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Dal disordine all'ordine: Valery e l'idea di Costruzione

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Academic year: 2021

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(1)

Indice

Introduzione………...p.3

Capitolo I

Valéry, la costruzione e la costituzione dell'Io……….…….p.9

1.1. I Cahiers come “architettura dell'Esprit”………..…..p.9

2.1. Valéry e l'idea di costruzione…..………..p.18

Capitolo II

Tra il Conoscere e il Costruire, il Progettare: Eupalinos,

l'architetto....………...p.28

2.1. Il dialogo come metodo di ricerca………...….p.34

2.2. Il mistero dell'objet trouvé………...p.38

2.3. L'architettura come simbolo: la ragazza di Corinto e

(2)

2.4. Edifici muti, edifici che parlano, edifici che cantano…....p.50

2.5. La ricerca di un metodo per l'arte………..…p.55

Capitolo III

Sublimare le emozioni, rendere visibile l'invisibile: l'opera

d'arte come donatrice di senso………....…..…....p.58

Conclusioni………..p.75

Bibliografia…..……….……...…p.77

Filmografia………..………...………...p.102

(3)

Introduzione

L'analogia tra costruzione del pensiero e architettura è uno dei

principali paradigmi della Filosofia.

L'architettura, com'è noto, assurge a simbolo della massima

rappresentazione artistica del bisogno che l'essere umano ha di

progettare e la figura dell'architetto è stato usato da diversi filosofi

1

come simbolo del pensatore e del progettatore (si pensi al

demiurgo-architetto del Timeo o ai riferimenti all'architettura di filosofi quali

Aristotele, Descartes, Rousseau, Hegel, Kant, Nietzsche, Wittgenstein)

e l'architettura è stata utilizzata come metafora del legame tra filosofia

teoretica e pratica.

Molteplici sono gli schizzi architettonici nei Cahiers e diverse sono le

opere che Paul Valéry ha dedicato all'architettura (Leçon sur

1 Hegel nella sua Filosofia Estetica, afferma che l'architettura utilizza dei simboli per dar forma all'ambiente esterno dello spirito; Schopenhauer ne Il mondo come

volontà e rappresentazione vede nell'architettura la rappresentazione di gravità,

coesione, solidità, durezza dei materiali; per Borissavliévitch l'architettura è superiore alle altre altri perché non è un'arte imitativa: mentre le altre arti si limitano alla rappresentazione o alla riproduzione della natura, l'architettura invece crea e rende visibili delle forme ideali.

(4)

l'architecture, Esquisses. Dessin. Architecture tra gli altri), ma quella

più emblematica è forse Eupalinos, l'architecte , dialogo che egli

scrive nel 1921 per una compagnia di architetti, nel quale trovano

sintesi le sue idee sull'architettura.

Valéry iniziò ad interessarsi all'architettura perché essa gli appariva

quale rappresentazione della perfetta fusione tra arte e tecnica e poiché

rimpiangeva le basiliche e le cattedrali (che, suo malgrado, hanno

lasciato nella sua epoca il posto all'Art nouveau), perciò, nel 1891, ad

appena vent'anni, pubblicò sulla rivista L'Hermitage un articolo

intitolato Paradoxe sur l'architecte

2

.

A quanto pare, nel 1926, commentando Eupalinos ou l'architecte, Le

Corbusier riconobbe a Valéry un grande merito: questi, da poeta, era

riuscito a dire sull'architettura cose che un professionista non avrebbe

saputo dire. Le Corbusier notò il modo in cui Valéry, in qualità di

poeta, si fosse espresso sull'Architettura assai meglio d'un addetto ai

lavori.

Una delle prime manifestazioni della passione architettonica di Valéry

è rappresentata dalla poesia Cantique des colonnes (pubblicata nel

primo numero della rivista surrealista Littérature nel marzo 1919), in

(5)

cui Valéry evoca le colonne greche come pervase da una duplice

spirale di perfezione – a quella corporea si affianca anche la

perfezione matematica, puro prodotto dell'intelletto.

Uno dei nuclei centrali dell’opera di Valéry è poi la dicotomia tra vita

contemplativa e creazione, tra vita attiva e pensiero, la stessa scissione

che fece affermare a Valéry “tantôt je pense et tantôt je suis”.

Nell'Histoire d'Amphion, Valéry affermò che l'Architettura fu tra i

primi amori del suo spirito

3

.

Nell'Anfione troviamo infatti l'«affermarsi dell'idea di costruzione

quale passaggio dal disordine all'ordine, scambio tra arbitrario e

necessario -esigenza esplicita di far risorgere, attraverso l'arte, il mito

e la sua forza»

4

.

L'essenza di questo mito è quella di permettere il dis-velamento di ciò

3 Da quanto si evince dalle biografie, il giovane Valéry, liceale a Montpellier, prediligeva, tra le altre opere, la Grammaire de l'ornement di Owen Jones e il

Dictionnaire raisonné de l'architecture française di Viollet-le-Duc.

Nel 1887, nel periodo genovese, egli fu “iniziato” ai più vecchi quartieri genovesi dall'architetto italiano Giuseppe Parodi.

Altra testimonianza della passione architettonica di Valéry ci è data senza alcun dubbio dal fatto che ben tre dei personaggi della sua favola intellettuale

rappresentino proprio la figura dell'architetto: Orfeo, Eupalinos e Anfione.

(6)

che è invisibile, di pre-vedere il possibile, di risalire a ciò che non è

più o non è ancora.

In una parola: rendere il possibile effettuale.

Altra figura fondamentale è quella dell'architetto Eupalinos che

costruisce il proprio mondo a partire da ciò che egli trova nella natura:

attraverso l’architettura egli fa compenetrare il pensiero

logico-razionale con la forma estetico-sensibile, poiché nel momento in cui

l'architetto costruisce, sottrae alla materia le qualità che le sono

intrinseche. L’Eupalinos è un dialogo d’ispirazione platonica (tant'è

che uno dei suoi protagonisti porta il nome di Fedro), in cui parola

mitica e parola logica formano un unicum: la visione e il pensiero

sono un tutt’uno all’interno della perfetta organizzazione logica e

retorica della struttura poetica.

Quello della costruzione e della composizione è un paradigma

concettuale che si riallaccia costantemente ad arti come l'architettura,

la musica e la poesia, tre arti il cui comun denominatore è la perenne

ricerca dell'armonia e della simmetria.

Valéry si ripropone di risolvere il problema dell'armonia arrivando ad

architettare un'ars poetica in grado di riaffermare, attraverso la parola,

l'astrazione di moti melodiosi armonicamente organizzati, arti di

(7)

matrice matematica quali l'architettura e la musica.

Valéry fu sicuramente abile nel progettare un metodo che fosse anche

un mezzo di investigazione della vita e di indagine della realtà.

L'azione del costruire possiede intrinsecamente, per sua natura, la

facoltà di opporsi alla caducità del flusso temporale.

L'arte contemporanea, per Valéry, porta con sé la speranza di salvare le

idee di durata e quella di perfezione dalle contraddizioni dell'epoca

moderna.

L'opera d'arte, soprattutto nel caso dell'architettura rappresenta una

traccia tangibile del passaggio dell'uomo sulla Terra.

Inoltre, l'atto della progettazione e della costruzione è strettamente

legato all'opera -soprattutto se si tratta di una creazione artistica.

Il filosofo, al pari dell'architetto, s'interroga sul mondo, sulla bellezza,

sull'utilità, sulla genesi della creazione, sullo stile, su come il vario e

variegato universo delle sensazioni e delle emozioni possa essere,

come un fiume in piena, arginato dalle rigide regole della Razionalità.

