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L'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE): analisi critica della normativa pre e post riforma.

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Academic year: 2021

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INDICE

GLOSSARIO………... 3

INTRODUZIONE: ABSTRACT……… 6

CAPITOLO 1: LE BASI NORMATIVE……… 8

1.1 INTRODUZIONE ALL’EVOLUZIONE STORICO NORMATIVA DEL DIRITTO DI ASSISTENZA……… 8

1.2 ILEP: LIVELLI ESSENZIALI NELLE PRESTAZIONI………. 22

1.3 LE PRINCIPALI FONTI NORMATIVE PRE-RIFORMA……… 41

CAPITOLO 2: L’ISEE……… 68

2.1 RICORSI E SENTENZE: UNA SPINTA ALLA RIFORMA ………... 68

2.2 IL NUOVO ISEE: ANALISI DEL DPCMN.159/2013………... 86

2.2.1 Cronoprogramma della riforma... 86

2.2.2 Definizioni e calcolo……….. 88

2.2.3 Nucleo familiare………... 91

2.2.4 “ISR”: indicatore della situazione reddituale; “ISP”: indicatore della situazione patrimoniale e “SE”: scala di equivalenza……….. 96

2.2.5 Le tipologie di ISEE………... 102

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CAPITOLO 3: PROBLEMATICHE E CRITICITA’………. 111

3.1 L’AUTODICHIARAZIONE E I CONTROLLI: DALLE CONVENZIONI AL PROBLEMA

DELLE FALSE AUTOCERTIFICAZIONI………... 111

3.2 NUOVO ISEE: TUTTO, O QUASI, DA RIFARE... 125

CONCLUSIONI………...……… 141 BIBLIOGRAFIA……….. SITOGRAFIA……….. SENTENZE………... 146 147 162

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GLOSSARIO

Per una migliore comprensione dei temi trattati valgono le seguenti definizioni:

1) «ISEE»: Indicatore della Situazione Economica Equivalente. È lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di chi richiede prestazioni sociali agevolate o l‟accesso a condizioni agevolate ai servizi di pubblica utilità. È ottenuto dal rapporto tra l‟indicatore della situazione economica (ISE) e il parametro desunto dalla Scala di Equivalenza (SE).

2) «ISE»: Indicatore della Situazione Economica. È il valore assoluto dato dalla somma dei redditi e da una quota del patrimonio mobiliare e immobiliare (20%).

3) «Scala di equivalenza»: divisa in numero di componenti e parametri, misura le condizioni sociali del nucleo.

4) «Prestazioni sociali»: si intendono, ai sensi dell'articolo 128, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nonché dell'articolo 1, comma 2, della legge 8 novembre 2000, n. 328, tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.

5) «Prestazioni sociali agevolate»: prestazioni sociali non destinate alla generalità dei soggetti, ma limitate a coloro in possesso di particolari requisiti di natura economica, ovvero prestazioni sociali non limitate dal possesso di tali requisiti, ma comunque collegate nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche, fermo restando il diritto ad usufruire delle prestazioni e dei servizi assicurati a tutti dalla Costituzione e dalle altre disposizioni vigenti.

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4 6) «Prestazioni agevolate di natura sociosanitaria»: prestazioni sociali agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria rivolte a persone con disabilità e limitazioni dell'autonomia, ovvero interventi in favore di tali soggetti:

a) di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio;

b) di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali, incluse le prestazioni strumentali ed accessorie alla loro fruizione, rivolte a persone non assistibili a domicilio;

c) atti a favorire l'inserimento sociale, inclusi gli interventi di natura economica o di buoni spendibili per l'acquisto di servizi.

7) «Prestazioni agevolate rivolte a minorenni»: prestazioni sociali agevolate rivolte a beneficiari minorenni, ovvero motivate dalla presenza nel nucleo familiare di componenti minorenni.

8) «Richiedente»: il soggetto che, essendone titolato sulla base della disciplina vigente, effettua la richiesta della prestazione sociale agevolata.

9) «Beneficiario»: il soggetto al quale è rivolta la prestazione sociale agevolata.

10) «Persone con disabilità media, grave o non autosufficienti»: persone per le quali sia stata accertata una delle condizioni descritte nella tabella dell'allegato 3, parte integrante del decreto n. 159/2013.

11) «Ente erogatore»: ente competente alla disciplina dell'erogazione della prestazione sociale agevolata.

12) «DSU»: dichiarazione sostitutiva unica, è la dichiarazione necessaria per calcolare ai fini dell‟accesso alle prestazioni sociali agevolate. Raccoglie informazioni sul nucleo familiare e su tutti i suoi componenti, si compone di

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5 diversi moduli e quadri da compilare a seconda delle caratteristiche del nucleo e del tipo di prestazione che si intende richiedere.

13) «Dichiarante»: il soggetto, richiedente ovvero appartenente al nucleo familiare del richiedente, che sottoscrive la DSU.

14) «LEA»: i Livelli Essenziali di Assistenza sono le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione, con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale.

15) «LEP»: i Livelli Essenziali delle Prestazioni sono indicatori riferiti al godimento dei diritti civili e sociali che devono essere determinati e garantiti, sul territorio nazionale, con la funzione di tutelare l‟unità economica e la coesione sociale della Repubblica, rimuovere gli squilibri economici e sociali, fornire indicazioni programmatiche cui le Regioni e gli enti locali devono attenersi, nella redazione dei loro bilanci e nello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

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INTRODU ZIONE

La tesi analizza l'indicatore della situazione economica equivalente, più comunemente conosciuto con il suo acronimo: ISEE. Tale strumento nasce alla fine degli anni 90” ma ha radici più profonde, che passano dal riconoscimento del diritto all‟assistenza sociale come diritto di tutti i cittadini, al mutamento della prospettiva politica e della qualificazione giuridica delle prestazioni assistenziali, con lo scopo di apportare maggiore equità sociale. Con il passare degli anni ha subito una significativa evoluzione sia strutturale che contenutistica, con un ampliamento dei suoi campi di applicazione.

Oggetto dell‟ISEE sono le prestazioni, dall‟elaborato emerge la necessità di definire puntualmente i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e di conseguenza i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni). Ne consegue che l‟ISEE è una “porta” di accesso a determinate prestazioni, mentre la mancata elencazione dei LEP ha condotto a notevoli differenze a livello di legislazione regionale. Si deduce che qualsiasi modifica alla normativa ISEE deve necessariamente passare attraverso il coinvolgimento delle Regioni e delle associazioni di settore.

L‟elaborato prosegue analizzando le principali fonti normative antecedenti l‟attuale riforma, con particolare riguardo al D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 109, fulcro e chiave della normativa. Tale atto introduce per la prima volta l‟accertamento delle condizioni economiche del richiedente per l‟accesso alle prestazioni sociali.

Sono analizzati gli atti normativi che hanno apportato successive modificazioni (D.P.C.M. 7 Maggio 1999, n. 221, D. Lgs. 3 maggio 2000, n. 130 e la Legge quadro 8 novembre 2000, n. 328).

Al complesso panorama normativo sull‟ISEE, si affiancano alcune sentenze che hanno ricoperto una ruolo importante ai fini della riforma. In particolare vengono esaminate 2 sentenze della Corte Costituzionale (19 dicembre 2012, n. 296 e 19 dicembre 2012, n. 297) e 2 sentenze del TAR Lombardia, sezione staccata di Brescia (13 marzo 2013, n. 291 e 23 aprile 2013 n. 432) che trattano la tematica

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7 della compartecipazione al costo delle prestazioni da parte dell‟utente-cittadino ponendo in evidenza diverse criticità e auspicando una riforma di tale strumento. L‟iter burocratico-legislativo che ha portato alla luce il nuovo ISEE è stato lungo e in alcuni momenti tortuoso, sono occorsi anni per l‟entrata in vigore, che alla base ha di fatto mantenuto il preesistente ambito di applicazione. Il DPCM 5 dicembre 2013, n. 159 introducendo il nuovo ISEE e abrogato la normativa preesistente, le novità sono state molte in tutti i settori: dal nucleo familiare, agli indicatori delle situazioni reddituali e patrimoniali (ISR e ISP), all‟introduzione di diverse tipologie di ISEE fino alla modifica della dichiarazione sostitutiva unica (DSU).

