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Intermedialità, storia, memoria e mito.Percorsi dell’arte contemporanea fra Germania e Polonia

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Academic year: 2021

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Direttore responsabile: Roberta Ascarelli

Comitato scientifico: Martin Baumeister (Roma), Luciano Canfora (Bari), Domeni­ co Conte (Napoli), Luca Crescenzi (Trento), Markus Engelhardt (Roma), Christian Fandrych (Leipzig), Marino Freschi (Roma), Jón Karl Helgason (Reykjavik), Giam­ piero Moretti (Napoli), Robert E. Norton (Notre Dame), Hans Rainer Sepp (Praha) Comitato di redazione: Fulvio Ferrari, Massimo Ferrari Zumbini, Marianne Hepp, Markus Ophälders, Michele Sisto

Redazione: Luisa Giannandrea, Bruno Berni, Massimiliano De Villa, Gianluca Pao­ lucci, Sabine Schild Vitale

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 162/2000 del 6 aprile 2000 Periodico semestrale

«Studi Germanici» è una rivista peer-reviewed di fascia A ­ ISSN 0039­2952 © Copyright Istituto Italiano di Studi Germanici

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Indice

Saggi

Cultura

11 Marco Battaglia

Zwischen germanischem Hochmittelalter und deutschem Humanismus: Das Wiederaufleben der antiquarischen Tradition im England des 16. Jahrhunderts

37 Mauro Masiero

La Capanna musicale delle zucche: un caso di fortuna e ricezione musicale della riforma metrica di Martin Opitz

57 David Matteini

L’Enthusiasmus di Adam Lux. Una riflessione sotto il segno della Spätaufklärung

95 Mario Bosincu

Walther Rathenaus sermo propheticus in der Zeit der Seelenvergessenheit

Letteratura

123 Barbara Sasse

Der humanistische Autordiskurs im Schnittfeld von

neulateinischer und volkssprachlicher Mittelalter-Rezeption: Die Barbarossa-Vita des Johannes Adelphus Muling

145 Luca Crescenzi

La metamorfosi della Sfinge nell’Edipo di Hofmannsthal

161 Gianluca Paolucci

Il romanzo come «stimolante della vita». Sulla ‘magia’ della Montagna magica di Thomas Mann

187 Marco Rispoli

«Fast ohne Kultur». Rainer Maria Rilke e la lettura

209 Marco Prandoni

«E quando venne il tempo dei confini…». Stefan George e il rapporto tra cultura olandese e tedesca nella (ri)costruzione di Albert Verwey

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6

indice

221 Matteo Zupancic

Schrecken vor Tod. Un’ipotesi di intertestualità tra

la Traumnovelle di Arthur Schnitzler e le Sieben Variationen di Heimito von Doderer

Linguistica

243 Beate Baumann

Soziokulturelle Theorien im Kontext von Deutsch als Fremdsprache

Ricerche

275 Elena Giovannini

Eine Reise zu zweit: Gustav Nicolais und des Flohs Jeaaaoui Schnellfahrt durch Italien

289 Pier Carlo Bontempelli

Ricognizione sullo stato della ricerca relativa a Max Koch

301 Andrea Camparsi

La biblioteca wagneriana di Max Koch agli albori della multimedialità. Un’introduzione

313 Natascia Barrale

Giuseppe Gabetti e la politica culturale fascista: l’intellettuale equilibrista

Progetti e sviluppi

345 Davide Bondì

Propaganda e sorveglianza degli intellettuali: Carlo Antoni a Villa Sciarra

357 Ester Saletta

La definizione di un canone della germanistica in Italia (1930-1955). Il ‘caso’ Borgese, tra tradizione e modernità, nel campo letterario di quegli anni

369 Marco Casu

Gehören: lingua, appartenenza, traduzione. Heidegger,

Wittgenstein, Nietzsche, Freud, Benjamin

403 Laura Quercioli Mincer

Intermedialità, storia, memoria e mito. Percorsi dell’arte contemporanea fra Germania e Polonia

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7

indice

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Osservatorio critico della germanistica

a cura di Fabrizio Cambi

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Abstracts

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Intermedialità, storia, memoria e mito.

