Italia poiché il Rei è rivolto solo a specifiche categorie.

Per quanto attiene alle condizioni legate all'impegno rispetto al progetto di reinserimento, in realtà non si può parlare di vera condizionalità ex-ante: tutte le misure prevedono, con termini e norme diverse, che sia dovere del beneficiario impegnarsi a rispettare il progetto personalizzato (in molti casi esteso alla famiglia come in Italia, Polonia, Germania, Portogallo) per uscire dalla condizione di bisogno. Nella maggior parte dei casi si prevede la registrazione al collocamento, l'impossibilità di rifiutare lavori offerti (anche per il partner, nel caso olandese) e il prendere parte alle attività formative e di attivazione previste per sé e per i familiari; in qualche caso sono previste espressamente sanzioni per chi non rispetta questi doveri, fino alla sospensione della misura. Interessante che nel caso svedese si faccia particolare attenzione alla valutazione della capacità della persona di supportare sé stessa: come vedremo, in molti casi le singole parole indicate nelle norme sono già indicative dell'approccio e della visione politica che si nasconde dietro a misure solo in apparenza molto simili tra loro.

Esistono infine alcune condizioni economiche che ex-ante impediscono l'accesso alla misura, al di là ovviamente del godere di un reddito superiore alla soglia reddituale prevista: si tratta solitamente di vincoli legati al patrimonio. Ad esempio in Gran Bretagna non si ha accesso al RM in caso di capitale superiore ai 19.382 euro (e sopra a 7.268 si hanno decurtazioni nell'importo). In Svezia bisogna aver venduto il proprio patrimonio prima di avere accesso al RM; in Grecia il valore della casa di proprietà non può essere superiore ai 90mila euro (sono anche previsti altri limiti patrimoniali per auto e altri beni) e in Portogallo il patrimonio non può superare di 60 volte l'indice di “aiuti sociali”. Anche nel Rei italiano esiste un vincolo legato al patrimonio immobiliare (20mila euro), esclusa la casa di proprietà, e mobiliare (6mila), né si possono possedere auto o barche.

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Trattandosi di misure a importo differenziale e dato dalla distanza tra la condizione economica del beneficiario e del suo nucleo familiare e la somma stabilita, è chiaro che la valutazione sulla generosità della misura è in realtà una valutazione riguardante il valore della soglia e le modalità con cui è calcolata. In aggiunta va ricordato che in alcuni paesi i beneficiari RM hanno accesso ad aiuti economici aggiuntivi per spese legate all'affitto, al riscaldamento o all'acquisto di beni fondamentali. È quindi molto importante considerare anche questi benefit supplementari (se cumulabili) perché spesso incidono in modo significativo sulla generosità delle misure.

Ad esempio la casa di proprietà non viene considerata nella valutazione della condizione economica in Gran Bretagna, Spagna, Germania, Italia e Polonia (se non di valore eccessivo), mentre da questo punto di vista è prevista una franchigia in Olanda.

Analogamente in molti casi esiste una franchigia rispetto ai redditi da lavoro per disincentivare eventuali trappole della povertà: così, piccoli redditi da lavoro (solitamente indicati in valore assoluto o in percentuale rispetto al reddito complessivo) non vengono tenuti in considerazione in Gran Bretagna, Svezia, Olanda, Portogallo e Italia. Analogamente in alcuni casi non vengono computati modesti trasferimenti sociali, che risultano dunque cumulabili al RM.

La condizione economica presa in considerazione è quella del nucleo familiare e la soglia (e dunque l'importo) è rapportata all'ampiezza del nucleo e, in alcuni casi, anche ad altri parametri, come la presenza di minori disabili. Detto ciò, per comodità compariamo la generosità del valore delle politiche di RM tenendo conto dei nuclei costituiti da una persona sola. Per rendere comparabile il valore di RM in paesi molto diversi tra loro per condizioni economiche complessive, ci è parso utile rapportare il valore della soglia-importo di RM alla soglia della povertà dei vari paesi (Tabella 1).

Tabella 1 – Generosità delle politiche di RM all’anno 2017 (valori espressi in euro)

Paese Soglia dipovertà Importo RMper persona sola

Ratio copertura

%

Benefit aggiuntivi per bisogni fondamentali

Francia 994 535 54 (variabili a seconda condizioni)Housing benefit Germania 1018 409 40 Possibile variabilità importo, a seconda delcosto della vita nelle varie zone del paese.