L‟ultima parte della tesi è dedicata al rafforzamento dei controlli, al sistema informativo sull‟ISEE e all‟autodichiarazione. Il problema delle false autocertificazioni è in Italia un fenomeno molto diffuso; non corretta autodichiarazione, occultamento del patrimonio mobiliare ed evasione contribuiscono a fornire una situazione del paese non veritiera, distorcendo lo scopo per cui è nato questo strumento; l‟equità.

L‟elaborato si chiude con l‟analisi di quella che si potrebbe definire la prima battuta d‟arresto, il TAR Lazio con la sentenza 11 febbraio 2015, n. 2458 ha decretato l‟annullamento, previa sospensione del DPCM 5 dicembre 2013, n. 159 gettando letteralmente nel caos la già complessa situazione dettata anche dalla tardiva convenzione stipulata tra CAF e INPS.

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CAPITOLO 1: LE BASI NORMATIVE

1.1 IN T R OD U ZIO N E A LL‟E V O LU Z IO N E S T O R IC O N OR MA T IV A D E L D IR IT T O D I A S S IS T E N Z A

Nel corso della storia il riconoscimento del diritto all‟assistenza sociale come diritto di tutti i cittadini è una conquista recente nel nostro ordinamento giuridico. Il senso di solidarietà umana che spinge gli uomini ad aiutare i propri simili in difficoltà, anche stabilendo delle norme apposite nei sistemi giuridici che governano le società umane è, però, una costante di tutte le civiltà fondate sul rispetto della dignità della persona umana fin da tempi storici passati. Nell‟ordinamento giuridico italiano riscontriamo una elaborazione per gradi del diritto all‟assistenza sociale corrispondente al grado di conquiste giuridiche e sociali che hanno caratterizzato i diversi periodi della storia del nostro paese, dall‟unità d‟Italia ai giorni nostri. Ripercorrendo a grandi linee le tappe storiche è possibile notare che già nell‟Italia pre-unitaria le forme di sostegno a favore delle persone disagiate venivano “elargite” principalmente da due soggetti: soggetti privati (ceti più ricchi nei confronti dei più poveri) e dalla chiesa, che, in ossequio alla dottrina professata dal cristianesimo, vedeva riflessa nell‟individuo povero, nei bisognosi in genere, l‟immagine del Cristo quindi, nell‟aiuto al prossimo in difficoltà uno strumento privilegiato di redenzione dal peccato.1

Con il passare degli anni avvenne un mutamento della prospettiva politica e della qualificazione giuridica delle prestazioni assistenziali; si cominciò a non considerarle più solo mere attività di beneficenza elargite discrezionalmente, casualmente e sporadicamente da singoli benefattori bensì il prodotto di una politica pubblica finanziata dai tributi imposti ai ceti più abbienti per renderli

1 Cfr. F. Alvaro e M. Rebonato, Farsi carico. Prendersi cura , Armando Editore, 2007, pag. 107 in

http://books.google.it/books?id=ZkphzKkH5LkC&pg=PA109&lpg=PA109&dq=legge+3+agosto+1862+n.+

753+rattazzi&source=bl&ots=M5MyUMVTX4&sig=gC2dhv1tw-

uGzmv7NWHWYsCD28I&hl=it&sa=X&ei=qGfvU-CNLIWi0QW-mYDACg&ved=0CDcQ6AEwAw#v=onepage&q=legge%203%20agosto%201862%20n.%20753%20rattazzi &f=false.

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9 partecipi e responsabili in maniera attiva dei bisogni dei ceti più poveri, quindi, della società nel suo complesso e delle sorti dell‟intera comunità.2 Nacquero così il principio pubblico di solidarietà, la concezione unitaria della società e la qualificazione delle politiche assistenziali come politiche pubbliche. Nello stato pre-unitario qualsiasi considerazione deve tenere presente alcune condizioni: la frammentazione territoriale e politica della penisola, il ritardo con cui arrivarono in Italia i mutamenti economico-sociali indotti dall‟industrializzazione e dal conseguente mutamento della struttura sociale e la forte influenza della Chiesa cattolica nel monopolio delle attività di assistenza ai bisognosi, freno al recepimento delle politiche sociali nell‟alveo degli strumenti di intervento dello Stato per l‟attuazione di un moderno modello di società. Le attività di assistenza sociale che a lungo rimasero prerogativa della chiesa cattolica, erogate tramite vari enti religiosi erano solo in parte mitigate dall‟attività del legislatore, ne sono esempi: la Legge 23 marzo 1855 che sopprimeva gli organi ecclesiastici non impegnati in alcuna attività di divulgazione religiosa, didattico-educativa ed assistenziale in favore degli indigenti e degli ammalati e la “Legge Siccardi”3 del 1850 che limitò la capacità delle istituzioni religiose di acquisire beni al proprio patrimonio, sia mediante atti di acquisto, atti di donazione, o per testamento.

Nello Stato unitario la legislazione molto frammentaria indusse il legislatore a predisporre una riforma del settore dell‟assistenza pubblica. In ordine cronologico nella normativa importante da analizzare troviamo: Legge 3 agosto 1862, n. 753 (Legge Rattazzi) che impose il rispetto di alcuni vincoli statali nell‟amministrazione delle opere pie4

, Legge n. 6972 del 17 luglio 1890 denominata “Legge Crispi”, essa prevedeva: consistente esproprio dei beni ecclesiastici, qualificazione degli enti di assistenza benefica come enti pubblici, costituzione delle “Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza” (IPAB) e controllo sui bilanci e sulle attività finanziarie in genere degli enti religiosi. La

2 Cfr. A. Vittoria, Il welfare oltre lo stato: profili di storia dello stato sociale in Italia, tra istituzioni e

democrazia, G Giappichelli Editore, 2012, Cap. 2, pag. 26-30.

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Legge 5 febbraio 1850 n. 1037 il contenuto in http://www.sapere.it/enciclopedia/Siccardi,+leggi-.html.

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ratio normativa della c.d. “Riforma Crispi” si fondava quindi su una nuova

qualificazione socio-politica dell‟assistenza sociale (settore destinato a perseguire finalità pubbliche), forte ideologia laica e volontà di radicale reimpostazione del sistema assistenziale.5

Successivamente troviamo poi la Legge 18 luglio 1904 n. 390 denominata “Legge Giolitti” che, nel tentativo di colmare le lacune della normativa precedente (essa lasciava in piedi la natura privata di alcuni istituti di beneficenza), stabilì: strumenti di intervento diretto dello Stato nel sistema assistenziale, limiti al carattere privato della gestione degli istituti di beneficenza e soprattutto il dovere della società civile di prestare soccorso al povero bisognoso (nasceva così il presupposto logico-giuridico per la maturazione di una coscienza del diritto all‟assistenza sociale). Furono così istituite: Commissioni provinciali che avevano il compito di coordinare le attività assistenziali sul territorio di competenza delle Province e il Consiglio superiore preposto allo studio dei problemi sociali del territorio nazionale.6

Nel periodo fascista l‟assistenza era garantita da un sistema fortemente accentrato facente capo all‟amministrazione dello Stato. Le istituzioni preposte alla gestione ed erogazione dei servizi di assistenza ai bisognosi erano sostanzialmente 3: 1) La pubblica amministrazione statale divisa tra; il Ministero di Grazia e Giustizia che si occupava delle famiglie dei carcerati, dei minori disadattati, degli ammalati psichici e il Ministero degli Interni e del Lavoro a cui competeva l‟assistenza degli orfani, dei caduti del lavoro, dei ciechi, dei sordomuti e di altre categorie disagiate. 2) Vari enti pubblici preposti all‟assistenza di particolari categorie e/o gli enti locali, secondo le competenze attribuite dalla legge. 3) Gli enti ecclesiastici cattolici, secondo la disciplina

5 Cfr. F. Delle Peruta, F. Crispi, Costruire lo Stato per dare forma alla Nazione, le riforme crispine, Riforma

sanitaria e riforma delle Opere Pie, pag. 273-279 in

http://www.archivi.beniculturali.it/dga/uploads/documents/Saggi/Saggi_93_bis.pdf.