Percorsi dell’arte contemporanea fra Germania

e Polonia

1

Laura Quercioli Mincer

Premesse

Negli ultimi decenni del XX e all’inizio del XXI secolo si è assistito a un aumento della produzione di opere nell’ambito della letteratura, delle arti visive e neomediali nelle quali la circolazione tra le pratiche creative assume un ruolo importante se non preponderante. Ibridazione,

interme-dialità, transmeinterme-dialità, multimeinterme-dialità, intersemiosi sono termini che ci

consentono di designare l’intrecciarsi di queste pratiche dove si moltipli-cano i prestiti dal cinema, dalla fotografia, dall’arte digitale, dalla video arte, ecc., anche se non è ancora consolidata una distinzione concettuale generalmente condivisa tra ognuna di queste nozioni. Nel campo artistico si riscontra un’apertura delle pratiche verso l’integrazione di media diver-si: romanzo-esposizione, letture/video/performance, arte concettuale, arti neomediali, ecc. L’arte tende a svilupparsi all’esterno dei luoghi deputati e istituzionali e le collaborazioni tra gli artisti che provengono da oriz-zonti culturali diversi si moltiplicano. In campo letterario il rapporto tra scrittura e immagine è la tematica più sviluppata e quella sulla quale si è maggiormente concentrata la riflessione teorica. Sono anche numerose le opere che affrontano tematiche trasversali e in campo assolutamente attuale e innovativo si situa anche la riflessione sulla letteratura ‘fuori’ dal testo ovvero tutte le forme di rappresentazione e performance che prendo-no spunto da testi scritti e che elaboraprendo-no trasposizioni di qualsiasi genere. multimediale, intermediale

A metà degli Sessanta, in un celebre saggio dell’artista anglo-america-no Dick Higgins per la prima volta appare il termine «intermedial»2. La

1 Ringrazio Elisa Bricco dell’Università di Genova per i suggerimenti e per avermi introdotto nel mondo dell’arte intermediale.

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teoria di Higgins, secondo Jakub Kornhauser, poeta e saggista, era con-densata in un’unica frase: «Much of the best work being produced today seems to fall between media»3. L’opera d’arte si trova dunque a situarsi,

a «cadere» fra diversi media; lo status dell’arte è all’interno, o nei punti di passaggio, fra differenti generi, fondamentalmente eterogenei. Secon-do lo studioso dell’Università di Łódź Konrad Chmielecki, le riflessioni di Higgins vertono sullo «interspazio mediale», «una sfera che oscilla fra differenti strati di senso e che, invece di erigere nuove stratificazioni di riferimenti e influssi, li mette in gioco»4. La premessa multimediale

di Higgins consente dunque di questionare «la necessità di considerare un’opera come rappresentativa di una qualsiasi direzione, tendenza, tec-niche o convenzione artistica»5.

L’opera intermediale può essere caratterizzata anche per il suo aspet-to altamente performativo; è quesaspet-to un elemenaspet-to che, in parte la diffe-renzia dall’opera multimediale, strettamente legata, questa, allo sviluppo tecnologico (video, computer). L’intermediale ha carattere «dispersivo», «disomogeneo» a paragone del multiforme collage offerto dall’opera multimediale. Altra caratteristica è quella dell’imprevedibilità dell’opera, derivante dal suo status performativo; si tratta in sostanza, sempre citan-do Kornhauser, di work-in-progress, privi di qualsiasi chiara classificazio-ne ontologica6.

All’interno di queste vaste premesse teoriche generali, è lecito diffe-renziare una serie di opere il cui carattere inter e multimediale è funziona-le alla narrazione storica e alla presa di responsabilità nei confronti del pas-sato nazionale. Polonia e Germania sono due paesi diversamente sconfitti, e quelli che, insieme al Giappone, hanno subito le maggiori devastazioni, materiali e morali, durante la Seconda guerra mondiale. In questi paesi, negli ultimi decenni, alcuni artisti hanno sviluppato modalità creative che, in maniera eccezionale, si rivelano capaci «di trascrivere la storia in ma-niera che si possa riferire all’esperienza delle persone che vivono oggi»7,

come asseriva Zygmunt Bauman a proposito delle opere dello sculture e artista intermediale Mirosław Bałka. Perché gli artisti (come pure i filoso-fi), devono essere in grado di «acchiappare in una rete il proprio tempo»8,

3 Jakub Kornhauser, Stanisława Dróżdża między w kontekście intermediów, in cor-so di pubblicazione in «Pl.It. Rassegna italiana di studi polacchi», numero monografico sull’arte inter e multimediale a cura di chi scrive e di Emiliano Ranocchi, 2018.