Supplementi per bisogni quotidiani e casa Gran

Bretagna 886 356 40 Aiuti per affitto e altre spese in caso dinecessità

Grecia 440 200 45

70-220 euro mese per bisogni di cibo e affitto (Legge n.4320/2015), housing

benefit di 362 euro per over 65

Italia 770 190 25 Interventi dei Comuni

Olanda 969 983 100 Assistenza per affitto (711 euro mese perover 23, 414 per under 23) Polonia 497 94 19 Benefit per beni fondamentali (cibo,medicine, vestiti)

Portogallo 516 184 36

-Spagna 723 428 (media) 59

-Svezia 1061 417 39 Combinabile con altre misure

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Come si può vedere in Tabella 1, in alcuni casi le misure di RM sono integrabili con altri interventi che aiutano chi è in condizioni di bisogno nel pagamento di spese fondamentali (cibo, casa, medicine). In alcuni casi gli housing benefit sono molto significativi, come nel caso olandese, ma anche in Francia, Germania e Gran Bretagna esiste una attenzione particolare alla copertura dei costi della casa (e del riscaldamento).

Venendo al rapporto tra importo della misura e soglia di povertà dei singoli paesi, si nota anzitutto una certa eterogeneità prima ancora che negli importi RM, nei dati riguardanti le soglie di povertà, che pure sono calcolate a parità di potere di acquisto (SPA: standard di potere di acquisto): la soglia di rischio di povertà è per Eurostat pari al 60% del reddito disponibile equivalente mediano nazionale. Abbiamo dunque, tra i paesi considerati, un gruppo significativo di paesi più ricchi (Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Svezia), un gruppo di paesi più poveri (Portogallo, Grecia e Polonia), con Italia e Spagna in una situazione intermedia. Gli importi stabiliti come soglie per il RM e dunque, avendo quasi sempre natura differenziale, per determinare gli importi, non necessariamente tengono conto di queste differenze nel valore delle soglie di povertà, ma riflettono esclusivamente le scelte del legislatore nel conferire importanza alla misura all'interno del sistema di welfare. Abbiamo così il caso olandese in cui la soglia RM è settata esattamente sul valore della soglia di povertà, con una copertura del 100%. Negli altri paesi i valori sono molto più bassi allineandosi in linea di massima su quella che è la media europea del 50% di copertura (Busilacchi, 2013), con Francia e Spagna di poco superiori e un gruppo di paesi di poco al di sotto (Germania Gran Bretagna, Grecia, Svezia). Davvero scarsa la copertura italiana e quella polacca.

Va precisato che questi dati non ci danno indicazioni sull'efficacia della misura, che è altra cosa, e ancor di meno sull'efficacia dell'insieme delle misure di contrasto alla povertà, che come detto è rappresentato da un insieme più complesso di policy. Sono però valori molto indicativi di quanto la politica di RM sia centrale nel sistema di welfare e di quale valore si voglia dare a strumenti di universalismo selettivo nel contrastare la povertà.

3. Impatto dei trasferimenti sociali sulla condizione di povertà

Nei sistemi europei di welfare il reddito minimo non è mai l’unica misura di sostegno al reddito. Esso è generalmente affiancato da numerose altre politiche di natura assistenziale. Obiettivo di questa sezione è quello di valutare l’impatto del complesso di queste misure sul contrasto alle condizioni di povertà, nonché osservarne l’eventuale mutamento a seguito della Grande Recessione. Per far questo, si fa qui riferimento ai microdati dell’indagine EU-SILC (European Union Statistics

on Income and Living Conditions), i quali forniscono molteplici informazioni sui redditi e le

condizioni di vita delle famiglie europee, nonché sui trasferimenti monetari di natura assistenziale e previdenziale da esse percepiti.

In particolare, per la comparazione si è scelto di utilizzare i dati trasversali di solo due anni dell’indagine: il 2008 (momento pre-crisi) e il 2014 (momento post-crisi).1 Inoltre, si è deciso di non includere nell’analisi tutti i paesi coinvolti nell’indagine EU-SILC, ma di concentrarsi su dieci di questi: Germania (DE), Grecia (EL), Spagna (ES), Francia (FR), Italia (IT), Olanda (NL), 1Si ricorda che nell’indagine EU-SILC le variabili reddituali sono riferite all’anno precedente quello di rilevazione. Di conseguenza, nell’indagine EU-SILC 2008 i redditi sono all’anno 2007 e nell’indagine 2014 sono riferiti al 2013.

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Polonia (PL), Portogallo (PT), Svezia (SE) e Regno Unito (UK). Dato che le misure di sostegno al reddito hanno spesso come destinatario la famiglia o si tiene conto del reddito familiare nei requisiti di accesso, l’unità di analisi è la famiglia e tutte le statistiche descrittive sono pesate coi relativi pesi campionari. Quando riportate in valori nominali, le variabili reddituali sono da considerare a parità di potere d’acquisto e a prezzi costanti (base 2015=100). La definizione di povertà adottata è quella in uso dalla Commissione Europea, secondo la quale una famiglia vive una condizione di “rischio di povertà” quando il suo reddito equivalente disponibile è inferiore alla soglia di povertà che, a sua volta, corrisponde al 60% della mediana del reddito equivalente disponibile a livello nazionale. In entrambi i casi la scala di equivalenza utilizzata è la OCSE modificata.