6 Cfr. M. Minesso, Welfare e minori. L'Italia nel contesto europeo del Novecento, Franco Angeli editore,

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11 prevista dal Concordato fra Stato e Chiesa Cattolica del 1929 (Patti Lateranensi). In sostanza con il regime fascista per la prima volta l‟assistenza sociale entra a pieno titolo a far parte delle politiche pubbliche italiane. La politica assistenziale, insieme a quella sanitaria e previdenziale viene strutturata a livello nazionale. Elemento chiave del periodo è la creazione di una molteplicità di enti nazionali monotematici. Questi enti, si occupavano ognuno di una particolare categoria di utenti, il che diede vita ad un complesso sistema di organismi parastatali con competenze frantumate, gestiti settorialmente dai poteri statali.

Consolidato il suo potere, il regime fascista fece degli interventi assistenziali una prerogativa quasi esclusiva del potere pubblico statale a scapito delle istituzioni ecclesiastiche e private. L‟attività assistenziale divenne così uno strumento di controllo sociale e soprattutto di propaganda del regime. L‟emanazione di nuove leggi quali: la Carta del lavoro, la normativa sulla maternità e sull‟infanzia, il T.U.LL.SS. (testo unico leggi sanitarie) R.D. n. 1265 del 27 luglio 1934 erano principalmente dettate da una esigenza di forte controllo sociale e consolidamento dei consensi popolari, ed in particolare dei ceti più deboli, nei confronti del regime. La proliferazione ed il moltiplicarsi degli enti dediti all‟assistenza sociale come conseguenze negative determinò: frammentarietà e sovrapposizione degli interventi, disuguaglianza delle prestazioni e dei servizi fra categorie e un forte aumento della spesa pubblica portando ad una sostanziale inefficienza del sistema.7 Frammentarietà e disorganicità della materia richiesero un necessario riordino, anche in considerazione del differente ed unitario sistema attuato in materia di pensioni: si arrivò, quindi, nel 1943 alla istituzione dell‟Ente Mutualità (Istituto per assistenza di malattia ai lavoratori)8 che, nei propositi

7 Cfr. E. Jorio, Diritto della sanità e dell'assistenza sociale, Maggiori Editore ,Cap. 8, pag. 184-185 in

http://books.google.it/books?id=KT0wAQAAQBAJ&pg=PA184&dq=periodo+fascista+assistenza+sociale &hl=it&sa=X&ei=rv4fVOyBBofnygP8j4LoBg&ved=0CEAQ6AEwBA#v=onepage&q=periodo%20fascista%2 0assistenza%20sociale&f=false.

8 La Legge 138 del 11 gennaio 1943 definì l’Ente come «l’organo mediante il quale le organizza-zioni

sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori assolvono i compiti denunciati dalle dichiarazioni XXVII e XXVIII della Carta del lavoro, per quanto concerne l’assistenza dei lavoratori e dei loro familiari in caso di malattie». Cherubini - Piva, Dalla libertà all’obbligo, cit., p. 431. Cfr. L. Barassi, I soggetti del rapporto giuridico assicurativo, in Diritto del lavoro e assicurazioni sociali, II, 1930; P. Serra, Previdenza fascista

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12 della Legge 138/43 avrebbe dovuto condurre alla completa unificazione degli istituti di assistenza malattia, ma che di fatto non riuscì a realizzare tale intento.9 Con l‟avvento della Costituzione repubblicana le politiche assistenziali vennero ideologicamente reimpostate su fini e criteri diversi, coerenti con i Principi Fondamentali del nuovo ordine costituzionale democratico. L‟Art. 38 Cost. afferma: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera.” E‟ possibile affermare che: “L'assistenza sociale si concretizza in una serie di provvidenze in favore di tutti i cittadini che dispongono di redditi inferiori ad un limite prefissato e che, a causa dell'età avanzata o delle condizioni psico-fisiche, possono essere considerati inabili al lavoro. Tale tutela viene attuata soprattutto attraverso prestazioni periodiche di tipo pensionistico (ad esempio l'assegno sociale, le pensioni ai cittadini mutilati ed invalidi civili, ecc.) volte a garantire “il bisogno minimo vitale” e a totale carico della Repubblica; essa, pertanto, può essere considerata come l'espressione più diretta della solidarietà collettiva. Tale disposizione trova puntuale e articolata corrispondenza nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea all'art. 34, intitolato alla sicurezza e assistenza sociale.”10

In Costituzione si riconosce concretamente il diritto all‟assistenza a tutti i cittadini coerentemente con il principio personalista, principio di uguaglianza sostanziale e formale e principio solidarista. “L‟art. 38 Cost. ha superato le

nel campo del lavoro. L’unificazione dei contributi e l’assicurazione obbligatoria per conduttori di aziende, in Gerarchia, 3, 1939.

9 L’insuccesso della unificazione fu probabilmente dovuto al fatto che si trattò di una riforma che scrive

N. Bonfanti, Dalle Mutue di soccorso all’Ente Mutualità, in Rivista del lavoro, 7-8, 1943 - «imbastita in fretta, raffazzonata alla meglio, con sostanziali riferimenti ad organi ai limiti della rovina» alla vigilia di una guerra.

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13 concezioni mutualistiche, espressione nel passato di un rapporto limitato alla cerchia dei soli lavoratori, per introdurre nell'ordinamento costituzionale una concezione più ampia della sicurezza sociale, quale compito della collettività diretto alla liberazione dal bisogno di tutti i cittadini. Ciò ha pienamente inteso la Corte, la quale ha proceduto ad ampie aperture verso un ulteriore, effettivo progresso dello Stato sociale.”11

Il concepire l‟assistenza come diritto implica, almeno in prospettiva, che l‟organizzazione della prestazione assistenziale non sia limitata dalla discrezionalità amministrativa degli enti erogatori, ma si basi su un sistema di protezione e di sostegno certo e continuo.12 Parte della dottrina riconosce ai cittadini, quando si trovino nelle condizioni previste dall‟art. 38 Cost., comma 1, una posizione di diritto soggettivo all‟assistenza.13 Senza ombra di dubbio il livello costituzionale afferma la garanzia del diritto di ogni cittadino all‟assistenza sociale, ovvero, del diritto ad usufruire di tutte quelle prestazioni e servizi pubblici finalizzati al soddisfacimento dei bisogni più urgenti dei soggetti disagiati o in difficoltà, orientate, inoltre, a recuperare il soggetto alla vita attiva, eliminando o riducendo le cause di disagio e/o dipendenza, e non solo finalizzato a garantire misure meramente assistenziali di momentaneo sollievo dal bisogno. Questo determinò la fine dell‟era dell‟assistenza concepita come la riparazione di una necessità assistenziale, come il mezzo per garantire un livello minimo di reddito, bensì diventò uno strumento volto ad eliminare e a prevenire tutte quelle situazioni di disagio che ostacolavano il soddisfacimento dei bisogni fisici, psicologici e vitali degli individui, nonché il loro sviluppo intellettuale e produttivo quali persone umane. L‟art. 38 della Costituzione sancisce infatti una nuova concezione del rapporto intercorrente tra Stato e cittadino, adattandosi ai parametri ideologici del moderno Stato sociale di diritto.

