Appendice 2. Παρσιτο
a. Le origini del personaggio: il parassita cultuale
Per ricostruire la storia della parola παρσιτο , un valido punto di partenza può essere costituito da Ath. 6.234d – 235e
191:
191Per comodità di lettura si riporta (qui e in seguito) la traduzione italiana di Rimedio, condotta sul testo greco dell’ed. Kaibel, sempre citato in nota:
Πολ5µων γο:ν (…) γρψα περ> παρασ?των @ησ>ν οBτω (fr. 78 Pr.)· τG το: παρασ?του Iνοµα ν:ν µJν KδοξNν Oστιʾ παρP δJ τοQ Rρχα?οι εTρ?σκοµεν τGν παρσιτον VερNν τι χρWµα κα> τX συνθο?νZ παρNµοιον. Oν Κυνοσργει µJν ο\ν Oν τX Ἡρακλε?Z στ^λη τ? Oστινʾ Oν _ ψ^@ισµα µJν `λκιβιδουʾ γραµµατεb δJ Στ5@ανο Θουκυδ?δουʾ λ5γεται δ΄ Oν αfτX περ>
τW προσηγορ?α οBτω · τP δJ Oπιµ^νια θυ5τω g Vερεb µετP τhν παρασ?των. οV δJ παρσιτοι iστων Oκ τhν νNθων κα> τhν τοjτων πα?δων κατP τP πτρια. k δ΄ lν µm ΄θ5λn παρασιτεQνʾ εoσαγ5τω κα> περ> τοjτων εo τG δικαστ^ριον.
(…) Κλ5αρχο δ΄ g Σολεj ʾ εp δ΄ οqτο τhν `ριστοτ5λου Oστ> µαθητhνʾ Oν τX πρrτZ τhν β?ων τδε γρ@ει (fr. 37 Wehrli)· iτι δJ παρσιτον ν:ν µJν τGν tτοιµονʾ τNτε δJ τGν εo τG συµβιο:ν κατειλεγµ5νον. Oν γο:ν τοQ παλαιοQ νNµοι . . . . αV πλεQσται τhν πNλεων iτι κα>
τ^µερον ταQ Oντιµοτται RρχαQ συγκαταλ5γουσι παρασ?του .
(…) κRν τX `νακε?Z Oπ? τινο στ^λη γ5γραπται· τοQν δJ βοοQν τοQν uγεµNνοιν τοQν Oξαιρουµ5νοιν τG µJν τρ?τον µ5ρο εo τGν Rγhναʾ τP δJ δjο µ5ρη τG µJν tτερον τX VερεQʾ τG
Polemone, dunque, (…) scrivendo dei parassiti, dice quanto segue: «Oggi
“parassita” è termine che indica qualcosa di ignominioso, ma presso gli antichi troviamo che parassita era un qualcosa di sacro e paragonabile al commensale ( τX συνθο?νZ παρNµοιον) . Dunque, nel tempio di Eracle posto nel Cinosarge
192, c’è una colonna che riporta un decreto di Alcibiade, scritto dal figlio di Tucidide Stefano. Circa l’uso di questo termine vi si dice: “Il sacerdote compia i sacrifici mensili insieme ai parassiti. I parassiti siano scelti tra quelli di discendenza mista e tra i figli di questi, secondo il costume patrio. Chiunque si rifiuti di assolvere a questa funzione, sia citato in giudizio per questo rifiuto”».
(…) Clearco di Soli, uno dei discepoli di Aristotele, nel primo libro delle Vite, scrive: «Inoltre, mentre noi oggi definiamo parassita uno che si offre da sé, un tempo il parassita era una persona scelta per vivere insieme ad altri (scil. i magistrati). In verità negli antichi codici . . . . ancora oggi la maggior parte delle
δJ τοQ παρασ?τοι .