Per ognuno dei Paesi rilevati, nei dati EU-SILC i trasferimenti sociali vengono suddivisi in nove categoria sulla base della loro finalità: 1) Famiglia; 2) Povertà o esclusione sociale; 3) Housing; 4) Disoccupazione; 5) Pensione di anzianità/vecchiaia; 6) Pensione ai superstiti; 7) Malattia; 8) Disabilità; 9) Educazione. Tuttavia, le ultime cinque categorie di trasferimenti non hanno prettamente natura assistenziale oppure seguono delle logiche universalistiche, ossia svincolate dal reddito dei propri beneficiari, distinguendosi così da una misura di sostegno al reddito quale è il reddito minimo. Al contrario le prime quattro categorie, per le loro finalità e caratteristiche risultano affini o talvolta alternate ai sistemi di reddito minimo; la categoria “Povertà o esclusione sociale” è prevalentemente costituita dalle misure di supporto al reddito. Per questa ragione, la nostra analisi si focalizza soltanto sulle prime quattro categorie dei trasferimenti. I trasferimenti sociali qui considerati sono solo quelli che hanno natura monetaria, escludendo pertanto tutti i trasferimenti

in-kind.

3.1. La composizione della spesa in trasferimenti e le caratteristiche dei beneficiari

Benché i sistemi di welfare abbiano tutti uno scopo analogo, ovvero contrastare fenomeni di povertà fornendo un sostegno al reddito alle famiglie in difficoltà, questi possono differenziarsi tra loro nel mix di politiche assistenziali offerto, nella spesa complessivamente impiegata e quindi nel numero e le caratteristiche dei rispettivi beneficiari.

Figura 1 – Quota della spesa totale per categoria di trasferimento sociale

La Figura 1 mostra che nella maggioranza dei paesi in esame la quota principale della spesa in trasferimenti sociali è destinata ai sussidi per la disoccupazione. Questo è particolarmente vero nei

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paesi dell’Europa meridionale, ad esclusione della Grecia in cui le risorse impiegate in trasferimenti per la disoccupazione non superano il 30% nel 2008. La seconda voce di spesa per entità è senz’altro quella dei trasferimenti relativi alla famiglia e ai figli, mentre quelli legati all’housing e al contrasto della povertà e dell’esclusione sociale in senso stretto rappresentano una quota rilevante della spesa totale soltanto in Grecia, Olanda e Regno Unito. Il confronto temporale (2008-2014) nella composizione della spesa in trasferimenti sociali evidenzia un certo cambiamento probabilmente imputabile alla crisi economica. Infatti, una crescente quota delle risorse pubbliche sono state stanziate in trasferimenti per la disoccupazione (soprattutto in Olanda e Portogallo), a discapito delle altre tre categorie di trasferimento. Unica eccezione è la Germania dove nello stesso periodo la spesa per i sussidi per famiglia e housing aumenta e quella per la disoccupazione si contrae.

Figura 2 – Spesa pro capite in trasferimenti sociali (valori espressi in € a PPP e indicizzati al 2015)

Osservando la spesa pro capite in trasferimenti sociali (Figura 2), è possibile notare la significativa differenza esistente tra i paesi appartenenti all’Unione Europea nelle risorse stanziate a livello nazionale in tema di sostegno al reddito. In generale, i paesi mediterranei e dell’Est Europa sono caratterizzati da una bassa spesa in trasferimenti, mentre gli altri (in particolare la Francia) mostrano valori ben più elevati. Anche in questa circostanza la crisi economica sembra avere inciso sui sistemi di welfare, ponendo un freno alle risorse disponibili. Dal 2008 al 2014 si registra invero un aumento della spesa pro capite in misure di sostegno al reddito solo in quattro dei dieci paesi esaminati: Regno Unito, Olanda, Portogallo e Spagna. In quest’ultimo caso, lo straordinario incremento stimato nella spesa pro capite è pari al 169% nel periodo.

Tabella 2 – Percentuale di famiglie beneficiarie per categoria di trasferimento sociale

Paese

2008 2014

Famiglia Povertà oE.S. Housing Disoccu-pazione Totale Famiglia Povertà oE.S. Housing Disoccu-pazione

DE 30,3% 5,7% 2,2% 13,9% 41,4% 27,3% 2,6% 10,2% 11,9% EL 10,6% 4,8% 1,5% 5,5% 19,9% 12,4% 4,7% 0,1% 5,8% ES 4,0% 0,7% 1,0% 11,4% 16,1% 3,0% 3,1% 0,9% 31,4% FR 24,8% 6,1% 23,8% 15,7% 47,1% 25,5% 8,9% 22,1% 16,8% IT 27,3% 0,6% 1,8% 18,1% 39,9% 24,1% 0,9% 1,5% 18,6% NL 26,6% 9,7% 15,9% 6,2% 45,6% 26,1% 7,9% 16,2% 10,3% PL 17,9% 4,3% 4,0% 5,8% 25,2% 11,7% 3,8% 2,5% 4,8% PT 28,1% 2,4% 7,9% 7,1% 37,6% 15,1% 3,3% 7,3% 11,7% SE 24,6% 3,1% 11,8% 10,0% 39,8% 24,2% 2,6% 10,5% 9,7% UK 30,7% 9,5% 13,0% 2,6% 40,9% 26,3% 8,9% 15,9% 3,9%