Il riferimento è all‟art. 3 comma 2 Cost.:“ È compito della Repubblica garantire a tutti i cittadini condizioni di uguaglianza nella fruizione dei diritti fondamentali e

11 Cit. F. Saja, La giustizia costituzionale nel 1988, La sicurezza sociale, Palazzo della Consulta, 7 febbraio

1989, in http://www.cortecostituzionale.it/ActionPagina_1059.do.

12 Cfr. C. Cardia, Assistenza e beneficenza (Diritto amministrativo), in Enciclopedia Giuridica G. Treccani,

Roma, 1988, 4.

13

Cfr. Sull’assistenza di diritto: M. S. Giannini, Profili costituzionali della protezione sociale delle

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14 della dignità personale e sociale al fine di correggere quegli squilibri socio-economici non altrimenti rimediabili “. Inoltre l‟art. 38 Cost. apporta anche una nuova concezione solidarista e pluralista dello Stato, in attuazione del principio di sussidiarietà sociale, ovvero il riconoscimento della libertà di tutte le organizzazioni private, svolgenti funzioni coerenti con il principio di solidarietà e di eguaglianza previsti nella Carta fondamentale, di poter contribuire all‟offerta dei servizi sociali, con la conseguente possibilità per i soggetti “deboli” di usufruire di un‟offerta di prestazioni ampia e differenziata.14

Tralasciando gli sviluppi avvenuti negli anni 50-60, su cui meriterebbe un preciso approfondimento, non affrontabile in questa sede, avendo già trattato il tema dell‟evoluzione del processo assistenziale nei termini sufficienti a far comprendere la natura, sostanzialmente complessa, che porterà alla nascita dello strumento ISEE, andrei ora ad analizzare brevemente la situazione negli anni 70. La dottrina e la giurisprudenza costituzionale dell‟epoca dibattevano sulla sostanziale equivalenza o meno fra i concetti di “assistenza sociale” e “beneficenza pubblica” intese come 2 dimensioni dello stesso oggetto, ovvero materie costituenti un “insieme necessario”, ciò fondava l‟estensione alle Regioni, già espressamente investite dalla competenza normativa in materia di beneficenza pubblica (ai sensi dell‟ex art. 117 Cost.15) anche della competenza in materia d‟assistenza sociale. Si poneva allora il problema di chiarire quale rapporto intercorresse tra l‟assistenza sociale prevista dall‟art. 38 Cost. e la beneficenza pubblica inserita dall‟art. 117 Cost., cioè fra le materie di competenza regionale e statale, non solamente per operare una distinzione o stabilire la coincidenza lessicale tra le due espressioni, ma soprattutto ai fini della ripartizione delle competenze concrete tra Stato e Regione. Nel caso di equivalenza tra i due termini si avrebbe competenza pressoché totale delle Regioni in materia assistenziale, con inclusione di tutte le forme di assistenza sociale, comprese quelle dell‟art. 38 Cost., commi 1 e 3, in osservanza dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato e salvi i casi in cui altre

14

Cfr. A. Albanese, Diritto all’assistenza e servizi sociali: intervento pubblico e attività dei privati, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 76-84.

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15 norme costituzionali prevedano che intervenga lo Stato in luogo delle Regioni. Viceversa alle Regioni sarebbe attribuita un‟assistenza di tipo “discrezionale”, nell‟ipotesi più limitativa, oppure l‟assistenza dovuta, che residua da quella indicata nell‟art. 38 Cost.

Le interpretazioni dottrinali sulla differenza interpretative che intercorrono tra assistenza sociale (art. 38 Cost., commi 1 e 3) e beneficenza pubblica (art. 117 Cost.) sono state diverse e talvolta contrapposte. Alcuni autori16 si sono espressi per il superamento della differenziazione tra le due forme assistenziali e quindi per l‟attribuzione della competenza generale alle Regioni; altri, invece, propendono per la separazione dei concetti, da un lato l‟assistenza sociale, in ordine alla quale gli aventi titolo vantano una pretesa che in molti casi rappresenta un vero e proprio diritto, mentre nei rimanenti la legislazione tende progressivamente a farla evolvere in diritto. Si tratta, cioè, di quella forma cui ha riguardo l‟art. 38 Cost.”. Dall‟altro la beneficenza ex art. 117 Cost. che “E‟ per principio misurata alla disponibilità dell‟ente erogatore, e appunto viene fornita secondo criteri che, se non possono ormai più esser considerati meramente caritativi e graziosi, sono tuttavia ampiamente discrezionali”17. Altri ancora definiscono l‟una funzione statale, spettante per i settori specificamente indicati nell‟art. 38 Cost., e l‟altra funzione regionale quale rimanente parte, sia discrezionale sia dovuta, sempre nei limiti dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato.18

Con il passare degli anni un punto fermo fu posto dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 139/72, sostenne una netta distinzione tra “beneficenza pubblica” e “l‟assistenza sociale”. Si stabilì, il seguente riparto di competenze: all‟assistenza sociale spettavano le materie di competenza legislativa dello Stato,

16 Cfr. F. Bassanini, Aspetti costituzionali del trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative in

materia di assistenza, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1971, 326 e A. Barettoni Arleri,

Beneficenza pubblica, in Stato e regioni, a cura di L. Galateria, Torino, Utet, 1976, 451 affermano che i

due termini sono usati ormai come una “endiadi”, cioè come due espressioni che intendono o connotano lo stesso oggetto.

17

Cit. A.M. Sandulli, Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Giuffrè, Milano, 2005, pag 493-494.

18

(16)

16 alla beneficenza pubblica le materie di competenza delle Regioni. In sostanza la Corte Costituzionale consentì alla potestà legislativa e amministrativa delle Regioni la sola disciplina degli interventi di “ assistenza estemporanea” ovvero gli interventi attivati sulla base delle risorse finanziarie disponibili nei bilanci e non costituenti la prestazione effettuata ai cittadini nell‟esercizio di un loro diritto soggettivo, bensì il risultato di una maggiore attività volontariamente “aggiunta” dalle Regioni stesse e inoltre interdisse alle Regioni di intervenire nell‟attuazione del diritto all‟assistenza sociale.

L‟attuazione del modello di Stato regionale previsto in Costituzione si inaugurò solo nel 1972 con i seguenti provvedimenti: Legge n. 281/1972 e D.P.R. n. 9 del 1972 (prime discipline di trasferimento delle competenze amministrative statali a quelle regionali). La normativa conferiva alle Regioni le funzioni di competenza degli enti comunali di assistenza (ECA), una serie di servizi precedentemente gestiti direttamente dal Ministero dell‟interno. Con queste disciplina, il legislatore nazionale concedeva competenze limitate e minori rispetto alle aspettative regionali, furono allora le Regioni a sollevare delle preoccupazioni suggerendo nel giro di pochi anni una revisione dell‟intera materia, provvedendo ad un più adeguato e organico decentramento delle funzioni amministrative, ne sono testimonianza: la Legge 382/75 che sancì un progressivo trasferimento delle competenze amministrative dagli organi centrali statali a quelli regionali, creando dei “settori funzionali”, stravolgendo il precedente criterio che distribuiva i diversi compiti istituzionali, sulla base della distribuzione delle competenze previste all‟interno degli uffici statali. Secondo esempio è il D.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977 che perfezionò: Il processo di decentramento contribuendo alla riforma dell‟intero sistema assistenziale, contribuì a un assetto più organico della pubblica amministrazione, dove i ruoli di ciascuna istituzione coinvolta venivano specificamente determinati. Attribuzione alle Regioni dei compiti di programmazione e di coordinamento delle attività riguardanti i servizi sociali, ai Comuni la gestione unitaria dei servizi ed alla somministrazione delle prestazioni, conferimento alle Province della potestà di determinare la localizzazione dei vari presidi, infine la permanenza delle competenze residuali

(17)

17 dello Stato in materia di: interventi di prima assistenza a favore dei profughi e dei rimpatriati per eventi straordinari, interventi a favore dei dipendenti e/o delle loro famiglie degli appartenenti alle forze dell‟ordine, assegnazione alle Regioni le competenze in materia di beneficenza pubblica, rapporti con le organizzazioni assistenziali internazionali, distribuzione di prodotti assistenziali sul territorio, pensioni e gli assegni previsti dalla legge, qualificata secondo un nuovo significato e nuovi contenuti più consoni alla rinnovata concezione dei servizi sociali.

