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Terapia dell'obesità: farmaci in uso e nuove prospettive.

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Academic year: 2021

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Introduzione

Negli ultimi 40 anni, il modo di alimentarsi della società occidentale ha subíto profondi cambiamenti, tanto per questioni culturali quanto per l'avvento di innovazioni tecniche che hanno permesso migliorie nel trattamento dei cibi, in particolare in termini di conservazione. Numerosi sono i contributi teorici da cui questo lavoro prende le mosse e che hanno affrontato da punti di vista non esclusivamente medico-scientifici la questione dei cambiamenti alimentari. Attualmente il 13% della popolazione mondiale è affetta da obesità, definita con un indice di massa corporea (BMI) di >30 kg/m2 (1). La patologia nella fase infantile possiede già un indice di massa corporea superiore alla norma, che persiste in età adulta determinando dei soggetti malati, le proiezioni attuali prevedono che il 20% degli adulti saranno obesi entro il 2030 (2-4). L'obesità aumenta il rischio di malattie cardiometaboliche, demenza, malattie renali, cancro, malattie respiratorie e osteoartrite. Sono necessari dei trattamenti efficaci per gli individui affetti da questa patologia, che riguardano soprattutto degli interventi sullo stile di vita. La chirurgia bariatrica porta ad una massiva perdita di peso e incrementa la qualità della vita del paziente, ma nella fase postoperatoria si ha un incremento del tasso di mortalità e del rischio di complicanze a lungo termine, infatti molti pazienti scelgono di non sottoporsi ad un procedura invasiva per aiutare a perdere peso (5-6). Vi è quindi un chiaro incentivo a sviluppare efficaci trattamenti farmacologici per aiutare la perdita di peso.

Bilancio energetico

Il bilancio energetico è costituito principalmente dall'apporto di energia, dal dispendio energetico e dall’accumulo di energia . Le fonti energetiche

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nell’uomo sono rappresentate dall’assunzione di proteine, carboidrati e grassi tramite la dieta. Quando l'apporto di energia è uguale al dispendio energetico, il corpo è in bilancio energetico e il peso corporeo è stabile. Nel momento in cui si ha lo squilibrio di uno di questi due fattori per un determinato lasso di tempo, si ha un’alterazione del peso corporeo (7). Il tasso metabolico a riposo rappresenta la misura della quantità di energia che viene utilizzata dal corpo in uno stato inattivo per mantenere le funzioni vitali di base, tra queste la respirazione, la circolazione, la digestione, l'attività cerebrale. Esso è sostenuto da circa il 10% dell’energia totale assunta attraverso la dieta. Nonostante la grande casualità delle fluttuazioni quotidiane riguardanti l’assunzione di cibo il peso corporeo resta stabile. Per spiegare questa stabilità sono state postulate due teorie principali: il set point model e il settling point model. La prima ipotizza che esiste un meccanismo a feedback attivo collegato al tessuto adiposo (energia immagazzinata) e di conseguenza all’assunzione e al dispendio energetico, regolata a livello neuronale. La seconda teoria invece si basa sull’equilibrio determinato dalla dieta e dallo stile di vita, che di conseguenza causa l’accumulo o la riduzione del peso corporeo (8). Entrambi i modelli sono coerenti con alcuni aspetti del bilancio energetico, ma tuttavia non riescono a spiegare molti altri aspetti significativi dell’omeostasi energetica (9). In definitiva la regolazione del peso corporeo è determinata dal meccanismo omeostatico, che permette interazioni fra tessuti periferici e organi, come tessuto adiposo bianco, il sistema gastrointestinale, il pancreas e il sistema nervoso centrale, attraverso dei segnali che danno delle informazioni a i centri cerebrali riguardanti lo stato nutrizionale e metabolico dell’organismo (10). Il sistema nervoso enterico possiede delle interconnessioni con il sistema nervoso autonomo e trasmette varie informazioni al sistema nervoso centrale attraverso i nervi vagali e simpatici tra cui: quelle meccaniche (es. distensione, contrazione), chimiche (come presenza dei nutrienti nel lume intestinale) e anche a livello della stimolazione

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neuro-umorale (come ormoni intestinali, neurotrasmettitori e neuromodulatori). Nello specifico il romboencefalo contiene dei neuroni e dei circuiti deputati alla regolazione dell’ ingestione, della digestione e dell'assorbimento di cibo indipendentemente dal prosencefalo (11-12). Il nucleo del tratto solitario rappresenta invece il centro della sensibilità gustativa che convoglia le informazioni ai centri neurali superiori coinvolti nel controllo dell'appetito, come il centro ipotalamico. L'integrazione di tutti questi segnali afferenti è proporzionata alla presenza di cibo nell'intestino, che a sua volta regola la quantità del cibo assunto dagli individui (11). Pertanto, i nervi vagali afferenti giocano un ruolo fondamentale sull’equilibrio tra l’assunzione di cibo e la sazietà, trasmettendo i segnali relativi alla presenza dei nutrienti ai centri neurali superiori e influenzando la motilità e la secrezione intestinale. Gli ormoni e i peptidi agiscono in specifiche regioni cerebrali per modulare il bilancio energetico attraverso la circolazione sanguigna. Il Nucleo del tratto cerebrale collegato con l’area postrema nel romboencefalo e l’ipotalamo situato nel proencefalo rappresentano i due obiettivi principali dell’interazione ormonale. Il bilancio energetico è controllato principalmente dall'ipotalamo, una regione cerebrale che è associata anche alla regolazione di altre funzioni fisiologiche quali la riproduzione, la temperatura, gli equilibri ormonali e ritmi biologici. Le interconnessioni neuronali all’interno di queste aree cerebrali determinano dei cambiamenti nello stato di energia attraverso l’alterazione dell'espressione di specifiche molecole, in particolare dei neuropeptidi, con la conseguente regolazione delle variazioni dell’apporto e della spesa energetica (13).

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Fattori periferici che regolano l'assunzione di cibo e la spesa energetica

I fattori periferici coinvolti nella regolazione dell'omeostasi energetica sono molteplici: leptina, insulina, grelina, GLP-1 e GLP2, colecistochinina, bombesina, amilina, peptide YY, ossintomodulina, somatostatina e enterostatina. I segnali metabolici periferici sono classificati come segnali di adiposità a lunga durata d'azione e segnali a breve durata d'azione (14).

I segnali a lunga durata d'azione riflettono la regolazione del peso corporeo e nello specifico definiscono i livelli di deposito di grasso nell’organismo che è la quantità di energia immagazzinata nel tempo come grasso (15). La leptina è un segnale endocrino essenziale per l'omeostasi energetica, essa è secreta dagli adipociti in proporzione ai depositi di grasso presenti nel corpo.

E’ stato scoperto che le mutazioni di questo ormone (Lepob / ob) o del suo recettore (Leprdb / db) nei roditori e negli esseri umani hanno determinato dei soggetti gravemente obesi e iperfagici, portando la ricerca all’identificazione di reti neurali che regolano l'assunzione di cibo e la spesa energetica (16). I siti ipotalamici e i siti extra-ipotalamici contribuiscono agli effetti della leptina sull'assunzione di cibo e nel bilancio energetico. Infatti l'elevata espressione del recettore B della leptina (LRb, che rappresenta l'isoforma funzionale) all'interno dell'ipotalamo è fondamentale nella regolazione dei diversi processi omeostatici (17). L’attivazione del recettore ipotalamico LRb determina la riduzione dell'appetito e l’aumento dell'attività del sistema nervoso simpatico, incrementando la spesa energetica nel tessuto adiposo bruno (BAT) (18). Anche l’insulina , secreta dalle cellule β dalle isole di Langerhans nel pancreas, è correlata nel controllo della distribuzione degli adipociti e di conseguenza nella regolazione del peso corporeo attraverso un meccanismo a feedback negativo. La sua funzione principale è quella di ridurre i livelli di glucosio nel sangue attraverso un azione a breve termine e inibire i segnali di adiposità a lungo termine, anche se la sua importanza