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Totale 24,5% 5,0% 8,2% 11,4% 37,7% 21,8% 4,8% 10,1% 13,6% Come atteso, la Tabella 2 mostra che la percentuale di famiglie beneficiarie di almeno uno dei trasferimenti sociali in esame è superiore nei paesi in cui la spesa pro capite è più alta. Ciò nonostante, l’Italia registra una percentuale di beneficiari molto simile a quelle riportate ad esempio da Svezia e Regno Unito, mettendo in luce una diversa scelta di policy rispetto agli altri paesi esaminati, poiché si preferisce evidentemente dare un piccolo sostegno a tanti piuttosto che uno significativo a pochi. La percentuale maggiore di famiglie beneficiarie si rileva in questo caso nei trasferimenti per le famiglie e i figli, mentre le percentuali minori si osservano nei benefici strettamente diretti al contrasto della povertà o dell’esclusione sociale. Il confronto 2008-2014 nella percentuale di beneficiari illustrato dalla Tabella 2 aiuta a spiegare quanto visto in Figura 1, ossia un aumento dei beneficiari (e dunque della spesa) nelle ultime due categorie di trasferimento e una generale riduzione nelle prime due. La Tabella 2 permette, inoltre, di spiegare l’impennata nella spesa pro capite registrata in Spagna nel periodo in esame: la percentuale di famiglie beneficiarie è complessivamente passata dal 16,1% al 35,0% a seguito del forte aumento di beneficiari di un sussidio di disoccupazione.

Guardando alle caratteristiche più frequentemente riportate dalle famiglie beneficiarie nei paesi esaminati (Tabella 3), si osserva che la “famiglia beneficiaria tipo”: ha un capofamiglia donna di età compresa tra i 35 e i 44 anni, con cittadinanza locale e il diploma delle scuole medie superiori; presenta al suo interno uno o più minori; e, sebbene queste misure siano principalmente destinate alle famiglie in difficoltà economica, possiede una casa di proprietà.2 Le caratteristiche principali delle famiglie beneficiarie non cambiano tanto tra prima e dopo la recessione, se non per il fatto che le famiglie con capofamiglia giovane (età inferiore ai 35 anni) rimangono le più trattate dalle politiche di sostegno al reddito solo in Svezia. Lo stato in cui si rimarcano i maggiori mutamenti nella figura del “beneficiario tipo” è il Regno Unito, il quale nel 2014 sembra voler dare maggiore importanza alle famiglie con un capofamiglia donna o poco istruito, ovvero senza casa di proprietà.

Tabella 3 – Caratteristiche principali delle famiglie beneficiarie per paese

Caratteristica familiare 2008 2014

Capofamiglia uomo EL, IT, UK EL, IT

Capofamiglia donna DE, ES, FR, NL, PL, PT, SE DE, ES, FR, NL, PL, PT, SE, UK

Capo di 35 anni o meno ES, FR, SE SE

Capo di 35-44 anni DE, NL, PT, UK EL, ES, NL, PT, UK

Capo di 45-54 anni PL DE

Capo di 55 anni o più EL, IT FR, IT, PL

Capo con cittadinanza locale Tutti i paesi Tutti i paesi

Capo senza il diploma EL, ES, IT, PT EL, ES, IT, PT, UK

Capo con il diploma FR, NL, PL, SE, UK FR, NL, PL

Capo con la laurea DE DE, SE

Famiglia senza minori EL, IT ES, IT

Famiglia con minori DE, ES, FR, NL, PL, PT, SE, UK DE, EL, FR, NL, PL, PT, SE, UK

Famiglia senza casa di proprietà DE, FR DE, FR, UK

Famiglia con casa di proprietà EL, ES, IT, NL, PL, PT, SE, UK EL, ES, IT, NL, PL, PT, SE

2Per capofamiglia si intende l’individuo, di età almeno pari a 16 anni, responsabile/titolare dell’abitazione in cui la famiglia risiede.

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3.2. Efficacia ed efficienza dei trasferimenti sociali

Per valutare l’impatto dei trasferimenti sociali sull’incidenza della povertà si adotta l’analoga metodologia applicata da Eurostat, che consiste nel comparare, mantenendo fissa la soglia di povertà, l’indice di povertà “standard” con quello ottenuto sotto l’ipotesi dell’assenza nei redditi delle famiglie dei trasferimenti sociali oggetto dell’analisi. La differenza tra quest’ultimo reddito (per definizione più elevato dato che le famiglie hanno un reddito inferiore) e il primo stima così l’effetto prodotto dai trasferimenti sull’incidenza della povertà in termini di punti percentuali in meno. Allo stesso modo, l’impatto dei benefici sociali sull’intensità della povertà viene valutato sottraendo al poverty gap calcolato in assenza di trasferimenti il poverty gap standard.

