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Impatto della colonizzazione rettale nelle batteriemie da KPC-KP

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INDICE

1. KPC

1.1. La farmacoresistenza 1.2. Enterobatteri 1.3. Genetica KPC 1.4. Fenotipica KPC 1.5. Epidemiologia e Trasmissione KPC 1.6. Fattori di rischio per KPC

1.7. Fattori preventivi per KPC

1.8. Tampone rettale

1.9. Carbapenemi

1.10. Farmaci efficaci con KPC

2. SEPSI

2.1. Definizioni e generalità 2.2. Epidemiologia 2.3. Valutare il paziente 2.4. Fattori prognostici 2.5. Cenni di terapia 2.6. Sepsi da KPC-KP

3. STUDIO

3.1. Obiettivo 3.2. Materiali e metodi 3.3. Risultati 3.4. Conclusioni

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GLOSSARIO

Bla= β-lattamasi

CRE= Carbapenem Resistant Enterobatteriaceae

ESBL= Extended Spectrum Beta Lactamase

EUCAST = European Committee on Antimicrobial Susceptibility Testing

GRS= Giannella Risk Score

ICE= Integrative and Conjugative Element

ICS= INCREMENT-CPE score

IVU= Infezione delle Vie Urinarie

KP= Klebsiella Pneumoniae

KPC= Klebsiella Pneumoniae carbapenemase

KPC-KP= Klebsiella Pneumoniae produttice di Klebsiella Pneumoniae Carbapenemasi

LPS= LipoPoliSaccaride

MIC= Minimal Inhibitory Concentration

MAC= Mycobatterium Avium Complex

MDR= Multi Drug Resistant

PBP= Penicillin Binding Protein

OMP= Outer Membrane Protein

ST= multiple Sequence Type

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Alla caparbietà,

di chi lotta e di chi lo supporta.

“Always trust a microbiologist because they have the best

chance of predicting when the world will end”

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1. KPC

1.1.

La farmacoresistenza

Così come la scoperta degli antibiotici è considerata uno dei traguardi più importanti in tutta la storia della medicina, la comparsa dell’antibiotico resistenza è considerata una delle maggiori minacce alla salute globale.

La naturale plasticità evolutiva dei batteri, necessaria ad adattarsi alla straordinaria mutevolezza del microambiente in cui naturalmente vivono, consente il formarsi di geni che conferiscono loro antibiotico resistenza. Questi geni sono stati ritrovati nel genoma batterico estratto da batteri criopreservati nel ghiaccio antartico per 30 000 anni, ed in batteri in cave sotterranee rimaste isolate per 4 milioni di anni. La diffusione della disponibilità e dell’utilizzo degli antibiotici in medicina e nell’industria agro-alimentare ha creato la pressione selettiva ambientale ideale per lo sviluppo delle antibiotico-resistenze, mentre la globalizzazione consente ai nuovi ceppi batterici farmacoresistenti di

diffondersi rapidamente su scala globale. Infine, i meccanismi batterici di scambio di materiale genetico, abbinati alla recente pressione ambientale, contribuiscono al clusterizzarsi di numerose resistenze in singoli ceppi. Queste resistenze sono spesso codificate da geni tra loro vicini, situati in porzioni di genoma trasmissibili orizzontalmente, anche tra batteri di specie diverse. L’acquisizione di questi cluster genici conferisce caratteri di multi-farmaco-resistenza (MDR).

È stato stimato che a causa delle antibiotico-resistenze il sistema sanitario americano spenda ogni anno più di 20 miliardi di dollari, e che siano necessari 8 milioni di giorni di ospedalizzazione aggiuntivi, inoltre queste infezioni

solitamente richiedono l’uso di farmaci meno efficaci, più tossici e più costosi. In quanto sede di origine ed amplificazione delle antibiotico resistenze, le strutture sanitarie sono vitali nel loro controllo.

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5 Uno degli elementi più importanti nel determinare l’attività antimicrobica di un antibiotico è la presenza o lo sviluppo di fenomeni di resistenza. Esistono due tipi di resistenza:

Resistenza primaria (o naturale): il microrganismo è intrinsecamente insensibile a un determinato antibiotico. Ad esempio i Mycoplasmi sono intrinsecamente resistenti agli antibiotici che agiscano sulla parete batterica, essendo essi batteri privi di parete di peptidoglicano.

• Resistenza acquisita: compare all’interno di una popolazione batterica intrinsecamente sensibile, a causa di una mutazione genetica.

La pressione selettiva esercitata dall’utilizzo estensivo degli antibiotici favorisce l’emergere di mutanti spontanei resistenti ai farmaci. Questo nuovo carattere viene poi trasferito verticalmente alle generazioni successive ed

orizzontalmente anche a batteri di specie diverse. Fin dagli esordi della terapia antibiotica, la produzione di nuovi farmaci è stata sempre seguita dal rapido sviluppo di resistenze. Sono noti due meccanismi principali di acquisizione di resistenze:

• La resistenza plasmidica è la più frequente, ed è legata al trasferimento di una piccola molecola di DNA extracromosomiale, chiamata plasmide. Il plasmide si replica indipendentemente dal cromosoma batterico e può contenere diversi geni di resistenza, che possono essere trasmessi da batterio a batterio, anche trans-specie. Questa resistenza interessa quasi tutte le famiglie di antibiotici. Hanno meccanismi analoghi di

trasmissibilità e multifarmacoresistenza anche le resistenze veicolate da batteriofagi ed ICE (trasposoni trasmissibili per coniugazione).

• La resisistenza cromosomica, meno frequente, può avvenire indipendentemente dalla presenza dell’antibiotico, si sviluppa

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6 Questa è prevalentemente osservata per rifampicina, chinoloni, acido fusidico e fosfomicina.

Le modalità con cui tali resistenze si esprimono sono varie, e comprendono:

• Produzione di enzimi inattivanti l’antibiotico (per esempio β-lattamasi inattivanti i β-lattamici);

• Impermeabilizzazione del complesso membrana-parete batterico (per esempio modificazione del trasporto attivo di aminoglicosidi e

tetracicline, o modificazione di porine);

• Iperproduzione di pompe di membrana che espellono il farmaco (quale il complesso MexA-MexB-OprM che estrude alcuni carbapenemi);

• Modificazione del recettore specifico (per esempio perdita di affinità del sito di fissazione specifico ribosomiale per i macrolidi);

• Produzione di proteine che leghino e mascherino i siti di legame specifici del farmaco (per esempio proteine che leghino i ribosomi, mascherando i siti di legame dei macrolidi);

• Acquisizione di una via metabolica alternativa (resistenza ai sulfamidici e trimetoprim).

Si ritiene che l’impatto di tutto ciò sulla nostra società non si sia ancora manifestato a pieno. Nel 2016 nel Regno Unito è stato pubblicato un report allarmante, di impatto e valenza globali. Esso rappresenta una delle più fredde e dettagliate analisi del fenomeno delle

resistenze agli antibiotici, e prevede che nel 2050 i

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7 decessi annuali attribuibili al fenomeno delle antibiotico resistenze,

attualmente ammontante a circa 700.000, raggiungerà i 10 milioni, superando le morti per cancro.

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1.2.

Enterobatteri

Gli enterobatteri comprendo un grande numero di batteri, a prevalente habitat intestinale nell’uomo e negli animali, correlati biochimicamente ed

antigenicamente, tra i quali è possibile dimostrare ogni immaginabile

combinazione di caratteri biochimici compatibile con la definizione dell’intero gruppo.

Per tale motivo essi formano un gradiente continuo di “tipi” biochimici

difficilmente separabili in gruppi distinti. Come osservano giustamente Edwards ed Ewing, l’unico modo logico di classificare gli enterobatteri sarebbe quello di collocarli in una serie continua in base ai vari caratteri biochimici e sierologici, in quanto ogni tentativo di raggruppamento porta di necessità alla esclusione dei batteri con caratteristiche intermedie a quelle utilizzate per definire i vari gruppi. Dal punto di vista pratico, però, è necessario provvedere ad un

aggruppamento operativo degli enterobatteri, in grado di offrire alla diagnostica medica i necessari riferimenti. I vari generi sono stati quindi identificati ed accettati, in base a criteri ormai largamente condivisi. Il modo corretto di guardare ai generi degli enterobatteri non è quello di considerarli come unità tassonomiche completamente differenti, ma bensì come centri di addensamento di stipiti batterici intorno a particolari comportamenti

biochimici abbastanza nettamente differenziabili, i quali però sono correlati all’esistenza di stipiti con caratteri intermedi che insensibilmente sfumano dall’uno all’altro genere.

Nel loro insieme possono essere definiti come bacilli gram -, asporigeni, fermentanti, mobili per flagelli peritrichi o immobili (esistono anche varianti immobili di specie normalmente mobili), quasi costantemente sprovvisti di pili e aerobi-anaerobi facoltativi. Tutti tranne alcuni stipiti di Erwinia e Yersinia riducono i nitrati a nitriti e tutti crescono bene nei comuni mezzi di coltura.