4 Konrad Chmielecki, Estetyka intermedialności, Rabid, Kraków 2008, pp. 28-29. Cit. da Jaakub Kornhauser, Stanisława Dróżdża między w kontekście intermediów, cit.

5 Ibidem. 6 Ibidem.

7 Bauman/Bałka, red. Katarzyna Bojarska, Narodowe Centrum Kultury, Warszawa 2012, p. 25

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il tempo in cui vivono. In Germania, Jochen Gerz, Horst Hoheisel, Rudolf Gerz, Stih&Schnock, Gunter Demnig e altri hanno creato, con la teoria e la pratica del contro-monumento, una sorta di vera e propria scuola di «rivisitazione dell’assenza». E a simili risultati etici e artistici assistiamo in Polonia, con le opere di Mirosław Bałka, Artur Żmijewski, Zbigniew Libera, Krystyna Piotrowska, Elżbieta Janicka e altri.

Uno dei luoghi deputati a simili confronti e scambi sono le mostre tematiche; a cominciare dalla celebre e innovatrice Mirroring Evil 9, dove

forse per la prima volta nel dopoguerra artisti polacchi venivano chia-mati a confrontarsi sul tema della memoria con artisti tedeschi, israeliani e di altre nazioni; o come, fra le molte, le recenti Vot ken you mach?, al Muzeum Współczesne di Wrocław (29 maggio 2015 – 31 agosto 2015) e

Polen-Israel-Deutschland. Die Erfahrung von Auschwitz heute, realizzato

al Mocak di Cracovia, sempre nel 2015. Anzitutto in queste, così come in altri «luoghi dell’arte» (memoriali, musei, ma anche iconotesti e video) si cercheranno le tracce di somiglianze e divari.

Se le vicende del recente passato hanno avuto in Germania e Polonia svolgimenti ed esiti violentemente contrastanti, l’elaborazione artistica degli ultimi anni, anche in virtù di frequenti scambi personali, sembra infatti condurre ad esiti stranamente simili; il peso della storia e della mitologia nazionale, il gravare claustrofobico di una memoria non ela-borabile, la riflessione infine sul luogo dell’individuo all’interno – o ai margini – della collettività nazionale e dei suoi rituali, la soggezione alle sue costrizioni, si propongono in forme che sembra utile poter analizzare in prospettiva comparatista.

Per quanto riguarda lo specifico tedesco (e osservazioni simili si po-trebbero ben adattare alla Polonia), le opere di questi autori contempo-ranei vanno a colmare e a problematizzare il grande spazio vuoto lasciato nel dopoguerra da una politica che tendeva, come scritto dalla storica dell’arte Violette Garnier, «a cancellare il passato abbandonando le im-magini che rischiavano di rifletterlo», con l’effetto che «ciò che resta-va della Germania era amnesico, privo di passato, spersonalizzato». Lo spazio dell’amnesia può e deve essere colmato di immagini significative che sfuggano al ‘totalitarismo’ del presente e che siano anche in grado di riportare alla superficie mitologie e paradigmi del passato nazionale. Si potrebbe assumere come uno dei motti delle forme artistiche che qui si intende indagare la frase di uno dei suoi massimi rappresentanti, Anselm Kiefer: «Senza memoria è impossibile avere un’identità. E l’identità risale molto più in là nel tempo dell’ora della nostra nascita»10.

9 Mirroring Evil. Nazi Imaginary / Recent Art, ed. by Norman L. Kleeblatt, Jewish Museum, New York 2002.

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ComParatistiCafra Germaniae Polonia

Gli studi di comparatistica interdisciplinare fra Germania e Polonia hanno conosciuto negli ultimi anni uno sviluppo che non è forse esage-rato definire clamoroso, in particolare grazie all’opera imponente, diretta da Hans Henning Hahn e Robert Traba, Deutsch-polnische