Rimasero in capo allo Stato le competenze in materia di prestazioni previdenziali. Il D.P.R. 616/1977, rappresentò una importante novità nella distribuzione delle funzioni in materia assistenziale, cambiò radicalmente il sistema burocratico italiano provocando un vero e proprio stravolgimento del riparto di competenze tra le istituzioni in ambito assistenziale, diede impulso ad una nuova architettura del welfare, determinò un effettivo coinvolgimento delle stesse nella concreta attuazione del diritto all‟assistenza sociale, affermò il “modello complesso dei servizi sociali” improntato ad un‟ottica di soddisfacimento globale del bisogno e sancì il conferimento alle istituzioni regionali di importanti funzioni amministrative.19 Questi stessi principi ispirarono la ratio della grande riforma sanitaria del 1978, che costituiva il naturale complemento del riassetto dei servizi sociali; La Legge n. 833 del 23 dicembre 1978, istituì il “Servizio Sanitario Nazionale”, si innovò radicalmente il concetto di salute, non più intesa come benessere psico-fisico dell‟individuo, ma come stato di benessere individuale e sociale da perseguire attraverso il soddisfacimento complessivo dei bisogni. Si creò così il collegamento tra le istituzioni che erogano servizi di assistenza sociale e quelli che svolgono attività afferenti il sistema sociosanitario-assistenziale, si crearono i “servizi socio-sanitari”20 funzionali alla realizzazione del sistema di sicurezza sociale

19 Cfr. S. Sepe, A trent’ anni dal DPR 616 del 1977: spunti per la discussione, 2007, pag. 1-7 in

http://www.astrid-online.it/--le-trasf/Studi--ric/SEPE_ASTRID-30-anni-dpr-616_23_07_07.pdf.

20

Per una definizione

(18)

18 unitariamente inteso come l‟insieme degli interventi e delle misure adottate dai singoli Stati per liberare gli individui dallo stato di bisogno.

Negli anni „90 risultava ormai compiuto il processo di trasformazione delle “strutture di beneficenza” in veri e propri “enti dei servizi sociali”, si intraprese una fase di modifica del modello organizzativo e gestionale di questi enti, la Legge n. 142 /1990 sull‟“ordinamento delle autonomie locali”, consentì ai Comuni e alle Province di esercitare un ruolo primario nella promozione del diritto all‟assistenza, nello sviluppo del sistema produttivo del territorio e nell‟ambito delle rispettive competenze del suddetto sistema autonomistico. Le principali novità furono: introduzione di un nuovo concetto di “servizio pubblico locale” inteso come: “L‟insieme dei servizi che abbiano ad oggetto la produzione di beni e servizi rivolti a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle Comunità” 21, ma non solo, previde diverse forme di gestione dei servizi pubblici locali, quali: la gestione in economia, le società per azioni a prevalente capitale pubblico, le concessioni a terzi, l‟azienda speciale (per i servizi con rilevanza economica e imprenditoriale) e le istituzioni (per quelli privi della detta rilevanza economico-imprenditoriale).22 Tali modalità alternative risultavano realizzabili ancorché in presenza di forme di collaborazione intercomunale come: la convenzione, il consorzio, l‟unione di comuni e l‟accordo di programma (artt. 24-27). Furono successivamente emanate nuove leggi ad integrazione e modifica della Legge n. 142/1990.

La Legge n. 498/92 individuò e favorì la costituzione, ad opera degli enti locali, di società miste per la fornitura di servizi sociali, cioè formate sia da enti locali che da altri soggetti privati e/o pubblici, rimuovendo il limite della maggioranza della partecipazione pubblica per la formazione di società per azioni, da questo momento il legislatore valutò con favore ogni forma di collaborazione fra pubblico e privati efficace per la costituzione di servizi atti al raggiungimento del benessere della società e cercò, quindi, di favorire il ricorso degli enti locali a

21 Cit. C. De Vincenti e A. Vigneri, I servizi pubblici locali tra riforma e referendum, libri di Astrid, Maggioli

Editore, Rimini, 2011.

22

Cfr. G. Vesperini, La legge sulle autonomie locali venti anni dopo, in http://www.irpa.eu/wp-content/uploads/2011/06/Vesperini1-autonomie-locali.pdf.

(19)

19 modelli di gestione aziendale di tipo privatistico al fine di snellire e rendere i servizi più accessibili alla collettività amministrata e, contemporaneamente, più conformi alle richieste del mercato. Ma l‟atto di maggiore importanza per la modernizzazione della P.A. fu la Legge n. 59 del 15 marzo 1997, cosiddetta “Legge Bassanini” che ridusse le competenze delle autorità statali a favore di quelle regionali, provinciali e comunali, in attuazione del principio di sussidiarietà (art. 1, comma 2). Secondo la Legge: “Tutte le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni ed i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da qualunque organi o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici” devono essere trasferite alle autonomie territoriali fatte ovviamente salve alcune competenze amministrative di inderogabile competenza statale come quelle afferenti: il commercio estero, le forze armate e la difesa, la tutela dei beni culturali e della cittadinanza, l‟immigrazione ecc. 23.

Successivamente la Legge 15 maggio 1997, n. 127 (“Bassanini bis”), consentì l‟espletamento delle funzioni dei vari enti, attraverso un‟organizzazione privatistica, sì da garantire economicità, efficienza ed efficacia, per assicurare una maggiore autonomia all‟ente locale nella scelta dei servizi da erogare. Il settore assistenziale ha, così, conosciuto un profondo mutamento: sia nella modernizzazione dei processi, volti al migliore raggiungimento della garanzie alla tutela del diritto all‟assistenza sociale che nella nuova disciplina dei modelli gestionali consentiti.

Qui occorre soffermarsi perché per la prima volta si fa riferimento all‟indicatore della situazione economica dei cittadini, così detto: “Indicatore della situazione economica equivalente”, abbreviato in ISEE, che agevolerà la stima, da parte dei Comuni e delle altre amministrazioni pubbliche, del grado di bisogno socio-assistenziale di ogni singolo cittadino. Ad esso si affiancherà la previsione delle “Carte dei servizi pubblici” per rendere più trasparente e fruibile il ventaglio

23

Cit. e Cfr. Legge n. 59 del 15 marzo 1997 in http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1997-03-15;59!vig.