Κρτη δ΄ Oν δευτ5ρZ `ττικW διαλ5κτου @ησ? (Cratete di Mallo, fr. 66a Mette = Cratete di Atene, FGrHist 362 F 7)· κα> g παρσιτο ν:ν Oπ΄ Kδοξον µετκειται πργµαʾ πρNτερον δ΄ Oκαλο:ντο παρσιτοι οV Oπ> τmν το: Vερο: σ?του Oκλογmν αVροjµενοι κα> ν RρχεQNν τι παρασ?των. διG κα> Oν τX το: βασιλ5ω νNµZ γ5 γραπται ταυτ?· OπιµελεQσθαι δJ τGν βασιλεjοντα τhν τε RρχNντων πω lν καθιστhνται κα> τοb παρασ?του Oκ τhν δ^µων αVρhνται κατP τP γεγραµµ5να. τοb δJ παρασ?του Oκ τW βουκολ?α Oκλ5γειν Oκ το:
µ5ρου το: αυτhν tκαστον κτ5α κριθhν δα?νυσθα? τε τοb Iντα `θηνα?ων Oν τX VερX κατP τP πτρια. τGν δ΄ κτ5α παρ5χειν εo τP RρχεQα τX `πNλλωνι τοb `χαρν5ων παρασ?του RπG τW OκλογW τhν κριθhν. τι δJ κα> RρχεQον ν αfτhν Oν τX αfτX νNµZ τδε γ5γραπται· εo τmν Oπισκευmν το: νε [το: Rρχε?ου] κα> το: παρασιτ?ου κα> τW οoκ?α τW Vερ διδNναι τG Rργjριον gπNσου lν οV τhν Vερhν Oπισκευαστα> µισθr σωσιν.
Oκ τοjτου δWλNν Oστιν τι Oν τP RπαρχP Oτ?θεσαν το: Vερο: σ?του οV παρσιτοι το:το παρασ?τιον προσηγορεjετο.
ταfτP VστορεQ κα> ΦιλNχορο Oν τ Oπιγρα@οµ5νn ΤετραπNλει (FGrHist 328 F 73) µνηµονεjων τhν καταλεγοµ5νων τX ἩρακλεQ παρασ?των κα> ∆ιNδωρο g Σινωπεb κωµZδιοποιG Oν Ἐπικλ^ρZʾ οq τG µαρτjριον λ?γον Bστερον παραθ^σοµαι. `ριστοτ5λη δ΄
Oν τ Μεθωνα?ων πολιτε? (fr. 562 Gigon = 551 Rose) παρσιτοιʾ @ησ?ʾ τοQ µJν Kρχουσι δjο καθ΄ tκαστον σανʾ τοQ δJ πολεµρχοι εp · τεταγµ5να δJ Oλµβανον παρ΄ Kλλων τ5 τινων κα> τhν λι5ων Iψον.
192 Il Cinosarge era un quartiere alla periferia di Atene, in cui sorgeva l’Herakleion, una palestra riservata ai fanciulli nati da almeno un genitore straniero (cfr. Pausania I,19, Plutarco Them. 1, Suda s.v.). L’obbligo di scegliere i parassiti Oκ τhν νNθων in questa struttura è probabilmente connesso con l’origine di Eracle, figlio di un dio e di una donna mortale.
città associa i parassiti ai magistrati più importanti
193».
(…) C’è un’iscrizione anche su una stele dell’Anàkeion
194: «Dei due buoi scelti come capibranco, un terzo andrà per i giochi; dei due terzi rimanenti, uno toccherà al sacerdote, l’altro ai parassiti».
Cratete, nel secondo libro del Dialetto attico, dice: «Il parassita oggi si è mutato in qualcosa di volgare, mentre un tempo si chiamava così chi era scelto per la raccolta del grano sacro. Esisteva anche un luogo in cui i parassiti si riunivano. Perciò anche nella legge del re è scritto quanto segue: “Il re faccia in modo che i magistrati siano investiti delle loro funzioni e che i cittadini scelgano i parassiti dai demi secondo le leggi vigenti. I parassiti prelevino dalla masseria, ciascuno dalla parte di propria competenza, un sestiere di orzo e gli Ateniesi che si trovino nel santuario banchettino, secondo i patrii costumi. I parassiti di Acarne selezionino l’orzo, quindi diano la sesta parte per le sedi in onore di Apollo”. Che i parassiti avessero anche una loro sede lo prova il fatto che nello stesso codice si trova scritto quanto segue: “Per il restauro del tempio, della sede e del deposito dei parassiti e della casa sacra si paghi la somma di denaro che i restauratori dei luoghi sacri dovessero chiedere”. Da ciò si ricava chiaramente che il deposito in cui i parassiti erano soliti riporre le primizie del grano sacro era chiamato παρασ?τιον.
Ci danno le stesse notizie anche Filocoro, che nella Tetrapoli ricorda i parassiti scelti per il servizio a Eracle, e il commediografo Diodoro di Sinope nell’Ereditiera, del quale riporterò tra non molto la testimonianza. Aristotele, nella Costituzione di Metone, dice: «C’erano due parassiti per ogni arconte, uno per ogni polemarco. Ricevevano un contributo fisso da alcuni altri, del pesce dai pescatori».