Soltanto attraverso la ricerca dei segreti legami che uniscono ogni

cosa è possibile che l'artista riesca a riprodurre nella sua opera una

somiglianza, seppur assai vaga e sfocata, con le belle forme della

natura.

(8)

L'oggetto architettonico non è solo un'opera che abbia il valore

aggiunto di “opera d'arte”: esso, infatti, assurge a simbolo della storia

che racchiude, allo stesso modo in cui, nell'Eupalinos, il misterioso

oggetto ritrovato da Socrate sulla spiaggia spinge questi a interrogarsi

sulla sua forma e formazione.

Solamente attraverso il connubio di elementi non solo tra loro

eterogenei, ma addirittura opposti è possibile la ricerca e la creazione

dell'armonia.

Attraverso i meccanismi della mitopoiesis si attuano schemi che

permettono un dialogo vivo e attivo tra caos e necessità della materia,

tra ordine razionale e visione immaginativa, tra regole rigide ed

eccezioni: attraverso l'azione mitopoietica è infatti possibile trovare

dei modelli che permettano la concretizzazione di operazioni

immaginarie.

(9)

Capitolo primo.

Valéry, la costruzione e la costituzione dell'Io

Il lavoro filosofico è propriamente come spesso in architettura -un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di pensare. Su come si vedono le cose. (E su cosa si pretende da esse.)

Ludwig Wittgenstein

1.1. I Cahiers come “architettura dell'Esprit”

Jorge Louis Borges definì Valéry come “simbolo” di «un uomo che, in

un secolo che adora i caotici idoli del sangue, della terra e della

passione, preferì sempre i lucidi piaceri del pensiero e le segrete

avventure dell'ordine»

5

.

I Cahiers, con i loro molteplici appunti, schizzi, note e disegni

rappresentano un immenso cantiere della vita e dell'opera valéryana.

(10)

Col termine “Cahiers”

6

viene definito il complesso corpus di appunti

che nel corso di più di cinquant'anni, ha interessato il risveglio all'alba

di Paul Valéry, una vera e propria opera in fieri, nella quale si può

notare anche il cambiamento della stessa calligrafia valéryana, quasi a

sottolineare la ben più complessa metamorfosi del pensiero.

Ogni mattina Valéry consacrava alla loro scrittura dalle tre alle quattro

ore.

La mole dei Cahiers, scritti per oltre cinquant'anni (dal 1894 fino alla

morte di Valéry, nel 1945), è costituita da «ventiseimila cartelle ricche

di frammenti, di notazioni, di rebus, di formule algoritmiche, di segni

diacritici del pensiero, e raccolte in 216 quaderni»

7

.

Nei Cahiers si accumulano le osservazioni personali, le ipotesi di

metodo, i modelli scientifici, le metafore euristiche, le verifiche

matematiche tramite cui Valéry conosce se stesso.

Giorgio Pigafetta ha paragonato i Cahiers al gioco degli scacchi e

Valéry conoscendone assai bene le regole e le possibili relazione tra i

vari elementi del gioco «sa perfettamente che la logica della vittoria

6 Si veda a tal riguardo l'interessante saggio di N. Celeyrette-Pietri, «cahiers – Cahiers – Cahiers» in La Revue des Lettres Modernes, Paul Valéry 9 autour des Cahiers, Paris- Caen, lettres modernes minard, 1999, pp.13-23.

7 Si veda a tal proposito l'articolo di G. Grasso, I “Quaderni” di Paul Valéry in

(11)

governa la dinamica interna del gioco e sa altrettanto bene che quella

logica, nella regola, deve guidare la mano»

8

.

Artefice del gioco e della cattedrale dell'io saranno allora il linguaggio

e la foresta incantata della poesia.

I Cahiers sono una sorta di documentario del vano eppur costante

tentativo di lasciare traccia di un ben più complesso sistema di

pensiero e archivio di riflessioni del poeta di Sète.

Si potrebbe dire che ci sono una miriade di “indizi” che rimandano,

sempre di nuovo, a qualcosa di più, di non detto, di indicibile, di

eccedente: l'ineffabile, qualcosa che c'è, pur non essendo mai

esplicitato.

Il Système di Valéry appare, attraverso la consultazione dei Cahiers ,

come una sorta di “costellazione” di concetti che non può mai

giungere a una conclusione, ma che al contrario lascia spazio a nuovi

orizzonti di senso, a nuove prospettive del possibile.

In quest'ottica, i Cahiers sono una specie di diario filosofico, il cui

autore vorrebbe giungere fino ad estremi livelli di impersonalità, tanto

che si è addirittura parlato di un vero e proprio processo di

8 Giorgio Pigafetta, Architettura d'ombra senza peso, in Paul Valéry architetto, Milano, Jaca Book 2011, pag. 87.

(12)

falsificazione del sé, che avrebbe visto protagonista Valéry nel

momento in cui andava esponendosi ad un pubblico

9

.

La coscienza si dà allora attraverso un dialogo interiore, attraverso una

voce che si percepisce e si risponde: vi è un movimento

contraddittorio, un continuo trapasso tra l'interno e l'esterno.

Il sé non può essere relegato a mero strumento della creazione

artistica, ma è il luogo ove può emergere la dialettica dell'esprit

10

.

L'inizio della scrittura dei Cahiers ebbe origine in seguito alla crisi

della nuit de Gênes (sulla falsariga della notte di Ulm cartesiana, ma

anche della nuit de feu di Pascal) momento topico in cui Valéry

abbandona la scrittura poetica prediligendo una scrittura segreta,

personale.

Secondo Valerio Magrelli i Cahiers sarebbero nati dall'«idea di un

soggetto in grado di agire su se stesso per autocostruirsi, lungo un

percorso di graduale dominio interiore»

11

.

La prima classificazione di tale colossale raccolta risale al 1948, da

parte della Bibliothèque National e su iniziativa della famiglia Valéry,

9 Si rimanda, a tal proposito, all'interessante saggio di J. Paulhan, Paul Valéry ou la literature

considérée comme un faux, Paris, Editions complexe, 1987.

10 Ivi.

(13)

preoccupata della conservazione dei testi. Alla fine del 1950 furono

scattate le fotografie di ogni pagina in vista della pubblicazione in

fac-simile da parte del Centre National de la Recherche Scientifique.

Dopo la pubblicazione, Madame Valéry mise in ordine i Cahiers,

tentando di precisare la data di ciascuno e introducendo talora delle

piccole note esplicative, là dove non erano datati.

I Cahiers furono donati in originale al Dipartimento dei manoscritti

della BnF e col tempo furono oggetto di altre quattro classificazioni.

L'inventario generale, fornito da Denise Rousseau nel 1955-1956,

vantava 258 Cahiers, con alcuni bis.

Pare che, tra il 1957 e il 1961, il C.N.R.S. li fece stampare in

ventinove volumi in fac-simile, ma solo nel 1973 Judith

Robison-Valéry ne curò una gran parte, attenendosi al criterio già utilizzato da

Valéry sin dal 1922: la suddivisione per temi e rubriche.

La rassegna con cui l'intero fondo Valéry è datato e ordinato, la si deve

però a Florence de Lussy, che ne stabilì l'ordine definitivo presso la

Bibliothèque nationale Française.

L'edizione integrale, riprendendo tale canone, contiene 260 cahiers,

con dei bis. L'edizione della Pléiade propose una classificazione

(14)

differente, contando invece 261 cahiers

12

.

Andrea Pasquino ritiene che «la pubblicazione dei Cahiers, nel 1957,

in forma di riproduzione anastatica ha fornito una quantità di materiale

che soprattutto agli inizi è stato letto come complemento o corollario

alle opere pubblicate»

13

e, di conseguenza, ciò che si pensava delle

opere già note di Valéry influenzava suo malgrado la lettura e

l'interpretazione dei Cahiers.