(20)

20 delle prestazioni offerte e favorire l‟elevazione del relativo livello qualitativo/quantitativo e la promozione di nuove forme di finanziamento dei servizi socio-assistenziali, primo fra tutti il “Fondo nazionale per le politiche sociali”, istituito dal comma 44 dell‟art. 59 della Legge n. 449 del 27 dicembre 199724. Il D. Lgs. n. 112/1998, di attuazione della legge ha fornito una nuova definizione dei servizi sociali e un nuovo ambito: ha ricompreso nei servizi sociali tutte quelle attività “relative alla predisposizione ed erogazione di servizi gratuiti ed a pagamento o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quelle sanitarie nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia” 25

. Da essi vengono escluse le prestazioni in materia di polizia urbana e rurale, beneficenza pubblica, assistenza sanitaria e ospedaliera, istruzione artigiana e professionale, assistenza scolastica, musei e biblioteche di enti locali. Non ha però esplicitato alcun titolo di accesso alle singole prestazioni, per cui può ritenersi compiuto l‟abbandono della tradizionale categorizzazione degli assistiti come criterio di erogazione delle prestazioni, oggi garantite, come già ribadito, a tutti i cittadini in condizioni di bisogno. E‟ avvenuto il trasferimento alle Regioni (che, a loro volta, avrebbero dovuto provvedere a conferirle alle Province e agli altri enti locali, differenziandole per specifica competenza) delle funzioni e dei compiti relativi alla “promozione ed al coordinamento operativo dei soggetti e delle strutture che agiscono nell‟ambito dei servizi sociali”26. Cambia il quadro delle competenze in materia socio assistenziale: allo Stato spetta il potere di indicare i principi e gli standard essenziali delle prestazioni in ambito socio-assistenziale, alle Regioni è stato demandato il compito di provvedere all‟organizzazione del sistema territoriale dei servizi sociali e ai Comuni sono state rimesse tutte le competenze amministrative di organizzazione

24 Cfr. Legge n. 449 del 27 dicembre 1997 in

http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1997-12-27;449. 25 Cit. D. Lgs. n. 112/1998 in http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:1998-03-31;112vig 26 Cit. ibidem.

(21)

21 e gestione della rete dei servizi. Nasce il cosiddetto “welfare municipale”27, che individua nel Comune, e cioè nell‟istituzione più vicina al cittadino, l‟ente preposto alla gestione dei servizi sociali, nella consapevolezza che l‟ente comunale è l‟organo più idoneo ad interpretare i bisogni del territorio e, dunque, ad elaborare le relative soluzioni. In sostanza il Comune è l‟istituzione responsabile del benessere del cittadino, nella più precisa attuazione del principio di sussidiarietà istituzionale ovvero verticale.

Le caratteristiche del più recente sistema socio-assistenziale italiano, ribadite nella Legge n. 328 dell‟8 novembre 2000, che avrò modo di approfondire nei successivi paragrafi, emergono già nella su citata normativa della fine degli anni ‟90. Il sistema assistenziale assume le connotazioni del welfare comunitario28, ovvero di quel modello di organizzazione statale che riconosce al terzo settore un importante ruolo nell‟erogazione di servizi assistenziali. Tale sistema si realizza tramite l‟attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale ovvero sociale, che non implica disimpegno del pubblico delegando al privato ma si fonda su un principio di responsabilità diffuse nella società civile e che può chiedere proprio a quel comune a cui è riconosciuta centralità più governo e non meno governo, nella misura in cui la società civile e gli enti appartenenti al terzo settore offrono risorse aggiuntive, collaborative e non già sostitutive di quelle pubbliche. In conclusione una maggiore disponibilità e circolazione di risorse umane e strutturali consente una maggiore dinamicità produttiva del sistema di protezione sociale attuato dallo Stato, nell‟esercizio di una sua prerogativa istituzionale, ed una migliore garanzia dei diritti sociali.

27 Una panoramica più ampia del significato in

http://web.tiscali.it/progettocomunita/programma/welfare_municipale.htm.

28

Una descrizione generica di welfare comunitario è data anche nel mio comune di residenza dall’attuale sindaco di Capannori L. Menesini, in http://www.comune.capannori.lu.it/node/490.

(22)

22 1.2 I LEP: LIV E LL I E S S E N Z IA LI N E LLE P R E S T A Z IO N I

Una volta descritto lo sviluppo storico dell‟assistenza, occorre soffermarsi su un concetto recente nel nostro ordinamento: i Livelli Essenziali delle Prestazioni. La loro definizione costituisce una scelta cruciale per garantire, in base al dettato costituzionale, diritti sociali alle persone e alle famiglie e per promuovere un nuovo rapporto tra istituzioni e cittadini. Per arrivare a definire lo strumento “l‟ISEE come livello essenziale” è necessario prima, a mio avviso, chiarire meglio il concetto di livello essenziale delle prestazioni (abbreviato in LEP). La tematica può essere ricostruita attraverso una serie di domande, la prima: da quali bisogni nascono i livelli essenziali? Vi sono condizioni sociali e relativi bisogni tanto pregiudizievoli per le persone, le famiglie, la nostra convivenza sociale, da comportare la definizione di diritti sociali e di misure ad essi correlate volte ad assicurare al cittadino una tutela e una promozione rispetto ad essi29. Lo sviluppo delle politiche di welfare implica che vengano nel tempo definiti: quali bisogni siano considerati rilevanti dalle amministrazioni pubbliche; chi ne sono i portatori; quali opportunità vengono loro offerte (servizi di vario genere, erogazioni monetarie, ecc.) e come ne viene garantita la esigibilità da parte di tutti i cittadini. Per alcuni autori: “I livelli essenziali sono quindi uno strumento di esplicitazione e di chiarificazione di diritti e di prestazioni atte a garantirli”30. Possono inoltre riaffermare diritti e prestazioni già dovute al presente, ma soprattutto in campo sociale devono attivare un processo verso obiettivi di tal natura che si definiscono e che ci si impegna a perseguire e realizzare31.

Al concetto di livello essenziale si affianca quello di prestazione che ricopre un ruolo centrale. Il termine in diritto indica: “Il contenuto e l‟oggetto

29 Cfr. E. Ranci Ortigosa, Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni, Osservatorio nazionale sulla

attuazione della l.328/2000, Cnel, Roma, 18 giugno 2008 in

http://www.cisl.it/sitosociali.nsf/b714748292bf2ba9c1256e83004be7af/c75a886e30aa8701c125746b0 0251a30/$FILE/Osservatorio%20328%20Emanuele%20Leps%2018%206%2008.pdf.

30 Cit. IRS, Disegniamo il welfare di domani, un convegno per i primi 40 anni di Prospettive Sociali e

Sanitarie, Milano, 29 settembre 2011, pag. 6 in

www.capp.unimore.it/iniziative/2011_sett_IRSrappfinale.pdf.

31

(23)

23 dell‟obbligazione, cioè quanto un soggetto dà o fa in adempimento di un‟obbligazione da lui contratta”32. Le prestazioni da prendere in considerazione sono le erogazioni monetarie, anche quelle attualmente gestite a livello nazionale, e i servizi33. Sostanzialmente si possono racchiudere in 3 tipologie: 1) Prestazioni sociali; si intendono, ai sensi dell‟articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112, nonché dell‟articolo 1 comma 2 della legge 8 novembre 2000 n. 328 “tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi gratuiti o a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia”34

. 2) Prestazioni sociali agevolate; “Prestazioni sociali non destinate alla generalità dei soggetti ma limitate a coloro in possesso di particolari requisiti di natura economica, ovvero prestazioni sociali non limitate dal possesso di tali requisiti, ma comunque collegate nella misura o nel costo a determinate situazioni economiche, fermo restando il diritto ad usufruire delle prestazioni e dei servizi assicurati a tutti dalla costituzione e dalle altre disposizioni vigenti”35. 3) Prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria; prestazioni sociali agevolate assicurate nell‟ambito di percorsi assistenziali integrati di natura socio-sanitaria rivolte a persone con disabilità e limitazioni dell‟autonomia, ovvero interventi in favore di aiuto e sostegno domestico/familiare finalizzati a favorire l‟autonomia e la permanenza nel proprio domicilio. Atti a favorire l‟intervento sociale, inclusi gli interventi di natura economica o di buoni spendibili per l‟acquisto di servizi. Servizi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali,

32 Cit. Definizione di prestazione in http://www.treccani.it/vocabolario/prestazione/. 33 Cfr. E. Ranci Ortigosa, ibidem.

34 Cit. Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello

Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59. GU n.92 del 21-4-1998, in http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:1998-03-31;112vig.

35

Cit. Decreto del Presidente del consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159 in http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/1/24/14G00009/sg.