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9 In aerobiosi producono citocromi e ricavano energia preferenzialmente tramite la completa ossidazione nel ciclo di krebs. Fatta eccezione per Plesiomonas, non possiedono il citocromo C, perciò sono sempre negativi al test della ossidasi. In anaerobiosi, o in bassa tensione di ossigeno, sono tutti in grado di fermentare il glucosio, con produzione di acidi, e talora di gas. L’essere

fermentanti ed ossidasi negativi consente di distinguerli dagli altri batteri Gram-, in reperti patologici umani.

Sono tutti catalasi positivi, tranne Shighella dyssenteriae.

I vari generi vengono tra loro differenziati sulla base di numerosi caratteri biochimici, i quali sono rapportabili a:

• Capacità di usare particolari substrati come unica fonte di carbonio; • Presenza di particolari enzimi;

• Produzione di specifici prodotti metabolici; • Capacità di fermentare particolari zuccheri.

Dal punto di vista sierologico si individuano l’antigene polisaccaridico O, l’antigene capsulare K (detto antigene di virulenza Vi nelle salmonelle) e l’antigene flagellare H. Si ha quindi un sistema di sierotipizzazione chiamato O:K:H.

Gli enterobatteri sono responsabili di una serie di condizioni morbose umane, che schematicamente si possono suddividere in:

• Infezioni sistemiche, tra cui le febbri enteriche (tifo e paratifo), in cui la malattia è dovuta alla diffusione del microrganismo in tutto l’organismo, con localizzazioni extra-intestinali.

• Infezioni primitivamente ed esclusivamente intestinali, rappresentate da enteriti e gastroenteriti. Possono essere date da batteri invasivi o non invasivi.

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10 • Infezioni a localizzazione extra-intestinale, rappresentate

principalmente da infezioni delle vie urinarie. Alle IVU, soprattutto negli ultimi anni, si sono aggiunte tutta una serie di infezioni di tipo

opportunistico. Particolarmente frequenti come infezioni nosocomiali, sono rappresentate da infezioni respiratorie, sovrainfezioni di ferite (chirurgiche e non), infezioni susseguenti a manovre endoscopiche strumentali, ecc. In queste gli enterobatteri non enteropatogeni giocano un ruolo eziologico fondamentale, assieme ad altri bacilli Gram- non fermentanti (Pseudomonas).

Le infezioni sistemiche ed intestinali sono tipicamente infezioni esogene, e seguono l’ingestione di materiali contaminati con feci di soggetti infetti. Sono quindi appannaggio di comunità con bassi standard socio-economici.

Le infezioni a localizzazione extra-intestinale sono, invece, prevalentemente infezioni endogene, e fanno seguito alla diffusione di enterobatteri in altre sedi dell’organismo, altrimenti innocui commensali del contenuto dell’intestino crasso, o alla possibilità di invasione delle mucose ad opera di enterobatteri frequenti commensali di varie superfici mucose, in seguito ad una diminuita resistenza dell’organismo (infezione di batteri opportunisti).

I fattori patogenetici degli enterobatteri sono complessi. Tra essi figurano l’attività antifagocitaria delle strutture di superficie (polisaccaridi dello strato mucoso, o della capsula), l’adesività legata alla presenza di fimbrie specifiche, la multiforme tossicità dell’endotossina dovuta alla porzione lipidica del LPS ed in qualche caso l’elaborazione di tossine proteiche. Un altro fattore importante, ma dal peso imprecisabile, pare essere il mimetismo antigenico.

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11 GENERE KLEBSIELLA:

Tre specie del genere Klebsiella sono associate a patologia umana: K.

Pneumoniae, K. Oxytoca e K. Granulomatis. Due ex-specie, K. Ozaenae e K. Rhinoscleromatis, sono oggi considerate sub-specie di KP con caratteristiche

cliniche peculiari. I ceppi di questo genere fermentano il lattosio, sono immobili e per lo più crescono in colonie mucoidi, per la produzione di una florida

capsula polisaccaridica.

Sebbene KP sia un patogeno primario, in grado di causare IVU, ascessi epatici e polmonite in soggetti sani, essa affligge prevalentemente individui debilitati e/o già ospedalizzati. Altre infezioni squisitamente nosocomiali sono quelle di ferite chirurgiche, dispositivi intravascolari, vie biliari, peritonite, meningite e sepsi.

Il principale fattore di virulenza che è stato individuato è la capsula

polisaccaridica, della quale esistono oltre 70 sierotipi, i cui tipi più importanti sono K1 e K2. Altri importanti fattori di virulenza sono le fimbrie, tra cui i pili di tipo 1 coinvolti nell’adesione alle cellule dell’ospite, ed il lipopolisaccaride.

Tutti i ceppi di KP sono resistenti all’ampicillina, in quanto producenti una penicillasi cromosomica. Oltre a ciò gli isolati nosocomiali hanno spesso plasmidi che veicolano resistenza ad altre molecole e sono tra i più frequenti produttori di ESBL e carbapenemasi. Ceppi di KP non MDR possono essere trattati con cefalosporine di prima generazione, associazioni di penicilline ed inibitori delle β-lattamasi, cotrimossazolo, fluorochinoloni ed aminoglicosdi. Per i ceppi MDR, soprattutto se produttori di ESBL, i trattamenti sono limitati a cefalosporine di quarta generazione e carbapenemi. I ceppi produttori di carbapenemasi hanno poche o talora alcune opzioni terapeutiche.

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1.3.

Genetica KPC

Si dice che dopo l’avvento di HIV nessun patogeno abbia minacciato l’efficacia delle terapie di ultima linea quanto gli enterobatteri produttori di

carbapenemasi (CRE).

KPC, ovvero Klebsiella Pneumoniae carbapenemase, è stata identificata nel 1996 negli Stati Uniti orientali, e da allora si è diffusa globalmente. KPC è una serina β-lattamasi, inclusa nella classe A secondo la classificazione strutturale delle β-lattamasi di Ambler. È solitamente plasmidica (solo in 2 casi si è

dimostrata cromosomica) e può quindi essere trasmessa sia orizzontalmente che verticalmente. KPC è associata a numerosi altri geni di

antibioticoresistenza. Più frequentemente è codificata dal genotipo identificato come “multilocus sequence type 258” (ST258), il quale è rilevato in più del 77% dei casi in USA, e nella maggior parte degli isolati in Europa, Israele e sud

America, mentre in Asia il ritrovato più frequente è ST11. Si ritiene che ST258 derivi dalla fusione di ST11(80%) e ST442(20%). Al 2014 KPC era stata

riscontrata in un totale di 115 differenti ST, testimoniando l’ampia plasticità ed eterogeneità del genoma batterico. Ad oggi sono state individuate 22 diverse varianti di KPC. Queste carbapenemasi possono idrolizzare tutti i β-lattamici, inclusi carbapenemi, cefalosporine, cefamicine, monobattami ed acido

clavulanico. Le KPC sono state ritrovate in numerosi Gram-, sia enterobatteri che organismi non fermentanti (quali P.Aeruginosa e A.Baumanni), ma sono più frequentemente ritrovate in KP in infezioni nosocomiali, quali IVU, polmonite, infezioni intra addominali e sepsi.

Si è osservato che la variabilità genetica dei diversi ceppi di KP riesiede prevalentemente nel DNA extracromosomico, in quanto analizzando solo il DNA cromosomico di diversi ceppi il 92% delle sequenze codificanti proteine erano conservate, mentre analizzando tutto il DNA batterico solo il 75% era

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13 comune ai ceppi studiati. Si ritiene quindi che il rimodellamento genetico di KP sia prevalentemente dovuto a trasferimenti orizzontali di materiale genetico.

Da studi di metagenomica appare verosimile che la fonte originale di blaKPC sia data da β-lattamasi cromosomiche di batteri ambientali, un’origine molto antecedente all’era dell’antibioticoterapia. L’ipotesi è quindi che si tratti di un gene antico, che oggi ha raggiunto il massimo successo grazie alla pressione ambientale presente negli ospedali e alla capacità degli enterobatteri di accettare rapidamente DNA esogeno.

L’elemento mobile più comunemente contenente blaKPC è il trasposone Tn4401, lungo 10Kb, di cui esistono 5 isoforme, le quali sono associate a diverse

isoforme di blaKPC. L’associazione di specifiche isoforme di Tn4401 e blaKPC può essere utilizzata per identificare specifici plasmidi. Tn4401 codifica anche per una trasposasi (TnpA) e una resolvasi (TnpR), enzimi necessari alla sua

dinamicità nel genoma. Si è osservato che trasposoni che includono geni inattivanti gli aminoglicosidi ed altre β-lattamasi hanno transposasi e resolvasi simili a quelle di Tn4401, e questo fornisce una ragione molecolare per cui le resistenze a questi antibiotici tendano a clusterizzare.