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fisiologica nella regolazione dell’omeostasi energetica rimane incerta, probabilmente per i rapidi cambiamenti dei livelli di insulina nella circolazione sanguigna e i cambiamenti metabolici a livello neuronale (19). I recettori dell'insulina (IR) sono altamente distribuiti in tutto il sistema nervoso centrale e in alcuni centri ipotalamici (20). Simile alla leptina, l'insulina ha un forte effetto anoressigenico anche se i dati raccolti ad oggi indicano che delle due, la leptina è maggiormente predominante nel ruolo del controllo dell'omeostasi energetica (21). Al contrario l’azione della grelina, un ormone secreto principalmente dallo stomaco, agisce a livello cerebrale determinando l’incremento dell’assunzione del cibo attraverso l'attivazione del recettore GHS, espresso sia all’interno dei nuclei ipotalamici, sia nei vari nuclei del tronco cerebrale caudale, tra cui l’area postrema e il nucleo del tratto solitario che insieme al nucleo motore dorsale del nervo vago formano il complesso vagale dorsale (22). La stimolazione del recettore GHS nel tronco cerebrale caudale conduce ad una risposta iperfagica indipendentemente dall’attivazione dei centri ipotalamici, suggerendo l'esistenza di collegamenti all’interno del prosencefalo e romboencefalo che rispondono in modo indipendente all’azione della grelina (23). I circuiti neurali all'interno dell’ ipotalamo e del tronco cerebrale integrano e convogliano i segnali a breve e lungo termine determinando il bilancio energetico (24). Ad esempio, la leptina aumenta la sazietà tramite l’effetto di GLP-1 attraverso le fibre afferenti vagali e il romboencefalo, allo stesso modo, l'attivazione del recettore GLP-1, espresso nei neuroni del nucleo del tratto solitario, i quali sono collegati alle aree ipotalamiche, responsabili della regolazione dell’appetito, è in grado di modulare l'attività di queste aree (25). Nello specifico il nucleo arcuato viene definito come mediatore principale nel controllo del bilancio energetico. All’interno dell’ipotalamo, i neuroni del nucleo arcuato rappresentano il circuito neurale più studiato che regola l'equilibrio energetico, esso è situato nei pressi dell’eminenza mediana, un

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organo circumventricolare, contenente un plesso capillare fenestrato che permette l'ingresso di sostanze nutritive, ormoni e altre molecole della circolazione (26). La particolare posizione dei neuroni arcuati li definisce come primo sensore dei segnali periferici, essendo considerati come neuroni fondamentali coinvolti nel rilevamento dello stato energetico globale dell’organismo. Nel nucleo arcuato esistono due popolazioni di neuroni che sono considerati di “primo ordine” definiti come neuroni sensoriali fondamentali nel controllo dell'assunzione di cibo. Una popolazione di neuroni esprime i peptidi che determinano la soppressione dell’appetito in particolare α-MSH (melanocyte stimulating hormone) che deriva dal precursore POMC in seguito al suo clivaggio post-traduzionale. Gli altri vengono denominati coexpresses e raggruppano due principali peptidi che stimolano l’appetito: il neuropeptide Y (NPY) e il peptide agouti-correlato (AgRP) (27). Nel caso in cui l'espressione di AgRP e di NPY aumentasse e l’espressione di POMC diminuisse, si avrebbe la determinazione di un bilancio negativo come nel digiuno. Al contrario durante la spesa energetica, l’espressione di AgRP e di NPY diminuisce e livelli di POMC aumentano. Il neurone AgRP induce l'aumento di peso mediante il blocco dell'effetto di α-MSH sul recettore MC4 e NPY mediante l'attivazione di NPYRs, in definitiva, i neuroni AgRP hanno un doppio controllo sul sul sistema melanocortinico:

a) direttamente sul soma di POMC ad opera del neuropeptide Y e del GABA che hanno un tono inibitorio;

b) tramite l’inibizione di α-MSH agendo sul recettore MC4.

L'importanza della melanocortina nel controllo del bilancio energetico è chiara ed è stata riconosciuta dai primi esperimenti che mostrano che la cancellazione del recettore MC4 nei topi determina uno stadio di obesità patologica. Studi approfonditi hanno dimostrato che la perdita della

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funzionalità del neurone POMC o del recettore MC4 causavano nei soggetti gravi forme di iperfagia e obesità con un indice di BMI superiore a 40 Kg/m2 inoltre, le mutazioni del gene MC4R rappresentano la più comune causa di obesità mendeliana nell'uomo (28). Al contrario del sistema POMC, il meccanismo di AgRP nella regolazione dell’alimentazione è meno chiaro, infatti l’eccessiva funzionalità di questo sistema attraverso l’incremento dell’espressione genica causa obesità grave (29). Tuttavia, recenti studi dimostrano che i topi privi di uno o di entrambi i neuroni (AgRP / NPY), non presentano alterazioni alimentari o del peso corporeo. Questi risultati inattesi sono stati spiegati però con lo sviluppo del meccanismo di compensazione dopo l'asportazione di tali neuroni nei topi neonati. Attraverso l’utilizzo di una tossina difterica umana è stato dimostrato che l’esportazione dei neuroni AgRP nei topi adulti ha apportato una drastica riduzione del consumo di cibo e del peso corporeo. Inoltre l’evoluzione della tecnologia ha permesso ai ricercatori di rendere chiaro il meccanismo di interazione tra i neuroni AgRP e i suoi neurotrasmettitori, attraverso delle tecniche mirate alla manipolazione temporale dell’attività neuronale in maniera reversibile (30).

In definitiva è importante sottolineare che questi studi hanno dimostrano la temporale dissociazione tra l'effetto del GABA e dei peptidi NPY e AgRP sulla regolazione dell'apporto di cibo, suggerendo nello specifico che la funzione del GABA e del neuropeptideY influisce sul comportamento alimentare a breve termine, mentre AgRP è solo coinvolto nel lungo termine attraverso la sua interazione con i recettori della melanocortina. Il target primario della leptina è rappresentato dall’azione sui neuroni POMC e AgRP, in cui sono espressi i recettori LRb (31). Il meccanismo d’azione di questo particolare ormone attiva i neuroni POMC e stimola la secrezione di α-MSH, inibendo anche la secrezione dei neuroni AgRP e NPY e il rilascio del GABA (32). Recentemente è stato dimostrato che la riduzione degli impulsi inibitori sui neuroni POMC sono mediati dai recettori LRbs situati a livello

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presinaptico sui neuroni GABAergici (33). La leptina si lega ai recettori di membrana OB-R inducendo la loro dimerizzazione e l’attivazione delle proteine JAK (Janus chinasi), che sono capaci di fosforilare entrambi i monomeri del recettore OB-R . Questa fosforilazione crea siti nel recettore a cui si legano le proteine STAT (Signal transducers and activators of transcription); queste ultime, infine, vengono anch’esse fosforilate dalla JAK, dopodiché lasciano il recettore e si accoppiano, formando dimeri. I dimeri di STAT fosforilati si legano a sequenze specifiche di DNA, promuovendo l’espressione di alcuni geni che codificano per POMC/CART e il silenziamento dei geni che codificano per NPY/AgRP (34). Un’altra azione della leptina è l’attivazione dell’enzima fosfotidilinositolo3chinasi (PI3K) presente anche nella cascata di attivazione dell’insulina, che induce alla sintesi di fosfatidilinositolo 3,4,5-trifosfato (PIP3) a partire da fosfatidilinositolo 4,5-bifosfato (PIP2) (35). L'accumulo di PIP3 porta all’attivazione di un altro enzima, la AKT chinasi, che ha un ruolo molto importante nella regolazione e nell’attivazione di molte proteine e fattori di trascrizione, tra cui FoxO1, la proteina chinasi attivata da AMP (AMPK), e una serina treonina chinasi (mTOR) che è definita come bersaglio della rapamicina nei mammiferi e che regola la crescita, la proliferazione, la motilità e la sopravvivenza delle cellule (36). L'attivazione di PI3K rappresenta il punto di connessione tra leptina e insulina, in cui convergono nella modulazione del peso corporeo e la regolazione dell'omeostasi del glucosio. È importante sottolineare che la fosforilazione di FoxO1 produce effetti differenti nei neuroni POMC e nei neuroni AgRP:

 Nei primi pFoxO1 viene esportato dal nucleo, permettendo il legame di STAT3 al promotore POMC per stimolarne la sua espressione.

 Negli altri l'esportazione nucleare di pFoxO1 consente oltre a STAT3 di legarsi al promotore AGRP di inibire anche la sua espressione (37).

