E
U
NIVERSITÀ
I
TALO
-F
RANCESE
D
OTTORATO DIR
ICERCA INB
IOLOGIAXX CICLO
(AA.AA. 2004-2007)
DIVERSITÀ FLORISTICA E FUNZIONALE DELLA VEGETAZIONE
DUNALE COSTIERA DELL’ITALIA CENTRALE E DELLA FRANCIA
SUD-OCCIDENTALE
D
OCENTE GUIDA:
D
OTTORANDA:
P
ROF.
SSAA
LICIAT.R.
A
COSTAD
OTT.
SSAC
ARMELAF
RANCESCA
I
ZZIC
ORRELATORE ESTERNO:
A papà, mamma, Emidio,
...e Antonio
Dalla Sinfonia n.6 “Pastorale”, op.68
Come sarò felice di poter camminare tra cespugli, foreste, alberi, erbe, rocce; non c’è
nessuno che possa amare la natura come me. Le foreste, gli alberi, le rocce danno
veramente quella risonanza che è desiderata dall’uomo...”
Gli studi sulla biodiversità sono molto attuali essendo essa fortemente minacciata da diversi fattori collegati direttamente o indirettamente all’attività antropica.
La perdita della diversità biologica ha interessato in modo particolare gli ecosistemi costieri sabbiosi che rivestono su scala mondiale una grande importanza ambientale economica, culturale e ricreativa. La biodiversità delle zone costiere è unica ed è un patrimonio che deve essere conservato, tutelato e protetto dal costante degrado a cui è soggetto.
Per questo, lo scopo del mio progetto di ricerca è stato quello di analizzare la diversità biologica di questi ecosistemi, considerando la componente vegetale nei suoi diversi aspetti. Lo studio, infatti, è stato attuato mediante due diversi approcci uno “species-based”, basato quindi sull’analisi della flora a livello di specie e comunità e, in particolare, della loro ricchezza e composizione; e l’altro, invece, “functional types-based” che analizza i caratteri morfologici funzionali e le strategie delle specie dunali, permettendoci di esaminare anche il funzionamento di questi particolari ecosistemi. Entrambi gli approcci possono essere utili ai fini conservativi e di gestione rappresentando un importante punto di partenza per qualsiasi progettazione degli ambienti costieri. Tale studio ha posto, poi, in particolare rilievo la problematica relativa all’invasività degli ambienti costieri da parte di specie esotiche.
La ricerca ha interessato due diverse aree costiere, una mediterranea (coste dell’Italia centrale) e un’altra atlantica (costa aquitana del Sud-Ovest della Francia). Lo studio dell’ecosistema costiero atlantico è stato realizzato grazie alla borsa di mobilità per tesi in co-tutela finanziata dall’Università Italo – Francese nell’ambito del Programma Vinci 2005; parte della ricerca, quindi, è stata effettuata in collaborazione con il Prof. R. Michalet e il laboratorio BIOGECO ”BIOdiversité, Gènes et ECOsystèmes”- UMR INRA 1202, Equipe Ecologie des Communautés dell’Università di Bordeaux 1.
RIASSUNTO
D
IVERSITÀ FLORISTICA E FUNZIONALE DELLA VEGETAZIONE DUNALE COSTIERA DELL’I
TALIA CENTRALE E DELLAF
RANCIAS
UD-O
CCIDENTALEIntroduzione e finalità
Le profonde alterazioni della diversità del pianeta provocate, sia a livello locale sia globale, dalle attività antropiche, determinano importanti conseguenze sugli ecosistemi terrestri e marini. In particolare, fenomeni di perdita della biodiversità hanno interessato gli ambienti dunali, particolarmente vulnerabili e per questo, ricchi di specie rare e spesso gravemente minacciate. Gli effetti dell’antropizzazione diretta delle spiagge e delle dune costiere hanno portato non solo alla diminuzione ed estinzione locale di specie, ma anche alla diffusione di elementi esotici. Per questo analizzare la diversità floristica e funzionale è di fondamentale importanza ai fini della conservazione e pianificazione ambientale.
Questo progetto di ricerca si è posto tre obiettivi principali:
1. analizzare la diversità floristica e cenologica degli ambienti costieri sabbiosi dell’Italia centrale;
2. approfondire quali sono i meccanismi biologici ed ecologici (diversità funzionale) che influenzano le invasioni delle piante esotiche negli ecosistemi dunali mediterranei; 3. confronto tra le comunità vegetali dei sistemi dunali mediterranei della costa italiana
del Lazio con quelli atlantici della Francia Sud-Occidentale e analisi delle strategie delle specie dunali dei due sistemi attraverso lo studio dei caratteri morfologico funzionali (plant traits) e dei tipi funzionali (PFT).
Metodi e principali risultati
1) Analisi floristica delle coste sabbiose dell’Italia centrale
Il censimento floristico è stato realizzato seguendo il protocollo della cartografia floristica europea e considerando, come unità di base, l’Unità Geografica Operazionale (OGU). Il censimento ha riguardato le dune oloceniche costiere di tre regioni dell’Italia centrale, rappresentative del litorale adriatico e di quello tirrenico: Lazio, Abruzzo e Molise. Lo studio ha interessato 72 quadranti e ha rilevato la presenza di un’elevata ricchezza di specie. Sono state censite, infatti, 820 specie, di cui 67 esotiche e 67 specie a rischio che rientrano in una delle categorie IUCN. Per quanto riguarda la componente esotica, è stata riscontrata una maggiore percentuale di aliene provenienti dall’America tropicale e dal continente africano sulle coste tirreniche, mentre una maggiore percentuale di esotiche provenienti dall’America extra-tropicale e dall’Asia sulle coste adriatiche; è stata quindi ipotizzata un’influenza climatica sulla distribuzione differenziale delle specie esotiche, supportata dalle caratteristiche più termofile delle aliene legate al versante tirrenico. Infatti, le specie del genere Carpobrotus (originario del Sud Africa) e Agave americana (originaria del Messico) sono
adriatiche. Le specie del genere Erigeron (ex. Conyza) sono presenti in entrambi i litorali costieri. Le liste delle piante esotiche e native sono state archiviate in una banca dati, corredata di diverse informazioni come la distribuzione geografica, le caratteristiche ambientali e la biologia della specie.
2) Analisi dei caratteri morfologico-funzionali delle specie esotiche e native
In una prima fase, è stata realizzata una selezione di piante vascolari native ed esotiche, per le quali individuare i principali caratteri morfologici funzionali. Sono state selezionate 41 specie più comuni ed abbondanti: 27 native e 14 esotiche. In seguito sono stati selezionati i caratteri morfologico-funzionali più predittivi in relazione all’invasività delle specie esotiche, per un numero complessivo di 16 variabili. Si è così ottenuta una matrice che è stata elaborata mediante tecniche di analisi multivariata. Sono stati individuati 3 gruppi funzionali che comprendono: le annuali; le perenni avandunali e le perenni del retroduna. Le esotiche sono presenti in tutti i gruppi, quindi esse presentano sia le strategie delle specie annuali che quelle delle perenni e sempreverdi. Dai confronti statistici non sono emerse differenze significative tra le esotiche e le native per i gruppi delle perenni, ma solo per quello delle specie annuali, in particolare per quelle che popolano la duna di transizione dove le esotiche fioriscono più tardivamente e sono più sviluppate in altezza.