(24)

24 incluse le prestazioni strumentali ed accessorie alla loro fruizione, rivolte a persone non assistibili a domicilio.”36

La prestazione coinvolge 2 soggetti: il richiedente, portatore di interessi che derivano da bisogni che esso stesso non riesce a soddisfare e la pubblica amministrazione o enti pubblici locali, fornitrici di prestazioni che rispondano in modo diverso ai bisogni “insoddisfatti”.

Chiarito che la prestazione è l‟oggetto e allo stesso tempo il soggetto del livello essenziale, è possibile porsi una seconda domanda: quando nascono e come possono essere definiti i LEP? La prima regolamentazione normativa dei “Livelli Essenziali delle Prestazioni” risale alla fine degli anni „70, con l‟istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il testo della Legge 23 dicembre 1978 n. 833, agli artt. 3 e 53, configura i livelli uniformi di assistenza (LEA, livelli essenziali di assistenza), da perseguire nella erogazione del servizio sanitario e rispondere all‟esigenza di dare piena attuazione al diritto della salute di cui all‟art. 32 della Costituzione37. Si prevedeva, infatti, che lo Stato, in sede di approvazione del Piano Sanitario Nazionale, fissasse i livelli delle prestazioni sanitarie da garantite a tutti i cittadini. In questa prima formulazione, leggermente diversa da quella attuale, i “livelli” non vengono definiti “essenziali”, ma stanno ad indicare i parametri delle prestazioni sanitarie che lo Stato ha il compito di fissare ed assicurare obbligatoriamente a tutti i cittadini38. Ciò richiama, 2 nozioni fondamentali, che restano valide anche nell‟attuale fase di sviluppo del concetto: quelle di limite e diritto. Da una parte, nel momento in cui un servizio si trasforma in universale (una delle caratteristiche che si elencheranno tra breve), sorge la necessità di stabilire un limite, un tetto che serva a mitigare il carattere di universalità del servizio stesso, inteso nella sua accezione più ampia. Dall‟altra, il “livello” è almeno potenzialmente in grado di garantire l‟esigibilità

36 Cfr. Ibidem.

37 Cfr. M. Sesta, L'erogazione della prestazione medica tra diritto alla salute, principio di

autodeterminazione e gestione ottimale delle risorse sanitarie, Maggioli Editore, 2014, pag. 6.

38

Cfr. D. Bucci e R. Fantozzi, Verso la definizione dei lep nel comune di Mantova, Roma, gennaio 2009, in www.anci.lombardia.it/download.

(25)

25 del diritto, da parte del cittadino, a ricevere le prestazioni così come vengono definite39. I LEP affondano le proprie radici nei LEA, ad oggi, secondo la definizione ufficiale fornita dal Ministero della Salute: “I Livelli essenziali di assistenza (LEA), sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale”40

.

Sono stati definiti con il DPCM del 29 novembre 2001, entrato in vigore il 23 febbraio 2002. Sempre secondo il ministero è possibile racchiuderli in 3 grandi aree: 1) L‟assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, che comprende tutte le attività di prevenzione rivolte alle collettività ed ai singoli (tutela dagli effetti dell‟inquinamento, dai rischi infortunistici negli ambienti di lavoro, sanità veterinaria, tutela degli alimenti, profilassi delle malattie infettive, vaccinazioni e programmi di diagnosi precoce, medicina legale). 2) L‟assistenza ospedaliera, in pronto soccorso, in ricovero ordinario, in day hospital e day

surgery, in strutture per la lungodegenza e la riabilitazione, e così via. E‟ molto

importante ricordare che le prestazioni e i servizi inclusi nei LEA rappresentano il livello “essenziale” garantito a tutti i cittadini, ma le regioni, come hanno fatto fino ad oggi, potranno utilizzare risorse proprie per garantire servizi e prestazioni ulteriori rispetto a quelle incluse nei LEA. 3) L‟assistenza distrettuale, vale a dire le attività e i servizi sanitari e sociosanitari diffusi capillarmente sul territorio, dalla medicina di base all‟assistenza farmaceutica, dalla specialistica e diagnostica ambulatoriale alla fornitura di protesi ai disabili, dai servizi domiciliari agli anziani e ai malati gravi ai servizi territoriali consultoriali (consultori familiari, SERT, servizi per la salute mentale, servizi di riabilitazione

39 Cfr. G. Meloni, L’ambito di operatività dei livelli essenziali delle prestazioni, in Formez, I livelli essenziali

delle prestazioni. Questioni preliminari e ipotesi di definizione, Quaderni, n. 46, 2006.

40

Ministero della Salute, definizione LEA in

http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=1300&area=programmazioneSanita riaLea&menu=lea.

(26)

26 per i disabili, ecc.), alle strutture semiresidenziali e residenziali (residenze per gli anziani e i disabili, centri diurni, case famiglia e comunità terapeutiche)41.

Le principali fonti normative sui LEA sono rappresentate dal D. Lgs. n. 502 del 1992, aggiornato dal decreto legislativo n. 229 del 1999, e dalla Legge n. 405 del 2001.

Il D. Lgs. n. 502/1992 definisce i LEA, all‟art. 1, come: “L‟insieme delle prestazioni che vengono garantite dal Servizio sanitario nazionale, a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa, perché presentano, per specifiche condizioni cliniche, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, individuale o collettiva, a fronte delle risorse impiegate”42. Pertanto, sono escluse dai LEA le prestazioni, i servizi e le attività che non rispondono a necessità assistenziali, le prestazioni di efficacia non dimostrabile o che sono utilizzate in modo inappropriato rispetto alle condizioni cliniche dei pazienti e le prestazioni che, a parità di beneficio per i pazienti, comportano un impiego di risorse superiore ad altre (sono più costose di altre)43.

Esiste una forte compenetrazione tra LEP e LEA. Molto spesso accade che una prestazione possa essere inserita in una categoria e non nell‟altra. Questo è frutto, a mio giudizio, della mancanza di una elencazione chiara e dettagliata dei LEP, probabilmente dovuta al fatto che i bisogni associati a una prestazione mantengano nello stesso tempo una duplice “faccia”. In altre parole, se i LEA sono solo sanitari, i LEP comprendono una gamma di prestazioni più ampia indicati sommariamente nell'articolo 22 della Legge 328/2000 comma 2, non vi è stata però, una successiva emanazione di un regolamento (come per i LEA) che li ha delineati e declinati con precisione.

In attuazione della Legge n. 405 è stato emanato il DPCM 29 novembre 2001 di: “Definizione dei livelli essenziali di assistenza” che elenca, negli allegati, le attività e le prestazioni incluse nei livelli, le prestazioni escluse e le prestazioni

41

Cfr. Ministero della Salute, ibidem.

42

Cit. Art. 1, Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ibidem.

43

(27)

27 che possono essere fornite dal Servizio sanitario nazionale solo a particolari condizioni. All‟interno di tale decreto, sono elencati i livelli essenziali che fanno riferimento a tipologie erogative di carattere socio-sanitario, ovvero 8 specifiche prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo attribuibile all‟utente o al Comune.

Si ritiene che le prestazioni socio-sanitarie relative ai LEA, i cui costi possono ricadere in parte sul Comune, facciano automaticamente parte anche dei LEP, visto che, già per il fatto di appartenere ai LEA, devono essere garantite in tutto il territorio nazionale. Rientrano nei LEA le attività sanitarie e socio-sanitarie nell‟ambito di programmi riabilitativi a favore di: disabili fisici, psichici e sensoriali, per le prestazioni diagnostiche, terapeutiche e socio-riabilitative in regime semiresidenziale per disabili gravi; Anziani, per le prestazioni terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale delle abilità per non autosufficienti in regime semiresidenziale, ivi compresi interventi di sollievo; Persone con problemi psichiatrici e/o delle famiglie, per le prestazioni terapeutiche e socio-riabilitative in strutture a bassa intensità assistenziale; Disabili fisici, psichici e sensoriali, per le prestazioni terapeutiche e socio-riabilitative in regime residenziale per disabili gravi; Disabili fisici, psichici e sensoriali, per le prestazioni terapeutiche e socio-riabilitative in regime residenziale per disabili privi del sostegno familiare; Anziani, per le prestazioni terapeutiche, di recupero e mantenimento funzionale delle abilità per non autosufficienti in regime residenziale, ivi compresi interventi di sollievo; Persone affette da Aids, per le prestazioni di cura e riabilitazione e trattamenti farmacologici nella fase di lungo assistenza in regime residenziale. Infine rientrano nei LEA le attività di assistenza programmata a domicilio, per le prestazioni di aiuto infermieristico e assistenza tutelare alla persona.