Sono stati identificati più di 40 plasmidi contenenti blaKPC, appartenenti a diversi gruppi di incompatibilità. Questi spesso contengono geni di resistenza a numerosi altri antibiotici, quali aminoglicosidi, chinoloni, trimetoprim,

sulfamidici e tetracicline. Ciò rende più difficile il controllo della diffusione di blaKPC, che è quindi promossa anche dall’esposizione ad altri antibiotici, in assenza di esposizione a carbapenemi.

Nonostante questi plasmidi possano essere trasferiti ai numerosi enterobatteri ed altri Gram-, K.P. ST258 ne è l’ospite predominante, e questo suggerisce la presenza di altri vantaggi selettivi oltre alla sola antibioticoresistenza. 8

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1.4.

Fenotipica KPC

KPC-KP risulta essere resistete a numerosi antibiotici, ma è poco virulenta in animali immunocompetenti o anche neutropenici, in quanto altamente

suscettibile all’immunità sierologica per l’assenza di fattori di virulenza, quali i fattori capsulari K1, K2, K5, il sideroforo aerobactina e rmpA (ritenuto essere un regolatore dei geni capsulari).

Questo microorganismo risulta quindi avere un forte vantaggio evolutivo in ambienti in cui vi sia un’intensa esposizione agli antibiotici, come nelle unità di terapia intensiva, dove tende a prevalere su altri microrganismi e a colonizzare gli ambienti umidi e le persone. Solo alcuni dei soggetti colonizzati, predisposti, sviluppano poi l’infezione, mentre i restanti individui colonizzati continuano ad albergare e disseminare il batterio. Al di fuori dell’ambiente ospedaliero, in assenza della forte pressione selettiva dovuta agli antibiotici, altri batteri tendono a prevalere su KPC-KP, la cui carica batterica viene quindi

progressivamente a ridursi.

Molto preoccupante risulta essere il ritrovamento nel 2018 in estremo oriente di ceppi di KPC-KP ST11 ipervirulenta, con espressione di plurimi fattori

plasmidici di virulenza, specialmente quelli capsulari, in cui all’assenza di terapie efficaci si associava la riduzione dell’efficacia delle difese immunitarie.

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1.5.

Epidemiologia e Trasmissione KPC

La trasmissione di KPC tra i batteri è mediata da diversi meccanismi, quali la motilità di ICE (integrative and conjugative elements) e soprattutto lo scambio di plasmidi. Numerosi plasmidi contenenti blaKPCcontengono anche l’operone

tra, il quale codifica per il macchinario di coniugazione batterica,

massimizzando le capacità di diffusione del plasmide.

KP può essere un organismo commensale, colonizzante soprattutto il tratto gastroenterico. Essa può quindi essere eliminata con le feci e contaminare l’ambiente circostante, oltre alla superficie corporea e alle altre mucose. Il vantaggio selettivo datole dalla spiccata antibiotico resistenza fa sì che in presenza di una favorevole pressione ambientale, come nelle UTI, essa tenda a prevalere sugli altri microrganismi competitori. Oggetti ed individui circostanti il soggetto colonizzato o infetto possono quindi essere facilmente contaminati per contatto diretto, e il personale sanitario ed i fomiti possono trasportare il microrganismo da un paziente all’altro.

Vi sono 3 report che provano la persistenza di KPC-KP negli ambienti umidi degli ospedali ed altri 14 che provano la persistenza di altri microrganismi produttori di KPC o altre carbapenemasi (soprattutto P. Aeruginosa). Questo può render ragione del fatto che nonostante l’intercorrere di periodi, anche prolungati, senza pazienti colonizzati o infetti nell’unità operativa o nella struttura sanitaria, possano poi ripresentarsene, in quanto vi può essere persistenza batterica in assenza di portatori umani. Gli ambienti in cui più frequentemente sono stati ritrovati questi batteri produttori di carbapenemasi sono gli scarichi delle acque, le superfici dei lavandini ed i rubinetti.

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16 Originariamente KPC è stata descritta negli Stati Uniti orientali nel 1996, in seguito si è diffusa in tutti gli USA e dal 2000 si sono registrati casi anche in Grecia, Israele e Colombia, verosimilmente originati dai trasferimenti di pazienti e personale sanitario provenienti da aree contaminate. Attualmente alcune aree del mondo sono considerate endemiche, tra queste vi sono gli Stati Uniti nord-orientali, l’Argentina, il Brasile, la Colombia, la Cina orientale, la Grecia, Israele, l’Italia e Porto Rico.

In Europa l’incidenza di infezioni da KPC-KP rispetto a quelle da KP non

produttrice di carbapenemasi non è omogeneamente distribuita, mediamente è pari al 6,1%, ma è molto maggiore negli stati del confine meridionale,

specialmente Italia e Grecia, inoltre recentemente anche in Romania l’incidenza è aumentata a livelli simili a quelli Italiani. Spagna, Portogallo e Malta

presentano un’incidenza maggiore alla media europea, ma certamente inferiore a quella dei tre stati citati sopra. Le ragioni di questa distribuzione, con preponderanza nell’Europa del sud, devono ancora essere definite con chiarezza.

Risulta allarmante la presenza e l’aumento dei report di ceppi resistenti ai carbapenemi e alla colistina, in Italia, Grecia e Romania, i quali permettono poche od alcune strategie terapeutiche efficaci.

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18 Nel 2018 è stato pubblicato un report della regione Toscana riguardante le resistenze antibiotiche di KP ed il profilo riportato nella regione è quello di un batterio altamente farmaco resistente. La percentuale di isolati resistenti alle cefalosporine di terza generazione (65,4%) o ai fluorochinoloni (57,5%) è risultata più che doppia rispetto alla media europea e maggiore rispetto a quella italiana, mentre la prevalenza della resistenza ai carbapenemi (pari al 35,5%) ha superato di oltre 5 volte la media europea (6,1%), e si accosta alla media italiana (33,9%).

Nella AOU Pisana la percentuale degli isolati resistenti ai carbapenemi ha recentemente avuto un calo, dal 57,9% nel 2015, al 36,1% nel 2017, mantenendosi comunque sempre al di sopra della media regionale.

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19 Figura 4

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20 Figura 5

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1.6.

Fattori di rischio per KPC

I principali fattori di rischio per la colonizzazione da KPC-KP sono: • l’antibioticoterapia (p=0,0001);

• la residenza in RSA (p=0.013); • l’allettamento (p=0,021).

La maggior parte dei pazienti con infezione da KPC-KP sono maschi di mezza età, con malattie sottostanti gravi e che sono stati sottoposti ad

antibioticoterapia nei 30 giorni precedenti. Le malattie croniche più

frequentemente presenti sono: cancro, insufficienza cardiaca, BPCO, diabete e coronaropatia.

Sono stati descritti numerosi fattori di rischio indipendenti per infezioni da KPC-KP, essi sono:

• assunzione di cefalosporine ad ampio spettro; • assunzione di fluorochinoloni;

• presenza di gravi comorbidità (valutabili con il Charlson comorbidity index);

• numero di siti colonizzati; • radio/chemio terapia; • ricovero in UTI;

• procedure addominali invasive. 9,15,16

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1.7.

Fattori preventivi per KPC

L’insufficienza delle terapie antibiotiche rende la prevenzione e la diagnosi precoce priorità assolute. I laboratori di microbiologia devono prontamente trasmettere i risultati ottenuti, assieme ad informazioni sul controllo della trasmissione. È necessario che nell’ospedale siano presenti linee guida per il controllo dell’infezione e per l’uso appropriato della terapia antibiotica. Nelle aree endemiche un approccio combinato, con misure di disinfezione

intensificate e colture rettali routinarie è utile nel ridurre l’incidenza. Si ritiene che la periodica disinfezione delle strumentazioni, associata a test routinari degli endoscopi siano necessari. Le altre procedure utili sono: ridurre i trasferimenti dei pazienti e i contatti tra gli stessi, fino a quando vi siano soggetti contaminati o infetti; seguire i casi con studi di coorte per tracciare l’infezione; identificare dove siano i pazienti infetti ed evitare il contatto di questi con altri pazienti; implementare l’igiene delle mani e le precauzioni per i contatti.

In Israele l’incidenza delle infezioni da KPC-KP è stata fortemente ridotta attraverso la formazione di una commissione costituita da infettivologi, microbiologi e specialisti in sanità pubblica, che ha guidato l’aumento dei controlli statali sui singoli dipartimenti di malattie infettive, sulle metodiche diagnostiche applicate nei laboratori e sull’aderenza delle strutture sanitarie all’isolamento dei pazienti.

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1.8.

Tampone rettale

Il tampone rettale è un metodo sicuro ed efficace per ricercare l’avvenuta colonizzazione da parte di KPC-KP. Esso è inoltre il sito che esaminato

singolarmente offre la massima sensibilità nell’individuare i soggetti colonizzati, offrendo una sensibilità che è risultata pari all’88% (in un recente studio

americano essa saliva al 100% eseguendo anche tamponi cutanei inguinali).