La Figura 3 mostra che nel 2008 i trasferimenti sociali più efficaci sono quelli di Svezia e Francia, i quali determinano una riduzione dell’incidenza della povertà di quasi otto punti percentuali. Dall’altra parte, a fronte di una spesa pro capite inferiore e pertanto spesso non sufficiente per permettere di oltrepassare la soglia di povertà, i sistemi con meno efficacia sono quelli dei paesi dell’Europa meridionale e della Polonia. Nel 2014 si assiste a un generale aumento dell’efficacia delle misure di sostegno al reddito, salvo pochi casi, in particolar modo in Spagna, che adesso supera nettamente la Germania, e nel Regno Unito, dove grazie ai trasferimenti sociali l’incidenza della povertà è perfino dieci punti più bassa. L’effetto dei trasferimenti è invece superiore sull’intensità della povertà in tutti i paesi esaminati tranne l’Italia. In questo caso, sono l’Olanda e la Germania a riportare i sistemi più efficaci, con un poverty gap ridotto di quasi venti punti percentuali grazie ai trasferimenti, mentre il sistema italiano e quello greco risultano i peggiori. Così come l’impatto sull’incidenza, anche quello sull’intensità è cresciuto in quasi tutti i paesi in esame a seguito della crisi economica, soprattutto in Spagna.

Figura 3 – Efficacia dei trasferimenti sociali sull’incidenza e l’intensità della povertà

Tabella 4 – Categoria di trasferimenti sociali con maggiore efficacia nel 2014

Categoria di

trasferimento Incidenza della povertà Intensità della povertà

Famiglia DE, EL, PL, SE PL

Povertà o Escl. sociale - NL

Housing NL, UK UK

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Le categorie di trasferimenti sociali ad avere maggiore efficacia sull’incidenza della povertà nel 2014 sono, come atteso data l’entità di risorse in esse impiegate, quelle dedicate a famiglia e disoccupazione (Tabella 4). Tuttavia, le politiche di sostegno al reddito correlate all’abitazione appaiono le più efficaci in Olanda e nel Regno Unito. Le misure di contrasto della povertà o esclusione sociale in senso stretto risultano nel 2014 il principale strumento di lotta all’intensità della povertà solamente in Olanda, mentre questo ruolo è assegnato ai sussidi di disoccupazione in gran parte degli altri paesi.

Oltre ad essere efficaci le politiche di sostegno al reddito dovrebbero essere anche efficienti. Vi sono diversi modi per misurare l’efficienza di un trasferimento sociale. Un primo modo è quello di osservare la percentuale di famiglie non povere (già senza i trasferimenti) comunque beneficiarie dell’intervento, poiché di fatto esse non dovrebbero necessitarne. Un secondo indicatore di efficienza dei trasferimenti sociali è la percentuale di famiglie povere che però risultano escluse dai benefici. In entrambi i casi, tanto minore è il valore della percentuale quanto più le politiche saranno efficienti.

I valori assunti dai due indicatori di efficienza nel 2014 per il complesso dei trasferimenti in esame sono illustrati in Figura 4 (riquadro sinistro) e consentono di dividere i paesi analizzati in tre gruppi. Il primo gruppo è composto da Polonia e Grecia e si caratterizza per una bassa inclusione delle famiglie non povere, ma una maggiore esclusione di quelle povere. Al contrario, Olanda e Francia registrano le percentuali di esclusione delle famiglie povere minori, ma le percentuali di famiglie beneficiarie non povere più alte. Infine, i sei paesi restanti, trovandosi nella parte centrale del grafico, evidenziano entrambe le forme di inefficienza. In maniera analoga, il riquadro destro della Figura 4 mostra una notevole differenza tra i paesi in termini di copertura delle famiglie povere, le quali nell’Europa settentrionale e nel Regno Unito vengono nella maggior parte trattate da almeno un beneficio. Tra il 2008 e il 2014 i sistemi di welfare esaminati hanno dimostrato in generale di riuscire ad adattarsi alle caratteristiche dei nuovi poveri causati dalla recessione o raggiungere di più le famiglie in difficoltà. Gli unici paesi dove questo non è accaduto, evidenziando un decremento del tasso di copertura, sono Polonia, Svezia e Germania. Anche qui, il paese a mostrare il miglioramento più grande è la Spagna che passa da un tasso di copertura del 22% nel 2008 al 63% nel 2014.