La serie di citazioni inanellata da Ateneo, insieme alle notizie conservateci dai
193 Il testo ammette anche una traduzione del tipo “La maggior parte delle città include la carica di parassita fra quelle più degne di rispetto”. Cfr. Rimedio ad loc.
194Il tempio degli Kνακε Castore e Polluce.
lessicografi
195e da Plutarco (Sol. 24.5
196), presenta una figura ben diversa da quella che si incontra abitualmente – per esempio in commedia – e il parassita, in relazione a una fase “arcaica” i cui limiti cronologici non sono delineati con precisione, è descritto come uno degli attori principali del culto pubblico in Attica, anche se i suoi compiti specifici sono definiti in modo piuttosto generico
197.
Selezionati tra la popolazione secondo procedure ben definite (κατP τP γεγραµµ5να) e in numero prestabilito (παρσιτοιʾ @ησ?ʾ τοQ µJν Kρχουσι δjο καθ΄
tκαστον σανʾ τοQ δJ πολεµρχοι εp ), i parassiti avevano l’obbligo di presenziare ai
sacrifici, pena la citazione in giudizio (k δ΄ lν µm ΄θ5λn παρασιτεQνʾ εoσαγ5τω κα> περ>
τοjτων εo τG δικαστ^ριον), e in generale assistevano i magistrati più importanti nell’esercizio delle loro funzioni (αV πλεQσται τhν πNλεων iτι κα> τ^µερον ταQ Oντιµοτται RρχαQ συγκαταλ5γουσι παρασ?του ); gestivano la raccolta organizzata di granaglie destinate ai templi (πρNτερον δ΄ Oκαλο:ντο παρσιτοι οV Oπ> τmν το: Vερο:
σ?του Oκλογmν αVροjµενοι . . . τοb δJ παρασ?του Oκ τW βουκολ?α Oκλ5γειν Oκ το:
µ5ρου το: αυτhν tκαστον κτ5α κριθhν . . . τGν δ΄ κτ5α παρ5χειν εo τP RρχεQα τX
`πNλλωνι τοb `χαρν5ων παρασ?του RπG τW OκλογW τhν κριθhν); disponevano di un appannaggio fisso come compenso per il proprio servizio e potevano ricevere
195Fozio s.v., Esichio s.v, Polluce passim.
196 Ἴδιον δJ το: ΣNλωνο κα> τG περ> τW Oν δηµοσ?Z σιτ^σεω , περ αfτG παρασιτεQν κ5κληκε. τGν γPρ αfτGν οfκ O σιτεQσθαι πολλκι , OPν δ’ καθ^κει µm βοjληται, κολζει, τG µJν uγοjµενο πλεονεξ?αν, τG δ’ Tπεροψ?αν τhν κοινhν.
197 Per una trattazione specifica cfr. Ziehen e Zaidman.
compensi extra in natura (τεταγµ5να δJ Oλµβανον παρ΄ Kλλων τ5 τινων κα> τhν λι5ων Iψον).
Per comprendere il passaggio che dalla figura cultuale tratteggiata in questi
frammenti ha portato al ridicolo scroccone tipico della commedia, sarà il caso di
soffermarsi ora sul significato e sull’origine della voce παρσιτο .
b. L’etimologia
Dal testo di Ateneo
198risulta che già Cratete aveva ricostruito un’etimologia basata su σQτο inteso come “grano, frumento” per cui il παρσιτο sarebbe stato
nient’altro che un “addetto al frumento” del tempio. Questa idea è stata riproposta in tempi più recenti da Schoemann-Lipsius, che segnalano la Oκλογm σ?του (raccolta delle forniture di cereali) come incombenza primaria dei parassiti, e da Zaidman, che scrive:
The term is made up from σQτο , which signifies primarily cereals (grain, but also food in general), and is also associated with σ?τησι , a form of state dining in Athens; and παρ, suggesting proximity and attendance
199.
In realtà l’idea non appare del tutto convincente, sia perché implicherebbe un uso anomalo del preverbio παρα- (che in greco non concorre mai alla formazione di composti con il significato di “(essere) addetto a”
200), sia perché dai dati in nostro
198 Da cui dipendono integralmente i lemmi di Fozio, Esichio e, in parte, Polluce, che non hanno quindi valore di testimoni ulteriori.
199p. 197.