Pasquino fa notare quanto rilevante sia, all'interno dei Cahiers, la

questione della coerenza. Egli afferma, infatti: «nessuna

organizzazione, nessuna classificazione, interna o esterna, è capace di

render conto dell'eterogeneità specifica di questi scritti privati»

14

,

eterogeneità tra l'altro evidenziata non solo dai differenti tipi di carta

utilizzati, dalle diverse dimensioni e spessori, dagli svariati colori

dell'inchiostro, ma anche e soprattutto dalla diversa scrittura.

I Cahiers vanno così a delinearsi come «strumento di trasformazione

dell'Io per abolirne i tratti distintivi che costituiscono la persona e

farne emergere le Moi Pur»

15

.

12 Si veda, a tal proposito, il sopra citato articolo di N. Celeyrette-Pietri.

13 A. Pasquino, Tempo e coerenza nei Cahiers in Scienza e poesia in Paul Valéry, reggio emilia, diabasis, 1992, pag. 290.

14 Ivi, pag. 291. 15 Ivi, pag. 294.

(15)

Essi sono, secondo Giuseppe Grasso, il «frutto di una bildung

estremamente articolata e composita, sono un documento forse unico

nella letteratura e nella cultura francese»

16

, ragion per cui ad essi

«possono attingere in eguale maniera linguisti e scienziati, filosofi e

matematici, tanta è la varietà di meditazioni che vi si trovano, che

chiamano in causa il vasto scibile della nostra epoca»

17

, sempre più

difficile da padroneggiare in tutta la sua polivalenza e la sua

interdisciplinarietà.

I Cahiers ci mostrano assai bene la relatività del pensare umano:

l'umano pensiero non può essere incasellato e relegato

«definitivamente in qualunque sistema o filosofia, in quanto l'uomo è

molto più complesso e contraddittorio e sfaccettato di quanto lo

possano far apparire questa o quella classificazione, per quanto

necessarie, utili e importanti possano essere»

18

.

I Cahiers sono paragonabili a un pot-pourri, a un enorme calderone

contenente una «vastissima produzione di idee, di immagini, di

intuizioni, di strane equazioni e di rapide incursioni volte a cogliere

tutte le trame, tutte le iridescenze e tutti i prospettici piani di

16 G.Grasso, op. cit., p.756. 17 Ibidem.

(16)

investigazione intellettiva e intellettuale»

19

.

Vi è nei Cahiers l'intima esigenza di proiettare un'identità ideale che

nella scrittura non rifletta il proprio essere, ma le proprie

problematiche. Lo scrittore si sente separato dalla sua opera e tenta

perciò un processo di de-personalizzazione che porti all'universalità e

allontani dalla determinatezza, sentita come limite e confine da

superare: i Cahiers possono, per questo motivo essere considerati

come un Laboratoire de l'Esprit, un immenso cantiere preparatorio per

una ben più complessa architettonica dell'Io.

Le analisi di Valéry evitano di indagare fatti personali e, al contrario,

mostrano le elucubrazioni mentali di uno spirito affetto dal “male

della precisione” che va alla ricerca di un metodo, di una via che lo

aiuti a ristabilire l'ordine del mondo, di un fil rouge che lo aiuti a

orientarsi nel labirinto.

Valéry vuole andare oltre i limiti del pensiero e costruire una nuova

realtà demistificando le scissioni e le contraddizioni che caratterizzano

l'epoca in cui vive e per fare ciò si avvarrà di un metodo che

potremmo definire “cartesiano”. Da e nel confronto con la filosofia di

(17)

Cartesio

20

si evince che «ciò che interessa a Valéry in Cartesio è il

rapporto singolarissimo tra il metodo e l'io»

21

.

Ciò che più affascina Valéry è il fatto che «la presenza vivente» di

Descartes «accompagni il più astratto dei discorsi»

22

. Valéry riprende

il termine e il concetto di “egotismo” da Cartesio, filosofo a lui molto

caro e da sempre ritenuto il più affine.

Il cogito cartesiano diviene un “invento, dunque sono” che esprime

assai bene tutto ciò che Cartesio aveva represso e messo da parte nella

sua analisi: l'impeto delle passioni, lo slancio del desiderio, la spinta

verso più ampi orizzonti e il senso del possibile.

Proprio attraverso il senso del possibile può venire alla luce un

progetto, è proprio da quella scintilla infinitesimale d'imprevisto che

costituisce la nostra vita che nasce la creazione e la creatività.

20 È infatti il metodico “dubbio cartesiano” l'elemento che più di ogni altro influenzerà Valéry, nel suo accostarsi alla filosofia, poiché “nella filosofia e nel pensiero moderni, il dubbio occupa la stessa posizione centrale che occupò per tutti i secoli prima il thaumazein dei greci, la meraviglia per tutto ciò che è in quanto è. Descartes fu il primo a concettualizzare questo dubitare moderno, che dopo di lui divenne il motore evidente e dato per scontato che ha mosso tutto il pensiero, l'asse invisibile sul quale si è incentrato ogni pensare” (Hanna Arendt, Vita activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 2005,

pag. 203).

21 Bianca Maria d'Ippolito, Valéry e Cartesio. Il tempo dell'egotismo, in Di là

dalla storia. Paul Valéry: tempo, mondo, opera, individuo, Macerata,

Quodlibet, 2007, pag. 34. 22 Ibidem.

(18)

1.2. Valéry e l'idea di Costruzione

All'interno dell'intera poetica di Valéry è di fondamentale importanza

il tema paradigmatico della Costruzione. Sovente, infatti, egli ne parla

nei propri scritti.

In Degas, Danza, Disegno egli afferma, ad esempio, che in ogni

campo «l'uomo veramente forte è colui che meglio sente che niente

viene dato, che tutto bisogna costruire, tutto acquisire, che trema

quando non sente ostacoli e ne crea...»

23

.

Secondo tale affermazione, quella della costruzione sarebbe

un'esigenza insita in ogni uomo e in ogni uomo necessaria per meglio

affermare la propria natura di essere umano. Quella della progettualità

è una prerogativa dell'essere umano: ogni azione dell'uomo è

preceduta da un sogno, da un'idea, un pensiero, un desiderio; essa non

si limita al puro istinto, né tantomeno a meri impulsi irrazionali.

A maggior ragione, nella creazione di un'opera d'arte o di un'opera

architettonica vi sarà la necessità da parte dell'artista di adeguare il

proprio progetto alle condizioni di possibilità dell'ambiente all'interno

23 Paul Valéry, Degas, Danza, Disegno, in Scritti sull'arte, Parma, Ugo Guanda Editore, 1984, pag. 47.

(19)

del quale egli si trova a lavorare.

La costruzione, di qualunque tipo essa sia, implica la sintesi di

elementi diversi, nonché la loro transizione dalla molteplicità all'unità.

Si potrebbe, non a torto, affermare che l'opera architettonica vada

considerata come una struttura complessa, perché composita e

composta da elementi semplici, sebbene tra loro eterogenei: attraverso

la costruzione si giunge a una nuova forma complessa, che comprende

a sua volta delle forme più elementari.

In ogni scienza dell'uomo (che si tratti di scienze umane o scienze

naturali) sono necessarie operazioni di composizione e, allo stesso

modo, operazioni di scomposizione: soltanto così (grazie alla pars

costruens e la pars destruens) sarà possibile giungere a qualcosa che

anche lontanamente possa esser definito come “verità”.

Ogni discorso può esser scardinato nei suoi elementi più minuziosi,

per poi esser ricostituito e, viceversa, le più infinitesimali particelle

aggregandosi tra loro possono ricondurci a oggetti molto più articolati.