Recentemente in Italia è stato eseguito uno studio epidemiologico

retrospettivo in cui si è descritta la prevalenza di KP resistente ai carbapenemi nei tamponi rettali. Esso ha incluso 21.535 pazienti ricoverati a Padova nel 2015 e parte del 2016, provenienti da reparti di medicina, chirurgia e rianimazioni. Nel 2015 il 94,3% delle resistenze ai carbapenemi era dovuta a KPC, e la prevalenza della positività al tampone rettale era rispettivamente di 1,7%(medicine), 0,8%(chirurgie) e 1,9%(rianimazioni).

Attualmente l’esecuzione di tamponi rettali ripetuti è indicata come misura preventiva, al fine di individuare i soggetti contaminati ed attivare quindi le misure preventive di isolamento.

La colonizzazione precede le infezioni da KPC-KP, ma è noto che solo l’8-9% dei soggetti colonizzati svilupperà un’infezione, il cui esordio è stato riportato mediamente a 11 giorni. Si sta oggi cercando di ottimizzare la gestione di questi pazienti.

Nel 2012 è stato condotto un trial randomizzato tra terapia decolonizzante (polimixina-E e gentamicina per via orale) e placebo. In esso si è dimostrato che la suddetta terapia è in grado di eliminare il batterio dal tratto

gastrointestinale, ma non di decontaminare il paziente completamente (i pazienti rimanevano contaminati soprattutto a livello inguinale). Risultava una strategia terapeutica da considerare solo in casi ultra-selezionati, come in

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24 pazienti che devono subire chirurgia maggiore del tratto gastrointestinale, che devono ricevere un trapianto o se immunodepressi in chemioterapia.

Attualmente si stanno ricercando i fattori di rischio per lo sviluppo di infezioni da KPC-KP in pazienti colonizzati, al fine di poter creare uno score affidabile che guidi le scelte terapeutiche nei pazienti colonizzati, ovvero che consenta di decidere in quali pazienti sia raccomandato effettuare la terapia

decolonizzante. Giannella e colleghi nel 2014 hanno individuato 4 fattori di rischio per lo sviluppo di infezione in soggetti colonizzati e proposto lo score GRS (Giannella risk score), nel 2018 Cano e colleghi hanno riconfermato l’efficacia del GRS nel calcolo del rischio di infezione. I fattori considerati nel GRS sono:

• ricovero in UTI (2 punti);

• procedure addominali invasive (3 punti); • chemio/radio-terapia (4 punti);

• numero dei siti colonizzati oltre al retto (5 punti ciascuno, quest’ultimo è risultato il fattore predittivo più forte).

È risultato che nei 90 giorni seguenti solo il 6,3% dei pazienti con un punteggio <7 sviluppava una infezione da KPC-KP, mentre nei soggetti con un punteggio ≥7 l’84,8% diveniva infetto, quindi 7 è stato raccomandato come cut-off. Il punteggio dello score si è inoltre dimostrato avere una correlazione lineare al rischio di infezione (esso era 3,8% per 0-3punti, 30% per 4-7 punti, 76% per 8-12 punti e 100 per valori maggiori a 15 punti). Auspicabilmente in futuro questo score sarà integrato alle informazioni cliniche nell’intraprendere decisioni terapeutiche.

Poco si sa tutt’ora riguardo l’impatto della colonizzazione rettale sulla prognosi dei pazienti che sviluppano una infezione da KPC-KP.

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25 Figura 6: Flowchart proposta da Cano, che integra il GRS (Giannella Risk score, che stima il rischio di sviluppo di infezione) ed ICS (INCREMENT-CPE score, che stima la mortalità in caso di batteriemia da CRE).

È possibile che futuro non ci si limiti a considerare solo la positività o meno al tampone rettale, ma che venga valutata anche l’abbondanza relativa di KPC-KP rispetto agli altri batteri presenti nel tampone. Questo perché, nel settembre 2018, è stato dimostrato che l’abbondanza relativa di KPC-KP nel tampone correla al rischio di sviluppare batteriemia, e questo è significativamente aumentato quando l’abbondanza relativa di KPC-KP supera il 22% (si consideri che normalmente l’abbondanza relativa degli enterobatteri rappresenta solo l’1% in un tampone rettale). ualora riconfermata in studi con campioni più numerosi, anche questa informazione potrebbe divenire un utile ausilio, contribuendo ad individuare quei pazienti con colonizzazione rettale che presentano un rischio aumentato di sviluppare sepsi da KPC-KP.

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1.9.

Carbapenemi

Dopo l’iniziale isolamento della tienamicina da colture di Streptomyces

Cattleya, sono stati ottenuti derivati naturali e sintetici più stabili, caratterizzati da un ampio spettro d’azione sia verso Gram+ che Gram-, aerobi ed anaerobi, grazie alla loro efficiente penetrazione della membrana batterica esterna attraverso OMPs, alta affinità per multiple PBPs e stabilità contro numerose β-lattamasi di classe A (ESBLs) e C (AmpCs). Sono antibiotici battericidi, che agiscono tramite il legame alle PBP 1a, 1b, 2 e 4, impediscono così la

stabilizzazione della parete batterica e ne inducono la lisi, la quale si associa al peculiare ritrovamento microscopico di forme batteriche sferiche.

Tra le molecole utilizzate imipenem, meropenem e doripenem sono quelli che garantiscono il più ampio spettro di efficacia e sono nella maggior parte delle condizioni tra loro interscambiabili; l’ertapenem ha invece un’emivita più lunga, ma è meno attivo verso alcune specie di Gram-.

• L’Imipenem è sempre usato in associazione alla cilastatina, la quale è un inibitore della deidropeptidasi renale, enzima che altrimenti

idrolizzerebbe il 75-80% del farmaco somministrato, inattivandolo. Essa ha inoltre anche un effetto nefroprotettore.

Lo spettro d’azione include: Cocchi gram+, ovvero Stafilochocchi non MRSA, Streptococchi, Enteroccus Fecalis sono sensibili; mentre MRSA,

Enterococcus Faecium e Corinebatteri sono cosiderati resistenti. Batteri

Gram-, ovvero Neisseria, Haemophilus, Brucella, Campilobacter ed

Eikenella sono sensibili, gli Enterobatteri sono generalmente sensibili

eccetto alcuni ceppi, inoltre inibisce la maggior parte dei ceppi di

Pseudomonas Aeruginosa, P. Stutzeri, P. Fluorescens e Acinetobacter;

sono resistenti invece Burkholderia Cepacia, Stenotrophomonas

(27)

27

Fusobacteriom e cocchi gram+ sono sensibili; sono invece meno sensibili

il Clostridium Difficile e Perfringens. È inefficace nei confronti degli

Actinomiceti, Mycoplasmi, Rickettsie, Clamidie e Mycobatteri (ad

eccezione di alcuni ceppi del MAC).

Non è assorbito per via orale e può essere somministrato per via intravenosa o intramuscolare. Diffonde bene nei liquidi e nei tessuti (incluso l’osso ed il sistema nervoso centrale, raggiungendo nel liquor il 10% della concentrazione plasmatica in assenza di flogosi). L’emivita è di circa 1 ora e l’eliminazione è prevalentemente per via renale in forma attiva. La concentrazione plasmatica deve superare la MIC del 20% per avere un effetto batteriostatico e del 40% per essere battericida.

I carbapenemi sono solitamente ben tollerati. Gli effetti collaterali sono reazioni ematologiche solitamente lievi, irritazione locale, disturbi

gastrointestinali (nel 20% dei soggetti), neurotossicità (convulsioni nel 1-1,5%), sovrainfezioni batteriche o fungine e raramente alterazioni degli indici epatici.

• Il Meropenem non è degradato dalla deidropeptidasi, e quindi non necessita la cilastatina. Rispetto all’imipenem ha inoltre un’azione più pronunciata nei confronti degli enterobatteri e di altri Gram- (P.

Aeruginosa, P. Cepacia, S. Maltophilia, H. Influenzae, Aeromonas

Hydrophila e Neisserie), ma risulta meno attivo verso batteri Gram+ (in

particolare Enterococchi e MSSA).

Dal punto di vista farmacocinetico e degli effetti avversi è simile

all’imipenem, se non per aver un minor rischio d’indurre convulsioni e nefrotossicità.

• Il doripenem si differenzia dal meropenem solo per l’avere attività in vitro verso certi ceppi di P. Aeruginosa resistenti a quest’ultimo.

(28)

28 • L’ertapenem non è substrato della deidropeptidasi. Si caratterizza per

l’avere uno spettro d’azione più ristretto, con minore attività sui Gram+ rispetto all’imipenem, e non è attivo nei confronti di Pseudomonas

Aeruginosa ed Acinetobacter.

