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Stefano d’Errico, La scuola distrutta. Trent’anni di svalutazione sistematica dell’educazione pubblica e del Paese. Milano – Udine, Mimesis edizioni, 2019, pp. 639

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Rivista di Storia dell’Educazione 7(2): 151-152, 2020

Firenze University Press www.fupress.com/rse

ISSN 2384-8294 (print) ISSN 2532-2818 (online) | DOI: 10.36253/rse-9668 Citation: Fabio Targhetta (2020)

Ste-fano d’Errico, La scuola distrutta. Trent’anni di svalutazione sistematica dell’educazione pubblica e del Paese. Rivista di Storia dell’Educazione 7(2): 151-152. doi: 10.36253/rse-9668 Received: September 4, 2020 Accepted: October 6, 2020 Published: January 25, 2021

Copyright: © 2020 Fabio Targhetta. This is an open access, peer-reviewed article published by Firenze Univer-sity Press (http://www.fupress.com/rse) and distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License, which permits unrestricted use, distri-bution, and reproduction in any medi-um, provided the original author and source are credited.

Data Availability Statement: All rel-evant data are within the paper and its Supporting Information files.

Competing Interests: The Author(s) declare(s) no conflict of interest. Editor: Pietro Causarano, Università di Firenze.

Recensione

Stefano d’Errico, La scuola distrutta. Trent’anni

di svalutazione sistematica dell’educazione

pubblica e del Paese

Milano, Udine, Mimesis Edizioni, 2019, pp. 639

Fabio Targhetta Università di Macerata

E-mail: fabio.targhetta@unimc.it

Il libro di Stefano d’Errico non è un manuale di storia della scuola o un compendio di didattica, né tantomeno un trattato di pedagogia. Si trat-ta piuttosto di una cronaca della scuola – o per meglio dire la descrizione dei suoi cambiamenti, principalmente per via normativa – negli ultimi tre decenni, redatta da chi ha conosciuto bene questa evoluzione, avendola cri-ticata e spesso osteggiata in veste di segretario nazionale dell’Unicobas. Ne esce un quadro articolato e minuzioso, tratteggiato senza presunzione di neutro distacco, ma con l’accorata partecipazione – e le relative distorsioni, in tutti i sensi, non necessariamente negativi – di chi ha vissuto in prima linea quei mutamenti e vede un disegno specifico volto a svalutare il sistema scolastico nazionale. Non deve dunque stupire il lettore se le pagine dedicate alle lotte sindacali e ai contrasti in seno alle varie sigle occupino uno spazio rilevante del corposo volume. Questo aspetto, se da un lato potrebbe risul-tare sovradimensionato rispetto all’effettivo ruolo svolto dai sindacati negli ultimi trent’anni, dall’altro costituisce un punto di interesse non banale, data la rarità dei riferimenti a questi organismi all’interno delle più classiche rico-struzioni di storia della scuola. Si tratta di testimonianze tanto più significa-tive quanto più si pensi alla rilevanza dei processi economici all’interno del-le decisioni di politica scolastica, soprattutto negli anni duemila e in seguito alla crisi del 2008. Nell’epoca del neoliberismo imperante, diventa infatti fon-damentale dare una lettura dei processi che tenga conto di queste dinamiche e delle azioni organizzate per contrastarle.

Numerose delle critiche avanzate da d’Errico alla deriva della scuo-la attuale sono da imputare proprio all’indirizzo delle politiche scoscuo-lastiche attuate dai governi, senza distinzione di schieramento, che si sono avvicen-dati dalla metà degli anni Novanta, quando la crisi dell’istituzione scola-stica principiata a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta era stata portata a compimento e si era concretizzata nel progressivo impoverimento, a livel-lo di ruolivel-lo pubblico e del relativo peso all’interno delle decisioni di natura

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152 Fabio Targhetta politico-scolastica, della riflessione pedagogica a

favo-re dell’analisi economica e dei processi produttivi. In secondo luogo, le sollecitazioni emerse a partire dagli anni Settanta – e a livello internazionale dalla diffusio-ne del Rapporto Faure – a riservare un ruolo crescente ad agenzie educative extrascolastiche si tradussero nei decenni successivi, all’interno di un contesto neolibe-rista caratterizzato da un sostanziale disimpegno dello Stato, nella perdita del tradizionale ruolo preminente della scuola, che da prima istituzione è diventata una delle varie agenzie impegnate in ambito scolastico-edu-cativo. Insomma, la scuola si è trovata a doversi con-frontare con offerte didattiche esterne, offerte che spesso potevano vantare caratteristiche nuove, maggiormente attraenti rispetto all’ingessata istituzione statale quali corsi dinamici, dalla durata variabile, e più calibrati sulle esigenze e le aspettative degli utenti.

La preminenza dell’istanza economica, con relative suggestioni manageriali, ha comportato anche la ridefi-nizione del ruolo dei presidi, divenuti dirigenti – a ripro-va delle ricadute anche a livello lessicale – in continuità con quella cultura dell’impresa introdotta anche a livello di politiche scolastiche (si ricordi la famosa formula delle tre “i”: inglese, internet e impresa). Una trasformazione, quella dei presidi, che li ha portati a divenire «datori di lavoro» con licenza di assumere, valutare e licenziare.

Parallelamente è venuto dequalificandosi il ruolo dei docenti a causa di una serie di provvedimenti che han-no contribuito, in forme dirette e indirette, ad aggra-vare le loro condizioni di lavoro, quantomeno per chi è sopravvissuto ai pesanti tagli del personale operati a partire dal 2008: l’eliminazione del ruolo e la sostitu-zione con gli incarichi a tempo indeterminato; l’elimi-nazione degli automatismi di anzianità; gli stipendi tra i più bassi d’Europa; l’aumento del numero di studenti per classe, con conseguente aggravio del carico di lavoro, anche di carattere burocratico; il moltiplicarsi dei casi di aggressioni fisiche da parte di alunni e genitori; l’assenza di iniziative, previste dal decreto legislativo del 9 apri-le 2008 ma mai finanziate, tese a prevenire e cercare di risolvere il problema del burnout.

A decretare il fallimento delle politiche scolastiche attuate negli ultimi trent’anni sono i dati degli annuali rapporti del Censis sul possesso di titoli di studio tra la popolazione italiana e sugli abbandoni, dati che l’autore confronta con quelli rilevati nel resto d’Europa: essi certi-ficano, tra le altre cose, il primato italiano quanto alla pre-senza di neet, ovvero di persone, soprattutto giovani, non impegnate nello studio, nel lavoro o nella formazione.

Alla corposa pars destruens d’Errico fa seguire una serie di proposte per «una profonda riforma del sistema scolastico italiano», alcune condivisibili, altre

verosimil-mente destinate ad alimentare un dibattito spinoso, a partire dal ripristino dell’insegnamento del latino nella scuola secondaria di primo grado. Non è tuttavia questa parte, né le pagine conclusive dedicate alla ricostruzio-ne dell’attuale fase politica, a costituire il valore aggiun-to del volume. Esso, a mio parere, sta nella ricostruzione di una sorta di contro storia della scuola recente, scrit-ta con una vis polemica e adotscrit-tando un punto di visscrit-ta, quello del sindacalista, poco usuali per questo genere di lavori e che ne fanno un interlocutore significativo per chi voglia occuparsi del tema.

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