Figura 4 – Efficienza dei trasferimenti sociali nel 2014 (sinistra) e tasso di copertura delle famiglie povere (destra)

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Figura 5 – Quota del trasferimento nel reddito delle famiglie beneficiarie povere

Guardando infine alla rilevanza assunta dal trasferimento sociale nel reddito delle famiglie beneficiarie in condizioni di povertà senza i trasferimenti (Figura 5), è possibile affermare l’impossibilità per il beneficio di rappresentare la principale fonte di reddito per tutti i paesi tranne Germania, Olanda e Regno Unito (quest’ultimo però solo dal 2014). L’Italia risulta invece il paese in cui i trasferimenti percepiti contano meno nel reddito dei beneficiari, benché si registri un aumento della quota di ben 11 punti percentuali nel periodo 2008-2014, dovuto però in gran parte al calo del reddito di mercato percepito da queste famiglie. La categoria dei trasferimenti con la maggiore rilevanza nel reddito delle famiglie beneficiarie povere è in media quella dei sussidi di disoccupazione, seguita dai trasferimenti per povertà o esclusione sociale in senso stretto.

3.3. I trasferimenti alle famiglie con minori durante la recessione

La crisi dell’ultimo decennio ha avuto un impatto particolarmente pesante sul mercato del lavoro, e quindi ha coinvolto soprattutto famiglie con membri in età di lavoro e con minori. In quest’ultima sezione vogliamo verificare se i sistemi di trasferimento sociale dei dieci paesi analizzati hanno reagito all’incremento del rischio di povertà per le famiglie in cui sono presenti minori. Ci aspettiamo che la reazione abbia preso la forma di un incremento non solo dei trasferimenti per figli, ma anche dei sussidi di disoccupazione e degli schemi di reddito minimo.

Figura 6 – Incidenza della povertà relativa per famiglie senza e con minori

La Figura 6 mostra l’incidenza della povertà relativa per le famiglie in cui siano o meno presenti minori, nel 2008 e nel 2014. La variabile di riferimento per queste figure è ancora il reddito disponibile equivalente inclusivo dei trasferimenti monetari, e la linea è posta al 60% del reddito equivalente mediano dell’anno. I dati confermano che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie giovani. Solo in Svezia, Germania e Paesi Bassi l’incidenza della povertà relativa è in generale inferiore per i nuclei con minori rispetto al resto della popolazione. Sul complesso dei paesi considerati, l’incidenza della povertà durante la crisi è, come atteso, diminuita per i nuclei senza minori, mentre è cresciuta per gli altri. Solo in Germania e nel Regno Unito l’incidenza della povertà è, per le famiglie con minori, diminuita nel corso del periodo. L’incremento del rischio di povertà tra le famiglie con minori è stato particolarmente sensibile in Spagna, Grecia, Francia e

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Svezia. In Italia il rischio di povertà è diminuito per le famiglie senza figli minori, mentre è cresciuto per le altre, ed è stabilmente molto superiore per queste ultime.

Di fronte a questo aumentato rischio di povertà per le famiglie con minori, la reazione dei sistemi di trasferimento monetario non è stata particolarmente efficace, come mostra la successiva Figura 7.

Figura 7 – Quota del trasferimento nel reddito delle famiglie povere con almeno un minore

Nota: Il reddito disponibile familiare include i trasferimenti.

In media, il peso sul reddito delle famiglie povere con minori dei trasferimenti associati ai carichi familiari non è infatti cambiato. E’ addirittura diminuito quello dei trasferimenti assistenziali non classificati altrove, mentre gli unici incrementi si registrano per i trasferimenti associati all’abitazione e soprattutto per i sussidi di disoccupazione. Per l’Italia questi dati confermano la sostanziale assenza del reddito minimo vitale e dei sussidi per l’housing; in crescita decisa troviamo invece, sempre per l’Italia, il peso dei trasferimenti contro la disoccupazione e, in minor misura, per il sostegno dei carichi familiari. Sommando le quattro voci, nell’ultimo grafico della Figura 7 si notano diversi aspetti degni di rilievo. In media il peso complessivo delle quattro voci sul reddito dei poveri con figli non è sostanzialmente mutato malgrado la gravità della crisi. Questa media nasconde una contrapposizione piuttosto netta tra paesi del centro-nord e paesi meridionali: nei primi l’incidenza dei trasferimenti in moneta sul reddito delle famiglie povere con minori è diminuito, mentre nei quattro paesi dell’Europa meridionale è cresciuto, soprattutto in Spagna e Grecia, ma anche in Italia, pur se in minor misura. Dopo la crisi, però, si evidenzia con chiarezza ancora maggiore la peculiarità del caso italiano, che ora è il paese nel quale le famiglie con minori a basso reddito ricevono, in percentuale del proprio reddito, i trasferimenti monetari più bassi tra tutti i paesi qui esaminati: in media in Europa i trasferimenti monetari occupano il 37% del reddito dei poveri con figli, in Italia il 16%, meno della metà. Questo divario non dipende dai sussidi di disoccupazione, ma dai minori importi dei trasferimenti alle famiglie, e dalla sostanziale assenza di sussidi per housing ed esclusione sociale.