Nella Storia d'Anfione Valéry c'illumina a proposito della sua

adolescenziale passione per l'architettura che, attraverso il

fondamentale atto costruttivo, rende possibile il difficile ma

indispensabile passaggio dal disordine all'ordine.

(20)

Egli scrive a tal riguardo «L'architettura ha avuto un grande posto tra i

primi amori del mio spirito» e la sua «adolescenza immaginava con

passione l'atto del costruire: la passione si nutriva di letture abbastanza

precise, schizzi e teorie»

24

che egli inventava da sé, poiché trovava

nella sua grande passione per l'architettura un piacere e una funzione

educativa ben maggiore di quella che egli riscontrava invece

all'interno dei propri libri e «l'idea stessa della costruzione, che è il

passaggio dal disordine all'ordine, e l'uso dell'arbitrio per rispondere

alla necessità»

25

appariva ai suoi occhi «come il tipo d'azione più bello

e completo che l'uomo possa proporsi.»

26

.

Dunque, sin dagli albori della vita di Valéry, l'Architettura esercitò un

notevole ascendente su quella che sarebbe stata la sua produzione

poetica e non.

In Valéry questa naturale tendenza alla costruzione ed alla

progettazione viene espressa nel Pensiero. Per lui il sapere stesso ha

una struttura architettonica, come pure lo spirito.

Come ha sottolineato Étienne Gilson, il formalismo dell'architettura è

propedeutico all'intero edificio del sapere: l'architettura è la scienza

24 P. Valéry, Storia d'Anfione, in Scritti sull'arte, Parma, Ugo Guanda Editore, 1984, pag. 101.

25 Ibidem, corsivo dell'autore. 26 4Ibidem

(21)

preliminare e fondamentale

27

.

Il passaggio dal disordine all'ordine è necessario e indispensabile per

l'ideazione di un progetto: ciò avviene in quanto l'architetto diviene

personificazione dell'azione, colui che potrà dare un nuovo ordine alla

materia e un nuovo senso al mondo.

Il progetto diviene dunque metafora della catarsi e della sublimazione,

della razionalizzazione e delle messa in forma logica delle emozioni.

L'architettura nasce anche dall'esigenza di adeguare l'ambiente ai

repentini cambiamenti che ogni giorno è costretto a subire.

Valéry ritiene che tutto ciò che riguardi la progettazione tocchi ambiti

assai diversi quali, ad esempio, Pittura, Musica, Scrittura, Architettura.

Ciascuna di queste aree dell'espressione artistica, infatti, prevede una

concezione preliminare che preceda la concretizzazione dell'opera

vera e propria.

Valéry, com'è noto, si trova a vivere in un'epoca di grandi

cambiamenti, nonché all'avvento della modernità ed in un simile

contesto si trova anche ad avere a che fare con voci di spicco nel

mondo dell'architettura (tra gli altri, si ricordino Auguste Perret, Tony

Garnier, Le Corbusier)

28

.

27 Si veda Étienne Gilson, Matières et formes, Paris, Vrin, 1982, pag. 9.

28 L'avvento del XX secolo vede nascere una profonda amicizia tra lo scrittore Paul Valéry e l'architetto Auguste Perret.

(22)

Egli si trova a dover fare i conti con un'epoca ricca di contraddizioni e

di crisi – quella stessa crisi che racchiude in sé la speranza che

fioriscano nuovi germogli e il timore che avvenga un regresso.

In tal modo, la tematica della Costruzione diviene per il poeta di Sète

paradigmatica della metamorfosi: attraverso un nuovo progetto si

potrà edificare un mondo migliore.

Molteplici le figure nelle quali si va a incarnare il ruolo del progettista

valéryano: da Eupalinos ad Anfione, Da Faust a Orfeo, passando per

Leonardo da Vinci e Monsieur Teste, Valéry va alla ricerca di un

metodo nella mitica “caccia magica” del suo spirito.

La costruzione è un fatto creativo: essa è forma che, per mezzo

dell'immaginazione e attraverso un preciso calcolo, riesce a plasmare e

a manipolare il materiale pre-esistente e a incanalarlo in qualcosa di

differente.

Si assiste così ad una vera e propria metamorfosi, al frantumarsi e al

trasformarsi di una forma in un'altra.

Proprio in questo periodo, Valéry frequenta la Paris des Salon, in particolar modo frequenta la Maison des amis des livres al numero 18 di Rue de l'Odeon, presso la libreria di Adrienne Monnier.

È questa l'epoca in cui Valéry conoscerà anche Le Corbusier, Robert Mallet-Stevens, Pierre Patout e scrittori come James Joyce, Ezra Pound, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, André Gide, Walter Benjamin, Nathalie Serraute, Valery Larbaud, André Breton, Jacques Prévert et cetera.

(23)

Il progetto serve così a rappresentare il processo della costruzione che

avrà luogo. Che esso riguardi la scrittura, la musica o l'architettura, il

suo scopo resta comunque lo stesso: indirizzare vari elementi sparsi e

frammentari in un unico grande oggetto artistico. Il progetto è dunque

fatto di analisi e riflessione sui migliori metodi di progettazione di

sintesi e unità a partire da differenze e varietà.

Lo scopo di ogni compositore – sia esso un musicista, un architetto o

uno scrittore – è quello di costituire un insieme armonico unitario.

Propria del compositore è l'esigenza di riuscire a entrare appieno nel

meccanismo costruttivo, scardinandone le operazioni, i procedimenti,

gli sviluppi che, attraverso connessioni armoniche, danno

magicamente vita alla realizzazione dell'opera.

Le forme non sono altro che espressioni e manifestazioni delle idee

dell'artista. Le opere d'arte c'interrogano e richiedono alle nostre

facoltà percettive di ampliarsi.

Nel momento della costruzione si assiste inevitabilmente all'intreccio

di svariati materiali, potremmo dire che si tratta quasi di un'operazione

alchemica: gli elementi iniziali vengono scissi per esser poi

amalgamati e ricongiunti in tutt'altra maniera.

(24)

ritiene che ciò che viene creato sia fatto per restare e per sfidare così il

tra-scorrere del Tempo fuggitivo.

Ma durante la progettazione l'azione è assai più lenta del pensiero che,

incessantemente, elabora nuove idee, annota, cancella, riscrive,

aggiunge particolari. Potremmo affermare che il progetto è un tema

soggetto a molteplici variazioni: nel caleidoscopio del pensiero

molteplici riflessioni formano, trasformano e deformano quella che

era l'intelaiatura originaria.

Valéry ritiene giusto considerare il progetto come un oggetto di

pensiero, in quanto esso funge da tramite fra materia e forma:

attraverso la progettazione è possibile manipolare e plasmare dei

materiali, adeguandoli alla forma desiderata e al risultato che si

vorrebbe ottenere.

Per Valéry, come per Perret, l'architettura dev'essere un'arte guidata da

una concezione scientifica e razionale della costruzione. Il soggetto

che svolge questa pratica estetica deve avere una grande padronanza

della tecnica e una capacità altrettanto grande di espressione,

espressività ed originalità.

Al vertice delle sue operazioni mentali, egli dovrà porre la

simbolizzazione.

(25)

Ci si pone allora la domanda su quali siano i rapporti tra

progettazione e composizione, quale sia il collante tra questi due

ambiti, così simili eppure ben distinti tra loro. Generalmente, l'attività

progettuale implica un legame tra due elementi fondamentali:

l'obiettivo prefissato (che cosa bisogna fare e perché) e il

conseguimento dell'obiettivo stesso (quali sono gli strumenti e le

tecniche per ottenerne la realizzazione).

