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Internazionale 1145 | 18 marzo 2016

Corea del Sud

J

i-seong è scappato di casa nell’estate del 2015. Ha com-piuto 16 anni da poco, per qualche tempo ha vissuto con “un amico più grande” e poi si è trasferito in un centro di ac-coglienza. Recentemente, però, dopo un interrogatorio della polizia per il furto di qualche sigaretta, è stato messo alla porta perché non ha rispettato le regole. Non sa-pendo dove andare, ha di nuovo chiesto aiuto al suo amico.

Ma la sera del 7 gennaio non ha voglia di tornare da lui. La madre del suo amico negli ultimi tempi si faceva

vede-re spesso e accusava sistemati-camente Ji-seong di vivere alle spalle del iglio.

La destinazione di questa se-ra, quindi, è un caffè. Aperto

ventiquattr’ore su ventiquattro, è l’unico posto dove può cercare riparo dal freddo anche senza avere soldi in tasca e senza il permesso di residenza. Forse potrebbe ri-posare più comodamente in una sauna aperta tutta la notte o in un internet cafè, ma i bar delle saune vietano l’ingresso ai minori dopo le dieci di sera. Non sarebbe la prima notte che passa in un cafè.

“Qualche giorno fa sono rimasto lì ino alle due del mattino e poi ho seguito alcuni amici in un motel”, spiega. “Tra tutti e cin-que eravamo riusciti a mettere insieme i 30mila won necessari (poco più di 22

eu-ro)”. Questa sera, però, non ha in tasca neppure uno spicciolo. Pensa di passare tutta la notte nel cafè.

In un locale sempre aperto Ore 22 La zona intorno alla stazione Sillim della linea 2 della metropolitana di Seoul, nel quartiere di Gwanak, è piena di cafè e fast food con insegne al neon e un grande “24” lampeggiante. Per lo più sono ediici a due o tre piani. Alle dieci di sera Ji-seong e cinque o sei dei suoi amici entrano in uno di questi locali. Anche gli altri ragazzi sono scappati di casa; uno ha i pantaloni corti, anche se fuori la temperatura è scesa a 7 gradi sotto zero. Appe-na entrati, i ragazzi si dirigono verso la sala fumatori.

Su-bin, una sedicenne con la sigaretta sempre incollata alla bocca, fa girare il pacchetto tra le dita. Stu-dentessa di terza media, è scappata l’anno scorso dalla provincia di Gangwon e in qualche modo è riuscita ad arrivare a Seoul. “Qui ho conosciuto i miei quattro ‘fratelloni’. Abitiamo nello stesso apparta-mento, un monolocale di 16,5 metri qua-drati”, spiega. I suoi genitori non l’hanno mai cercata. “Non si può certo dire che fos-simo benestanti. Probabilmente pense-ranno che almeno hanno una bocca in me-no da sfamare”, commenta. Il suo tome-no calmo e distaccato cambia quando comin-cia a parlare di soldi. “Ora guadagno e

pos-so pagare i 420mila won (315 euro) dell’af-itto”, si vanta. “Prendo 60mila won (45 euro) al giorno lavorando come computer administrator per un tizio che conosco. Se vado al suo studio tutti i giorni, arrivo a un milione o due al mese (750-1.500 euro)”, spiega. “Mi dà dei soldi perfino quando non vado al lavoro”. Su-bin sembra girare intorno alla vera natura del suo lavoro così ben retribuito. “Ha un ‘accordo’ con il ti-zio”, spiega uno dei suoi amici.

Storie di violenza

Mezzanotte Più tardi, un altro adolescente si unisce al gruppo. I ragazzi si spostano in una sala al terzo piano dove i dipendenti del cafè si afacciano raramente. Per am-mazzare il tempo, hanno tutti gli occhi collati allo smartphone. Ogni tanto un in-serviente sale a raddrizzare tavoli e sedie senza dire granché, solo un’occhiata di sbieco prima di tornare di sotto. Alla ine sembrano stancarsi degli smartphone e cominciano a chiacchierare. “Cinque gior-ni fa ho picchiato mio nonno”, racconta uno. “Ma lui mi picchiava da quando avevo

Ragazzi

di strada

Hankyoreh, Corea del Sud.