Per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e per l‟assistenza protesica, il DPCM 29 novembre 2001 fa riferimento agli allegati del D.M. 26 luglio 1996 e al D.M. n. 332/1999. L‟art. 54 della Legge 27 dicembre 2002,

(28)

28 n.289, (Legge finanziaria 2003) specifica la procedura per modificare i LEA. Il DPCM 28 novembre 2003 ha modificato il decreto sui LEA, inserendo nei livelli alcune certificazioni mediche precedentemente escluse. Il comma 169 della Legge 30 dicembre 2004, n.311, (Legge finanziaria 2005) affida al Ministro della Salute il compito di fissare: “Gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito, e quantitativi, di cui ai livelli essenziali di assistenza” al fine di garantire che le modalità di erogazione delle prestazioni incluse nei Lea siano uniformi sul territorio nazionale. Il Decreto Ministeriale 21 novembre 2005 istituisce il Comitato permanente di verifica dei LEA.

In questo ambito è facile imbattersi in acronimi che possono suscitare confusione, diverse da LEA sono infatti le denominazioni utilizzate per riferirsi ai livelli essenziali nel campo delle politiche socio-assistenziali e socio-sanitarie, in proposito è possibile suddividere in: LEP (livelli essenziali delle prestazioni), LEPS (livelli essenziali nelle prestazioni sociali) e LIVEAS (livelli essenziali di assistenza sociale)44. Secondo alcuni, le prime 2, forse più correttamente utilizzate, mettono l‟accento sulle prestazioni che si devono fornire per “soddisfare l‟interesse o il bisogno di un soggetto titolare di un diritto”45. Nel presente scritto ci riferiremo ai LEP, termine più generico, che però racchiude in se agli altri 2.

Per una prima evoluzione del concetto di LEP bisogna risalire alla riforma bis del SSN, dove si precisa che i LEA sono finalizzati a garantire l‟uniformità delle prestazioni sull‟intero territorio nazionale (D.lgs. 502/1992). Un passo indietro, ma ancora una volta essenziale per comprendere l‟evoluzione avvenuta. Alla definizione corrente di LEP si giunge, tuttavia, solo con l‟approvazione del Piano Sanitario Nazionale 1998/2000, nel quale leggiamo che: “Sono definiti essenziali i livelli di assistenza che, in quanto necessari (per rispondere ai bisogni fondamentali di promozione, mantenimento e recupero delle condizioni di salute della popolazione) ed appropriati (rispetto sia alle specifiche esigenze di salute del cittadino sia alle modalità di erogazione delle prestazioni), debbono essere

44

Cfr. E. Ranci Ortigosa, Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni, ibidem.

45

Cfr. G. Costa, Diritti in costruzione. Presupposti per una definizione efficace dei livelli essenziali di

(29)

29 uniformemente garantiti su tutto il territorio nazionale ed all‟intera collettività, tenendo conto delle differenze nella distribuzione delle necessità assistenziali e dei rischi per la salute”46. Fatta salva la garanzia di uniformità delle prestazioni sul territorio, in questa nuova formulazione viene introdotto l‟aggettivo “essenziale”, che rimanda alla necessità ed appropriatezza della cura, ma anche ad una maggiore flessibilità di risposta di fronte ad una non omogenea distribuzione dei rischi e delle necessità assistenziali. Tale formulazione viene fatta propria dalla riforma ter, che attribuisce al SSN il compito di assicurare “i livelli essenziali ed uniformi di assistenza definiti dal Piano Sanitario Nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell‟equità nell‟accesso all‟assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell‟economicità nell‟impiego delle risorse”47.

Più o meno nello stesso periodo la nozione di livelli essenziali esce dall‟ambito ristretto del sistema sanitario, e con Legge 328/2000 viene introdotta nel settore dei servizi sociali48. A differenza della sanità, dove vi è una consolidata e riconosciuta nomenclatura, nonché protocolli procedurali ampiamente definiti, il contesto dei servizi sociali risulta completamente diverso. Da una parte, si deve tener conto che l‟area del bisogno sociale è sia estremamente vasta che fortemente differenziata. Dall‟altra, l‟eterogeneità delle strutture di offerta fa sì che uno stesso bisogno possa essere soddisfatto da una pluralità di soggetti alternativi. Ecco perché nell‟art. 22 della Legge 328/2000 i livelli essenziali si compongono di 2 momenti: l‟individuazione delle aree di bisogno e l‟identificazione delle prestazioni e degli interventi necessari a soddisfare i bisogni individuati.

46 Ministero della sanità, Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, Un patto di solidarietà per la salute, in

http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_947_allegato.pdf.

47 Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229, Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario

nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419, GU n.165 del 16-7-1999 - Suppl. Ordinario n. 132, in http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:1999;229.

48

All’interno del rapporto di ricerca è stato utilizzato l’acronimo LEP. È opportuno tuttavia precisare che l’indagine ha avuto come oggetto i livelli essenziali delle prestazioni sociali.

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30 Anche nei servizi sociali i livelli essenziali presentano un duplice obiettivo: indicare ciò che deve essere oggetto di prestazione obbligatoria all‟interno di un sistema di servizi ed interventi sociali che ha carattere di universalità e ciò che costituisce la sfera del diritto dei cittadini. Tali finalità vengono precisate dall‟art. 2 che affida al “sistema integrato” la garanzia dei livelli essenziali ed impone ai soggetti pubblici di consentire l‟esercizio del diritto soggettivo a beneficiare di prestazioni economiche specifiche (invalidità civile, cecità e sordomutismo), nonché delle pensioni sociali e degli assegni. Il Piano Sociale Nazionale 2001/2003 precisa ulteriormente il contenuto dei livelli essenziali, i quali devono essere disegnati sulla base di una “griglia articolata su 3 dimensioni”:

Le aree di intervento (responsabilità familiari, diritti dei minori, persone anziane, contrasto della povertà, disabili, droghe, avvio della riforma);

Le tipologie di servizi e prestazioni (servizio sociale professionale e segretariato sociale, servizio di pronto intervento sociale, assistenza domiciliare, strutture residenziali e semi-residenziali, centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario);

Le direttrici per l‟innovazione (partecipazione attiva della persona nella definizione delle politiche, integrazione degli interventi, promozione del dialogo sociale, potenziamento delle azioni per l‟informazione e l‟accompagnamento, sviluppo della domiciliarità, diversificazione e personalizzazione degli interventi, titoli per l‟acquisto dei servizi). La compresenza di queste 3 dimensioni crea i livelli essenziali, che si estendono come rete di offerta caratterizzata da risposte correlate a specifici bisogni, nel rispetto di alcuni princìpi che assicurano la partecipazione delle persone alle politiche, la costituzione di un dialogo sociale, l‟integrazione degli interventi e la sperimentazione di azioni innovative49.

I LEP presentano alcune caratteristiche peculiari che possono essere così sintetizzate: 1) Universalità; si collocano entro politiche e interventi sociali a carattere universalistico, rivolti cioè a tutta la popolazione che presenta quel bisogno e la necessità di quell‟intervento, a prescindere dalle caratteristiche e dalle storie personali e lavorative dei destinatari. 2) Selettività; può associarsi

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