Figura 8 – Quota di famiglie con minori che ricevono trasferimenti monetari per categoria

Restano tra i paesi europei differenze enormi nella probabilità, per una famiglia in povertà con minori, di ricevere i vari tipi di trasferimenti monetari (Figura 8). L’Italia si distingue per la bassa quota di famiglie povere con minori che risultano beneficiarie di trasferimenti per esclusione sociale e per housing, ma è molto inferiore alla media degli altri paesi anche la percentuale di famiglie povere con minori raggiunte da trasferimenti associati a carichi familiari. Durante gli anni della crisi i cambiamenti nella platea italiana sono impercettibili, con l’eccezione dei sussidi di disoccupazione. Ma il leggero calo della quota di nuclei che ricevono trasferimenti per carichi familiari fa sì che alla fine del periodo della crisi in Italia la copertura delle famiglie con minori non sia sostanzialmente mutata rispetto a quasi un decennio prima. Notevoli invece gli ampliamenti

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delle platee in Grecia e in Spagna, nel primo caso a causa di una estensione dei trasferimenti familiari, nel secondo per la crescita dei sussidi di disoccupazione.

Per valutare il successo delle politiche contro la povertà, non è importante solo quante famiglie povere vengono raggiunte dai trasferimenti monetari, ma anche l’effetto sul loro reddito disponibile, già analizzato, e sul gap di povertà, cioè sulla distanza tra linea di povertà e reddito disponibile familiare. Il poverty gap è definito nella Figura 9 come la distanza media, in percentuale della linea, tra il reddito dei poveri e la linea stessa. In Italia questo poverty gap è aumentato molto durante la crisi per i nuclei con minori in povertà, e la sua riduzione percentuale dopo i trasferimenti è leggermente cresciuta, anche se rimane molto inferiore alla media dei paesi europei considerati.

Figura 9 – Poverty gap medio delle famiglie povere con minori, prima e dopo i trasferimenti

4. Conclusioni

Non possiamo ancora affermare di essere di fronte ad una “quarta fase” nella storia delle politiche di RM, ma certamente negli ultimi anni si sono verificate in diversi paesi alcune trasformazioni importanti e innovative che, come avvenuto altre volte nel passato, potrebbero indicare una tendenza a cui poi si uniformeranno anche altri paesi; solo con il tempo potremo scoprirlo.

Tra i paesi che abbiamo analizzato, in alcuni casi possiamo dire che vi è una tendenza a passare da singole misure di universalismo selettivo a sistemi di universalismo selettivo, in cui la misura tradizionale di RM dopo essere stata trasformata in un RMI (terza onda) ora, indirizzandosi prevalentemente a persone abili al lavoro diventa a tutti gli effetti una sorta di indennità di disoccupazione assistenziale che, combinata ad altri minimi categoriali per anziani e disabili e soprattutto a una rete di strumenti suppletivi per necessità quotidiane, sembra configurare un sistema di reddito minimo, più che una politica di reddito minimo in senso stretto, con una efficacia complessiva superiore rispetto ad alcuni anni fa (Busilacchi, 2013). Questa ci pare la novità più interessante che sembra emergere; a fianco di questo aspetto possiamo anche notare altri due tratti innovativi. In primo luogo i progetti di inserimento nati nel 1988 con il RMI francese e sviluppatisi in tutta Europa nei due decenni successivi, oggi in molti casi coinvolgono tutta la famiglia e non solo il richiedente. E infine un tratto di maturità di queste misure è legato all'attenzione che spesso si nota al sistema di assistenza che guarda ai bisogni fondamentali dell'individuo e della sua famiglia, non limitandosi all'erogazione del RM ma combinandola con aiuti e sostegno ai bisogni vitali (es. sostegno alle spese di casa e riscaldamento, o di beni di prima necessità).

In particolare, in Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna si sta delineando un sistema con un RM prevalentemente pensato come attivazione per disoccupati, affiancato a misure di minimo categoriale.

Dentro a questo gruppo di paesi esistono ovviamente differenze interne e specificità: ad esempio in Gran Bretagna di fatto il pioneristico Income Support è diventato una misura di RM per disoccupati o working poors (che lavorino meno di 16 ore alla settimana), affiancato da indennità di disoccupazione assistenziale e da misure assistenziali di minimo per anziani (pensione sociale a over 65), disabili e housing benefit, con particolare attenzione alla copertura delle spese di affitto e riscaldamento.

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In Francia, invece, il passaggio dal RMI al RSA (Revenu de Solidarité Active) ha nei fatti incoraggiato maggiormente la componente pro-activation della misura che, pur rimanendo a tutti gli effetti un RM, sembra però rivolgersi prevalentemente agli abili al lavoro ed è affiancato da minimi categoriali per anziani e disabili e da housing benefit (cumulabili con RSA) che variano a seconda delle condizioni del beneficiario.

I casi tedesco e spagnolo hanno la specificità di combinare misure nazionali e locali.