L'ideazione di un progetto e la sua realizzazione sono due elementi

che non trovano sintesi in una sola operazione, poiché molteplici e

varie siano le connessioni tra loro. Quando ci si pone un determinato

fine, il quesito che sorge spontaneo non può non essere: “Come

ottenerlo? Quali sono i mezzi più opportuni per il suo

raggiungimento?” Quale che sia l'esigenza, la volontà e il desiderio in

questione, bisognerà in ogni caso prefigurarsi un'adeguata risposta

tecnica che renda possibile un consequenziale modus operandi.

Il progetto dovrebbe permettere di immaginare gli scenari del

possibile a partire da quella che è la realtà effettuale.

L'architetto dev'essere, per questo motivo, anche un po' visionario:

deve riuscire a presagire quel che sarà la futura evoluzione di uno

spazio a partire da quello che esso è nel momento presente.

(26)

L'architettura diviene così simbolo della volontà di costruire un

postulato razionale che permetta una migliore inquadrare e conoscere

il Mondo-della-Vita

29

.

La facoltà immaginativa funge (kantianamente parlando) da ponte,

tramite, medium tra il mondo della logica e quello della sensibilità.

Attraverso l'immaginazione l'architetto può trovare nuovi metodi

progettuali per dare un senso e nuove prospettive di sviluppo ad un

ambiente.

Nel momento in cui il paesaggio c'interroga e richiede nuove

soluzioni, non ci si può affidare esclusivamente alle capacità razionali,

alle forme più rigorose del pensiero e a conoscenze sicure perché

consolidate: per dare una risposta autentica, bisognerà invece

concedersi di pensare in maniera differente, per poter sfruttare al

29 Il concetto di Lebenswelt (che viene tradotto in italiano come "Mondo vitale" o, più spesso, come "Mondo della vita") rimanda al pensiero di Edmund Husserl e possiede, nell'ambito della , una caratteristica ambivalenza. Da un lato, significa l'universo dell'autoevidenza, come fondamento antropologico di ogni

determinazione nella relazione dell'uomo con il mondo, al contempo, però, contraddistingue anche il mondo della vita concreto, visibile e pratico.

Questa ambivalenza introduce una distinzione nel significato di Lebenswelt che separa nettamente tra un mondo della vita astorico e uno mutabile e storico, tra quello universale e quello concreto, tra singolare e mutabile storicamente, diventando, in questo modo, sia la base della critica sia, allo stesso tempo, l'oggetto stesso dell'indagine.

(27)

meglio le competenze e le tecniche di cui si è in possesso: affinché sia

possibile immaginare una realtà modificata da un progetto è

necessario considerare e valutare con molta attenzione quella che è la

realtà pre-esistente, in modo tale da poter manipolare nella maniera

più conveniente simboli e materiali.

(28)

Capitolo secondo.

Tra il Conoscere e il Costruire, il progettare: Eupalinos,

l'Architetto.

La poesia ha ottenuto il suo costruttore di templi che tagliava le parole lungamente come pietre dure, ma nessun architetto ha saputo essere Flaubert.

Paul Valéry

Eupalinos, l'architetto è un “testo d'occasione” che Valéry scrisse nel

1921 per l'album Architectures, recueil publié sous la direction de

Louis Süe et André Mare, comprenant un dialogue de Paul Valéry et

la présentation d'ouvrage d'architecture, décoration intérieure,

peinture, sculpture et gravure contribuant depuis 1914 à former le

style français, Paris, Éditions de la Nouvelle Revue Française.

Questo dialogo nasce, dunque, dalla richiesta di due tra i più

importanti interpreti della cultura architettonica francese tra la prima e

la seconda guerra mondiale, vale a dire gli architetti Louis Süe

(1875-1968) e André Mare (1885-1932), i quali chiesero a Valéry di scrivere

(29)

la prefazione ad un album di progetti e piani, perché consapevoli della

passione valéryana per l'architettura. Quella sarà per Valéry

l'occasione per analizzare un problema che a lui sta molto a cuore,

«quello di riuscire a pensare così come si costruisce»

30

, poiché egli va

alla ricerca di un «pensiero architettonico»

31

.

Valéry, sotto le mentite spoglie di Socrate, non fa che porsi all'interno

di quella scissione dicotomica tra Conoscenza e Costruzione.

Eupalinos si colloca nel système valéryano quale simbolo del ritorno

all'ordine. Nel dialogo valéryano il Fare è sempre e comunque

ante-posto al Pensare, nel momento in cui il potere creativo del pensiero

prende corpo e diviene realtà all’interno di una forma.

Due sono i leitmotiv all’interno di Eupalinos, l’architetto: la

perfezione more geometrico demonstrata da un lato, l’objet trouvé

dall’altra. C’è infatti in Valéry una perenne tensione tra Pensiero e

Azione, quella stessa tensione che lo porterà ad affermare: Tantôt je

pense, et tantôt je suis.

Nel lavoro dell’architetto il problema consiste nella creazione del

progetto. Per questa ragione, nell’ideazione architettonica bisogna

30 G. Contessi, G. Pigafetta, Eupalinos, l'architetto, in Paradossi

dell'architettura, Torino, Celid, 2011, pag. 19, corsivo dell'autore.

(30)

sempre tener conto delle condizioni di possibilità del progetto –

vale a dire dei luoghi nei quali e attraverso i quali l’intervento

dell’architetto avrà luogo. Dunque, tutto ciò che segue e con-segue al

progetto è la costruzione logica.

Per Valéry, molteplici sono le segrete affinità elettive e le analogie che

accomunano la Poesia e l'Architettura; questo perché «il lavoro sulla

poesia è simile al lavoro sulla pietra e la regola del lavoro appare

immanente al processo di costituzione del testo»

32

: quando si scrive

una poesia bisogna infatti prestare moltissima attenzione alla forma,

affinché la sua struttura complessiva possa risultare armonica e

armoniosa. Simile alla Poesia e all'Architettura, c'è anche la Musica:

queste tre diverse forme di arte (la cui matrice è la Matematica) danno

tutte vita a «manufatti materiali, definiti, descrivibili, più o meno

durevoli, ma tutti capaci della solidità di un oggetto particolare che il

lavoro dell'intelligenza ha saputo realizzare»

33

.

Al contrario, la Filosofia e la Letteratura sarebbero costituite da

un'arbitraria quanto aleatoria «costruzione globale di segni che

produce parole da parole attraverso uno sperpero di significati che

nella loro relazione costruiscono anch'essi edifici arbitrari privi della

32 Ivi, pag. 50. 33 Ibidem.

(31)

materialità di oggetti durevoli»

34

. Vi sarebbe una spietata oltre che

imperterrita «critica alla filosofia che nella sua forma discorsiva

cambia i significati in un gioco potenzialmente interminabile, dove

ogni finito-infinito non riesce mai ad essere de-finito»

35

, poiché

nessuna forma può essere duratura, ogni cosa è effimera ed

evanescente, oltre che in continuo mutamento.

Nel dialogo valéryano, l’accidentale scoperta di un oggetto perfetto tra

il caos di rottami sulla spiaggia porta all’apertura di un nuovo

orizzonte di senso grazie alle riflessioni che sorgono in Socrate e

Fedro: i due protagonisti iniziano a discutere della centralità della

costruzione in filosofia come in architettura, della perfezione della

Natura e dei limiti di ogni artista nella creazione di un’opera d’arte.

L’artista è e deve essere in grado di produrre forme armoniche

nonostante il caos nel quale si trova a vivere.

Nel valéryano «itinerario di ricostruzione – confortato dalla formula di

Poe per cui conoscere equivale a trasformare – la scrittura sarà d’ora

in poi traccia e strumento»

36

.