3) Analisi floristico-vegetazionale e funzionale del sistema dunale mediterraneo ed atlantico
La terza fase del progetto ha visto un confronto della diversità floristica-vegetazionale e funzionale tra il sistema dunale mediterraneo della costa laziale e quello atlantico della costa aquitana della Francia Sud-Occidentale nell’ambito della co-tutela di tesi (Programma Vinci 2005). Lo studio floristico-vegetazionale è stato effettuato sulla base di 365 rilievi fitosociologici di bibliografia delle due aree. L’analisi statistica ha mostrato una somiglianza floristica a livello di comunità nell’avanduna, ma una forte diversità delle comunità retrodunali. Si è osservata inoltre una maggiore presenza di elementi endemici sulla costa atlantica rispetto a quella mediterranea. Per quanto riguarda lo studio della diversità funzionale, sono stati selezionati, anche in questo caso, i caratteri più strettamente collegati alle strategie delle specie dunali e le specie native più tipiche ed abbondanti dei due sistemi dunali. Dallo studio dei plant traits delle specie dunali lungo i gradienti dei due ecosistemi costieri è emersa una certa somiglianza funzionale nell’avanduna, dove le condizioni ambientali legate alla salinità, ai venti e all’incoerenza del substrato è tipica per entrambi gli ecosistemi, mentre è stata osservata una forte differenza nel retroduna dove differenti fattori locali spiegano il diverso comportamento morfologico-funzionale delle specie.
FLORISTIC
AND
FUNCTIONAL
DIVERSITY
OF
COASTAL
DUNE
VEGETAZION
ON
CENTRAL
ITALY
AND
SOUTH
-WESTERN
FRANCE
Introduction and aims
Humans have extensively altered the biological diversity of the Earth, both locally and globally, inducing major consequences on terrestrial and marine ecosystems. In particular, loss of diversity has interested coastal dune ecosystems, which are vulnerable and especially rich in rare and threatened species. Direct human activities on beaches and coastal dunes have not only caused the decline and extinction of local species, but also increased rates of species invasion. Therefore, analysing floristic and functional diversity becomes a priority in order to preserve and manage these ecosystems.
This research project had three main goals:
1. To analyse floristic and cenologic diversity of coastal dunes in Central Italy;
2. To investigate, with a functional diversity approach, which biological and ecological mechanisms influence the invasion of Mediterranean coastal dunes by alien plants;
3. To compare plant communities between Mediterranean (Lazio region, Italy) and Atlantic (Aquitaine region, France) coastal dune ecosystems and to analyse strategies of dune species in both systems through morphological-functional traits and functional types (PFT) approaches.
Methods and main results
1) Floristic analysis of coastal sand dunes in Central Italy
The floristic sampling was carried out following the European Cartographic Project protocol with the Operational Geographic Unit as sampling unit. Sampling was carried out on Holocene coastal dunes of three Central Italian regions on both the Tyrrhenian and the Adriatic coasts: Lazio, Abruzzo and Molise. This study considered 72 plots and highlighted significant values of species richness. A total of 820 vascular plant species were sampled, including 67 aliens and 67 threatened species in IUCN categories. With regard to alien species, we found significantly higher rates of aliens coming from Tropical America and Africa on the Tyrrhenian coast, but a greater number of aliens coming from Asia and Extra Tropical America on the Adriatic coast; we hypothesize that the coastal flora (including native and alien species) is influenced by climatic factors, in particular, by the warmer conditions on the Tyrrhenian coast with respect to the Adriatic one. In fact, Carpobrotus spp. (from the Cape Region of South Africa) and Agave americana (from Mexico), the most common invasive aliens along the Tyrrhenian coast, are quite rare on the Adriatic. On the other hand, Oenothera biennis and Ambrosia coronopifolia (from Extra Tropical North America) are the most common invasive aliens on and are restricted to the Adriatic coast. The genus Erigeron (ex. Conyza) is present along both coasts. Lists of native and alien species were stored in a database including information about the environmental characteristics, the geographic distribution and the biology of the species.
we analysed. The most common and abundant 41 species were selected: 27 native and 14 alien species. We then chose 16 morphological and functional traits that are strongly predictive of invasion by aliens. A multivariate analysis was applied to the species by traits matrix. Three functional groups were identified: annuals, foredune and back-dune perennials. All functional groups contain alien species, which therefore share with native species both annual and perennial strategies.
No significant differences between native and alien plants were observed for perennial functional groups, but only for the group of annuals, particularly for those growing on the transition dune, where alien species flower later and are taller.
3) Floristic-cenologic and functional analysis of Mediterranean and Atlantic coastal dune systems
In the third phase of the research a comparison of the floristic-cenologic and functional diversity between the Mediterranean coastal dunes of Lazio and the Atlantic coastal dunes of the Aquitaine region in South Western France was carried out, in the context of the Vinci-Programme 2005.
The floristic and vegetational study was carried out on the basis of 365 phytosociologic relevès, obtained from the literature, of the two areas. Statistical analysis showed a similarity in communities of the foredune and a strong difference for backdune communities of the two coastal dune systems. A good presence of endemics was observed for Atlantic coastal dunes compared to Mediterranean ones. With regard to the study of functional diversity, we again selected those characters that are strongly indicative of dune species adaptations and we selected the most common and abundant entities of the communities of each ecosystem. The analysis of plant traits of the species along the beach-inland gradient of each ecosystem showed that similarity of plant traits between the two systems is higher on the foredune, which are particularly harsh and dynamic environments. On the other hand, in the more interior zones, traits of species are quite different in the communities of the two compared dune systems, because of different local factors.