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Un nuovo approccio nella mediazione del meccanismo della leptina e dell’insulina all’interno dell’ipotalamo è rappresentato da Sirtuin1 (SIRT1), una proteina che è inibita nelle cellule che hanno un'elevata resistenza all'insulina capace di deacetilare e influenzare l'attività di entrambi i membri dei complessi recettoriali PGC1α/ERRα, che sono essenziali nel regolare il metabolismo dei fattori di trascrizione. E’ stato dimostrato che nei topi privi di SIRT1, in particolare nei neuroni POMC, determina una minore reattività della risposta della leptina (38). Inoltre l'eliminazione selettiva dei neuroni SIRT1 induce a obesità, è stato osservato che nei topi incrementa la fosforilazione di Akt e di Fox01 con conseguente aumento dei livelli di insulina centrali e periferici (39). Si ipotizza infatti che i neuroni AgRP possano essere responsabili dell’incremento di insulina poiché nei topi si è osservata la riduzione della produzione di glucosio a livello epatico, data dall’espressione genica di insulina in tali neuroni (40). Recentemente i ricercatori hanno fornito anche un ulteriore approccio rappresentato dalla delezione genetica dei soppressori dell’insulina (PTP1B) e delle vie di segnalazione della leptina (TCPTP), il cosiddetto “doppio knockout” (DKO) nei topi, evidenziando la formazione di tessuto adiposo bruno che porta al dispendio energetico. Anche l'inattivazione selettiva dei neuroni AgRP nei topi promuove la trasformazione del tessuto adiposo bianco a tessuto adiposo bruno a livello retroperitoneale con conseguente riduzione del peso corporeo e la riduzione della formazione di tessuto adiposo, senza però intaccare i livelli di UCP1 mRNA nel tessuto adiposo bruno (41). Questi dati sono molto promettenti poiché la trasformazione del tessuto adiposo sembra essere indipendente dalla sua termogenesi, determinando anche una risposta della melanocortina a livello periferico. Tuttavia, il meccanismo d’azione di questa strategia nell’apporto è ancora da definire in modo conclusivo, lo sviluppo della ricerca riguarda soprattutto il ruolo dei centri ipotalamici coinvolti nella

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regolazione del BAT, come approccio terapeutico per la gestione del trattamento dell’obesità e delle sindromi metaboliche associate. In definitiva, l'azione della leptina e dell'insulina sui neuroni del nucleo arcuato è quello di inibire l'assunzione di cibo, aumentare il dispendio energetico e ridurre il peso corporeo, migliorando il metabolismo del glucosio (42).

Grelina

La grelina è un ormone prodotto dalle cellule P/D1 localizzate sul fondo dello stomaco umano e anche dalle cellule ε del pancreas. Diversi studi hanno dimostrato che questo particolare ormone induce l’appetito stimolando direttamente i neuroni AgRP e NPY , poiché più del 90% di tali neuroni esprimono il recettore GHS-R1a, ovvero il recettore funzionale della grelina (fig.1). Al contrario i recettori GHS-R1a non sono significativamente localizzati sui neuroni POMC, avendo un’espressione genica inferiore all'8%. L'ablazione selettiva dei neuroni AgRP nei topi neutralizza l’effetto oressigenico di tale ormone, l’ulteriore ablazione dei neuroni del neuropeptideY non determina nessun incremento nell’apporto di cibo in risposta alla grelina (43). In particolare la somministrazione di grelina determina la riduzione dell’attività dei neuroni POMC, aumentando gli impulsi inibitori mediati dal GABA dai neuroni NPY / AgRP ai neuroni POMC, aumentando il consumo energetico (44). A livello ipotalamico l’enzima AMPK svolge un ruolo centrale nella mediazione degli effetti della grelina sulla stimolazione dell’appetito e sull'assunzione di cibo attraverso la dieta (45). Nello specifico, la grelina si lega al recettore GHSR e avvia una trasduzione del segnale a cascata che inizia con l’afflusso di Ca2 nei neuroni AgRP e i neuroni NPY, successivamente il Ca2 interagisce con la calmodulina (CAM) per l’attivazione della sua proteina chinasi associata (CaMKK), che a sua volta porta alla fosforilazione di AMPK con

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conseguente attivazione di tali neuroni. Inoltre l'attivazione della proteina chinasi AMPK indotta dall’azione della grelina, determina a valle la fosforilazione dell’acetil CoA carbossilasi (ACC), che causa la soppressione del malonil CoA con conseguente disinibizione della carnitina palmitoil transferasi 1 (CPT1). E’ importante sottolineare che l'inibizione della CPT1 determina l’inibizione della grelina incrementando l’espressione di mRNA da parte dei neuroni NPY e AgRP a livello ipotalamico, invece l'attivazione dei recettori GHS-R1a innesca l'apertura dei canali del calcio, provocando un afflusso intracellulare di Ca2 attraverso l’adenilatociclasi (46). Tuttavia, entrambi i meccanismi molecolari convergono ad aumentare l’espressione del RNA messaggero ad opera del neuropeptideY determinando un incremento nell’assunzione di cibo.

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L'eterogeneità dei neuroni melanocortinici

I neuroni POMC sono situati a livello della regione mediale basale dell’ipotalamo, sono rappresentati da una piccola popolazione circa 3000 neuroni. Originariamente questi erano considerati un gruppo di cellule omogenee, ma recenti studi sembrano smentire questa affermazione (47). E’ stato dimostrato nei topi che i neuroni POMC sono principalmente espressi a livello dell’area retrochiasmatica che include anche il complesso vagale dorsale e nel nucleo intermedio laterale all’interno della colonna vertebrale (48). Nel 2010 hanno mostrato attraverso studi elettrofisiologici che gli effetti della leptina e dell’insulina sui neuroni melacortinici sono differenti e si basano soprattutto sulla posizione neuroanatomica di tali neuroni. Infatti sia la leptina che l’insulina agiscono su sottopopolazioni distinte di cellule POMC determinando una diversa affinità. Alcune sottopopolazioni neuronali sono addirittura attivate dal glucosio o dalla serotonina e ad esempio non dalla leptina, dimostrando una marcata eterogenicità di queste cellule che sono distinte in base alle loro proiezioni (49). Recentemente la ricerca ha messo in discussione il concetto che la leptina eserciti la sua azione anoressizzante stimolando direttamente i neuroni POMC e inibendo i neuroni AgRP. Il fatto che la rimozione del recettore LRb dai neuroni POMC o AgRP causi forme di obesità lieve, suggerisce che l'azione diretta della leptina sui neuroni melanocortinergici non sia molto rilevante (50). Tuttavia, è importante sottolineare che la leptina può regolare indirettamente i neuroni AgRP e POMC ad esempio inducendo dei cambiamenti dinamici a livello eccitatorio e o inibitorio della densità sinaptica di tali neuroni in particolare modificando il rilascio di GABA o glutammato a livello presinaptico (51)(fig.2).

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Fig.2

Regolazione indiretta dei neuroni POMC e AgRP / NPY ad opera della leptina, insulina e grelina

Recentemente è stato messo in discussione il concetto che la leptina deve i propri effetti anoressizzanti attraverso la stimolazione diretta dei neuroni POMC e al contempo l’inibizione dei neuroni AgRP. I dati ottenuti dimostrano che la rimozione del recettore LRb solamente dai neuroni POMC o AgRP causa una lieve forma di obesità, suggerendo che l'azione diretta della leptina sui neuroni melanocortinergici gioca un ruolo poco rilevante rispetto alle aspettative, favorendo l’utilizzo di nuovi approcci. Tuttavia, bisogna avere una giusta interpretazione e valutazione dei dati ottenuti dagli studi preclinici, poiché i meccanismi di compensazione possono mascherare i processi fisiologici. Allo stesso modo, anche l'insulina agisce indirettamente sull'attività dei neuroni melanocortinici, come è stato dimostrato nel 2011 da

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uno studio approfondito attraverso la riduzione dell’attività dei neuroni SF-1 neuroni, che determinano un incremento degli impulsi elettrici dei neuroni POMC (52).