34 Ivi, pag. 51. 35 Ivi, pagg. 53-54.

36 Maria Teresa Giaveri, Paul Valéry, in Paradossi dell'architettura, Torino, Celid, 2011, pag. 14.

(32)

In tal modo, «l’attività poetica diviene uno dei campioni di

funzionamento della mente, secondo un’analisi singolarmente

indipendente da ogni tradizione filosofica»

37

: Valéry si rifà infatti a

quelli che sono i metodi scientifici più in voga della sua epoca, in

particolar modo ai modelli di Maxwell, Cantor e Poincaré. Non è un

caso se nell’analisi dell’Io egli giunga alla seguente formula: MOI= 0.

All'interno del dialogo valéryano si crea una frattura insanabile fra

l'esistenza di un ordine razionale, intellettuale e quello di un ordine

naturale delle cose. Valéry non potendo scegliere nessuno dei due

ordini, si preoccupa allora di intrecciarli tra loro.

Nell'Eupalinos, Valéry tenta una più precisa analisi delle idee astratte,

nonché dei principi progettuali che fungono da linee-guida per il

complesso orizzonte di senso dell'architetto.

Secondo Valéry l'idea del fare è l'idea originaria che incarna in sé lo

spessore di senso del mito – senso che può e deve diventare suono,

gesto, azione, modificazione della materia in forme nuove e

innovative.

Ogni progetto richiede molto impegno e abilità per poter arrivare alla

sua realizzazione e compimento: un progetto non si limita ad una

(33)

constatazione della situazione circostante già esistente, ma viene

determinato dalla volontà di modificare l'ordine predominante per

poter giungere, a seconda dei casi, ad un suo miglioramento,

perfezionamento, riformulazione o sovvertimento.

Sin dal principio si va a delineare la duplice facciata dell'architettura,

quale arte in grado di riunire in sé forme e idee estremamente astratte

con materiali e costruzioni utili e concreti.

Secondo Perret, Valéry riconobbe che l'architetto è l'artista per

antonomasia: quella dell'architetto sarebbe l'emblematica figura di

artista “completo”, poiché egli deve saper padroneggiare diverse

tecniche – quali il disegno, la geometria, l'ottica, il calcolo, la storia,

l'estetica. L'architetto gestisce il complesso equilibrio di scelta, azione,

oggetti e contesto.

(34)

2.1. Il dialogo come metodo di ricerca

Perché Valéry utilizza la forma dialogica per esprimere le proprie idee

a proposito dell'Architettura?

In un interessante articolo dal titolo La contemporaneità del dialogo

socratico antico. Il ruolo delle emozioni, Laura Candiotto «intende

dimostrare come sia possibile rintracciare nel dialogo socratico antico

questo tratto fondamentale del pensiero contemporaneo, ovvero

l'integrazione tra la dimensione emotiva e la dimensione razionale.»

38

Secondo la Candiotto, «il dialogo socratico antico non era una pratica

meramente razionale ma un dispositivo complesso che utilizzava le

emozioni nella loro accezione conoscitiva.»

39

.

In base a tale concezione, il dialogo socratico sarebbe l'anello di

congiunzione tra la dimensione logico-razionale e quella

estetico-sensibile.

A quanto pare, l'intenzione di Valéry sarebbe stata quella di scrivere

38 Laura Candiotto, La contemporaneità del dialogo socratico antico. Il ruolo

delle emozioni, pag.103.

(35)

una serie di dialoghi di stampo squisitamente platonico (Eupalinos,

l'architetto, L'anima e la danza, Dialogo dell'albero) atti a

immaginare la vita ultraterrena. Nell'Eupalinos ci troviamo, ad

esempio, di fronte al dialogo tra Fedro e Socrate nell'aldilà.

Nonostante le molteplici e varie analogie strutturali, troviamo che (a

differenza dei dialoghi platonici) nei dialoghi valéryani Socrate non

pratica la maieutica

40

facendo domande e cercando di stimolare la

conversazione, ma è il suo interlocutore (Fedro) a portare avanti il

dialogo. Nel momento in cui Fedro lo interroga, Socrate gli chiede di

attendere, poiché egli si sente totalmente pervaso dall'idea al punto da

non riuscire a distanziarsene più in alcun modo.

Socrate sottolinea infatti il fatto che, una volta morto, ogni cosa, gli

appaia oscura. Egli mostra e dimostra come ciascuno, nonostante

nasca plurimo, muoia unico: ogni vita che vede la luce racchiude in sé,

in nuce, un infinito orizzonte di possibilità che poi, pian piano andrà

scemando attraverso l'individuazione e alla determinazione che rende

ogni uomo un esser finito, limitato, mortale.

Socrate afferma che, nonostante la verità si presentifichi e si manifesti

40 Secondo la filosofia socratica, la maieutica è il metodo di ricerca che consiste nel condurre il discepolo, mediante il dialogo, alla chiara coscienza della verità.

(36)

dinnanzi agli occhi suoi e di Fedro, non sia più possibile vederla: con

la morte si spegne anche la scintilla divina che permette la

comprensione di ogni cosa. Socrate resta poi affascinato dalla

descrizione che Fedro fa di Eupalinos, l'architetto che riuscì a

trasformare la propria arte realizzando delle opere che potessero

manifestare la costruzione del sé, come una forma di auto-coscienza.

In tal modo, la mitica incarnazione della figura dell'architetto diviene

per lui la scintilla dalla quale nasce una riflessione o, meglio, una

domanda: che cosa sarebbe stato della sua vita se, invece di diventare

filosofo, egli si fosse dedicato all'Architettura? Una simile domanda

non trova risposta, se non quella di renderci evidente che l'architettura

diviene la metafora di un metodo di pensiero: la razionalità cerca

sempre di cogliere ogni possibile nesso, ma la vita nella sua essenziale

fluidità e imprevedibilità sempre di nuovo sfugge a degli schemi già

dati e pre-definiti.

Nel dialogo giocano un ruolo prioritario le figure retoriche, in quanto

«segno di un paradigma antropologico, psicologico ed epistemologico

per il quale le emozioni giocano un ruolo fondamentale nell'esperienza

umana»

41

. Non è forse un caso che nell'Eupalinos Fedro sia uno dei

41 Ivi, pag. 106.

(37)

protagonisti: nell'omonimo dialogo platonico, infatti, viene formulata

da Platone una sorta di «“teoria delle emozioni” funzionale alla

filosofia della conoscenza»

42

.

Nel dialogo tra Fedro e Socrate è presente la ricerca di una forma di

verità; ma si tratta qui di una verità che non c'illumina quasi per niente

su quella che è ed è stata la «realtà storica e sociale della architettura»,

essa è piuttosto una «forma di pensiero che riesce a tradurre le

relazioni sintattiche, l'ordine delle forme geometriche, nell'ordine

materiale e sensibile del mondo naturale», si tratta dunque dell'«elogio

metaforico di un costruttivismo razionale»

43

.

42 Ivi, pag. 110. 43 Ivi, pag. 49.

(38)

2.2. Il mistero dell'objet trouvé

All'interno dell'Eupalinos ci troviamo di fronte alla grande quanto

netta contrapposizione fra terra e mare.

La terra rappresenta il teatro della storia, il mare l'orizzonte delle

possibilità infinite che si dispiegano.

Il suolo si fa portavoce dei valori della razionalità, poiché solo su di

esso è possibile la costruzione, esso manifesta il bisogno di regole e

l'esercizio del rigore, la sua superficie porta alla stabilità e al bisogno

di definizione.

Il mare, viceversa, comporta l'assenza di un fondamento, le profondità

nascoste dei suoi abissi, il movimento incessante delle sue onde.

Il mare segna e rappresenta confine tra Nettuno e la terra, esso è il

luogo dove si danno appuntamento la vita e la morte, la fine e l’inizio

d'ogni cosa e dove s'intravede l’eterno ritorno dell’uguale.