Ha un’emivita aumentata a 4 ore, dovuta al maggior legame farmaco-proteico, e può essere quindi usato in monosomministrazione

giornaliera. Gli effetti avversi principali sono gastrointestinali, mentre le convulsioni sono riportate solo nello 0,2% dei trattati.

Le indicazioni al suo utilizzo sono più circoscritte, perché non va

considerato in tutte le infezioni in cui è rilevante il ruolo di Pseudomonas Aeruginosa.

La resistenza ai carbapenemi è mediata da 4 meccanismi. Nei batteri Gram- per conferire una resistenza clinicamente significativa più meccanismi devono essere solitamente tra loro associati. Questi meccanismi sono:

• la produzione di β-lattamasi in grado di idrolizzarli, quali quelle di classe B (ad esempio VIM e NDM che possono essere espresse da numerosi batteri G-), quelle di classe D (quale OXA, espressa soprattutto da

Acinetobacter baumannii, ma anche alcuni ceppi di K.P.) e talune di

classe A (ad esempio KPC, importante in tutte le Enterobatteriaceae, specialmente K.P.);

• la riduzione della produzione di certe OMPs, necessarie per la penetrazione della membrana esterna (nello specifico OprD per la penetrazione di imipenem in Pseudomonas Aeruginosa, di OmpK36 in K.P. e di OmpC ed OmpF in Enterobacter);

• il loro efflusso attraverso la membrana esterna (doripenem e

meropenem possono essere espulsi attraverso la membrana esterna dal complesso MexA-MexB-OprM in Pseudomonas Aeruginosa);

(29)

29 • infine, tramite la produzione di PBP modificate a minore affinità

(meccanismo estremamente diffuso nelle specie cliniche di Gram+, PBP2a riscontrata nel 60% dei ceppi di Staphilococcus Aureus e PBP5 nel 90% dei ceppi di Enterococcus Faecium).

Sono antibiotici ad ampio spettro, generalmente battericidi, altamente efficaci anche contro microrganismi farmaco-resistenti. Sono utilizzati nelle infezioni in cui si cerchi un’azione rapida ed incisiva, e/o in cui vi sia resistenza ad altre molecole.

(30)

30

1.10. Farmaci efficaci contro KPC

Le possibili opzioni terapeutiche sono limitate a poche molecole, a causa dalle estese resistenze associate a blaKPC. Nel 2015 uno studio Italiano multicentrico includente 661 pazienti affetti da enterobatteri kpc+ riporta che tutti erano resistenti a penicilline, cefalosporine, ertapenem, ciprofloxacina, amikacina, cotrimossazolo e cloramfenicolo. La MIC del meropenem era >16mg/L nel 63,2% dei casi, compresa tra 2 e 4mg/L nel 35,2% e solo nel 1,5% ≤2mg/L. L’82,1% erano suscettibili alla gentamicina, l’80% alla colistina, il 77% alla tigeciclina e nel 12,7% dei casi erano sensibili a solo una di queste. È stata allarmante l’osservazione che le resistenze a queste ultime sia andata

aumentando durante il periodo in studio (dal 2010 al 2013), aumentando di più del 100% per ciascuno dei tre farmaci.

Nel 2018 un altro studio multicentrico italiano effettuato su 138 pazienti, riporta un profilo di resistenza ancor più scoraggiante, confermando un trend progressivo nell’acquisizione di resistenze antibiotiche, con il 93,5% degli isolati aventi una MIC per meropenem >16mg/L, e un profilo di suscettibilità ancor più ridotto: solo il 41% degli isolati suscettibili era sensibile alla gentamicina, il 39% alla fosfomicina, il 32% alla tigeciclina, il 27% alla colistina ed il 16%

all’amikacina.

Il cardine della terapia antibiotica è l’associazione di 2 o più farmaci efficaci (quando possibile). Tutt’ora sono principalmente utilizzati polimixine (colistina o polimixinaB), aminoglicosidi, carbapenemi e tigeciclina, scegliendoli sulla base del profilo di sensibilità del batterio e della tollerabilità del paziente. In

numerosi studi si è provato che la terapia di associazione riduce la mortalità rispetto alla monoterapia, specialmente nei pazienti ad alto rischio (punteggio elevato all’ICS), mentre quale sia l’associazione ottimale non è ancora stato stabilito con certezza.

(31)

31 In alcuni casi (per esempio post trapianto renale) è addirittura riportato

l’utilizzo con successo di ertapenem e meropenem in associazione, dopo aver comprovato il sinergismo in vitro sul microrganismo patogeno.

Risulta molto promettente l’uso di ceftazidima/avibactam (CAZ-AVI),

associazione di una cefalosporina di terza generazione e un nuovo inibitore delle β-lattamasi. Questa associazione in uno studio in vitro ha inibito il 98% delle colture di 30 diversi ceppi di enterobatteri KPC+. Inoltre, nel 2018, è stato pubblicato uno studio multicentrico Italiano sull’uso di CAZ-AVI per le infezioni sistemiche da KPC-KP. Nei casi di batteriemie da KPC-KP è riportata una

mortalità a 30 giorni del 36,5% nei pazienti trattati con CAZ-AVI, rispetto ad una mortalità di 55,8% nei pazienti trattati con regimi non includenti il farmaco. È dunque descritto un calo di mortalità quasi del 20%, attribuibile all’effetto di CAZ-AVI, che è risultato un fattore indipendentemente associato alla

sopravvivenza. In tale studio il tasso di sopravvivenza massimo è stato

raggiunto dall’associazione di CAZ-AVI e fosfomicina (sopravvivenza a 30 giorni del 71,4%).

Figura 7

In definitiva si associano 2 antibiotici efficaci, sebbene se ne possano associare anche 3 o più, specialmente quando è presente resistenza alle polimixine. L’uso di CAZ-AVI risulta molto promettente. 24,25,26,27,28,29,30

(32)

32

2. SEPSI

2.1.

Definizioni e generalità

La sepsi è una sindrome innescata da un agente infettivo, e determinata dall’interazione tra le caratteristiche del patogeno (tipo, aggressività, antibiotico-resistenza ecc.) e dell’ospite (età, caratteristiche genetiche,

comorbidità, stato immunitario ecc.). La sepsi si differenzia da un’infezione per la presenza di una risposta aberrante dell’ospite e per la comparsa di

disfunzioni d’organo.

Un tempo la sepsi veniva definita come SIRS associata ad un’infezione

confermata o anche solo sospettata, mentre la sepsi severa era definita dalla presenza di sepsi con disfunzione d’organo. Oggi questo è stato superato, e la disfunzione d’organo è divenuta elemento indispensabile alla diagnosi di sepsi.

La sepsi è oggigiorno definita come un’infezione (documentata o sospetta) associata ad una disfunzione organica caratterizzata da un incremento acuto di 2 o più punti di SOFA score. È una condizione associata ad una mortalità attesa minima del 10%.

Lo shock settico è definito come sepsi con ipotensione in assenza di ipovolemia, lattati >2mmol/l, e necessità di terapia con vasopressori per mantenere valori pressori medi (PAM) >65mmHg. È una condizione associata ad una mortalità attesa minima del 40%.

Il SOFA score contiene variabili di laboratorio non immediatamente disponibili, a ragion di ciò per la formulazione rapida del sospetto di sepsi si utilizza il quickSOFA, che considera solo 3 variabili cliniche:

• alterazione dello stato mentale; • FR>22/min e

(33)

33 In presenza di 2 di queste si deve sospettare la presenza di disfunzione

organica, e calcolare il SOFA score. Qualora si riscontri un incremento di almeno 2 punti al SOFA-score, rispetto ai valori basali, si è in presenza di disfunzione d’organo acuta.

Tabella 2

SOFA

score-Punti:

0 1 2 3 4 PaO2/fiO2 >400 400-300 300-200 200-100 <100 Piastrine (x1000/µl) >150 150-100 100-50 50-20 <20 Bilirubina (mg/dl) <1,2 1,2-1,9 2-5,9 6-11,9 >12 Ipotensione (mmhg o µg/kg/min) No MAP<70 DA<5 o dobutamina DA 5-15 o NA<0,1 o A<0,1 DA>15 o NA>0,1 o A>0,1 GCS 15 14-13 10-12 9-6 <6 Creatininemia (mg/dl) o diuresi (ml/giorno) <1,2 1,2-1,9 2-3,4 3,5-4,9 o <500 >5 0 <200

Condizioni cliniche tra loro molto diverse sono considerate sepsi, basti pensare ad un giovane precedentemente sano che sviluppa acutamente

meningococcemia e coagulopatia rispetto ad un grande anziano con Alzheimer, diabete e insufficienza cardiaca che presenta ipotensione e confusione a

seguito di una IVU da catetere a permanenza.

In presenza di sepsi l’ospite attiva sia una risposta proinfiammatoria (che può causare danno tissutale) che una antiinfiammatoria (che può causare

immunodepressione). La direzione, l’estensione e la durata di queste reazioni sono determinate tanto da fattori legati all’ospite (età, comorbidità, terapie immunodepressive e genetica) quanto da fattori legati al patogeno (tipo e virulenza).