DIVERSITE
FLORISTIQUE
ET
FONCTIONNELLE
DE
LA
VEGETATION
DES
DUNES
LITTORALES
DU
CENTRE
DE
L’ITALIE
ET
DU
SUD-OUEST
DE
LA
FRANCE
Introduction et objectifs
L’homme a profondément altéré la diversité biologique sur Terre et a induit à toutes les échelles des bouleversements et des changements majeurs dans les écosystèmes terrestres et marins. Les écosystèmes dunaires côtiers, qui sont des milieux vulnérables et également riches en espèces rares et menacées, sont particulièrement touchés par la perte de la diversité. L’impact direct des activités humaines sur les plages et littorales dunaires, n’ont pas seulement causé un déclin et une extinction des espèces locales, mais ont aussi permis aux espèces invasives de se développer dans ce milieu. L’analyse de la diversité floristique et fonctionnelle s’avère donc être une priorité pour comprendre et ainsi mieux préserver et gérer cet écosystème. Trois principaux objectifs émergent de ce travail de recherche :
1. analyser la diversité floristique et coenologique des dunes littorales du centre de l’Italie ; 2. analyser la diversité fonctionnelle des dunes littorales méditerranéennes et comparer les traits fonctionnels et morphologiques des espèces natives et exotiques du littoral dunaire ;
3. comparer les communautés végétales dunaires du littoral méditerranéen (Région de Lazio, Italie) avec celles du littoral atlantique (Région Aquitaine, France) et analyser les stratégies des espèces dunaires de ces deux systèmes grâce à une approche basée sur l’études des traits fonctionnels et morphologiques des plantes ainsi que sur les types fonctionnels (PFT).
Méthodes et principaux résultats
1) Analyse floristique des dunes littorales du Centre de l’Italie
L’échantillonnage floristique a été réalisé suivant le protocole établi par le projet européen de cartographie ayant pour unité d’échantillonnage l’unité opérationnelle géographique. Les dunes étudiées sont des dunes littorales datant de l’holocène. Elles sont localisées dans 3 régions de l’Italie du centre (Lazio, Abruzzo et Molise) et intègrent à la fois des dunes de la côte Tyrrhénienne et de la côte Adriatique. Dans cette étude, 72 parcelles ont été échantillonnées et ont permis de souligner la forte richesse floristique de ces dunes. Au total, 820 espèces vasculaires ont été répertoriées parmi lesquelles 67 espèces exotiques et 69 espèces menacées selon l’IUCN (Union internationale pour la conservation de la nature). Concernant les espèces exotiques retrouvées sur la côte Tyrrhénienne, un grand nombre de ces espèces étaient originaires de l’Amérique du Sud et de l’Afrique tandis que sur la côte Adriatique un grand nombre de ces espèces provenaient d’Asie ou d’Amérique du Nord. Nous avons donc émis l’hypothèse que la flore du littoral (native et exotiques) était fortement dépendante des facteurs climatiques avec notamment des conditions plus douces sur la côte Tyrrhénienne que sur la côte Adriatique. L’étude de nos relevés a mis en évidence que Carpobrotus spp. (Espèce originaire du Cap en Afrique du Sud) et Agave americana (originaire du Mexique), étaient les espèces exotiques et invasives les plus communes le long de la côte Tyrrhénienne mais peu présentes sur la côte Adriatique. A l’inverse, Oenothera
côte. Le genre Erigeron (ex. Conyza) a quant à lui été retrouvé sur les deux côtes. La liste des espèces natives et exotiques issues de nos relevés ainsi que les données complémentaires acquises au court de ce travail (caractéristiques de l’habitat, distribution géographique des espèces, biologie des espèces) ont permis d’enrichir les banques de données existantes.
2) Analyse des traits morphologiques et fonctionnels des espèces natives et exotiques
Dans un premier temps, nous avons sélectionné des espèces natives et exotiques et étudiés leurs principaux caractères morphologiques et fonctionnels. Cette étude a concernée 41 espèces les plus abondantes et communes, comprenant 27 espèces natives et 14 espèces exotiques. Nous avons ensuite choisi 16 traits morphologiques et fonctionnels étant fortement indicateurs d’invasion par les espèces exotiques. Une analyse multivariée a été réalisée sur la matrice espèce-traits. Trois groupes fonctionnels ont été identifiés : des annuelles, des espèces de dunes embryonnaires et des espèces pérennes d’arrière dunes. Les espèces exotiques étaient présentes dans les 3 précédents groupes fonctionnels tandis que les espèces natives étaient seulement présentes au sein des groupes à stratégie annuelle et stratégie pérenne. Aucune différence significative de traits entre les espèces natives et invasives n’a été observée au sein du groupe constitué d’espèces pérennes. Les seules différences entre espèces natives et exotiques ont été observées au sein du groupe des annuelles, et en particulier pour les espèces de dunes de transition, parmi lesquelles les espèces exotiques se caractérisaient par une floraison tardive et par un port plus élevé.
3) Analyse floristique-coenologique et fonctionnelle des dunes littorales méditerranéenne et atlantiques.
Dans la troisième partie de ce projet, et dans le cadre d’une bourse du programme Vinci 2005, une comparaison des traits floristique-coenologiques et fonctionnels a été réalisé entre les dunes littorales méditerranéennes de la région de Lazio en Italie et celles d’Atlantique en Région Aquitaine (sud ouest de la France). Les données floristiques de ces deux régions, obtenues à partir de la littérature, ont permis de travailler sur 365 relevés phytosociologiques. Les analyses statistiques de ces relevés ont révélé de fortes similitudes dans la composition des communautés de dune embryonnaires, mais aussi de fortes divergences au niveau des arrières dunes entre ces deux régions. Un grand nombre d’espèces endémiques a été observé pour les dunes Atlantiques en comparaison avec les dunes méditerranéennes. Concernant l’étude de la diversité fonctionnelle, nous avons choisi des traits permettant de renseigner sur les adaptations des espèces et nous avons sélectionné les espèces les plus abondantes dans les 2 systèmes (dont des espèces communes aux deux systèmes). L’analyse des traits de ces espèces le long du gradient dunaire depuis la mer vers les terres, a montré que les dunes embryonnaires où le filtre environnemental était particulièrement sévère, étaient les dunes les plus similaires entre les deux systèmes. A l’inverse, les communautés situées en arrières dunes montraient une forte différence de traits ente les 2 systèmes en raison des facteurs environnementaux régionaux différents.
PREMESSA
ABSTRACTS ... i
PARTE 1: QUADRO INTRODUTTIVO E OBIETTIVI GENERALI ... 1
1.
B
IODIVERSITÀ:
CONCETTI E PROBLEMATICHE... 2
1.1
Definizioni ... 2
1.2
Problematiche e previsioni… ... 3
2.
L
A BIODIVERSITÀ E IL FUNZIONAMENTO DEGLI ECOSISTEMI:
IL CONCETTO DI DIVERSITÀ FUNZIONALE... 8
2.1
Diversità specifica e diversità funzionale ... 8
2.2
Il concetto di diversità funzionale ... 10
2.3
Misure della diversità funzionale ... 11
2.3.1
Plant traits e Plant Functional Types ... 12
2.3.2
La ricchezza specifica e la ricchezza funzionale ... 16
2.3.3
Diversità funzionale: misure proposte e loro problematiche ... 18
2.3.4
La diversità funzionale in campo vegetale e sue applicazioni ... 20
3.