Foto di Filippo Venturi

In fuga dalla povertà e da abusi familiari, molti

adolescenti sudcoreani scappano di casa e vivono

dormendo nei locali pubblici. Più della metà sono

ragazze che sopravvivono prostituendosi

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sei anni! Con una tavoletta. Mi picchiava perché secondo lui somiglio troppo a mia madre, che ha lasciato mio padre. Ho de-nunciato mio nonno alla polizia e me ne sono andato di casa”.

Min-jae, 20 anni, dice che da quando ha lasciato la scuola, al primo anno delle su-periori, è scappato e tornato un’ininità di volte. Cinque giorni fa se n’è andato di nuovo. I suoi genitori hanno divorziato, si sono risposati e oggi vivono con i nuovi compagni. Cresciuto con il nonno, Min-jae ha molte cicatrici. Ha lasciato la scuola tre anni fa e da allora ha fatto praticamente qualunque cosa per guadagnare dei soldi: consegne, cucina, ha perino lavorato con un’agenzia di spettacolo per diventare un cantante pop per adolescenti.

Ji-seong ascolta muto l’amico prima di decidersi a raccontare la sua storia. “Mio padre mi picchiava tutti i giorni con una mazza da golf. Non voglio tornare a casa. Mia madre non fa altro che criticarmi. Questa vita è diecimila volte meglio che stare a casa”, dice. Min-jae e Ji-seong si so-no coso-nosciuti oggi per la prima volta in un

centro di accoglienza, ma parlano come vecchi amici. Dopo aver chiacchierato un po’, i ragazzi si riposano appoggiati alle pa-reti o allungati sul divano.

Senza rifugio

Ore 2 Il gruppo di Su-bin si alza per tornare nella sua “tana” di 16,5 metri quadrati. La-sciano nel caffè Ji-Seong e Min-jae, che non hanno nessun altro posto dove andare. Stanchi di chiacchierare, i due escono dal locale e cominciano a vagabondare per le strade fredde, Ji-Seong con una giacca a vento da montagna e Min-jae con le sue scarpette da ginnastica estive e un giub-botto senza maniche. “Che freddo bestia-le”, brontolano. Stroinandosi le mani inti-rizzite, Min-jae suggerisce di andare in un karaoke a gettoni. Completamente auto-matico, consente ai clienti di scegliere due canzoni per 500 won (circa 40 centesimi di euro). Non ci sarà nessuno a osservarli, ed è un modo per ripararsi dal vento inverna-le. I due tirano fuori tre monete e cantano a turno sei canzoni per 20 minuti. Quando hanno inito, riprendono la loro

passeggia-ta per la città, dando una sbirciatina a uno dei tanti fast food aperti 24 ore su 24. All’in-terno vedono un gruppo di ragazzi seduti davanti a un unico vassoio. “Ehi, quella non è la ragazza che abbiamo incontrato prima al camion-ristorante?”, dice uno di loro indicando un’adolescente seduta da sola. Il camion-ristorante è un servizio che fornisce pasti gratuiti ai ragazzi.

“Anche lei è scappata di casa?”. “Sembra proprio di sì”. “È carina”.

“Conoscerà un sacco di ragazzi”. Dopo aver bisbigliato per un po’ osser-vando la ragazza, i due amici decidono che l’atmosfera non è di loro gradimento e tor-nano al cafè.

“Capitano spesso ragazzi così in piena notte. Il locale è molto tranquillo a quest’ora, perciò di solito non diciamo niente”, spiega il dipendente dietro al ban-cone, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Dove andiamo oggi?

Ore 4 “Allora dove andiamo stamattina?”. Le parole borbottate da Ji-Seong, sdraiato su un tavolo con un cuscino dietro le spalle, tradiscono una punta di preoccupazione. Ripete la stessa domanda ogni dieci minu-ti. “Posso resistere alla fame, ma fa freddo e il problema è dormire”, continua. “Stia-mo qui perché c’è caldo e nessuno ci dice niente, ma quando il locale si riempie, la mattina, non sappiamo dove andare”.

“Potresti venire con noi in un internet cafè?”, chiede al reporter. “O potremmo andare in una sauna, e tu potresti tenerci d’occhio mentre dormiamo un po’”. “Po-tresti sistemarci a casa tua, magari solo per una decina di giorni?”. Ji-seong è minoren-ne, perciò dopo le dieci di sera deve lascia-re gli internet cafè e le saune. I bar aperti tutta la notte sono gli unici posti dove un ragazzino come lui può cercare rifugio. Min-jae invece sta per compiere vent’anni. “Io posso entrare dappertutto adesso”, si vanta. “Ji-seong, dovresti semplicemente andare in un altro centro di accoglienza”, dice alla fine. “Lì accettano chiunque è scappato di casa e non va a scuola”.