Alterata funzione dell’ipotalamo nell’obesità indotta dalla dieta

I dati raccolti fino ad adesso hanno mostrato che la maggior parte dei pazienti obesi presenta iperleptinemia e che la somministrazione di leptina non riesce a produrre nel trattamento e nella gestione dell’obesità una riduzione del peso corporeo consistente (53). Queste osservazioni hanno contribuito alla creazione del concetto di "leptino-resistenza " nelle forme più comuni di soggetti affetti da obesità che analogamente all’insulino-resistenza contribuisce al diabete di tipo 2. Il modello murino DIO (diet induced obesity) è diventato uno dei più importanti strumenti per la comprensione del ruolo di HFD (adiposity and high fat diet) e lo sviluppo dell'obesità, attraverso i dati riguardanti l’iperleptinemia e resistenza alla leptina (54). In questo modello nonostante l’alta biodisponibilità di leptina a livello sanguigno non si riesce ad avere la riduzione dell'assunzione di cibo preventivata, effetto dovuto all’insensibilità dei neuroni melanocortinici alla risposta di tale ormone (55). Anche se attualmente le cause della resistenza alla leptina sono poco chiare, la maggior parte dei meccanismi molecolari significativi che sono stati identificati si basano su diverse opzioni (56). La resistenza è relativa a un deficit di LRb nei neuroni POMC/NPY e AgRP, a causa dell’up-regulation degli inibitori del segnale della leptina di cui fanno parte vari fattori come SOCS3 (Suppressor of Cytokine Signaling-3), PTP1B e TCPTP. Questi fattori hanno un ruolo rilevante a livello fisiologico, poichè limitano la biodisponibilità di tale ormone, è stato dimostrato infatti che i livelli di SOCS3,PTP1B e TCPTP sono molto elevati nel modello murino DIO,

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determinando l’incremento della sensibilità alla leptina. Inoltre è stato dimostrato che i neuroni AGRP e NPY sviluppano resistenza agli effetti oressigenici della grelina durante la distribuzione di HFD (57). La ricerca ha dimostrato che la perdità della capacità della grelina di attivare i neuroni AgRP o NPY, anche se questi effetti si verificano solamente tre settimane dopo la somministrazione di tale ormone. Come precedentemente affermato, l'obesità è associata ad uno stato infiammatorio determinato dalla distribuzione di HFD che attiva le vie di segnalazione infiammatorie nell'ipotalamo mediobasale. Una teoria alla base di questo fenomeno ipotizza che la leptino-resistenza e la patogenesi dell’obesità derivate dal processo infiammatorio possano essere determinati da processo di proliferazione di astrociti in aree danneggiate del sistema nervoso centrale (gliosi) o lesioni dei neuroni del nucleo arcuato. Tuttavia, è importante considerare che la maggior parte degli studi hanno utilizzato degli estratti interi di ipotalamo per la successiva misurazione dell’espressione dei mediatori infiammatori, rendendo difficile l’identificazione dei neuroni coinvolti in tale processo. Nel 2013 è stato introdotto il concetto della selettività della leptino-resistenza, che ha portato i ricercatori ad individuare diversi mediatori come TLR4 (toll-like receptor), presenti nell’immunità aspecifica, che comprendono i fattori enzimatici IkB chinasi-b e il fattore nucleare-kB che determinerebbero la mediazione della leptino-resistenza (58). Coerentemente con l'idea di resistenza alla leptina che sembrerebbe aumentare la pressione sanguigna nei pazienti affetti da obesità come quella indotta dalla dieta (DIO), i ricercatori hanno mostrato in diversi nuclei ipotalamici, che i topi DIO hanno avuto una riduzione selettiva della leptina stimolata dalla fosforilazione di STAT3 e incrementata dall’espressione di SOCS3 nei neuroni del nucleo arcuato, ma non negli altri centri neurali. In linea con questa osservazione, l'azione della leptina nell’ipotalamo dorsomediale, circuito neuronale che media la pressione sanguigna, incrementa l’attivazione del sistema simpatico nel

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tessuto adiposo bruno, inducendo in tal modo la termogenesi, che è limitata nei topi DIO (59). Oltre ai neuroni del nucleo arcuato esistono anche altre aree ipotalamiche, costituite da complessi circuiti neuronali, che sono coinvolte nell'omeostasi energetica come l’ipotalamo dorsomediale, i nuclei paraventricolari (PVN), LH, e VMH. I nuclei paraventricolari dell'ipotalamo (PVN) giocano un ruolo importante nella regolazione dell’alimentazione e del metabolismo energetico (60). In precedenza si supponeva che la regolazione dei neuroni dei nuclei paraventricolari derivasse esclusivamente dalle proiezioni dei neuroni del nucleo arcuato definiti di primo ordine. Infatti, i neuroni AgRP localizzati all’interno dei neuroni del nucleo arcuato innervano i PVN attraverso le vie GABAergiche inibitrici e allo stesso modo innervano anche i neuroni POMC che contrastano il meccanismo d’azione dei neuroni AgRP. Tuttavia, recenti studi hanno individuato la presenza di sottopopolazioni di neuroni nei PVN che rappresentano il bersaglio diretto degli effetti ormonali oressigenici e anoressigenici che determinano conseguentemente la regolazione dell'omeostasi energetica tra cui leptina, grelina e insulina (61).

A sostegno di questa premessa, l’ibridazione in situ e l’immunoistochimica hanno rivelato un’elevata espressione dei recettori LRb e IR e una moderata espressione dei recettori GHS-R1a sparsi in tutti i nuclei paraventricolari (62). In definitiva le diverse sottopopolazioni neuronali localizzate nei nuclei paraventricolari, che sono regolate da effetti ormonali quali anoressigenici e oressigenici mostrano l’espressione di diverse tipologie di recettori quali:

a) I neuroni che esprimono i recettori MC4R svolgono un ruolo cruciale nell’omeostasi energetica, anche se i meccanismi neurali con cui mediano questo processo sono ancora poco chiari. Nel 2005, i ricercatori hanno tentato di individuare questi meccanismi nei topi KO con lo scopo di riattivare i recettori MC4R nel nucleo paraventricolare

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e in alcune aree della amigdala dove sono espressi i neuroni Slim-1. L’azione sui neuroni SLIM-1 ha determinato una riduzione della progressione dell’obesità e ha annullato la propensione all’iperfagia, rappresentando un sufficiente approccio nella regolazione dell’assunzione del cibo tramite la dieta. Successivamente nel 2014 è stato condotto un altro studio iniettando AAV-Cre direttamente nel PVN in topi portatori di alleli MC4R sensibili alla CRE (ricombinasi) per azzerare selettivamente i livelli di MC4R. Questi topi presentavano sia un aumento del peso corporeo e della massa grassa sia una sviluppata iperfagia dimostrando che l'espressione MC4R nei nuclei paraventricolari non è solo sufficiente, ma anche necessaria per il controllo del cibo. Inoltre, hanno scoperto che il ripristino dell’espressione del recettore MC4R a livello del nucleo del tratto solitario ha determinato una modesta riduzione del peso corporeo e della massa grassa indipendentemente dall'assunzione di cibo. Ciò ha portato i ricercatori ad ipotizzare che questo aumento del consumo energetico suggerisca l'esistenza di una divergenza anatomica nei circuiti neurali melanocortinici, per cui i recettori MC4R hanno una duplice funzione a seconda di dove siano espressi, regolando l'assunzione di cibo nel nucleo paraventricolare e il dispendio energetico nel nucleo del tratto solitario (63).

b) I neuroni del nucleo paraventricolare che proiettano direttamente alla ghiandola pituitaria posteriore a rilasciare Ossitocina, localizzati più precisamente nel nucleo sopraottico, sembrano svolgere anche un importante ruolo nella regolazione del metabolismo energetico. Infatti recenti studi hanno dimostrato che le lesioni dei nuclei ipotalamici contenenti ossitocina hanno determinato un aumento dell'assunzione di cibo e del peso corporeo. Studi successivi hanno dimostrato anche che la somministrazione a livello centrale di ossitocina inibisce

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l'assunzione di cibo. Inoltre, è stato notato che lo stato di digiuno nei topi determina una riduzione dei livelli di mRNA per l’espressione del recettore dell’ossitocina nel PVN, che vengono ripristinati successivamente con l’apporto di cibo, nel 2008 i ricercatori hanno dimostrato che questa situazione potrebbe essere invertita dalla somministrazione della leptina.Un ulteriore studio condotto da Perello e Raingo ha evidenziato che la somministrazione intra-cerebro-ventricolare (ICV) di leptina incrementa i livelli di pSTAT3 nei neuroni responsabili del rilascio di ossitocina che innervano conseguentemente il nucleo del tratto solitario. Questo ci dimostra in definitiva che il meccanismo d’azione della leptina consiste nello stimolare parzialmente il rilascio di ossitocina esercitatando un’azione anoressizzante (64). Tuttavia, dal momento che la leptina viene somministrata per via ICV questi effetti non rappresentano in maniera esaustiva le condizioni fisiologiche poiché la quantità di leptina circolante dipende dalla regolazione della barriera ematoencefalica. c) I neuroni che esprimono i fattori di rilascio di corticotropina (CRF), che

oltre al ruolo ben noto di mediatore delle risposte allo stress attraverso l’asse ipotalamo-ghiandola pituitaria-surrene, possiede anche un effetto anoressizzante fondamentale nella regolazione dell’apporto di cibo. Uno studio preclinico ha dimostrato che la somministrazione di CRF direttamente nel nucleo paraventricolare riduce significativamente l'assunzione di cibo, ma non ha avuto effetto quando è stato iniettato in altre aree ipotalamiche (65). Tuttavia il ruolo di CRF nella regolazione del comportamento alimentare rimane ancora poco chiaro.