200 Cfr. Chantraine s.v. Un’eccezione, tutta da verificare e comunque isolata, potrebbe essere
possesso possiamo dire solo che la raccolta di granaglie era uno dei compiti dei parassiti, ma non che fosse il più importante
201.
Proviamo invece a muoverci in un’altra direzione. Il frammento di Polemone citato da Ateneo si apre con l’affermazione per cui il parassita era παρP δJ τοQ Rρχα?οι . . . τX συνθο?νZ παρNµοιον, e prosegue citando il “decreto di Alcibiade” che prescrive ai parassiti la partecipazione ai sacrifici
202accanto ai sacerdoti; nel frammento di Clearco viene data la definizione di τGν εo τG συµβιο:ν κατειλεγµ5νον;
lo stesso Polluce, infine, che pure accoglie l’etimologia cratetea
203, identifica una figura di parassita nella voce omerica εoλαπιναστ^ , “commensale” Da tutte queste
testimonianze si capisce che gli antichi percepivano come caratteristica fondamentale del παρασιτεQν non il raccogliere il σQτο /grano, ma il mangiare del σQτο /cibo
204costituita dal verbo παραγορζω, “faccio provviste al mercato”, attestato in Alessi fr. 62. Tracce di un possibile valore causativo di παρα- si trovano forse in παραγεjω, “faccio gustare”, Plut. Lyc. 14.7.
201 Cfr. Ziehen pp. 1378-9.
202 Sulla prassi del sacrificio nel mondo greco cfr. Burkert, specialmente pp. 22-28 e note.
203 VI 35: iστι δJ κα> παρP τοQ παλαιοQ τοªνοµα, οf µmν O@’ οq ν:ν, Rλλ’Vερ Tπηρεσ?α τοªνοµα, g Oπ>
τmν το: Vερο: σ?του Oκλογmν αVροjµενο · κα> RρχεQNν τι `θ^νησι παρασ?τιον καλοjµενον, ¬ Oν τX νNµZ το: βασιλ5ω iστιν εTρεQν.
204 Una difficoltà in questo senso potrebbe essere costituita dall’uso di σQτο per designare il cibo sacrificale: sin da Omero, σQτο era usato in riferimento ai pasti umani (cfr. p. es. Od. 8.222 σσοι ν:ν βροτο? εoσιν Oπ> χθον> σQτον iδοντε ) mentre per le cerimonie religiose si usavano θο?νη e θοινσθαι. Cfr. però Aristoph. Eq. 709, τRν πρυτανε?Z σιτ?α, dove il termine σιτ?ον, praticamente intercambiabile con σQτο , sta ad indicare il mantenimento di un cittadino a spese dello stato. E nel frammento di Polemone si dice che il parassita antico era τX συνθο?νZ παρNµοιον.
insieme a qualcun altro
205(nella fattispecie il sacerdote).
Sempre in Ateneo si trova inoltre un esaustivo elenco ragionato di termini
“affini” a παρσιτο
206:
τX δJ παρσιτο µοι Oστιν νNµατα Oπ?σιτο ʾ περ> οq προε?ρηταιʾ κα> οoκNσιτο σιτNκουρN τε κα> αfτNσιτο ʾ iτι δJ κακNσιτο κα> λιγNσιτο .
Segue quindi una serie di citazioni in cui viene esemplificato il senso di ciascuna delle parole, e da cui emerge in maniera evidente come nei composti σQτο abbia sempre il valore di “cibo”, e mai quello di “grano, granaglie”: come si e' visto, Oπ?σιτο
207è “colui che si guadagna il vitto”ʾ οoκNσιτο è “colui che vive del suo”, o
“che fa le cose in famiglia”, σιτNκουρN è “colui che mangia a sbafo”, αfτNσιτο è
“colui che si porta la sua razione di cibo”, κακNσιτο è l’”inappetente” e λιγNσιτο è
“colui che mangia poco”.
205 Schleep.98, l. 18s. Lo scolio aggiunge anche una paretimologia: uel parasiti dicuntur a parendo et assistendo eo, quod assidentes ipsi maioribus personis illorum uoluptati per adulationem obsequuntur.
206Ath. 6.52.12
207Porson sostiene, probabilmente a ragione, che qui e nel fr. 37 K-A di Cratete comico citato poco più avanti da Ateneo, si debba leggere non Oπ?σιτο ma Oπισ?τιο . La correzione non inficia comunque la validità dell’elenco ai fini della nostra analisi.