All’interno dell’Eupalinos

44

ci troviamo di fronte a un forte contrasto

fra terra e mare (contrasto che Valéry presenta anche nei Regards

sur la mer): l’inutile, infinita ripetizione, la ripetizione totalmente

(39)

bruta e ostinata, l’urto monotono e il ricominciare identico delle

onde e dei marosi che rintoccano senza requie contro i confini del

mare, ispirano all’anima affaticata di contemplare il loro invincibile

ritmo, la nozione del tutto assurda dell’eterno ritorno, ma una tale

potente ed insopportabile impressione di un eterno ricominciare si

trasmuta nel desiderio furioso di rompere il ciclo sempre futuro, di

tempo vergine e di avvenimenti infinitamente variati.

La terra, invece, è il luogo della storia, delle trasformazioni tragiche

e “progressive” operate dall’uomo. La terra ospita lo spirito

costruttore che continuamente erige architetture – atte a sfidare il

tempo e la stessa caducità che lo minaccia. La durezza impenetrabile

della terra è l’occasione per fondare nel tempo (e contro il tempo),

civiltà, città e imperi, strade e labirinti.

Dal mare, dalla prospettiva del suo orizzonte e dalle sue profondità

si manifesta massimamente la vocazione architettonica della terra

abitata dall’uomo.

In questo contrasto si mostra la natura anti-architettonica del mare, la

sua indifferenza al fare dell’uomo, la sua profondità infinita che tutto

inghiotte. Sulle rive del mare si ammassano le opere degli uomini.

(40)

Sul confine fra la terra e il liquido immenso, si accumulano segni su

segni che l’uomo chiama “torri”, “palazzi”, “colonne” e che un

destino beffardo trasformerà poi, attraverso l'incessante ed

inesorabile lavorìo del tempo, in rovine.

Nulla può rispecchiarsi sulla superficie marina senza trasformarsi in

immagini, miraggi, impressioni. Questo perché sulla superficie del

mare, non si fondano le opere dell’uomo, ma restano solo le favole, i

sogni e i miti.

E proprio dal mare emergerà l’oggetto enigmatico che uccide in

Socrate l’architetto che avrebbe potuto essere. L’insegnamento

principale di Socrate sfugge a Fedro: per quanto possa essere

profondo, l’animo umano non può misurarsi con la profondità

originaria del mare. Allo stesso modo, per quanto alta possa essere

la vocazione architettonica dell’uomo, essa s’inabissa quando egli

gira le spalle alla terra e volge lo sguardo verso il mare.

Nell'Eupalinos viene posto l'accento sulla distinzione tra prodotti

della natura e opere dell'uomo e, insieme a una simile dicotomia

fondamentale vengono enunziati tre principi.

(41)

dell'opera dell'uomo è un disordine»

45

.

Questo avviene perché mentre le leggi della Natura sono fisse e

pre-determinate da leggi perfette, all'interno delle creazioni umane esiste

sempre e comunque un margine di libertà che le rende sì più varie e

variegate, ma che d'altro canto le mostra nella loro imperfezione e

perfettibilità.

Il secondo principio ci dice che «l'uomo fabbrica per astrazione», vale

a dire che egli deve creare delle regole a partire dalla realtà in cui si

trova a vivere, al contrario della Natura che possiede in se stessa i

propri principi geometrici

46

.

Per queste ragioni e in conseguenza ad esse il terzo principio afferma

che «l'opera dell'uomo sarà di gran lunga inferiore a quella della

natura»

47

.

Nel momento in cui Valéry afferma che in un oggetto si sono

sedimentati migliaia di altri oggetti che hanno portato a quello, è

un'idea del classico come forma che si produce nella vita; questo

discorso (ripreso altresì da Valéry ne L'uomo e la conchiglia) mostra e

dimostra come un oggetto si raffini assai lentamente per arrivare a

45 Si veda, a tal riguardo: Giuseppe Ungaretti, Introduzione a Eupalino, in «L'Italia Letteraria», Roma, a. IV n. 41, 9 ottobre 1932.

46 Ibidem. 47 Ivi, pag. 20.

(42)

essere ciò che dovrebbe. Analogamente alla stratificata formazione

della conchiglia, anche la vita di ogni essere umano appare come

qualcosa in continua evoluzione, dove il tutto è più grande della

somma delle singole parti.

Nel dialogo Eupalinos, l'architetto Socrate trova un oggetto sulla

spiaggia e il suo primo quesito riguarda l'artefice del misterioso fossile

in cui s'imbatte. L'oggetto lucente ri-trovato da Socrate suscita in lui la

curiosità di chi (o che cosa) ne sia l'autore.

Socrate (cosa strana) non s'interessa di quale sia la funzione

dell'oggetto sulla spiaggia; il suo interesse precipuo concerne invece

l'artefice dell'oggetto in questione.

Così, mentre Socrate racconta del ritrovamento del misterioso ed

interessante oggetto, innanzi a lui si dischiude anche l'orizzonte delle

enigmatiche questioni che il mare ha abbandonato sulle sue sponde.

Le questioni socratiche portano a una biforcazione del pensiero che

man mano si allontana dalla costruzione per giungere alle successive,

interminabili, domande del/ sul conoscere

48

.

Ignota è la risposta alla domanda sull'autore dell'oggetto: potrebbe

essere stata la natura, l'arte o il caso, ma nel dubbio – e

(43)

nell'impossibilità di riuscire a dare una risposta adeguata al quesito in

questione – Socrate finirà col gettare di nuovo l'enigmatico oggetto in

mare

49

. Com'è noto, l'insegnamento della tradizione greca è che

l'enigma irrisolto non può non uccidere il sapiente

50

– e poiché il

filosofo, contrariamente all'artista, non è in grado di trarre dalla

formazione il senso della forma, rimane annichilito e sconfitto.

Il filosofo, afferma il Socrate dell'Eupalinos, ha bisogno del tutto;

viceversa chi costruisce non fa che ritagliare un pezzo della natura,

una infinitesimale parte di quel tutto così necessario per il filosofo.

Ogni oggetto racchiude in sé una costellazione di legami, che rendono

estremamente più vasto e ricco l'orizzonte semantico all'interno del

quale gravitano. Per ciò che concerne Socrate, ci troviamo di fronte

alla dimensione decisionale, attraverso cui avviene una scelta

determinata e definita, in grado di annullare e di rendere impossibile la

realizzazione che annulli ogni altra possibile possibilità.

Socrate, incapace di risolvere il fatale enigma, non può che gettare via

il misterioso oggetto trovato sulla riva del mare. Questo gesto segnerà

nettamente il suo destino, in quanto ciò implicherà la sua rinuncia

49 A quanto pare, lo stesso Valéry, intorno ai quindici o sedici anni, trovò un oggetto assai misterioso e indefinito sulla riva del mare e il ricordo di

quell'oggetto – affascinante quanto oscuro – gli venne in mente anche quando iniziò la stesura dell' Eupalinos.

(44)

all'arte, in favore della filosofia

51

.

Come Socrate sulla spiaggia, anche l’architetto necessita di un

momento di fertile silenzio, prima di (pro)gettare il suo sasso: mentre

Socrate butta l'oggetto perché non riesce a risolverne il suo mistero,

l'architetto dovrebbe invece buttarsi in acqua alla ricerca di esso.

Il problema della formazione di certi oggetti particolari torna in un

altro scritto di Valéry, L'uomo e la conchiglia, all'interno del quale egli

afferma che «un cristallo, un fiore, una conchiglia si distinguono

dall'ordinario disordine dell'insieme delle cose sensibili»

52

.