“Sono tutti pieni. Devi metterti in lista d’attesa”, è la replica secca di Ji-seong. “E poi c’è il coprifuoco alle nove. Se rientri al-le nove ti costringono a parlare con un assi-stente”. Dopo un po’ si allunga sul divanet-to del cafè e si addormenta.

Giorno fortunato

Ore 6 Min-jae si agita nervosamente quan-do arriva una telefonata. “È la mia ex, una

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con cui sono uscito per un po’”, spiega. Rac-conta che la ragazza gli ha chiesto di trovare un computer per giocare un po’ insieme. Quando le ha spiegato di non avere i soldi per andare in un internet cafè, lei gli ha im-mediatamente accreditato sul conto 30mila won (circa 23 euro). Eccitato dall’ iniezione di denaro, Min-jae va avanti e indietro tra i tavoli del cafè. “Non ho intenzione di rico-minciare con lei. Userò i 30mila won per andare a un karaoke”, commenta.

La lunga notte è terminata e inalmente si è fatto giorno.

“Voglio solo sdraiarmi da qualche parte e dormire”, dice Ji-seong mentre Min-jae lo porta in un ristorantino della zona. Ordina-no una ciotola di ramen (spaghettini in bro-do giapponesi) e un involtino di riso e alghe. “Ehi, questo oggi è il mio terzo pasto”, esclama Ji-song con orgoglio. “Mi capita spesso di andare avanti per tre giorni con un solo pasto. Oggi è la terza volta che mangio! Ho preso una scodella di spaghetti lioiliz-zati al centro di accoglienza, zuppa di riso al camion-ristorante, e ora eccoci qui”. Con del cibo sul tavolo e un po’ di quattrini in ta-sca, questo è un giorno fortunato per Ji-se-ong e Min-jae.

Le ragazze e la famiglia

Sono le otto del mattino. A-yeong si accorge di non avere più i soldi in tasca e scuote le sue amiche Ji-min e Hye-ri per svegliarle. Hanno tutte e tre 14 anni e si erano appiso-late in un sottoscala freddo. “Alzatevi!”, grida A-yeong. “Ci hanno derubato!”. Ji-min spalanca gli occhi: “Cosa? Tutto quan-to?”. Non c’è traccia di Jin-seok, il ragazzino che ha dormito accanto a loro la notte pri-ma. Hye-ri ha la faccia abbattuta.

L’avevano conosciuto la sera prima nell’internet cafè dove si erano rifugiate a Eunpyeong, uno dei 25 distretti in cui è sud-divisa Seoul. Avevano messo un annuncio su una bacheca online: “Cercasi compagno di fuga a Seoul/Eunpyeong/14 anni”. Non avevano voglia di vagabondare come al so-lito, quella sera. Dopo un breve scambio di messaggi con le ragazze, Jin-seok le aveva raggiunte al cafè. Tutti insieme avevano deciso di organizzare un “lavoretto”. Le ra-gazze avevano già diverse esperienze di fuga da casa e conoscevano bene una delle leggi della vita di strada: bisognava assicu-rarsi la “protezione” di un uomo per quel genere di lavoretti. Poi avevano messo un secondo annuncio: “Qualcuno vuole incon-trare una ventenne?”. Le risposte erano ar-rivate a decine.

L’uomo con cui alla ine si erano accor-dati aveva un aspetto così comune che oggi

non saprebbero riconoscerlo. Diceva di avere 28 anni. Non aveva chiesto la sua età. Malgrado il trucco pesante e i capelli tinti, la pallida A-yeong era chiaramente un’adole-scente. Lui l’aveva portata in un motel. “Sanno tutti benissimo che sono minoren-ne”, dice lei più tardi, “però lo fanno lo stes-so”. E aggiunge: “Si preoccupano anche, ma non per la mia età. Piuttosto perché ‘dev’essere doloroso’”.

Mentre lui si lavava, lei aveva frugato nelle tasche dei suoi pantaloni trovandoci centomila won (75 euro). Era corsa dai suoi amici, che l’aspettavano sotto il motel, ed erano ilati via. Era un vecchio trucco: of-frirsi per un “lavoretto” e poi scappare con i soldi prima di fare alcunché. Avevano persino un loro termine per deinirlo. A-yeong lo aveva imparato da un ragazzo più grande. Aveva bisogno di soldi per man-giare, ma voleva anche evitare il più possi-bile i “lavoretti”, perciò questo sistema era

uno strumento fondamentale di sopravvi-venza. E ora Jin-seok era scappato con il bottino.