H
ABITAT MINACCIATI:
GLI AMBIENTI DUNALI COSTIERI... 22
3.1
I sistemi costieri sabbiosi ... 22
3.2
Vegetazione psammofila e sue caratteristiche ... 24
3.3 Le fitocenosi dunali e la loro importanza ... 28
3.4
Vulnerabilità degli ambienti dunali ... 30
3.5
Gli effetti dell'antropizzazione sulle fitocenosi costiere ... 32
4.
S
PECIE ESOTICHE:
UNA MINACCIA ALLA BIODIVERSITÀ... 33
4.1
Le introduzioni di specie esotiche ... 33
4.2
Conseguenze delle introduzione di specie esotiche ... 35
4.3
La problematica delle specie esotiche in Europa e in Italia ... 38
4.4
Le specie esotiche nel Mediterraneo ... 39
4.5
Le specie esotiche negli ambienti dunali costieri ... 40
5.
O
BIETTIVIG
ENERALI DELLAR
ICERCA... 41
PARTE 2: ANALISI DELLA DIVERSITA' FLORISTICA DELLE COSTE
SABBIOSE DELL'ITALIA CENTRALE ... 44
1.
A
MBIENTI DUNALI DELLE COSTE ITALIANE... 45
1.1
Ambienti dunali dell'Italia: stato e minacce ... 45
1.2 Stato delle conoscenze floristico-vegetazionali degli ambienti dunali in Italia… ... 47
2.
O
BIETTIVI... 48
3.
A
REA DI STUDIO... 50
3.1
Il versante tirrenico: la costa laziale ... 50
3.2
Il versante adriatico: la costa abruzzese e molisana ... 52
3.2.1
Il litorale abruzzese ... 53
3.2.2
Il litorale molisano ... 54
3.3
La classificazione gerarchica delle coste dell'Italia centrale ... 56
3.4
Zonazione della vegetazione costiera ... 57
3.5
Fenomeni erosivi e stato di conservazione ... 61
4.
M
ATERIALI E METODI... 63
4.1
Il censimento floristico ... 63
4.2
Analisi dei dati ... 65
4.2.4
Le specie esotiche e la loro classificazione ... 70
4.2.5
Confronto tra i due versanti e analisi della ricchezza native/esotiche ... 76
5.
R
ISULTATI... 78
5.1
Risultati del censimento floristico complessivo... 78
5.2
Specie esotiche dell coste sabbiose dell'Italia centrale ... 83
5.2.1
Distribuzione di alcune specie esotiche lungo le coste tirreniche ed adriatiche ... 88
5.3
Specie rare e vulnerabili delle coste sabbiose dell'Italia centrale ... 91
5.3.1
Distribuzione di alcune specie a rischio lungo le coste tirreniche e adriatiche
... 93
5.4
Confronto floristico tra versanti costieri: il tirrenico e l'adriatico
... 96
5.4.1
La flora complessiva
... 96
5.4.2
La componente esotica
... 98
5.5
Relazione tra la ricchezza delle specie native ed quella delle specie esotiche
...100
6.
D
ISCUSSIONI E CONCLUSIONI...103
PARTE 3: ANALISI DELLA DIVERSITA' FUNZIONALE DELLE SPECIE
NATIVE ED ESOTICHE DELLE COSTE SABBIOSE DELL'ITALIA
CENTRALE ... 108
1.
LA DIVERSITÀ FUNZIONALE E GLI AMBIENTI DUNALI...109
2.
D
IVERSITÀ FUNZIONALE E INVASIVITÀ DELLE SPECIE ESOTICHE...110
2.1 Gli aspetti generali delle invasioni biologiche ...110
2.2 Caratteristiche delle specie invasive ...112
2.3
Caratteristiche degli ambienti suscettibili all'invasione ...114
3.
O
BIETTIVI...115
4.
M
ATERIALI EM
EDODI...116
4.1 Selezione delle specie native ed esotiche ...116
4.2 Selezione dei caratteri morfologico-funzionali (plant traits) ...118
4.3
Breve descrizione dei caratteri morfologico-funzionali esaminati ...122
4.4
Analisi dei dati ...133
5.
R
ISULTATI...138
5.1
Quali e quanti Plant Functional Types (o gruppi funzionali) caratterizzano gli ambienti
dunali dell'Italia centrale? ...138
5.2
Quali sono le differenze in termini di plant traits tra i gruppi funzionali? ...143
5.3
Le specie esotiche dimostrano strategie distinte dalla componente nativa? Ci sono PFTs
delle specie esotiche? ...145
5.4 Quali sono le differenze in termini di plant traits tra le specie native ed esotiche? e tra le
native e le esotiche invasive? ...147
5.5 Quali sono le principali differenze in termini di plant traits tra le specie esotiche non
invasive e quelle invasive? ...148
5.6 Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits all'interno di ciascun PFT
tra le native e le esotiche? ...148
5.7 Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits lungo il gradiente
mare-terra, per le specie di avanduna, di duna di transizione e di duna fissa? ...154
6.
D
ISCUSSIONI E CONCLUSIONI...156
6.1
La diversità funzionale degli ambienti dunali costieri dell'Italia centrale ...156
6.2
Gruppi funzionali e specie esotiche ...157
6.3
Esistono dei caratteri tipici delle specie esotiche o associati all'invasività? ...159
PARTE 4. FLORISTIC AND FUNCTIONAL ANALYSIS OF ATLANTIC AND
MEDITERRANEAN COASTAL DUNE SYSTEMS ... 165
1.
I
NTRODUCTION...166
2.
A
IMS...173
3.
S
TUDY AREAS...174
3.1
Mediterranean coastal dune area ...175
3.2
Atlantic coastal dune area ...177
3.3
Coastal zonation ...179
3.4
…Something else about Atlantic coastal dunes ...181
PARTE
A.
T
AXONOMICALD
IVERSITY:
F
LORISTIC&
V
EGETATIONALA
NALYSIS...183
4.
M
ATERIALS ANDM
ETHODS...184
5.
R
ESULTS AND DISCUSSIONS...185
5.1
Analysis of community types ...185
5.1.1
Atlantic coastal dunes ...185
5.1.2
Mediterranean coastal dunes ...189
5.2
Comparison between Mediterranean and Atlantic coastal communities...192
5.2.1
Upper beach community ("haute de plage") ...192
5.2.2
Embryodune communities ("dune embryonnaire") ...197
5.2.3
Mobile dune communities("dunes mobile or dunes blanche") ...202
5.2.4
Transition dune communities ("dune de transition" or "dune semi-fixée) ...206
5.2.5
Fixed dunes communities ("dune fixée")...211
5.3
Total floristic comparison between Mediterranean and Atlantic coastal dunes ...216
5.3.1
Species richness ...216
5.3.2
Phytogeographical differences ...217
5.3.3
Comparing the whole vegetation zonation ...221
5.3.4
Something about rare and endemic Atlantic species ...224
6.