d) Il neuropeptide nesfatin-1 prodotto dal suo precursore nucleobindin-2 (NUCB2), che è ampiamente espresso nel cervello, comprese le aree ipotalamiche LH, neuroni del nucleo arcuato, ipotalamo dorso mediale, nucleo sopraottico e il nucleo paraventricolare. Anche questo

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neuropeptide viene definito come un potente inibitore fisiologico che regola l’assunzione di cibo e il peso corporeo. La somministrazione a livello centrale di nesfatin-1 induce la maggior dei geni Fos all’attivazione del nucleo paraventricolare determinando così l’effetto anoressizzante. A sostegno di questa tesi nel 2009, la ricerca mostrato che una microiniezione di nesfatin-1 diretta nel nucleo paraventricolare produce una marcata riduzione dell'assunzione di cibo nelle prime tre ore dopo l’iniezione (66). Inoltre è stato recentemente stabilito che i segnali del sistema metabolico sono in grado di attivare direttamente nesfatin 1 nei neuroni del nucleo paraventricolare. Nel 2012 Gantulga et al. hanno scoperto anche una sottopopolazione neuronale che esprime nesfatin-1 nel PVN e che risponde ad alte concentrazioni di insulina e di glucosio, principalmente i segnali metabolici post-prandiali, che contribuiscono potenzialmente allo stato di sazietà. Infine nel 2015 si è scoperto che asportando e isolando una frazione del tessuto neuronale del nucleo paraventricolare si è notato sia un’elevata risposta alla leptina, sia un’elevata espressione genica di nesfatin-1, dimostrando in definitiva che nesfatin-1 gioca un ruolo fondamentale nella mediazione degli effetti della leptina (67).

Ipotalamo dorso mediale

L’ipotalamo dorsomediale svolge un ruolo ben definito nel controllo del bilancio energetico modulando la spesa energetica. Molti studi hanno dimostrato che vari neurotrasmettitori e di proteine di segnale influenzano o subiscono l’influenza di alterazioni energetiche oppure dell’apporto di cibo (68). Come visto in precedenza è stato dimostrato che l’iniezione

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intraperitoneale di leptina incrementa l’espressione di pSTAT3 nell’ipotalamo dorso mediale dei topi, inducendo anche l’attivazione simpatica e con conseguente attivazione della termogenesi ad opera del tessuto adiposo bruno, maggiormente nella fase diurna. In accordo con queste premesse, nel 2014 uno studio approfondito ha prodotto l’attivazione selettiva dei neuroni dell’area ipotalamica dorsomediale determinando un aumento della spesa energetica causata dall’incremento della termogenesi con conseguente riduzione notevole del peso corporeo dopo 3 giorni (69). Questi dati suggeriscono ai ricercatori che l’attivazione di tali circuiti neurali determina una riduzione del peso corporeo aumentando esclusivamente il consumo della spesa energetica indipendentemente dall’assunzione di cibo. Oltre ai neuroni del nucleo arcuato il recettore GHS-R1a è espresso anche in altre aree ipotalamiche, tra cui l’ipotalamo ventromediale e dorso mediale. Successivamente si è avuta la dimostrazione che il blocco di GHS-R1a nell’ipotalamo dorsomediale produce solamente una riduzione dell'attività locomotoria con un’attenuata perdita di peso corporeo, pertanto, il ruolo fisiologico del rilascio di tale ormone nel mantenimento dell'omeostasi energetica richiede ulteriori indagini (70).

Strategie farmacologiche

Il peso corporeo viene influenzato da vari fattori, che possono essere ambientali, comportamentali e genetici, tuttavia il meccanismo principale che sta alla base dell’obesità è determinato dallo squilibrio energetico, ovvero da cambiamenti di apporto energetico o dispendio energetico.

Di conseguenza, tutti gli agenti anti-obesità hanno almeno uno dei seguenti target:

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2) Aumentare la spesa energetica a riposo.

La riduzione dell'appetito rappresenta il meccanismo primario della perdita di peso per la maggior parte delle strategie . Il nucleo arcuato dell'ipotalamo gioca un ruolo critico nella regolazione dell’appetito. Esso contiene due popolazioni chiave di neuroni , che proiettano ad altri nuclei ipotalamici e regioni del cervello lontane essendo in grado di modificare il comportamento alimentare:

 peptide agouti-associata(AgRP) e neuropeptideY (NPY) che determinano l’aumento dell'assunzione di cibo.

 proopiomelanocortina (POMC), neuroni CART (Cocaine and amphetamine regulated tran script), che invece inibiscono l'assunzione di cibo.

A causa della barriera ematoencefalica, che è una membrana semipermeabile, i segnali periferici che partecipano all’equilibrio energetico, tra cui: glucosio, insulina, leptina e un numero di fattori quali i gut-derivati, tra cui glucagon-like peptide-1 (GLP-1), il peptide YY (PYY), l’ossintomodulina e la grelina, possono interagire direttamente con questi neuroni influenzando il comportamento alimentare (71). Il neuropeptide POMC è anche modulato da segnali dopaminergici e serotoninergici provenienti da altre regioni cerebrali ed è quindi interessato da farmaci che interessano a loro volta il sistema nervoso centrale e che agiscono anche su questi neurotrasmettitori (72-74). Naturalmente, l’appetito non dipende esclusivamente dallo stato di energia fisiologico, ma anche da stimoli ambientali ed emozionali, come la vista e l’odore del cibo. Questi stimoli sono integrati da parte del sistema di ricompensa mesocorticolimbico, con neuroni dopaminergici originari dell’area ventrale tegmentale (VTA), che influenzano il comportamento alimentare (75). Infatti la modulazione del segnale di questo sistema viene anche suggerito come un ulteriore meccanismo per l'azione di alcuni soppressori dell'appetito (76-77). Inoltre è bene sottolineare che negli ultimi

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anni ha suscitato un notevole interesse la potenzialità di aumentare la spesa energetica a riposo attraverso l’attivazione farmacologica del tessuto adiposo bruno (BAT). Ben noto come fonte di termogenesi nell'uomo, si riteneva non presente in età adulta ma soprattutto nei neonati. Indagini più approfondite mediante PET hanno rivelato ampie zone, nel collo e nel torace, di tessuto adiposo bruno. Il BAT esprime alti livelli della proteina-1 (UCP-1), che disaccoppia l'utilizzo del substrato mitocondriale dalla produzione di ATP, causando lo spreco di energia (78). Il più noto attivatore dell’attività del BAT è l'esposizione al freddo, infatti sotto normali condizioni di temperatura, non si ha un ruolo significativo sull’omeostasi energetica. Tuttavia, esiste una varietà di fattori periferici che permettono di aumentare direttamente l'attività del BAT, quali catecolamine, ormoni tiroidei, glucagone, fibroblasti e fattore 21 di crescita (FGF-21), che aumentano la possibilità di manipolazione farmacologica (79). L’innervazione simpatica del BAT è controllata dai neuroni AgRP / NPY e POMC che giocano un ruolo centrale nei vari aspetti dell’omeostasi energetica. In definitiva il meccanismo d’azione del BAT è oggetto di studi approfonditi, definendolo come una possibile applicazione terapeutica futura. Per la maggior parte dei pazienti obesi, il perdere peso corrisponde necessariamente ad avere un “Normale” indice di massa corporea, in realtà l'attenzione dovrebbe essere focalizzata sui benefici alla salute derivanti da una riduzione del peso corporeo proporzionale. Infatti una riduzione del peso corporeo del 5-10% è sufficiente per miglioramenti significativi soprattutto nei soggetti a rischio di malattie cardiovascolari, renali e osteoartrite (80-81).