Una quattordicenne scappata di casa non può fare granché per procurarsi dei sol-di. A-yeong aveva seguito un gruppetto di ragazzi e ragazze più grandi che le avevano promesso un posto dove dormire. L’aggres-sione da parte di uno di questi ragazzi era stata la sua iniziazione sessuale. Sembra che per lei sia diicile ricordare le sue espe-rienze, forse perché ne ha avute tante. Non sa dire, per esempio, quanti anni aveva quando sua madre se n’era andata di casa per vivere con un altro uomo, o che classe frequentava quando si trasferì dalla provin-cia di Jeolla a quella di Gyeongsang e poi a Seoul. Ma una cosa la ricorda bene: è scap-pata di casa per la prima volta un anno fa. Odiava suo padre, che la picchiava spesso. Era diventata un’abitudine: tornava a casa e scappava di nuovo.

Ji-min è scappata di casa per la prima volta quando era in terza elementare. Non ne poteva più degli abusi di sua madre. Già quando era al nido la prendeva a pugni e calci. Il giorno in cui era scappata per la pri-ma volta l’aveva picchiata ino a rompere cinque canne di bambù. Solo più tardi

ave-va scoperto che quella in realtà era la sua matrigna. Dopo essere scappata, Ji-min chiese di poter dormire in una chiesa della zona. Il giorno dopo si addormentò in un parcheggio del quartiere. Forse qualcuno vide la bambina addormentata, ma nessu-no cercò di svegliarla né avvertì le autorità. L’ultima fuga risale a un mese prima. Era già scappata in tante occasioni, ma questa volta le cose sono andate un po’ diversa-mente. Il 25 agosto Ji-min è stata aggredita sessualmente. Aveva incontrato un uomo su una bacheca online che aveva promesso di darle “un posto dove dormire”. L’espe-rienza l’ha traumatizzata ma non era torna-ta a casa e non era andatorna-ta dalla polizia. Sono tutte e tre d’accordo: “Se non va peggio di come andava a casa, vuol dire che va ancora abbastanza bene”.

Prendi i soldi e scappa

A-yeong e Ji-min odiano fare i “lavoretti”. Prendono i soldi e scappano. Quando le co-se si mettono davvero male, accettano un lavoro part-time in una “sala baci”. L’hanno imparato dalle ragazze più grandi: se rie-scono a sopportare mezz’ora di palpeggia-menti, possono tranquillamente arrivare a 50mila won (38 euro). In questo momento, Hye-ri è l’unica delle tre a fare sesso per sol-di. Non ha cominciato per scelta. È stata costretta dai ragazzi più grandi della sua “famiglia”. La famiglia è un gruppo di ra-gazzi scappati di casa che vivono insieme. I ragazzi le avevano detto che in un modo o nell’altro doveva guadagnarsi da vivere: “Fa’ dei soldi o moriremo tutti di fame”.

Quando cominciò a lavorare, adottaro-no un approccio più morbido. Le dicevaadottaro-no “Hye-ri, abbiamo un lavoretto per te. Cen-tocinquantamila won. Fa’ quello che ti chie-dono e aggiungi qualcosa di extra, capito?”. Senza di loro non avrebbe avuto nessun al-tro al mondo su cui contare, perciò faceva come le dicevano.

Un ricordo è particolarmente doloroso. A luglio si era scoperta incinta del suo ra-gazzo, che ha all’incirca la sua stessa età. Era andata in ospedale per abortire accom-pagnata dalla madre e dalla zia. L’aveva raccontato alla sua migliore amica e presto in tutta la scuola si era difusa la voce che fosse una “puttana”. I suoi genitori erano ai ferri corti e volevano divorziare. Hye-ri ave-va preso un taglierino e si era squarciata un polso. u gc

200

mila

adolescenti in Corea del Sud vivono per strada. Lo dice un rapporto dell’amministrazione di Seoul pubblicato nel 2012

GLI AUTORI

Questo articolo è stato scritto da Kim Mi-hyang, Hwang Keum-bi, Um Ji-won, Park A-reum e Heo Seung.

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