C
ONCLUSIONS...228
PARTE
B:
F
UNCTIONALA
NALYSIS...231
7.
M
ATERIALS ANDM
ETHODS...232
7.1
Species and plant traits selection ...232
7.2
Data analisys ...233
7.2.1
Identification of Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic coastal dunes ...233
7.2.2
Analysis of plant traits along the coastal zonation in Mediterranean and Atlantic coastal dunes ...235
8.
R
ESULTS...237
8.1
Plant Functional Types of coastal dune environments ...237
8.1.1
Explorative analysis of relationships among the traits ...237
8.1.2
Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic coastal systems ...237
8.1.3
Comparison between Mediterranean and Atlantic PFTs ...241
8.2
Plant traits of Mediterranean and Atlantic coastal dunes ...244
8.2.1
Comparison of plant traits along the coastal zonation ...244
8.2.2
Comparison of plant traits between Atlantic and Mediterranean communities ...248
9.
D
ISCUSSIONS...251
9.1
Functional Types and plant traits on Mediterranean and Atlantic coastal dunes ...251
9.1.1
Plant traits and PFTs in foredune communities ...251
9.1.2
Plant traits and PFTs in transition dune communities ...253
9.1.3
Plant traits and PFTs in fixed dune communities ...254
9.2
Annual strategies in coastal dunes ...255
9.3
Critical traits of coastal plants ...257
9.3.1
Dispersal related traits ...258
10.
C
ONCLUSIONS...261
11.
F
URTHER DEVELOPMENT...263
PARTE 5. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI GENERALI ... 265
1.2
Diversità tassonomica e funzionale degli ecosistemi dunali costieri del Mediterraneo e
dell'Atlantico ...270
2.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE...273
BIBLIOGRAFIA ... 275
APPENDICI ... 298
A
PPENDICEI:
E
LENCO E CLASSIFICAZIONE DELLE SPECIE ESOTICHE CENSITE SULLE COSTE DELL'I
TALIA CENTRALE...299
A
PPENDICEII:
E
LENCO DELLE SPECIE A RISCHIO CENSITE SULLE COSTE DELL'I
TALIA CENTRALE...301
A
PPENDICEIII:
S
CHEMA SINTASSONOMICO DELLE COMUNITÀ DUNALIM
EDITERRANEE EA
LTANTICHE...303
QUADRO INTRODUTTIVO E OBIETTIVI GENERALI
Biodiversity as the ‘variety of life’ is the kind of
general intuitive definition that most people share
1. BIODIVERSITA’: CONCETTI E PROBLEMATICHE
1.1 DEFINIZIONI
La diversità dei viventi e la loro distribuzione sul territorio tendono continuamente a variare per effetto dei naturali processi evolutivi, per gli effetti dei cambiamenti climatici a lungo e a breve termine e per le conseguenze dell‟azione umana (Hooper et al. 2005). La vita sulla Terra è stata drammaticamente influenzata, negli ultimi decenni, dalle alterazioni degli ecosistemi per opera dell‟uomo sia a livello locale che globale (Díaz & Cabido 2001). Per questo, il concetto di diversità biologica, o di biodiversità, ha assunto notevole rilievo in un periodo di tempo notevolmente breve. Forse è il concetto dominante nell‟opinione e nella progettazione in campo ambientale e l‟entrata in vigore della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), firmata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 nel quadro della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (UNCED), l‟hanno posta al centro della scena internazionale e politica (Heywood & Iriondo 2003). La CBD, infatti, ha rappresentato un importante passo avanti nella protezione della biodiversità poiché è stato il primo trattato che si è occupato delle risorse genetiche mondiali in una prospettiva globale e ha fornito precise indicazioni sulle vie da seguire per arrivare ad applicare concretamente il principio dello sviluppo sostenibile e garantire la conservazione della diversità biologica.
Pur assistendo ad un uso del termine biodiversità (o diversità biologica o semplicemente diversità), sia a livello di pubblicazioni scientifiche che di mezzi d‟informazione, non esiste un unanime consenso su cosa la biodiversità rappresenti e su come questa vada misurata (Gaston 1996). Ancora oggi c‟è un considerevole dibattito su che cosa la biodiversità sia, se si tratti di un concetto significativo o solo di una moda passeggera, se essa possa essere considerata come una disciplina rigorosa e se meriti tutte le attenzioni che sembra attirare. Il problema basilare è l‟affascinante semplicità dell‟idea: infatti, biodiversità come “ la varietà della vita” è la definizione intuitiva generale che la maggior parte delle persone condivide (Heywood & Iriondo 2003). È quando noi cerchiamo di applicare delle definizioni più precise o rigorose che si riscontrano delle difficoltà. Gaston (1996) suggerisce che queste definizioni possono essere ampiamente raggruppate in tre sezioni: quelle che riguardano la biodiversità come concetto; quelle che riguardano la biodiversità come un‟entità misurabile; e infine, quelle che la considerano come un costrutto sociale o politico.
Il concetto di biodiversità si è, inoltre, trasformato ed arricchito, nel corso del tempo, di sempre maggiori aspetti. Secondo W.G.Rosen, che introdusse il termine “diversità ecologica” negli anni Ottanta del secolo scorso, questa denominazione indica la “diversità a tutti i livelli di organizzazione biologica” (Frankel et al. 1995). Nel 1987 l‟Office of Technology Assessment del Congresso degli Stati Uniti stabilì che: “ la diversità biologica si riferisce alla varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici che li comprendono”. Ciò significa che il termine biodiversità include “diversità all‟interno delle specie (livello genetico
o intraspecifico), tra specie diverse (livello specifico o tassonomico) e degli ecosistemi (livello ecosistemico o delle comunità). Tale definizione distingue i maggiori componenti o livelli della biodiversità che possono essere riconosciuti – ecosistemi, specie e geni- e corrisponde essenzialmente alla definizione data nell‟articolo 2 della Convenzione sulla Diversità Biologia: “ Diversità biologica indica la variabilità tra gli organismi viventi, da tutte le fonti; includendo tra l’altro, gli ecosistemi terrestri, marini e altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici di cui questi fanno parte: essa include la diversità all’interno delle specie, tra le specie e gli ecosistemi”.
Il termine biodiversità, quindi, comprende un ampio spettro di scale biotiche, dalle variazioni genetiche all‟interno della specie alla distribuzione dei biomi sul pianeta (Hooper et al. 2005); essa è la manifestazione visibile della biosfera, ne compone la struttura attraverso le relazioni che spazio e tempo hanno stabilito tra i suoi componenti, dal livello molecolare a quello ecosistemico (Ferrari 2001). La definizione adottata nel Global Biodiversity Assessment (Heywood 1995) aggiunge alla diversità genetica, ecologica e tassonomica anche quella culturale, fornendo un‟utile struttura in cui pianificare le valutazioni. Infine, una definizione più ampia e complessa di diversità, che include anche l‟aspetto “funzionale” è quella riportata da Díaz et al. (2006): “La biodiversità in senso ampio è il numero, l’abbondanza, la composizione, la distribuzione spaziale e l’interazione di genotipi, popolazioni, specie, tipi funzionali e caratteri, e unità di paesaggio in un dato sistema”.