Erinnerungs-orte / Polsko-niemieckie miejsca pamięci. L’opera, in cinque volumi e con

la collaborazione di 130 autori, la cui pubblicazione è terminata nel lu-glio 2017, si presenta come «il primo tentativo di unire la ricerca sulle culture della memoria alla storia delle mutue relazioni fra i due popoli» o, come ne scrive nella sua recensione al primo volume Aleida Assman, «eine transnationale Beziehungsgeschichte, die sich nicht ins Globale verflüchtigt, sondern die schmerzhafte Grenze zwischen zwei Ländern in eine produktive Kontaktzone verwandelt»11. Di particolare interesse,

infatti, nell’impostazione dei volumi, è la decisione di modificare e am-plificare il concetto di lieux de mémoire così come concepito nella grande opera omonima apparsa sotto la direzione di Pierre Nora fra il 1984 e il 1992, evitandone la deriva di tipo nazionalistico e comunque gallo-centrico e collocandolo all’interno di un contesto ibrido, culturalmente complesso e ricco di reciproche relazioni ed influssi12.

Le opere di artisti polacchi e tedeschi possono anche, forse, venir de-finite come Erinnerungsorte (o metafore) di una coscienza transazionale polacco-tedesca, o forse generalmente centro-europea.

Es besteht kein Zweifel – leggiamo nell’introduzione a

Deutsch-polni-sche Erinnerungsorte – dass es sich bei dem Begriff Erinnerungsort um

eine Metapher handelt, denn er steht nicht allein für topographisch de-finierbare Orte, sondern für viel mehr; Etienne François und Hagen Schulze drückten es so aus: «Wovon Erinnerungsorte (nicht) erzäh-len […]. Dergleichen Erinnerungsorte können ebenso materieller wie immaterieller Natur sein, zu ihnen gehören etwa reale wie mythische Gestalten und Ereignisse, Gebäude und Denkmäler, Institutionen und Begriffe, Bücher und Kunstwerke – im heutigen Sprachgebrauch ließe sich von ‘Ikonen’ sprechen. [...] Wir verstehen also ‘Ort’ als Metapher, als Topos im buchstäblichen Wortsinn»13.

il Centre Pompidou, Anselm Kiefer, l’alchimie du livre, Editions du Regard, Paris 2015. 11 <https://www.schoeningh.de/katalog/titel/978-3-506-77338-8.html> (ultimo ac-cesso: 1 settembre 2018).

12 Cfr. ad es. Hans Henning Hahn – Robert Traba, Wovon die deutsch-polnischen

Er-innerungsorte (nicht) erzählen, in Deutsch-Polnische ErEr-innerungsorte, hrsg. v. Hans

Hen-ning Hahn – Robert Traba, unter Mitarbeit v. Maciej Górny – Kornelia Kończal, Band I:

Geteilt / Gemeinsam, Schöningh, Padeborn 2015, pp. 11-50, qui p. 11.

13 Ivi, p. 17. Al riguardo vedi ad es il recente volume Polskie mejsca pamięci (Luoghi

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Postmemory

In un’importante intervista Jochen Gerz, ovvero colui che, con la moglie, l’israeliana Esther Shalev, può essere definito l’inventore del con-tro-monumento14, disegna la silhouette psicologica ed etica di questa

ge-nerazione di artisti:

il fattore più importante della mia vita – ha detto – , rimane la guerra che non ho combattuto. Questo spiega l’importanza del concetto di assenza nella mia vita e nel mio lavoro… Io stesso da piccolo non ho vissuto ‘niente’, e anche questo appartiene alla memoria. All’inizio pensai che questo fosse capitato solo a me. Più tardi compresi che questo niente, in quanto assenza, era stato vissuto non soltanto dalle persone della mia età, ma anche da coloro che, pur non essendo bambini, non sapevano nulla oppure non potevano o non volevano sapere. Non si tratta soltan-to di cittadini tedeschi, ma anche di quelli dei paesi occupati che vide-ro o ebbevide-ro anche solo il sentore della scomparsa dei lovide-ro vicini. Che cos’era questo ‘niente’? La mia esperienza personale venne inghiottita da ciò che venni a sapere quando era tutto finito, ed era troppo tardi. L’infanzia. La mia vita. Scomparve. Fu allora che cominciò la lenta rico-struzione dell’‘io’ frantumato15.