(34)

34 • vasoplegia (shock distributivo);

• alterazioni del microcircolo responsabili di fenomeni di shunting capillare (dovuta ad alterazione reologiche del sangue e della sensibilità

recettoriale del microcircolo);

• alterazioni endoteliali (aumentata permeabilità);

• disfunzione miocardica, osservata nel 40-60% dei pazienti con sepsi (dovuta a LPS, TNF, NO ed altri mediatori).

(35)

35

2.2.

Epidemiologia

L’incidenza della sepsi è circa 300/100.000 abitanti all’anno nei paesi

occidentali, ed è in crescita progressiva con un incremento annuo stimato pari all’1,5%. Anche se parte di questo incremento è attribuibile ad una migliore rilevazione dei dati, si ritiene che la crescita nell’incidenza di questa sindrome sia principalmente dovuta all’aumento dell’impiego di procedure invasive e all’incremento nella popolazione di soggetti anziani (nei quali l’incidenza è di 2-3 volte superiore a quella della popolazione generale), o con neoplasia, o altre cause di immunodepressione. La mortalità aumenta col passaggio da sepsi a shock settico ed è influenzata dalle caratteristiche dell’ospite, dal numero di organi insufficienti e dalla precocità con cui viene iniziata una terapia adeguata. In termini assoluti la mortalità per sepsi/shock settico varia tra il 20 e il 60%, a seconda delle caratteristiche delle popolazioni arruolate nei vari studi. Si è assistito ad un significativo calo della mortalità nell’ultimo decennio, ma il numero assoluto di morti per sepsi resta invariato a causa della maggiore incidenza, ed è simile a quello dei pazienti che ogni anno muoiono per infarto del miocardio o tumore della mammella.

Il report della regione Toscana pubblicato a maggio 2018, riporta nell’anno precedente 3605 sepsi da Gram-, 2362 sepsi da Gram+ e 626 candidemie, con incidenze annue per 100.000 abitanti rispettivamente di:

• 96,3 da Gram- (55,4 E. Coli, 22,1 K. Pneumoniae, 11,1 P. Aeruginosa, 5,1

Acinetobacter spp.);

• 63,4 da Gram+ (30,2 S. Aureus, 17,6 E. Fecalis, 8,6 E. Faecium, 4,8 S.

Pneumoniae);

• 16,6 candidemie (Candida spp.).

Nel suddetto report i pazienti risultavano maschi per il 56,3%, l’età media era 71,2 anni, il 38% aveva 5 o più punti al Charlson comorbidity index, il 78,2%

(36)

36 aveva effettuato un ricovero medico, il 26,5% aveva subito un traumatismo e il 21,8% veniva da una corsia chirurgica.

Con riferimento alle specie analizzate, la mortalità a 30 giorni dall’ammissione varia tra i patogeni dal 16% di E. Coli al 31% di Acinetobacter spp. Per quanto riguarda le resistenze, tra i Gram-, E. Coli farmacoresistente correla a maggiori mortalità e riammissioni, mentre Acinetobacter spp. farmacoresistente correla a maggiore mortalità. Tra i Gram+ solo per lo S. Aureus la meticillino resistenza correla ad esiti peggiori sia per la mortalità che per le riammissioni.

Tabella 3 N % SESSO Maschi 4401 56,3 Femmine 3418 43,7 ETA’ MEDIA 71,2 CHARLSON INDEX 0 1239 15,8 1-2 2459 31,4 3-4 1151 14,7 5+ 2970 38,0

TIPO DI RICOVERO Chirurgico 1705 21,8

Medico 6114 78,2 TRAUMATISMO 2070 26,5 STORIA DI TUMORE 1714 21,9 CVC 730 9,3 VENTILAZIONE MECCANICA CONTINUA 1054 13,5 TOTALE 7819 100

Popolazione setticemica in Toscana, anno 2017

(37)

37

2.3.

Valutare il paziente

Anzitutto, considerando quanto detto, si dovrebbe sospettare una sepsi ogni qualvolta si abbia un’alterazione dei parametri vitali non altrimenti spiegata o nuovi segni clinico-laboratoristici a causa non nota. La SIRS è spesso associata, ma risulta un criterio poco sensibile e specifico, soprattutto la febbre può essere assente nel 20-40% de casi.

ANAMNESI: oltre a ricercare i sintomi suggestivi d’infezione (febbre, dispnea, tosse, dolore addominale, diarrea, disuria, cefalea, alterazioni del sensorio, alterazioni cutanee ecc.) deve concentrarsi sulle comorbidità del paziente, ponendo particolare attenzione ai fattori di rischio per la presenza di patogeni multiresistenti. Per quanto riguarda il rischio di infezione bisogna valorizzare la presenza di: neoplasia attiva, pregresso trapianto, patologie croniche

debilitanti, recente intervento chirurgico, terapia dialitica, diabete mellito, infezione da HIV, trattamento con cortisone o altri immunosoppressori,

presenza attuale o recente di catetere venoso o vescicale, di PORT o altri device possibili veicoli e porte d’ingresso di infezione. Per valutare il rischio di

presenza di patogeni multiresistenti si devono valutare le precedenti ospedalizzazioni o ricoveri in RSA e cicli di antibioticoterapia.

Tabella 4

Germi produttori di ESBL MRSA Funghi

Recente ricovero in ospedale o RSA Recente ricovero in ospedale o RSA Precedenti isolamenti di germi

produttori di ESBL nel paziente o nei contatti

Precedenti isolamenti di germi produttori di MRSA nel paziente o nei contatti

Precedenti isolamenti di miceti nel paziente o nei contatti 4 o più cicli di antibiotico negli ultimi

12 mesi (soprattutto se cefalosporine o chinoloni)

4 o più cicli di antibiotico negli ultimi 12 mesi (soprattutto se cefalosporine o chinoloni)

Immunosoppressione Immunosoppressione Cura di ferite o ulcere a domicilio,

Tossicodipendenza, dialisi, presenza di cateteri o PORT

Interventi sulle vie biliari o sul piccolo intestino

(38)

38 ESAME OBIETTIVO: può variare in considerazione della presenza o meno di shock conclamato, della fonte settica, delle co-patologie e dei trattamenti che il soggetto assume cronicamente. Tra i parametri vitali è importante considerare: pressione arteriosa, temperatura, tachicardia, tachipnea e saturazione

dell’emoglobina. È importante sottolineare che la temperatura può essere normale o ridotta, che il primo sintomo di ipoperfusione è in genere

un’alterazione aspecifica della coscienza o del comportamento, e che è

possibile la presenza di ipoperfusione anche in presenza di pressione arteriosa sostenuta, sebbene la sepsi sia la causa medica più frequente di ipotensione persistente.

ESAMI AL LETTO DEL PAZIENTE: risulta di fondamentale utilità l’esecuzione di EGA, in cui è indispensabile valutare i lattati. La diagnosi di shock settico può essere fatta in presenza di lattati >2mmol/l e ipotensione persistente, o in caso di lattati >4mmol/l anche con pressione arteriosa normale. La misurazione della saturazione venosa centrale (ScVO2) con CVC è un parametro utilissimo nel valutare l’adeguatezza dell’ossigenazione dei tessuti, inoltre il CVC consente anche la misurazione precisa, seppur invasiva, della pressione venosa centrale (PVC), parametro che rispecchia fedelmente il riempimento volemico del paziente. Infine, risulta utile l’ecografia d’urgenza, focalizzata sul valutare lo stato volemico e la risposta ai liquidi del paziente in maniera non invasiva (valutando l’indice cavale e il diametro della vena cava inferiore), sulla ricerca della fonte settica (individuabile in ecografia nel 60% dei casi) e sulla

valutazione dell’inotropismo cardiaco per valutare l’indicazione e la risposta ai farmaci inotropi.

LABORATORISTICA: I più comuni esami laboratoristici sono utili per la ricerca di insufficienze d’organo e di scompensi metabolici. Altri esami, quali PCR e

(39)

39 possono essere di supporto alla diagnosi d’infezione quando questa resta

incerta. Le emocolture e le colture di altri liquidi biologici hanno la massima resa quando eseguite prima dell’inizio della terapia antibiotica, nonostante ciò la terapia antibiotica non deve mai essere ritardata solo perché per qualche ragione le colture non risultino effettuabili (sono le colture che vanno fatte il prima possibile e non viceversa).

IMAGING: Nonostante l’ecografia sia la tecnica diagnostica di maggiore utilità, non si riduce l’importanza di RX ed in particolare della TC, specie quando sia necessario ottenere una migliore risoluzione anatomica nella diagnostica addominale.