Da questo rapido excursus sul concetto di biodiversità, ci rendiamo conto di quanto sia complesso poterlo definire in modo univoco, ma anche di quanto tale concetto sia fondamentale e cruciale in tutti i campi di ricerca.
1.2 PROBLEMATICHE E PREVISIONI
Lo studio della diversità biologica dei sistemi rappresenta oggi una fase necessaria nell‟analisi dei processi della biosfera; esso ci permette di ottenere conoscenze utili alla loro conservazione, soprattutto in seguito alle grandi minacce causate dall‟azione antropica. La scala e l‟intensità delle interazioni umane con l‟ambiente, infatti, hanno portato ad una progressiva e ampia perdita di habitat e alla loro degradazione e frammentazione, con la conseguente perdita di specie e della variabilità genetica (Heywood & Iriondo 2003). Le attività umane stanno modificando molti degli ecosistemi della Terra attraverso la diminuzione della ricchezza di specie, l‟aggiunta d‟inquinanti nel suolo, nell‟acqua e nell‟atmosfera e l‟alterazione di processi funzionali come la produzione di materia e il ciclo dei nutrienti (Lacroix & Abbadie 1998). I disastri ecologici, l‟inquinamento industriale, la deforestazione e la conversione di habitat naturali in terreni agricoli e industriali si verificano ininterrottamente su vaste aree di ciascun continente generando cambiamenti spesso irreversibili (Turner et al. 1991; Chapin et al. 2000). E‟ stato stimato che, a livello globale, la “biodiversità” sta diminuendo ad una velocità maggiore rispetto a qualsiasi periodo del passato (Chapin et al. 1998), come una risposta complessa ai molti cambiamenti effettuati
dall‟uomo nell‟ambiente globale, minacciando i principali processi dell‟ecosistema e influenzando così i servizi e i benefici che gli uomini ricevono da essi, e che contribuiscono a rendere la vita possibile (Fig. 1.1). La popolazione umana, infatti, è strettamente dipendente dall‟ambiente per risorse quali l‟acqua, le materie prime, il cibo, e molti altri beni e servizi (Díaz et al. 2006).
Fig. 1.1 - Il ruolo della biodiversità nel cambiamento globale. Le attività umane sono causa di cambiamenti ambientali ed ecologici di importanza globale. Tali effetti ecologici alterano sia la comunità biotica (la biodiversità) che le componenti abiotiche che controllano le proprietà dell‟ecosistema. Nel grafico tra i controlli abiotici sono riportati anche i “modulators” intesi come condizioni abiotiche che influenzano il tasso dei processi (es. T, pH) e che non sono direttamente consumate durante il processo, diversamente dalle risorse (Chapin et al. 2002).Vari aspetti della comunità biotica influenzano i range e la proporzione dei caratteri delle specie. Questi caratteri possono poi, alterare i controlli abiotici, influenzando direttamente le proprietà dell‟ecosistema oppure i benefici e i servizi che esso fornisce all‟uomo (da Hooper et al. 2005).
Secondo Wood et al. (2000) “la corsa a salvare la biodiversità sta diventando persa, e lo sta diventando perché i fattori che stanno contribuendo alla sua degradazione sono più complessi e potenti di quelle forze che stanno lavorando per proteggerla”. Le attuali minacce alla diversità biologica sono storicamente senza precedenti: mai prima d‟ora si era verificato che tante specie si avvicinassero alla soglia dell‟estinzione in così breve tempo (Chapin et al. 1998). A tal proposito molti studiosi affermano che la Terra è nel pieno della sesta estinzione di massa nella storia della vita (Chapin et al. 1998; Chapin et al. 2000). Ma, mentre le precedenti estinzioni erano probabilmente causate (es. quella che alla fine del Cretaceo provocò la scomparsa dei Dinosauri) da cambiamenti dell‟ambiente fisico provocate da impatti di grandi meteoriti sulla terra o da prolungatissime eruzioni vulcaniche, l‟odierna estinzione ha un‟origine di tipo biologico; in particolare è dovuta all‟azione antropica
sull‟uso del suolo, le invasioni di nuove specie e i cambiamenti climatici e atmosferici (Fig. 1.1; Chapin et al. 2000; Wilson 2002).
L‟estinzione, quindi, è di per se un processo naturale, ma sta avvenendo ad una velocità innaturale come conseguenza delle attività antropiche. Sebbene sia difficile valutare la velocità con cui avviene il processo di estinzione, anche per la difficoltà di stimare il numero di specie attualmente presenti sulla Terra, tuttavia la comunità scientifica è d'accordo nell'affermare che il tasso attuale di estinzione è 100-1000 volte superiore a quello precedente la comparsa dell'uomo e si attende che l‟estinzione delle specie attualmente minacciate potrebbe aumentare questo tasso di un fattore 10 (Pimm et al. 1995; Pimm & Raven 2000). Ad oggi si considera che il 5-20% delle specie dei principali gruppi di organismi è minacciato di estinzione (Chapin et al. 2000; Fig.1.2).
Fig. 1.2 - Proporzioni del numero globale di specie di uccelli, mammiferi, pesci e piante che sono attualmente minacciati di estinzione (da Chapin et al. 2000).
L‟elenco delle trasformazioni dei sistemi naturali legate direttamente alle attività antropiche è estremamente lungo. Sono stati identificati cinque importanti fattori, denominati drivers, che determinano cambiamenti nella diversità a scala globale: cambiamenti dell‟uso del suolo, cambiamenti climatici, aumento della concentrazione di anidride carbonica (CO2) atmosferica, deposizioni azotate e piogge acide, introduzioni di
animali e vegetali esotiche (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2001). Mediante l‟utilizzo di modelli globali, sono stati costruiti gli scenari futuri per l‟anno 2100 dei principali biomi presenti sulla Terra (artico, alpino, boreale, prateria temperata, savana, mediterraneo e deserto) e calcolato anche il singolo contributo di ciascun fattore a tale fenomeno. Tali studi (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2001) hanno inoltre quantificato a livello globale (di tutti i biomi) l‟impatto di ciascun fattore di cambiamento. Tre scenari plausibili sono stati considerati in base alle assunzioni circa le interazioni tra i drivers del cambiamento nella biodiversità (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2000; Chapin et al. 2001). Nel primo scenario si assume che non ci siano interazioni tra i vari fattori che influenzano la biodiversità; in questo caso, quindi, il
cambiamento previsto è uguale alla somma dei cambiamenti della diversità biologica causati da ciascun fattore. Nel secondo scenario si assume che ci siano interazioni antagonistiche tra gli effetti dei drivers e la biodiversità risponderà solo al driver a cui esso è più sensibile; infine nel terzo scenario si assume che ci siano interazioni sinergiche e la biodiversità risponderà in modo moltiplicativo ai vari drivers (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2000; Fig.1.3).