Gli artisti tedeschi e polacchi a cui la mia ricerca fa riferimento, sono dei Born Afterwards, o Nachgeborene, ovvero coloro che appartengono a quella che Marianne Hirsch ha definito, in alcuni testi ormai canonici16,

indicati sono esclusivamente persone ed eventi, dalla Costituzione del 3 maggio, all’a-gosto del 1980 a Jacek Kuroń. Il sottotitolo dell’opera è Storia del topos della libertà. Benché si trovino studi riguardanti corrispondenze tedesco polacche in prospettiva de-scrittivo-comparatistica per quanto riguarda monumenti e architettura (ad es. Visuelle

Erinnerungskulturen und Geschichtskonstruktionen in Deutschland und Polen seit 1939,

hrsg. v. Dieter Bingen – Peter Oliver Loew – Dietmar Popp, Instytut Sztuki PAN, Wars-zawa 2008, o la mostra del 2011, Das architektonische Erbe des Sozialismus in Berlin und

Warschau, esposta a Berlino e a Varsavia) o la preservazione (o meno) delle rovine e degli

spazi ebraici (vedi ad es. Michael Meng, Shattered Spaces: Encountering Jewish Ruins in

Postwar Germany and Poland, Harvard UP, Cambridge, MA, 2011) non esistono al mo -mento – a mia conoscenza – studi analoghi riferiti ai prodotti dell’arte contemporanea: visiva, performativa, multi e intermediale.

14 Con la mostra EXIT – Materialen zum Dachau Projekt a Bochum nell’ormai lon-tano 1972. James E. Young è colui che, più di tutti, ha contribuito alla diffusione e alla fama dei contro-monumenti. Cfr. ad es. James E. Young, At Memory’s Edge.

After-Im-ages of the Holocaust in Contemporary Art and Architecture, Yale University Press, New

Haven-London 2000.

15 Jochen Gerz in Alexander Pühringer (intervista), Das Mahnmal bist du selbst, in «Untitled. The State of the Art», 3, Spring 2012, pp. 114-125, qui 120-121, cit. da Ada-chiara Zevi, Monumenti per difetto. Dalle Fosse Ardeatine alle pietre d’inciampo, Donzelli, Roma 2014, ed. Kindle, pos. 134-1344.

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la Generation of Postmemory, la cui memoria è ‘ereditata’, in maniera diretta o indiretta, da coloro che sono venuti ‘prima’. Come nota Joan Gibbons in Contemporary Art and Memory, «while counter-history and counter-memory provide ideological and political alternatives to previ-ous historicisations of the past, postmemory is the inheritance of past events or experiences that are still being worked through»17.

Quello che ci si può attendere dunque dalla generazione della

post-memory non è una narrazione completa o sublime (forse impossibile o

addirittura grottesca in casi come quello della Shoà), ma il desiderio di non lasciare inaridire la memoria storica e privata e il tentativo di rico-struire un’immagine dell’infranto che non ne riproponga una versione miracolosamente ricomposta, ma che riesca a parlare, e a farsi udire, dal tempo presente. Citando ancora Gibbons (che chiosa Hirsch), la

post-memory può in sostanza essere accessibile a chiunque abbia voglia di

farsene carico, senza limitazioni etniche, religiose o esperienziali:

Although Hirsch initially speaks of postmemory in terms of her own experience of inheriting her parents’ stories of exile and loss, later she moves into a broader characterisation of postmemory as separate from the primary event or experience, but based equally on the need to (re) build and mourn18.

In questa formulazione possiamo trovare risposta alla temibile do-manda posta all’ingresso della citata mostra newyorkese Mirroring Evil, una domanda resa tanto più attuale dalle recenti diatribe sulla Cultural Appropriation19, e a cui tanto più urge una risposta : «Who can speak for

the Holocaust?».

memory, Harvard University Press, Cambridge-London 1997, o The Generation of Post-memory. Writing and Visual Culture After the Holocaust, Columbia University Press, New

York 2012.

17 Joan Gibbons, Contemporary Art and Memory. Images of Recollection and

Remem-brance, I.B. Tauris, London-New York 2007, p. 73, corsivo mio.

18 Ivi, p. 76.

19 Ovvero la teoria, diffusa principalmente in area statunitense, in base alla quale, in sostanza, solo i rappresentanti etnici dei gruppi che hanno subito degli abusi, ovvero coloro che lo hanno subito in maniera diretta, sono autorizzati a raffigurali Su questo ar-gomento spinoso cfr. ad es. James O. Young, Cultural Appropriation and the Arts, Black-well, Oxford 2008.

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