MONITORIZZARE: la sepsi è una condizione dinamica e di conseguenza è fondamentale ripetere le valutazioni nel tempo, in modo da adattare le cure all’evoluzione del processo morboso. Il monitoraggio nelle prime ore si basa soprattutto sulla clinica e sulla ripetizione seriata di alcuni esami. Secondo il SSC (Surviving Sepsis Campaign) del 2016 vanno valutati i parametri vitali, l’obiettività cardiopolmonare, il refill capillare, il quadro cutaneo ed almeno 2 tra: PVC, ScVO2, ecocardiografia, valutazione dinamica della risposta al carico volemico e/o valutazioni non invasive della gittata cardiaca.

Il miglioramento dello stato mentale, della perfusione cutanea, l’incremento della diuresi, della pressione arteriosa e il ritorno verso la normalità della frequenza cardiaca e respiratoria sono segni prognosticamente favorevoli.

(40)

40

2.4.

Cenni di terapia

I goal della terapia della sepsi sono 3:

• terapie atte a mantenere un’adeguata distribuzione d’ossigeno ai tessuti; • instaurare precocemente una terapia antibiotica appropriata;

• controllo della fonte di origine dell’infezione.

La sepsi è una patologia in cui la prognosi è fortemente tempo-dipendente, e così come è fondamentale sospettarla il prima possibile, altrettanto lo è instaurare rapidamente la terapia più appropriata.

Per questo motivo si sono diffuse semplici indicazioni di comportamento per gli operatori che si trovano di fronte ad un paziente settico. Tra queste hanno avuto grande diffusione quelle note come “Sepsis Six”, da attuarsi entro un’ora dalla prima valutazione del paziente, seguite da altre raccomandazioni da attuarsi entro 6 ore.

Nella prima ora si devono: misurare la diuresi e i lattati, prelevare emocolture, somministrare ossigeno, liquidi ed antibiotici.

(41)

41 Nelle prime sei ore si devono somministrare:

• ulteriori liquidi (prediligendo i cristalloidi ai colloidi);

• eventualmente impiegare vasopressori e/o inotropi (prediligendo la noradrenalina, ed eventualmente co-somministrarvi adrenalina e/o vasopressina);

• se necessario effettuare trasfusioni di emazie.

I target che devono guidare questa seconda fase della terapia devono essere il raggiungere e mantenere una PVC di 8-12mmHg, una MAP≥65mmHg, una produzione urinaria superiore a 0,5mL/kg/h, una ScvO2 ≥70% e la

normalizzazione dei lattati.

L’antibiotico terapia è la misura che ha avuto più conferme di dover essere attuata entro i tempi suddetti (un’ora), tant’è vero che si è dimostrato che per ogni ora di ritardo nel suo inizio la mortalità incrementa del 7,6%. Oltre a dover essere precoce, è essenziale una corretta selezione degli antibiotici da

utilizzare, che si deve basare sulle caratteristiche del paziente (gravità, allergie, insufficienze d’organo, condizioni che influenzano la distribuzione del farmaco e recenti terapie antibiotiche), sul sito dell’infezione (se determinabile) e sulle caratteristiche dei microrganismi (sensibilità dei patogeni più frequenti e fattori di rischio per multi-resistenza). In generale si può dire che la terapia antibiotica deve essere endovenosa, ed in un primo momento ad ampio spettro, costituita preferenzialmente da un’associazione di più molecole e guidata dal più

probabile sito d’infezione. La prima dose del farmaco deve essere piena, indipendentemente dalla GFR del paziente. Nelle ore e giorni seguenti la

somministrazione andrà invece adattata ad eventuali insufficienze d’organo e i principi attivi selezionati in considerazione dei risultati dei test microbiologici, solitamente restringendo lo spettro d’azione dei farmaci. La durata

(42)

42 dell’antibioticoterapia è solitamente 7-10 giorni, e si raccomanda che la

sospensione degli stessi sia guidata dal monitoraggio quotidiano di parametri dinamici, tra questi è consigliato l’uso della procalcitonina.

Attualmente le linee guida SSC sconsigliano l’uso routinario di idrocortisone endovena, il cui uso è invece suggerito nel caso di shock settico con instabilità emodinamica refrattaria alla terapia con amine vasoattive.

Nell’ARDS sepsi correlata, è consigliato l’uso di una PEEP elevata, ed in caso di grave insufficienza respiratoria è raccomandato far assumere al paziente il decubito prono (se PaO2/FiO2<150).

Si raccomanda il mantenimento della glicemia a valori inferiori a 180mg/dl e l’inizio dell’infusione insulinica in caso di almeno 2 valori glicemici superiori a tale soglia. La glicemia deve essere monitorata ogni 1-2ore fino alla

stabilizzazione di essa e della terapia insulinica, quindi va monitorata ogni 4ore.

Si sconsiglia la nutrizione parenterale, mentre si raccomanda la nutrizione enterale, associata a supporto calorico tramite soluzione glucosata per via endovenosa.

(43)

43

2.5.

Sepsi da KPC-KP

La prognosi è estremamente infausta, con una mortalità del 40-60%. Questo è dovuto alle difficoltà ed al tempo necessario per impostare una terapia

antibiotica efficace, nonchè al fatto che si tratta di una condizione squisitamente nosocomiale, soprattutto delle UTI, che affligge pazienti

particolarmente fragili (con ridotta riserva funzionale) e complessi (comorbidi).

Quali fattori indipendenti di mortalità sono stati individuati: esordio con shock settico, terapia antibiotica empirica inappropriata, IRC, resistenza alla colistina, 3 o più punti al Charlson comorbidity index, neutropenia e recente uso di ventilazione meccanica. Alcuni di questi sono stati integrati tra loro nel calcolo del rischio di mortalità, attraverso l’ICS (INCREMENT-CPE mortality Score), ideato nel 2016 da Gutiérrez e validato nel 2018 da Cano. L’ICS considera:

• terapia empirica e terapia mirata inziale inappropriate, 2 punti; • origine diversa da vie urinarie o biliari, 3 punti;

• Charlson comorbidity index ≥2, 3 punti; • Pitt batteriemia score ≥6, 4 punti;

• sepsi severa o shock settico all’esordio, 5 punti.

Il punteggio ottenuto con questo score correla alla mortalità a 14 giorni, che risulta del 18% per 0-8 punti, del 50% per 9-13 punti e dell’80% per 14-17 punti.

(44)

44

3. STUDIO

3.1.

Obiettivo

L’obiettivo dello studio è quello di valutare l’impatto della colonizzazione rettale da parte di KPC-KP sulla prognosi dei pazienti con una batteriemia da KPC-KP. La mortalità dei pazienti con una sepsi da KPC-KP potrebbe infatti differire sulla base della presenza o meno della colonizzazione rettale. Più specificamente la positività al tampone rettale potrebbe avere un impatto positivo sulla prognosi, dovuto ad una più precoce instaurazione della terapia efficace in caso di tampone rettale positivo. Inoltre, la mortalità potrebbe differire anche perché nei pazienti con tampone positivo potrebbero essere coinvolte differenti fonti di infezione.

Al fine di verificare queste ipotesi, l’obiettivo primario è:

• confrontare la mortalità a 30 giorni dei pazienti con sepsi da KPC-KP con tampone rettale positivo, rispetto ai pazienti con sepsi da KPC-KP e tampone rettale negativo durante tutta la durata del ricovero.

Gli obiettivi secondari sono:

• valutare le differenze nell’antibiotico terapia nei due gruppi. Nello specifico valutare l’appropriatezza o meno della terapia antibiotica

empirica ed i giorni trascorsi tra l’esordio clinico della sepsi e l’inizio della terapia con antibiotici attivi;

• valutare eventuali differenze nella fonte d’origine dell’infezione nei due gruppi.

(45)

45

3.2.

Materiali e metodi

DISEGNO DELLO STUDIO

È uno studio retrospettivo multicentrico. I soggetti inclusi nello studio sono tutti pazienti adulti ricoverati in un’unità di terapia intensiva, che abbiano sviluppato una batteriemia da KPC-KP. In questi pazienti sono state ricercate e raccolte informazioni riguardanti l’esito dei tamponi rettali, routinariamente effettuati come misura di screening, durante tutta la durata del ricovero. Per valutare l’impatto della colonizzazione rettale sulla prognosi di questi pazienti, essi sono stati suddivisi in due gruppi: pazienti con tampone rettale positivo, e pazienti con tampone rettale negativo. È stata quindi raccolta ed analizzata la storia clinica dei 30 giorni successivi all’emocoltura positiva.