In quasi tutti gli ecosistemi terrestri i cambiamenti nell‟uso del suolo rappresentano il fattore con il più alto indice di impatto sulla biodiversità perché determinano una perdita di habitat a cui è associata una rapida estinzione di specie (Fig.1.4a).; il secondo fattore, in ordine decrescente di importanza, è rappresentato dai cambiamenti climatici, e in particolare dall‟aumento di temperatura, che interesserebbe particolarmente le latitudini elevate (Fig.1.4b). La causa principale del cambiamento dell‟uso del suolo è rappresentata dall‟espansione della popolazione umana che converte ecosistemi naturali in ecosistemi dominati dall‟uomo. Il risultato principale di queste azioni è una frammentazione a scala di habitat e di paesaggio; tale frammentazione limita la possibilità di interscambio genetico tra le popolazioni isolate e numericamente impoverite (rarefazione), causando quindi una diminuzione della diversità genetica delle popolazioni residue e riducendo dunque, la possibilità di cambiamento evolutivo. Quando la dimensione della popolazione, e quindi la diversità genetica, scendono la di sotto di un certo limite, le future opzioni evolutive diventano talmente scarse da condannare la specie ad un rapido declino (Massa 1999).
Lo studio di Sala et al. (2000), quindi, ha permesso di osservare grandi differenze tra i biomi circa le cause del futuro cambiamento nella biodiversità (Fig. 1.3; Fig. 1.4b); i biomi come quelli tropicali e delle foreste temperate del sud dimostrano grandi cambiamenti, principalmente a causa delle modifiche nell‟uso del suolo con effetti relativamente bassi
Fig. 1.3 - Scenari nel cambiamento della diversità di specie in biomi selezionati previsti per il 2100. I biomi sono: T (foreste tropicali); G (praterie temperate), M (mediterraneo), D (deserti), N (foreste temperate settentrionali), B (foreste boreali), A (artico). Il grafico dimostra che, secondo le previsioni, tutti i biomi presentano sostanziali cambiamenti nella diversità specifica per il 2100, che la causa principale del cambiamento della diversità differisce tra i biomi, e che il cambiamento nel pattern di diversità dipende dalle assunzioni circa la natura delle interazioni tra i drivers. I cambiamenti previsti sono più simili tra i biomi se i fattori che influenzano la diversità non interagiscono tra loro (scenario 1), mentre differiscono fortemente se i fattori del cambiamento della biodiversità interagiscono (scenario 3) (da Chapin et al. 2000).
dovuti agli altri drivers (Fig. 1.4b). Gli ecosistemi artici sono influenzati largamente da un singolo fattore, il cambiamento climatico (Fig. 1.4b). Biomi come le foreste temperate del nord e i deserti sono influenzati da tutti i drivers ma la maggior parte di essi sono moderati. (Fig. 1.4b). Gli ecosistemi di acqua dolce dimostrano sostanziali impatti derivati dall‟uso del suolo, dalle introduzioni di specie esotiche e dal clima (Fig. 1.4b). Invece, i sistemi mediterranei, le savane, e le praterie sono sostanzialmente sensibili a tutti i drivers dei cambiamenti nella biodiversità, particolarmente al cambiamento nell‟uso del suolo; essi i presentano, infatti, in tutti gli scenari prospettati dagli studiosi, una grande perdita della biodiversità (Fig. 1.3; Fig. 1.4b).
Comunque, data la complessità nelle interazioni tra i drivers (antagonistiche, sinergiche, indipendenti), si può ipotizzare che i cambiamenti futuri nella biodiversità saranno intermedi tra gli scenari che considerano interazioni sinergiche (scenario 3) e quelli che presuppongono l‟assenza di interazione tra i drivers (scenario 1); proiezioni realistiche del cambiamento futuro della biodiversità richiedono un miglioramento nelle conoscenze circa le interazioni tra i drivers che determinano il cambiamento della biodiversità.
Fig. 1.4 - a) Effetti dei maggiori fattori (drivers) di cambiamento sulla biodiversità previsto per il 2100; b) Effetto di ciascun driver sul cambiamento della biodiversità per ciascun bioma terrestre ed ecosistema d‟acqua dolce (da Sala et al. 2000).
2. LA BIODIVERSITA’ E IL FUNZIONAMENTO DEGLI
ECOSISTEMI: IL CONCETTO DI DIVERSITA’ FUNZIONALE
2.1 DIVERSITÀ SPECIFICA E DIVERSITÀ FUNZIONALE
Come su affermato, lo studio della diversità biologica è importantissimo perché ci permette di conoscere il suo ruolo nella struttura e nel funzionamento dei sistemi viventi ed è una fase cruciale di conoscenza per ogni strategia di gestione della biosfera (Ferrari 2001). Ma questo studio rappresenta ancora una disciplina giovane, che non ha raggiunto una maturità tale da garantire l‟esistenza di approcci e protocolli globalmente accettati. A rendere più complessa la situazione è, poi, la natura stessa della biodiversità che raccoglie e analizza informazioni diverse che vanno dall‟ambito propriamente ecologico a quello evoluzionistico.
Uno degli scopi di suddividere il concetto di biodiversità in varie componenti è di facilitare la sua misurazione e sottoporla ad uno studio comparativo rigoroso (Heywood & Iriondo 2003). La biodiversità stessa non può essere misurata e ridotta in una singola misura (Norton 1994); perciò, è fondamentale individuare, in base allo scopo della nostra ricerca, quale aspetto della diversità si dovrebbe misurare. Le misure ottenute sono utili se ci permettono di derivare indicatori o indici della biodiversità, che ci consentano di monitorare che cosa accade nel tempo e nello spazio. È chiaro che per occuparsi dell‟intera biodiversità e della sua composizione, struttura e funzione, abbiamo bisogno di applicare molti differenti indicatori ai diversi livelli di organizzazione (Heywood & Iriondo 2003).
Le specie viventi, “innumerevoli forme, bellissime e meravigliose “ (Darwin 1859), sono le più visibili e significative protagoniste della diversità. Proprio perché le specie esistenti in un dato sistema ambientale esprimono il risultato di un processo adattativo, la misura della diversità specifica è la misura di diversità più significativa dal punto di vista ecologico. Capire quante, e soprattutto, quali specie vivono in un ecosistema e quali sono i rapporti di abbondanza tra loro rappresenta uno dei livelli di lettura della biodiversità con il miglior livello di integrazione (Magurran 1988; Colwell & Coddington 1994; Harper & Hawksworth 1994; Gaston 1996; Lindenmayer et al. 1999). Molti autori concordano sul fatto che la ricchezza specifica e complementarietà di specie, quindi, rappresentino le componenti più importanti delle biodiversità per scopi di valutazione e monitoraggi, anche in contesti paesaggistici.