Come efficacemente sintetizza lo scolio a Ter. Eun. 228, insomma, parasitus sonat mecum cibatus uel apud me, quia παρ apud, σQτο cibus dictus est. Questa interpretazione, d’altronde, non solo non è in contrasto con nessuna delle notizie antiche, ma presenta anche l’evidente vantaggio di risolvere il problema del παρα-, che viene ad assumere il significato standard di “accanto, insieme”
208.
208Questa etimologia è comunque la più accreditata tra i moderni: cfr. Forcellini s.v. E CITA ALTRI DIZIONARI. Cfr. anche παραµασ^τη , detto sempre di un parassita, in Alessi, fr. 236.
c. Dal parassita cultuale al parassita comico
L’etimologia fondata su σQτο “cibo”, infine, oltre ad essere più plausibile dal punto di vista linguistico e solidamente fondata sul piano religioso, consente anche di spiegare in modo convincente lo slittamento semantico che il termine ha subìto nel greco classico: se infatti la peculiarità del parassita cultuale consisteva nel mangiare il cibo offerto alla divinità, senza che egli ricoprisse alcun ruolo “tecnico” nelle cerimonie (nella quasi totalità dei templi non c’era alcun bisogno di parassiti perché i sacrifici avvenissero regolarmente), si capisce benissimo come per l’immaginario collettivo sia stato quasi immediato associare il termine παρσιτο all’idea del
“mangiare alla tavola altrui”, e quindi al “mangiare a sbafo”
209.
Ma se possiamo facilmente ricostruire questo salto logico, non siamo altrettanto in grado di stabilire con precisione quando si sia verificato, o per lo meno generalizzato nell’uso comune. Il punto di partenza per tentare un’operazione del genere è ancora una volta Ateneo che, immediatamente dopo il brano già citato,
209Si ricordi che, sempre secondo la testimonianza di Ateneo, i parassiti erano coloro che prelevavano il grano dalle masserie, potevano disporre di parte delle offerte sacrificali, godevano di un contributo fisso e di donativi in natura.
scrive
210:
Caristio di Pergamo, nella sua opera Didascalie, dice che il parassita come oggi noi lo intendiamo è un’invenzione di Alessi, ma dimentica che Epicarmo, nella Speranza ovvero La ricchezza, lo portò in scena mentre si svolgeva un simposio.
L’attendibilità e l’utilità di questa notizia sono piuttosto dubbie. L’attendibilità è viziata dal fatto che, all’affermazione per cui Epicarmo sarebbe stato l’εTρετ^ del parassita “moderno”, Ateneo faccia seguire due ampie citazioni tratte da Epicarmo stesso, in cui viene sì descritta una figura dai tratti inequivocabilmente parassitici, ma la parola παρσιτο non compare affatto. Si potrebbe allora dunque ipotizzare che Epicarmo non abbia “inventato” l’attribuzione del termine, ma semplicemente messo in scena per primo una figura comica, il tipo-parassita
211. In questo caso, tuttavia, il suo contributo ai fini di una ricerca sulla voce παρσιτο , diventerebbe praticamente nullo
212. Comunque stiano le cose a proposito di Epicarmo, il passo di Ateneo può
210 Ath. 235e: τGν δJ ν:ν λεγNµενον παρσιτον Καρjστιο g ΠεργαµηνG Oν τX περ> διδασκαλιhν εTρεθWνα? @ησιν TπG πρrτου `λ5ξιδο , OκλαθNµενο τι Ἐπ?χαρµο Oν Ἐλπ?δι ¯ ΠλοjτZ παρP πNτον αfτGν εoσ^γαγεν.
211 Contro questa ipotesi sembrerebbero andare le testimonianze di Polluce 6.35-6 (Oπ> µ5ντοι το:
παρασιτεQν κατP λιχνε?αν ¯ κολακε?αν πρhτο Ἐπ?χαρµο τGν παρσιτον °νNµασεν, ε±τα ²λεξι ) e dello scolio a Il. 17.577 (τG δJ Iνοµα το: παρασ?του ε³ρηται Oν Ἐλπ?δι παρ’ ἘπιχρµZ). In realtà, come è stato sostenuto da Casaubon p. 417, Meineke v. 1 p. 377-8, Wilamowitz (in app. Kaibel v. 1 p. 97) e Arnott p. 163, è probabile che sia Polluce che lo scoliasta traggano semplicemente delle false inferenze dal testo di Ateneo (o dalle sue stesse fonti, secondo Arnott p. 164).