Breve storia della farmacoterapia anti-obesità

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mercato potenzialmente redditizio, che suscita però dei rischi sulla sicurezza del farmaco per le terapie a lungo termine. La farmacovigilanza gioca un ruolo fondamentale in questo caso per assicurare l’efficacia, la sicurezza e il controllo del farmaco poiché, in molti casi, sono stati evidenziati dei problemi solo dopo l’immissione in commercio. Nella prima metà del ‘900, erano utilizzati dei principi attivi quali: tiroxina e 2,4-dinitrofenolo (DNP), denominati come “pillole dimagranti”, che mostravano un’ efficacia nel produrre la perdita di peso, ma i pazienti esposti a questa terapia presentavano degli effetti collaterali potenzialmente fatali quali rispettivamente tireotossicosi e ipertermia. Successivamente si procedette con l’uso di anfetamine anoressizzanti , come la desossifedrina e il dietilproprione, che aumentano la produzione di noradrenalina aumentando la stimolazione dopaminergica dei neuroni POMC, utilizzati anche essi nelle terapie breve termine perché creavano dipendenza nei pazienti . Nel 1992, uno studio ha dimostrato dei risultati molto importanti dati dal sinergismo di due farmaci, fentermina e fenfluramina, che crearono il conseguente fenomeno della “fen-fen mania”, concluso pochi anni dopo (1997), poiché causavano delle anomalie valvolari nei pazienti giovani (82-83). La Food and Drug Administration approvò in seguito anche la somministrazione di un analogo delle anfetamine, la sibutramina, un inibitore della ricaptazione della serotonina e noradrenalina, che è un potente anoressizzante con un effetto antidepressivo quasi nullo (84). Nel 2010 anche la sibutramina fu ritirata dal mercato europeo e statunitense, in seguito alla comparsa di reazioni avverse a livello cardiovascolare evidenziata solamente dopo l’immissione in commercio (85). Il rischio risulta evidente solamente nei pazienti con precedenti malattie cardiovascolari e non in quelli ad alto rischio cardiovascolare (ad esempio causati dal diabete), queste segnalazioni furono sufficienti per il ritiro dal mercato. Nel 2006, è stata autorizzata l’immissione in commercio in Europa (ma non negli USA) del Rimonabant, antagonista del

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recettore CB1 dei cannabinoidi, che ha come effetto principale la riduzione dell'appetito (86). Ritirato anch’esso dal mercato nel 2008, poiché presentava nei soggetti che l’assumevano forti disturbi a livello psichiatrico come la tendenza al suicidio e crisi convulsive. Negli ultimi decenni è stato approvato un farmaco l’Orlistat, largamente commercializzato nel nord America e in Europa, che sembra apportare maggiori benefici rispetto ai rischi sulla qualità della vita dei pazienti, in associazione a una dieta moderatamente ipocalorica. Fortunatamente negli ultimi 4 anni la ricerca ha contribuito all’approvazione di una serie di nuovi farmaci, anche se non tutti sono stati soddisfacenti.

Orlistat

Fig.3

L'Orlistat commercializzato come Xenical, è un inibitore delle lipasi gastrointestinali che metabolizzano i grassi (fig.3). L'inibizione di tali enzimi impedisce il metabolismo di alcuni grassi nella dieta, ciò permette a circa il 30% dei grassi ingeriti durante i pasti di passare attraverso l'intestino senza essere digeriti ,non permettendo al corpo di poter utilizzare questi lipidi, per produrre energia o accumularli in tessuti adiposi e quindi favorendo la perdita di peso (87). Attraverso degli studi approfonditi è stato dimostrato che nelle terapie a lungo termine i soggetti a cui viene somministrato questo principio attivo indicano una perdita di peso del 2,9% in più rispetto al placebo,

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attraverso una posologia che prevede la somministrazione di 120 mg per 3 volte al giorno (88). E’ stato anche notato che in soggetti affetti da diabete migliorano il controllo glicemico riducendo anche la progressione della malattia (89-90). Il malassorbimento dei lipidi può dar luogo a vari effetti collaterali, quali la perdita di piccole quantità di materiale oleoso dal retto, malessere o crampi addominali, flatulenza. Questi sintomi, in genere, sopravvengono all'inizio del trattamento e scompaiono dopo qualche tempo, e si cercano di evitare attraverso una dieta povera di grassi, adoperando quindi una dieta appropriata. Infatti, l'efficacia dell’orlistat si basa soprattutto sul rispetto di un accurata dieta che comporta dei forzati cambiamenti alimentari, piuttosto che una diretta riduzione assorbimento di calorie (91). Il 29 luglio 1998 la Commissione europea ha rilasciato a Roche Registration Limited un'autorizzazione all'immissione in commercio per Xenical, valida in tutta

l'Unione europea.

Lorcaserin

Fig.4

Nel 2012, la FDA ha concesso la licenza sull’utilizzo di un nuovo farmaco per il trattamento a lungo termine dell’obesità, il lorcaserin (fig.4) commercializzato come Belviq, che analogamente alla fenfluramina stimola i recettori 5-HT della serotonina agendo di conseguenza sui neuroni POMC anoressigenici. Tuttavia, esso è stato sviluppato come un agonista selettivo del

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recettore 5-HT2C per evitare che interferisse con il recettore 5-HT2B che mostrava dei sintomi quali valvulopatie nei pazienti in cui veniva somministrato. Negli studi preclinici di fase 3, in cui si ha un controllo randomizzato del principio attivo somministrato direttamente sull’uomo, il lorcaserin ha dimostrato di produrre una perdita media di peso del 3,0/3,6% in più rispetto al placebo, arrivando in alcuni soggetti addirittura al 5% (92-93). Nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 si è verificato anche un miglioramento a livello glicemico comportando la riduzione dell'emoglobina glicosilata (HbA1c) dello 0,5% (94). Lorcaserin è ben tollerato dalla maggior parte dei pazienti, con pochi casi di interruzioni del trattamento negli studi di fase 3, causati da reazioni avverse come valvulopatie. Tuttavia, al momento non è chiaro se l'uso di lorcaserin nelle terapie a lungo termine possa causare anomalie valvolari, nonostante la propria selettività per i recettori 5-HT2C. I dati ecocardiografici dimostrano che su 5249 partecipanti si ha un incidenza di contrarre valvulopatia del 1,16%, un rapporto di rischio non statisticamente significativo (95). Nel 2013, l’azienda produttrice ha ritirato la richiesta all’immissione in commercio di questo principio attivo in Europa, per dei problemi riguardanti la sicurezza del farmaco, espresse dall’EMA. Il lorcaserin ha infatti mostrato oltre al rischio di valvulopatia anche il rischio di cancerogenesi e morbilità a livello psichiatrico.

Fentermina e Topiramato

Successivamente al lorcaserin, la FDA ha approvato un secondo agente farmacologico per il trattamento a lungo termine dell’obesità, dato dalla

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combinazione di fentermina e topiramato, commercializzato come Qsymia. Singolarmente, questi due principi attivi sono stati già commercializzati per altre indicazioni terapeutiche a dosi più elevate, la Fentermina (fig.5) come coadiuvante per la riduzione del peso corporeo nelle terapie a breve termine e il Topiramato (fig.6) nelle terapie come l’epilessia ed emicrania. Il meccanismo di azione della Fentermina è simile a quello delle anfetamine, questo principio attivo agisce infatti a livello centrale determinando una riduzione dell’appetito, causando però dipendenza nei soggetti in cui viene somministrato (96).

Fig.5

Il meccanismo d’azione invece del Topiramato mirato alla riduzione del peso corporeo, inibisce il segnale del glutammato a livello dei peptidi oressigenici, aumentando l’utilizzo di energia.

Fig.6

Il sinergismo di questi due agenti farmacologici apporta dei vantaggi sulla perdita di peso: principalmente, si ha una minore probabilità che il principio attivo venga ostacolato dall’assunzione del cibo tramite la dieta e in secondo luogo, consente a ciascun componente di essere somministrati alla dose più

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bassa riducendo gli effetti collaterali. I dati degli studi preclinici sono molto rilevanti, dimostrano la riduzione del 6,6% del peso corporeo rispetto al placebo, alla dose di di 7,5 mg di Fentermina e 46 mg di Topiramato (97). Inoltre è stato osservata anche una modesta riduzione della pressione arteriosa, determinando una riduzione di 2,3 mmHg per la pressione sistolica e una riduzione di 0,7 mmHg per la diastolica. Un aumento della dose a 15 mg di Fentermina e 92 mg Topiramato ha mostrato un ulteriore riduzione del 9,3% del peso corporeo rispetto al placebo, ma è consigliato solo in pazienti selezionati , che hanno una perdita di peso insufficiente alla dose standard, questo però determina un aumento proporzionale degli effetti avversi, tra cui parestesia, vertigini, alterazione del gusto, insonnia, costipazione e xerostomia (98). Nella pratica clinica, è impiegata una dose iniziale di 3,75 mg di Fentermina e 23 mg di Topiramato per limitare gli effetti collaterali. Anche in questo caso nascono delle preoccupazioni sulla sicurezza dei pazienti che assumono questi principi attivi, in particolare per quanto riguarda la teratogenicità, la morbilità neuropsichiatrica e gli effetti cardiovascolari che si manifestano. L'EMA non ha concesso la licenza per l’immissione in commercio di Qsymia in Europa, poichè la somministrazione di Qsymia a dosi più alte dei singoli componenti (15/92 mg) determinava un’elevata frequenza cardiaca e depressione. Sugli stessi dati invece la FDA ha ritenuto possibile la prescrizione di questo farmaco attraverso il continuo monitoraggio dei pazienti, evitando così che i rischi dell’assunzione dei principi attivi prevalgano sui benefici. Una particolare attenzione è stata rivolta al potenziale teratogeno del Topiramato, che rende necessaria un’adeguata terapia contraccettiva o un attento controllo sulla gravidanza.