In Germania qualche anno fa il Sozialhilfe aveva avuto una tendenza alla omogeneizzazione nella valutazione dell'importo (un tempo differenziato tra i vari Lander) (Busilacchi, 2013); oggi questa storica misura è suddivisa tra una misura nazionale per disoccupati (e loro famiglia) in cui i progetti di inserimento occupazionale sono coordinati dalla importante Agenzia federale per il lavoro tedesca e altre misure di minimo per chi non può lavorare, gestite a livello di Lander. L'importo del RM è deciso in linea di massima a livello nazionale ma per determinare le misure aggiuntive si fa riferimento al Regelbedarfe (standard di ciò che è necessario per la sussistenza), che varia tra le varie zona del paese.

Anche in Spagna si assiste alla combinazione delle tradizionali Rentas Minimas Autonomicas, le politiche di RM messe in campo dalle Comunità Autonome, con una indennità di disoccupazione introdotta nel 2006 (nazionale) di natura assistenziale rivolta agli over 16 senza lavoro in difficoltà economica (sotto i 531 euro), che non abbiano i contributi minimi per avere il “paro” (ammortizzatore contributivo), o per il reinserimento lavorativo di disoccupati di lungo periodo o di over 45 (in questo caso prende il nome di “Renta Activa de Insercion”). Anche in Spagna sono poi presente misure di minimo categoriale per anziani e disabili gestiti dalle Comunità Autonome.

In sostanza, in questi due paesi le politiche attive del lavoro combinate a un reddito minimo per disoccupati sono di competenza centrale e le misure di welfare senza legami con le politiche del lavoro sono gestite a livello regionale.

In due paesi, Olanda e Svezia, il RM è inteso come una assistenza sociale di ultima istanza per soddisfare i bisogni della persona. Nel caso olandese, come abbiamo visto, un importo molto alto, unito ad una grande importanza al sostegno alle spese per la casa, consente alla misura di RM, piuttosto orientata all'inserimento lavorativo, di fronteggiare da sola in modo significativo la povertà. Il caso svedese si caratterizza per essere più social-oriented che work-oriented, dunque in controtendenza rispetto al trend attuale, e si valorizza molto il tema della auto-sostenibilità delle persone tramite le loro capacità. La misura svedese ha ad ogni modo un importo modesto, non ha una sua precipua identità ed è inserito dentro una rete più ampia di servizi sociali.

I restanti quattro casi sono riferiti a paesi rimasti più indietro in queste trasformazioni, seppur con significative differenze. Il Portogallo sostanzialmente non ha presentato negli ultimi anni particolari cambiamenti alla propria misura, salvo la previsione del coinvolgimento dell'intero nucleo familiare nel contratto di inserimento, mentre per il resto il Rendimento Social de Insercao è il medesimo RMI tradizionale di quando è nato (1996).

Il RM polacco è costituito di due benefit (uno periodico e uno permanente, per chi è incapace di lavorare) e, oltre ad un livello molto basso dell'importo, contiene elementi discrezionali nella determinazione del suo valore: in generale possiamo dire che si tratta di una misura piuttosto “primitiva” e molto poco efficace.

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Da ultimo trattiamo i due casi “ritardatari”: Grecia e Italia fino a poco tempo fa, come noto, erano gli ultimi due paesi a non avere una misura di universalismo selettivo. In realtà tale condizione ancora permane, ma in entrambi i casi è stato mosso un primo passo verso misure di RM. In Grecia nel 2015 è stata varata una legge (la L. 4320/15) per aiutare le persone in povertà estrema con buoni cibo, aiuti per affitti ed elettricità; analogamente in Italia è stata introdotta una “carta acquisti” con le stesse finalità. Nel 2016 entrambi i paesi hanno fatto uno step successivo: in Grecia è stata avviata una sperimentazione in 30 municipalità del Reddito di solidarietà sociale, che combina trasferimento monetario, servizi sociali e attivazione per i poveri estremi. In Italia è stata introdotto il SIA (oggi REI) un “quasi reddito minimo”, che presenta tutte le caratteristiche di un RM ma che, almeno in prima battuta, è limitato solo ad alcune categorie di poveri. Vedremo se queste sperimentazioni verranno implementate nel futuro.

Con l’ausilio dei dati EU-SILC, il paper ha valutato il contributo che le misure di RM e le altre numerose misure di sostegno al reddito ad esse affiancate hanno complessivamente nel contrasto all’incidenza e all’intensità del rischio di povertà, mettendo in luce le grandi differenze esistenti tra i diversi sistemi dei paesi europei analizzati in termini di efficacia ed efficienza. I risultati mostrano, inoltre, che i cambiamenti istituzionali introdotti a seguito della crisi economica tardano a produrre risultati effettivi sui redditi delle famiglie in povertà, inclusi i gruppi sociali più colpiti dalla recessione.

Bibliografia

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Effectiveness and Challenges, OECD Social, Employment and Migration Working Papers, No.

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Figura

Tabella 1 – Generosità delle politiche di RM all’anno 2017 (valori espressi in euro)
Figura 1 – Quota della spesa totale per categoria di trasferimento sociale
Tabella 2 – Percentuale di famiglie beneficiarie per categoria di trasferimento sociale
Tabella 3 – Caratteristiche principali delle famiglie beneficiarie per paese
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