Oggetti quali i cristalli, i fiori e le conchiglie costituirebbero degli

oggetti misteriosi in relazione alla propria formazione rispetto a tutti

gli altri che ci stanno davanti agli occhi, ma non vengono presi in

considerazione dalla nostra attenzione. Questi oggetti sarebbero tanto

speciali perché in essi sarebbero fuse le idee «dell'ordine e di fantasia,

d'invenzione e di necessità, di legge e d'eccezione; nel loro apparire

vediamo la parvenza di un'intenzione e, contemporaneamente, di

un'azione che li avrebbe plasmati»

53

.

51 Ivi, pag. 23.

52 Si veda Paul Valéry, L'uomo e la conchiglia, in All'inizio era la favola. Scritti

sul mito, Milano, Guerini, 1988, pagg. 57-58, corsivo dell'autore.

53 Si veda Paul Valéry, L'uomo e la conchiglia, in All'inizio era la favola. Scritti

(45)

Possiamo notare che la ragione per quale quegli oggetti ci

incuriosiscono, riuscendo così a catturare la nostra attenzione e per la

quale ci poniamo il problema della loro formazione è il fatto che noi

presupponiamo che vi sia stata una loro costruzione intenzionale

54

.

La conchiglia che viene analizzata suscita in chi la osserva il fascino

di un ineffabile mistero, manifestato dal motivi geometrici dell'ellisse

e della spirale che si sviluppano e s'intrecciano tra loro. Tale disegno

nelle sue variazioni producono in chi, tra stupore e attrazione, le mette

sotto la lente d'ingrandimento dell'analisi e prendono vita in lui

«osservazioni e precisazioni del tutto esteriori, domande ingenue,

paragoni “poetici”, azzardate teorie allo stato nascente…»

55

poiché il

suo spirito percepisce in maniera assai vaga e aleatoria le risposte alle

questioni che le cose gli pongono innanzi.

La prima, fondamentale, questione relativa all'oggetto trovato riguarda

chi (o che cosa) ne sia stato l'autore. La conchiglia, nota Valéry, non si

presenta come qualcosa di informe, bensì come un oggetto nel quale

ogni singola parte ed ogni sua sfaccettatura manifestano la loro

inter-dipendenza e coerenza interna, al punto che dall'armonia tra i vari

elementi si può già dedurre, concepire e prevedere, a colpo d'occhio,

54 Ivi, pag. 58, corsivo dell'autore. 55 Ibidem.

(46)

la successione dello scenario geometrico che apparirà.

L'unità della conchiglia e la sua compiutezza fanno pensare che dietro

alla sua esistenza ci sia un disegno che ne abbia favorito l'esecuzione;

la sua forma così integra porta a pensare che via sia stata un'idea

separata dalla sua realizzazione.

La creazione di un'opera avviene sempre grazie ad una simile

dicotomia tra la progettazione e la sua conseguente messa in atto.

Nel momento in cui l'uomo si preoccupa della costruzione di una

qualunque cosa (sia essa l'edificazione di un'abitazione, la

fabbricazione di un vascello, la forgiatura di un utensile o di un'arma),

bisogna che prima venga creato un disegno che faccia di esso lo

strumento della sua oper-azione.

Un'idea deve riuscire a coordinare la volontà, le possibilità, gli

elementi sensibili e organizzare tutto ciò «in vista di un'azione

particolare ed esclusiva a partire da uno stato in cui era ancora

disponibile e libero da ogni intenzione»

56

.

Soltanto attraverso le intenzioni sarà possibile lasciare un segno reale

dell'effigie di un desiderio che figura nella mente.

(47)

2.3. L'Architettura come simbolo: la ragazza di Corinto e

l'armonia delle proporzioni

L'architettura, attraverso caratteristiche ad essa esterne, assegna un

significato alla materia: essa può esser considerata come un oggetto

che racchiude simboli, in quanto evocatrice di significati che

eccedono la mera cosa sensibile.

I vari tipi di architettura rappresentano altrettanti tipi di forme

spirituali che vengono materializzate attraverso una struttura

architettonica.

Secondo Fulvio Papi, nell' Eupalinos di Valéry, «l'architettura non è

mai veduta nella sua obiettività e per quello che è stato pensiero e

prassi architettonica»

57

, quanto «piuttosto una forma simbolica della

razionalità capace di portare la forza intellettuale della sintassi

matematica nella fluidità organica della materia, e in questo rapporto

costruire un monumento, “materia segnata” dalla ragione»

58

; ed è così

che, soltanto quando le leggi razionali della sintesi iniziano a plasmare

la mobile materia, si ottiene l'opera d'arte, nell'architettura come negli

altri ambiti.

57 Ibidem. 58 Ibidem.

(48)

L'architettura richiede la il connubio tra la presenza di una materia

vivente e del calcolo che appartiene all'apriori razionale.

Il linguaggio della costruzione appartiene al successo (più o meno

riuscito) di questa relazione.

L'architettura per Valéry emergerebbe quale «pratica esemplare di

un'intelligenza sistematica»

59

, capace di organizzare una molteplicità

di elementi in una sola costruzione che sublimi la relazione (non

sempre facile) tra il progetto dell'architetto e l'immensa varietà del

mondo naturale.

Attraverso l'architettura Eupalinos giunge alla creazione della fedele

riproduzione delle proporzioni di una fanciulla di Corinto che egli

amava un tempo nelle colonne di un tempio: attraverso lo spirito

geometrico egli traspone le proporzioni della sua amata per ottenere in

tal modo la sublimazione dei propri sentimenti.

La colonna corinzia che evoca il ricordo di una persona amata, rievoca

altresì l'eco di un momento di vita che viene così trasformato in arte:

la colonna inneggia alla bellezza, sul modello dell'ut pictura poesis.

L'architettura, così come la concepiva Valéry, è fatta di regole

armoniche che traspaiono dagli oggetti in maniera che parrebbe essere

(49)

però intrinseca alle cose stesse.

Lo spazio vissuto, lo spazio abitabile ed abitato è costituito da un

mélange di sogno e realtà, emozioni e sensazioni, regole e schemi,

oggettività e soggettività.

Nell'architettura, le azioni in atto sono simili a quelle di un'operazione

chirurgica, nella quale ogni atto ed ogni singolo gesto è finalizzato al

raggiungimento di un determinato risultato: l'armonia delle parti

all'interno di una struttura ben proporzionata.

La costruzione di Eupalinos deriva, come egli afferma nel dialogo

valéryano, da alcuni ricordi di vita vissuta: la sensibilità viene

incanalata in un ordine di tipo matematico.

Eupalinos costruisce per curare il proprio animo sofferente per le pene

d'amore.

(50)

2.4. Edifici muti, edifici che parlano, edifici che cantano

Il dialogo valéryano Eupalinos, l'architetto assurgerebbe a encomio

dell'Architettura, poiché ne tesse le lodi di arte più completa in

assoluto.

L'architettura, infatti, appare come un'arte che riesce a riunire

all'interno di un solo manufatto artistico qualità quali bellezza, solidità

e durata, ed è, inoltre, il risultato possibile di relazioni matematiche

capaci di tradurre nella loro forma astratta i problemi materiali che

qualsiasi costruzione incontra per la sua realizzazione.

Se è vero che la creazione artistica, relativamente ad un'opera

architettonica, scaturisce dalla relazione che intercorre tra la

dimensione corporale e quella spirituale, è solo all'interno del

Mondo-Ambiente che la sintesi tra le due dimensioni può esistere e

realizzarsi.

I tre poli tematici dell'architettura, vale a dire Desiderio, Intelligenza

e Ambiente, sono fattori fondamentali che necessitano di trovare un

equilibrio all'interno della struttura di un'opera, perché elementi

indispensabili di una medesima organizzazione, in inter-dipendenza

l'uno dagli altri.

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