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Bupropione e Naltrexone

E’ stata sviluppata un’altra combinazione di principi attivi, composta da bupropione e naltrexone commercializzato come Contrave negli Stati Uniti nel 2014 mentre in Europa nel 2015 come Mysimba. Il bupropione (fig.7) è un inibitore selettivo della ricaptazione neuronale delle catecolamine (noradrenalina e dopamina), con un minimo effetto sulla ricaptazione delle indolamine (serotonina) e non inibisce le monoaminoossidasi (99). Esso è utilizzato principalmente come antidepressivo, ma anche per la disintossicazione da fumo, e in precedenza è stato valutato come terapia nel trattamento dell'obesità (100).

Fig.7

Il naltrexone (fig.8) è invece un antagonista specifico degli oppiacei che ha soltanto una minima attività agonista. Agisce per competizione stereospecifica sui recettori localizzati principalmente a livello del sistema nervoso centrale e periferico. Esso si lega in maniera competitiva a questi recettori e blocca l'accesso agli oppioidi esogeni somministrati, non inducendo dipendenza fisica o mentale ne tolleranza all'effetto di antagonizzazione degli oppiacei. Utilizzato nel trattamento della dipendenza da alcol, agisce inibendo l'azione delle b-endorfine riducendo l’appetito nei soggetti in cui viene somministrato (101).

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Fig.8

La combinazione di questi due agenti potenzia l’effetto sulla riduzione dell'appetito, infatti il bupropione stimola i neuroni POMC invece il naltrexone contrasta gli effetti degli oppioidi endogeni (102). I test clinici di fase 3 hanno mostrato una perdita di peso corporeo compresa tra il 3,2% e il 5,2% in più rispetto al placebo nell’arco di un anno, con la riduzione di 0,5% dell’emoglobina glicosilata (HbA1c) nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 (103-106). È interessante notare che, nei gruppi trattati con la somministrazione dei due principi attivi in questione si aveva sia una perdita superiore di peso ma anche un incremento della pressione sanguigna rispetto al placebo. Questo dato mette a rischio la somministrazione di tale combinazione nei soggetti che potrebbero presentare delle problematiche a livello cardiovascolare, causando nel 2010 l’annullamento della domanda di approvazione. Tuttavia per tutelare il paziente, si dovrebbe controllare i soggetti ipertesi prima di iniziare il trattamento, e monitorare attentamente la pressione sanguigna successivamente, in particolare nei primi 3 mesi, quando è più probabile che si verifichino reazioni avverse. Infine i pazienti a cui vengono somministrati questi farmaci devono essere monitorati attentamente, poiché potrebbero verificarsi anche altri effetti collaterali quali disturbi psichiatrici in particolare la tendenza al suicidio.

Liraglutide

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rispetto al GLP-1 umano, che si lega al recettore del GLP-1 attivandolo. Il recettore del GLP-1 è il bersaglio del GLP-1 nativo, un ormone endogeno incretinico che potenzia la secrezione di insulina glucosio-dipendente dalle cellule beta del pancreas. L’azione di liraglutide è mediata da un’interazione specifica con i recettori del GLP-1, che porta a un aumento dell’adenosina monofosfato ciclico (cAMP). Essa stimola la secrezione di insulina con contemporanea riduzione della secrezione di glucagone. Commercializzato come Saxenda viene somministrato anche per il trattamento dell’obesità oltre che per il trattamento del diabete mellito di tipo 2, poiché riduce il peso corporeo e la massa grassa mediante meccanismi che comportano la diminuzione dell’appetito e il ridotto introito calorico. Questo principio attivo, simulando il GLP-1, che viene rilasciato dalle cellule intestinali L in risposta all’ingestione dei nutrienti, agisce sul senso di sazietà interagendo con i neuroni POMC ipotalamici e limitando l'assunzione di cibo (107). Un maggiore dosaggio di liraglutide corrispondente a 3 mg, rispetto a 1,8 mg per diabete di tipo 2, provoca una perdita del peso corporeo del 6% rispetto al placebo (108). La somministrazione di tale principio attivo migliora significativamente il glicemico nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 mostrando sia una riduzione di HbA1c del 0,9%, sia un miglioramento nella funzionalità delle cellule B e dell’insulino-resistenza. Inoltre è stato osservato che questo agente farmacologico incrementa la frequenza cardiaca, senza però il rischio di aritmie o ipertensione. Tuttavia, una reazione avversa di rilievo nella somministrazione di liraglutide e degli analoghi di GLP-1 è data dall’incremento del rischio di pancreatite nel trattamento dei pazienti affetti da diabete e od obesità , oltre ad un possibile rischio di carcinoma midollare della tiroide . Negli studi di carcinogenicità a 2 anni condotti su ratti e topi sono stati osservati tumori benigni delle cellule C tiroidee. Questi tumori non sono stati osservati nelle scimmie trattate per 20 mesi. Tali risultati nei roditori sono causati da un meccanismo non genotossico, mediato dal

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recettore specifico del GLP-1, a cui i roditori sono particolarmente sensibili. La rilevanza per gli esseri umani è verosimilmente bassa ma non può essere completamente esclusa. Non si sono osservati altri tumori correlati al trattamento. Nel 2014, la FDA ed EMA hanno concluso che i dati relativi all’incremento del rischio di pancreatite correlati alla somministrazione di questi agenti farmacologici sono scarsi, avendo un’incidenza di 0,2% su 1000 pazienti, che però non rende escludibile questo fenomeno (109).

Possibili strategie farmacologiche future

La scoperta della persistenza del tessuto adiposo bruno (BAT) in età adulta ha suscitato un forte interesse per le future strategie farmacologiche. Al di là dell’esposizione al freddo, l’attività del sistema simpatico è definito come il migliore attivatore di BAT, studi approfonditi hanno dimostrato che si ha una percentuale maggiore di depositi di questo tessuto nei pazienti affetti da feocromocitoma, un tumore generalmente benigno che origina dalle cellule cromaffini del neuroectoderma, che fa parte del sistema simpatico (110). Ai fini di un’utilità clinica però, gli agenti simpaticomimetici dovrebbero essere selettivi esclusivamente per il BAT, senza indurre reazioni avverse a livello cardiovascolare. Il target più promettente potrebbe essere il recettore adrenergico β3, espresso ad alti livelli nel tessuto adiposo bruno, ma anche nel tessuto adiposo bianco, nel tratto gastrointestinale, nella prostata e nella vescica (111-112). Recentemente è stato scoperto un potente agonista del recettore adrenergico β3, il Mirabegron, utilizzato come spasmolitico urinario, che agisce incrementando la spesa energetica nei soggetti in cui viene somministrato determinando però un aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, probabilmente per l’interazione con gli altri

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recettori adrenergici (113). Un altro approccio utilizza la somministrazione dei peptidi gut-derivati, in particolare di due peptidi:

1) L’Ossintomodulina, un peptide che contiene l’intera sequenza aminoacidica del glucagone, agonista anche del recettore GLP-1, che stimola il dispendio energetico a riposo(114-115).

2) Il peptideYY (PYY) prodotto nelle cellule L della mucosa intestinale dell'ileo e del colon, che rappresenta un’ omologia strutturale e funzionale al peptide pancreatico (PP), inoltre è un agonista ad alta affinità del recettore Y2, che inibisce la produzione dei neuropetidi oressigenici da parte dei neuroni AgRP/NPY (116).

Purtroppo la somministrazione di questi peptidi endogeni presenta dei problemi legati soprattutto alla ridotta biodisponibilità, causata dalla rapida degradazione enzimatica, che si traduce nell’esigenza di sviluppare degli analoghi a lunga durata.