Figura 9: progetto dello studio

Tutti i pazienti che dal gennaio 2015 ad oggi abbiano sviluppato una batteriemia da

KPC-KP in UTI sono individuati tramite il sistema ALERT

Le cartelle cliniche dei pazienti vengono consultate, ed i dati prestabiliti vengono

raccolti in un database

Pazienti con batteriemia da KPC-KP e tampone rettale positivo durante il ricovero

Pazienti con batteriemia da KPC-KP e tampone rettale negativo durante il

ricovero

(46)

46 CRITERI DI INCLUSIONE

Tutti i pazienti ospedalizzati nei centri partecipanti sono stati identificati ed inclusi nello studio se erano rispettati i seguenti criteri di inclusione:

• età ≥18 anni;

• almeno una emocoltura positiva per KPC-KP;

• il prelievo per l’emocoltura è stato effettuato durante un ricovero in UTI. RACCOLTA DEI DATI E DEFINIZIONI

I dati demografici e riguardanti le comorbidità sono stati registrati per ogni paziente. In particolare, dati riguardo il luogo di provenienza: domicilio, reparto di chirurgia, di medicina, lungodegenza o RSA. Dati riguardanti le comorbidità: la presenza di HIV, neutropenia, neoplasia solida, neoplasia ematologica, diabete, trapianto d’organo solido, BPCO, epatopatia cronica, malattia cardiovascolare, insufficienza renale cronica, in Charlson comorbidity index. Sono stati raccolti dati riguardanti le terapie effettuate nei 30 giorni precedenti l’ammissione in UTI, specificamente riguardo radio/chemio terapia, uso di farmaci immuosoppressori, glucocorticoidi ed antibiotici.

Il giorno del prelievo la cui emocoltura è risultata positiva, sono state raccolte le informazioni cliniche, quali numerosi parametri laboratoristici (tra cui PCT, leucociti, piastrine, creatininemia, lattati e bilirubinemia), numerosi dati

riguardanti i parametri vitali del paziente (temperatura, tachicardia, tachipnea, ipotensione, ipossiemia), informazioni sullo stato funzionale dei principali

sistemi organici (cadiovascolare, respiratorio, renale, sistema nervoso centrale), il SOFA score ed il PITT batteriema score. Sono inoltre riportate le data d’inizio e di fine dei sintomi della sepsi.

(47)

47 Sono stati raccolti dati riguardanti la sede d’origine dell’infezione, l’emocoltura positiva e l’antibiogramma della KPC-KP isolata, il tampone rettale positivo (quando presente), la presenza di dispositivi intravascolari (CVC,PICC,MIDline) e la loro eventuale rimozione e coltura.

Sono stati collezionati i dati riguardo la terapia antibiotica empirica e mirata, e nello specifico le molecole utilizzate, la durata della terapia e la presenza o meno di molecole attive.

È stato valutato l’outcome a breve termine, ovvero alla dimissione dalla UTI (quando questa sia avvenuta entro 30 giorni dall’emocoltura positiva), ed un secondo outcome a 30 giorni dall’emocoltura positiva (quando questa sia

avvenuta entro 30 giorni dalla dimissione). Alla prima valutazione (dimissione) i pazienti potevano risultare deceduti, guariti completamente e dimessi,

trasferiti in una lungodegenza, trasferiti in UTI o altro. Alla seconda valutazione (30 giorni) risultavano deceduti, guariti o con recidiva d’infezione. In

quest’ultimo caso è stata approfondita la natura della recidiva, riportando lo specifico microrganismo e l’eventuale grado di resistenza.

Per lo screening rettale i campioni colturali sono stati ottenuti con tamponi sterili. Lo screening è stato effettuato utilizzando il DKST (direct KPC screening test), il quale si basa sulla coltivazione diretta del campione ottenuto in agar MacConkey in presenza di un dischetto con meropenem ed un dischetto con meropenem+acido fenilboronico. L’identificazione batterica è stata effettuata tramite la spettrometria di massa MALDI-TOF (matrix-assisted laser

desoptionization-time of flight), oppure con la tecnica Vitek2-system.

L’antibiogramma degli isolati rettali e delle emocolture è stato effettuato in ogni ospedale tramite i propri protocolli, nella maggioranza dei casi utilizzando brodi di microdiluizione standardizzati, oppure il Vitek 2 system, e le MIC sono

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48 state interpretate secondo le linee guida EUCAST. L’identificazione fenotipica delle carbapenemasi è stata effettuata secondo le linee guida EUCAST.

L’identificazione genotipica è stata effettuata tramite l’uso di eazyplex Superbug CRE assay o di Xpert Carba-R assay.

CENTRI PARTECIPANTI Attualmente:

Ospedale di Cisanello, AOUP, Pisa (centro di coordinamento, principale autore: Prof. F. Menichetti);

Entro breve:

Ospedale Santa Maria Misericordia, Udine (Principale autore: Prof M. Bassetti);

Ospedale Careggi, Firenze (Principale autore: Prof. B. Viaggi).

METODI STATISTICI

La distribuzione delle variabili quantitative è stata descritta come mediane ed intervalli interquartili, o come medie e deviazioni standard, mentre le variabili categoriali come percentuali.

Le associazioni delle variabili categoriali in analisi (positività al tampone rettale e mortalità) sono state studiate col test del chi quadro, esprimendo il p value dell’associazione. Le variabili continue sono state analizzate con l’anova.

Il massimo errore di I tipo considerato accettabile è 5%.

PERIODO IN STUDIO

I dati raccolti vanno da gennaio 2015 ad agosto 2018, sono stati inclusi tutti i pazienti di cui è stato possibile reperire sufficienti dati clinici.

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49

3.3.

Risultati

DESCRIZIONE DEL CAMPIONE

Attualmente il campione è provvisorio, costituito da 48 pazienti dell’AOUP, i cui dati in futuro saranno integrati con quelli provenienti dagli ospedali di Firenze ed Udine, al fine di raggiungere una maggiore rilevanza statistica.

Nel campione studiato l’età media era 62 anni ed il 69% dei soggetti erano di sesso maschile. I pazienti accedevano alle rianimazioni prevalentemente da reparti chirurgici (50%), e a seguire da medicine e dal pronto soccorso (21% ciascuna). Il 58% dei pazienti era stato ospedalizzato nei 3 mesi precedenti alla batteriemia da KPC-KP.

Nel campione studiato non vi erano soggetti neutropenici o HIV+, ma le comorbidità erano abbondanti, tant’è vero che il Charlson comorbidity index medio era 2,4. Più nello specifico il 27% aveva un tumore solido, il 2% un tumore ematologico, il 21% era diabetico, l’8% era affetto da BPCO, il 10% era epatopatico cronico, il 29% era affetto da malattia cardiovascolare, il 17% aveva insufficienza renale cronica, il 4% aveva ricevuto un trapianto di organo solido ed il 77% aveva altre comorbidità.

Per quanto riguarda le terapie effettuate nei 30 giorni precedenti l’accesso in UTI ben il 73% dei pazienti aveva effettuato terapie antibiotiche, il 33% aveva assunto glucocorticoidi, l’8% dei pazienti aveva effettuato terapia

immunosoppressiva ed il 4% radio/chemio terapia.

Il giorno del prelievo la cui emocoltura è risultata positiva, il SOFA score era mediamente 7,9 punti, il PITT batteriemia score 5,1 punti, la temperatura media era 37,3°C ed il 60% dei soggetti era ipoteso. Tra l’esordio dei sintomi e l’emocoltura positiva sono trascorsi mediamente 6,4 giorni, mentre tra

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50 l’esordio dei sintomi e l’inizio della terapia efficace ne sono mediamente

trascorsi 4,1.

Nel 42% delle sepsi non si è individuata la fonte dell’infezione, mentre il 17% è risultata avere origine dalla cute e tessuti molli, il 13% dalla ferita chirurgica, il 10% aveva un’origine respiratoria, l’8% avevano un’origine intraddominale ed altrettanti dai dispositivi intravascolari.

Il 98% dei soggetti aveva un catetere vescicale, ed altrettanti avevano

dispositivi intravascolari. Questi ultimi sono stati rimossi, e le loro colture sono risultate positive nel 29% dei casi.

Il 65,6% dei soggetti ha avuto almeno un tampone rettale positivo, il quale ha preceduto l’emocoltura positiva mediamente di 9,9 giorni.

Solo il 39,6% dei soggetti ha ricevuto almeno una molecola attiva nella terapia empirica, e sono passati mediamente 4,1 giorni prima che il paziente ricevesse almeno una molecola attiva. L’associazione terapeutica più utilizzata, nel 37% dei casi, è stata colistina + tigeciclina +/- altre molecole quali aminoglicosidi e fosfomicina. Il 27% dei pazienti è stato trattato con colistina + tigeciclina + carbapeneme, ed il 17% con colististina + tigeciclina + fosfomicina. L’8% dei pazienti hanno ricevuto colistina + un carbapenemico, ed un paziente è stato trattato con gentamicina e fosfomicina. Solo il 6%, ovvero 3 pazienti, hanno ricevuto un trattamento compassionevole a base di CAZ-AVI, nessuno dei quali è deceduto. Per quanto riguarda la terapia mirata, questa ha avuto una durata media di 13,1 giorni.

Il ricovero è durato mediamente 49,4 giorni ed il 43,7% dei soggetti è deceduto entro 30 giorni dall’emocoltura positiva (21 pazienti su 47), mediamente 13,9 giorni dopo la stessa.

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