212 Che Epicarmo, con ogni probabilità siciliano (cfr. Kaibel 1907) utilizzasse proprio il termine παρσιτο è considerato assolutamente sicuro dal solo Ribbeck p. 20s., che sottolinea il fatto che in Polluce 4.148 σικελικN sia elencato tra i tipi fissi dei parassiti comici.
rivelarsi ugualmente utile: l’opera di Caristio era basata su raccolte di didascalie
213, ed è dunque probabile che la frase τGν δJ ν:ν λεγNµενον παρσιτον εTρεθWνα? TπG πρrτου
`λ5ξιδο sia un’inferenza ricavata da una notizia di tipo sintetico, o magari
semplicemente da un titolo. Ora, conosciamo tre commedie intitolate παρσιτο , attribuite rispettivamente ad Antifane
214, Difilo
215e allo stesso Alessi
216: sulla seriorià di quella di Difilo non vi sono dubbi, quella di Alessi è datata 360-350 a.C.
217mentre non disponiamo di alcuna informazione circa quella di Antifane, e questo passo può quindi costituire un buon argomento per stabilirne, se non altro, il terminus post quem.
Alessi è stato dunque il primo a usare παρσιτο come titolo per una commedia.
Ma possiamo dire – il che sarebbe ancor più significativo – che è stato anche il primo a usare il termine nel senso che esso avrebbe poi mantenuto? La domanda è destinata a rimanere senza risposta, perché l’unica attestazione del termine παρσιτο coeva all’omonima commedia di Alessi è contenuta in un frammento dello Hymenaios di Araro (citato sempre da Ateneo nella sezione sui parassiti
218), frammento che, nonostante i tentativi di Arnott
219, è assolutamente impossibile datare.
Eppure, proprio sulla scorta dello studio di Arnott, possiamo aggiungere un
213 Cfr. Jacoby.
214 Cfr. Ath. 4.169e, Poll. 10.106.
215 Cfr. Ath. 6.238f
216 Ath. 3.123e, 10.421d; Diog. Laert. 3.28.
217 Cfr. Webster p. 65.
218Ath.6.237a 219Pp. 164s.
elemento importantissimo alla storia del parassita greco. Leggiamo i primi versi del fr.
184 di Alessi:
καλο:σι δ’ αfτGν πντε οV νεrτεροι Παρσιτον TποκNρισµα· τX δ’ οfδJν µ5λει
Si tratta, come abbiamo visto, di un modulo di presentazione piuttosto comune
220, che ritroviamo in numerosissimi frammenti luoghi della commedia di mezzo e della commedia nuova
221. Prendiamo ad esempio il frammento di Antifane
222:
καλο:σ? µ’ οV νεrτεροι
διP τα:τα πντα σκηπτNν· Rλλ’ οfδJν µ5λει τhν σκωµµτων µοι·
e quello di Anaxippo
223το:τον οV @?λοι καλο:σ? σοι
νυν> δι’ Rνδρε?αν ΚεραυνNν. – εoκNτω
In entrambi i passi si parla di un parassiti, e gli si assegna un soprannome che si serve di un’immagine tratta dall’esperienza quotidiana per esprimere in maniera icastica e immediata una particolare caratteristica o modo di essere. In Alessi, invece,
220Cfr. supra, app. 1.
221 Cfr. infra.
222 Fr. 193 vv. 10-12
223Fr. 3 vv. 3-4. Con Anaxippo siamo già nell’ambito della commedia nuova.
è proprio παρσιτο a essere usato come soprannome
224, evidentemente perché all’epoca della messa in scena della commedia il termine aveva ancora il suo senso tradizionale, e questo uso “anomalo” creava un comico effetto di ξενικNν.
Che sia stato o meno tutto merito del Parassita di Alessi
225, resta il fatto che, dalla seconda metà del quarto secolo in poi, παρσιτο manterrà stabilmente il suo significato profano, conservandolo anche nel passaggio al latino, ancora una volta grazie all’opera dei comici.
224Sul valore di TποκNρισµα cfr. supra, app. 1.
225Cfr. Arnott p. 167: «Alexis’ originality lay in decking out his parasite with a nickname that evoked for his audience a picture of priestly gormandisers, and especially doubtless those at Cynosarges in the service of Heracles, the archetypal glutton and patron of comic parasites. And we may guess that what began as a colourful nickname for one stage parasite so impressed the audience by its aptness that they began to use it themselves as the mot juste for the type as a whole ».