Chirurgia bariatrica e nuovi approcci

Lo stile di vita gioca un ruolo fondamentale in qualsiasi trattamento che prevede la riduzione del peso corporeo, che basa la sua efficacia su un’ attenta dieta ipocalorica, sul potenziamento dell’attività fisica e sulla correzione dei fattori comportamentali (117-118). La chirurgia bariatrica rappresenta l’intervento sia più potente che drastico, infatti determina una riduzione del peso corporeo medio del 25-33%, a seconda della procedura chirurgica eseguita (119). Tuttavia come abbiamo visto in precedenza, i pazienti sono a rischio di complicazioni chirurgiche, compresa la morte perioperatoria, la perdita anastomotica e l'infezione, nonché in alcuni soggetti possono presentarsi effetti collaterali a lungo termine quali: alterazione della fisiologia

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gastrointestinale, come la sindrome di dumping, ipoglicemia, malassorbimento e colelitiasi (120-121). Questo tipo di intervento è limitato generalmente a pazienti che hanno un BMI compreso tra 35 e 40 Kg/m2 con patologie associate all’obesità (es. diabete), al contrario per i soggetti che possiedono un BMI inferiore compreso tra 28 e 30 Kg/m2 e che non desiderano sottoporsi alla chirurgia bariatrica, la farmacoterapia è un utile complemento (122-123). La scelta dell’agente dovrebbe riflettere in primis le preferenze del paziente, facendo attenzione ovviamente alle reazioni avverse, controindicazioni ed effetti collaterali.

Inoltre la perdita di peso deve essere valutata nell’arco temporale di 3 mesi, interrompendo o sostituendo il trattamento una volta raggiunto il valore soglia del 5%, come definito dalle linee guida di Food and Drug Administration (FDA) e l’Agenzia europea del farmaco (EMA). Tuttavia oltre alla chirurgia e la farmacoterapia, esistono altri interventi sulla riduzione del peso corporeo ad esempio l’Endobarrier ,una nuova tecnologia che in base ai risultati sinora ottenuti produce effetti simili all’intervento chirurgico di bypass intestinale, operando per via endoscopica. La procedura prevede l’introduzione di un dispositivo endoscopico nel duodeno del paziente con l’obiettivo di ridurre l’assorbimento di cibo e modificare la produzione dell’ormone insulina. L’Endobarrier è un tubo di un polimero fluorurato di estrema stabilità, flessibile e impermeabile, aperto da ambo i lati, che viene ancorato al bulbo duodenale con alcune “graffette” metalliche. Funziona come una sorta di “guscio protettivo” che viene inserito attraverso la bocca tramite l’uso di un endoscopio e sotto controllo radiologico: il tubo, una volta posizionato, crea una barriera tra il cibo e la mucosa intestinale. I nutrienti ingeriti passano per lo stomaco e poi direttamente nel manicotto, in massima parte indigeriti. I succhi pancreatici e biliari attraversano in modo naturale il tratto intestinale, lungo lo spazio libero tra il manicotto e la parete intestinale. Si mescolano con i nutrienti non digeriti in corrispondenza dell’estremità

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distale del dispositivo, cioè, nel digiuno. Infine per limitare l’utilizzo della chirurgia bariatrica è stato sviluppato il bypass gastrico (BPG) laparoscopico, denominato Roux-en-Y , la sua efficacia si basa principalmente su due azioni malassorbitiva e restrittiva. Il malassorbimento consente all’organismo di assorbire solo una parte delle calorie ingerite, in maniera blanda consentendo di ridurre il deficit di assorbimento vitaminico e le scariche diarroiche caratteristiche degli interventi malassorbitivi puri quali la derivazione bilio-pancreatica e la duodenal-switch (124). L’azione restrittiva invece è garantita dalla creazione di una tasca gastrica di piccolo volume in grado di contenere solo limitate quantità di cibo. Questo tipo di intervento si è dimostrato essere un metodo efficace non solo nel perdere peso ma anche nel mantenerlo, nonostante a distanza di diversi anni alcuni pazienti, che non si attengono alle regole nutrizionali e comportamentali, recuperano parte del peso perso. Nel bypass gastrico, lo stomaco è completamente diviso con una suturatrice al fine di formare nella porzione superiore dello stomaco una “tasca” molto piccola sulla quale viene collegato il piccolo intestino. Con un’ulteriore congiunzione intestinale si fa in modo che i succhi biliari e pancreatici vengano a contatto con il cibo più distalmente. Tuttavia, un limite del GBP risulta essere l’impossibilità di esplorare per via endoscopica lo stomaco residuo, possibile sede di insorgenza di un eventuale tumore gastrico. Per questa ragione i protocolli internazionali prevedono uno studio pre-operatorio dello stomaco mediante esame endoscopico. In realtà alcuni lavori scientifici hanno dimostrato che l’esclusione gastrica al transito alimentare, caratteristica del GBP, possa essere addirittura un fattore protettivo per l’insorgenza di un tumore gastrico. La maggior parte dei pazienti non presentano complicanze dopo un intervento chirurgico di bypass gastrico laparoscopico tuttavia, le complicazioni possono verificarsi e generalmente dipendono dallo stato di salute del paziente. Le complicanze possono essere mediche, chirurgiche o legate direttamente al bypass gastrico. Quelle mediche sono prevalentemente

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legate all’anestesia ed alle condizioni generali del paziente e possono includere: emorragie, infarto cardiaco, ictus cerebrale, insufficienza renale, polmonite, embolia polmonare, trombosi venosa profonda, cistiti e reazioni allergiche.

Quelle chirurgiche possono essere: fistole gastriche o intestinali (2-5%), emorragie digestive (1-3%), stenosi anastomotiche (0.5-2%), danni agli organi addominali vicini che possono richiederne l’asportazione (es. milza), ernie interne, laparoceli ed occlusioni intestinali precoci o tardive. Quelle legate alla nuova ricostruzione gastrointestinale del BPG sono la Dumping-Syndrome, il vomito o la diarrea, la comparsa di calcoli della colecisti, la carenza di vitamine e di elettroliti, l’ulcera gastrica e l’anemizzazione per malassorbimento di Ferro.

Angiogenesi e obesità

L'angiogenesi è il processo di formazione di nuovi vasi sanguigni a partire da vasi sanguigni già esistenti, differenziandosi dalla vasculogenesi che consiste nella differenziazione dei precursori delle cellule del mesoderma. Tale processo oltre ad essere implicato nella riparazione dei tessuti e nella formazione del tessuto di granulazione, gioca un ruolo fondamentale nell’evoluzione della patologia tumorale in particolare nel passaggio dallo stadio benigno a quello maligno. Analogamente alle cellule tumorali, il tessuto adiposo bruno è un tessuto molto vascolarizzato, e anche il tessuto adiposo bianco subisce l'espansione e il restringimento attraverso il rimodellamento dei capillari (125). È stato dimostrato che le cellule situate nella parete dei vasi sanguigni contengono le cellule precursori della differenziazione degli adipociti, definendo che la formazione di tali cellule è

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controllata dall’angiogenesi (126). Anche le cellule staminali derivate dal tessuto adiposo producono molteplici fattori di crescita come il fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), il fattore di crescita dei fibroblasti-2 (FGF-2), il fattore di crescita degli epatociti (HGF), il fattore di crescita placentare (PlGF), l’osteonectina, l’angiopoietina, le metalloproteinasi della matrice (MMP), la leptina, la resistina e la visfatina, che potenziano il processo dell’angiogenesi (127). Negli stati patologici il tessuto adiposo è soggetto ad ipossia, che determina l’espressione di HIF-1α (Hypoxia Inducible Factor) un fattore di trascrizione che stimola il rilascio di VEGF (vascular endothelial growth factor), che determina l’angiogenesi indipendentemente dall’effetto di HIF-1α (128).

La circolazione sanguigna del tessuto adiposo svolge varie funzioni quali: 1) Apporto di ossigeno e sostanze nutritive;

2) Rimozione delle sostanze di rifiuto;

3) Trasporto dei fattori di crescita e di ormoni ad altri tessuti; 4) Apporto cellulare di precursori che si differenziano in adipociti;

5) Apporto di cellule staminali e infiammatorie che influenzano le funzioni degli adipociti;

6) Regolazione della concentrazione di ossigeno e del ph nel tessuto adiposo.

Anche se queste funzioni sono analoghe sia per il tessuto adiposo bruno (BAT) che per il tessuto adiposo bianco (WAT), le loro implicazioni sono molto diverse. Infatti la funzione principale di WAT è di immagazzinare l’energia sotto forma di lipidi, mentre la funzione primaria di BAT è quella di

convertire l’energia apportata dai nutrienti sottoforma di calore. Determinando ruoli differenti nei due tessuti, infatti nel primo l’attivazione

dell’angiogenesi causa l’espansione del tessuto promuovendo l’obesità nel secondo invece si ha un incremento dell’apporto di ossigeno e della spesa energetica con conseguente riduzione del peso corporeo (129). E’stato

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