Negli ultimi anni, però, lo scopo di molti studi è stato quello di comprendere l‟importanza della biodiversità sul funzionamento degli ecosistemi e di individuare quali sono le componenti funzionalmente significative della biodiversità (Díaz & Cabido 2001; Hooper et al. 2002). L‟interesse che la biodiversità determini il funzionamento dell‟ecosistema (Schulze & Mooney 1993) ha generato molti studi specificamente disegnati per rispondere a questa domanda (Tilman 1999; Kinzig et al. 2001; Loreau et al. 2001, 2002). Molte controversie sono nate sui problemi relativi ai disegni sperimentali, alle interpretazioni statistiche dei risultati,
alle misure più appropriate e ai fattori che controllano e che sono influenzati dalla diversità a diverse scale (Díaz & Cabido 2001). I principali studi empirici, sperimentali e teorici si sono focalizzati sull‟impatto della struttura trofica sul flusso di energia e materia, o sull‟impatto della ricchezza di specie sulla performance e sostenibilità degli ecosistemi, soprattutto in relazione ai cambiamenti globali dell‟ecosistema (Lacroix & Abbadie 1998). Recenti sintesi hanno evidenziato le complesse relazioni tra la diversità biologica, la struttura trofica e le funzioni degli ecosistemi, e le maggiori lacune delle nostre conoscenze su queste interazioni (Heywood 1995; Gaston 1996). Per molto tempo, comunque, si è considerato esclusivamente la ricchezza specifica come la sola misura della diversità. Solo una frazione degli studi prodotti ha esplicitamente testato il ruolo delle componenti “funzionali” della diversità, come la “ricchezza funzionale” e la “composizione funzionale” e pochi contributi concettuali, empirici e di modelling sono stati realizzati con una prospettiva integrata, fornendo le fondamenta da cui spiegare perché e come differenti componenti della diversità potrebbero influenzare i processi. Tuttavia, negli ultimi anni, gli studiosi sono concordi nel ritenere che, quando focalizziamo il nostro studio sull‟influenza della biodiversità sul funzionamento degli ecosistemi, gli effetti della diversità sui processi dell‟ecosistema dovrebbero essere attribuiti ai tratti funzionali (valore e range) delle specie individuali e alle loro interazioni (come essi competono direttamente o indirettamente, e come essi modificano gli ambienti biotici e abiotici degli altri) piuttosto che dal numero di specie per se (Díaz & Cabido 2001). Si è focalizzata, quindi, l‟attenzione su un‟altra importante componente della diversità, spesso sottostimata rispetto alla ricchezza di specie: la diversità funzionale (Naeem & Wright 2003), cioè sul grado di differenze funzionali tra le specie in una comunità (Tilman 2001).
In questo scenario, un ampio dibattito ha riguardato il ruolo della diversità funzionale di specie vegetali sul funzionamento degli ecosistemi (Schulze & Mooney 1993; Tilman 1999; Kinzig et al. 2001, Loreau et al. 2001, 2002). Esiste una vasta letteratura sulle relazioni tra la diversità e il funzionamento degli ecosistemi, e, in particolare, le relazioni tra i Plant Functional Types (PFTs) e i plant traits con i processi dell‟ecosistema (Díaz & Cabido 2001). Molti studi che hanno preso in considerazione la capacità delle piante di assorbire e amministrare le risorse, hanno evidenziato fortemente l‟importanza dei gruppi funzionali e della diversità funzionale (Tilman et al. 1996; Hooper & Vitousek 1997; Lacroix & Abbadie 1998). Relazioni forti tra la presenza e l‟assenza di certi gruppi funzionali e la velocità e l‟intensità dei processi ecosistemici, sono ben documentati per una varietà di sistemi. Per esempio, alberi con complesse strutture legnose aree e sistemi radicali estesi hanno un importante effetto sul suolo, l‟acqua e la ritenzione dei sedimenti, il tamponamento del clima, e la diversità animale; graminacee e muschi hanno differenti effetti sul ciclo del carbonio e dell‟azoto negli ecosistemi della tundra; e l‟abbondanza relativa di cespugli d‟erba determina fortemente il regime del fuoco nella vegetazione seminaturale (Díaz & Cabido 2001). Inoltre, secondo Grime (1998) la resilienza e la resistenza dell‟ecosistema sono fortemente influenzate dai caratteri delle specie dominanti: le comunità dominate da piante
che crescono velocemente tenderanno ad avere elevata resilienza e bassa resistenza, al contrario avviene per le comunità dominate da specie con una crescita lenta. Velocità e intensità dei processi dell‟ecosistema, quindi, sono state associate più consistentemente alla composizione funzionale (presenza di certi tipi funzionali o tratti) e alla ricchezza funzionale (numero di differenti “tipi funzionali”) che alla ricchezza di specie (Díaz & Cabido 2001). Grime (1997), inoltre, afferma che abbiamo bisogno di un approccio più integrato sulle proprietà biologiche e funzionali e le dinamiche delle risorse degli organismi chiave.Questi studi, comunque, hanno confermato l‟opinione secondo la quale la diversità funzionale è un importante determinante dei processi degli ecosistemi (Loreau 1998; Chapin et al. 2000; Tilman 2000; Díaz & Cabido 2001; Loreau et al. 2001; Petchey & Gaston 2002).
Tuttavia, sia l‟approccio basato sulle specie che quello basato sui tipi funzionali, hanno avuto lo slancio all‟inizio degli anni novanta come risultato delle sfide poste dai cambiamenti ambientali globali. L‟attenzione verso questi due aspetti della diversità ha rispecchiato l‟esistenza di due linee parallele d‟inchiesta nell‟ecologia durante la gran parte del 20 secolo. Il primo di questi, “specie-based approach”, ha messo l‟accento sul ruolo unico di ogni specie in una comunità, e ha influenzato il modello di molti studi sul ruolo della diversità nel funzionamento dell‟ecosistema, specialmente durante i primi anni novanta. Il secondo, l‟approccio, “functional-type approach”, insiste, invece, sulle strategie comuni a molte specie nella risposta alle sfide ambientali, indipendentemente dalla loro discendenza. La mancanza di una ibridazione tra questi due approcci potrebbe in parte spiegare le controversie generatesi sulla questione e anche che, sebbene la diversità funzionale sia conosciuta come il meccanismo chiave con cui la diversità influenza il funzionamento dell‟ecosistema, non c‟è ancora un soddisfacente mezzo standardizzato per misurarla. Di conseguenza, la ricchezza e la composizione di specie è spesso usato come un surrogato della diversità funzionale, nonostante la sua inadeguatezza (Díaz & Cabido 2001).
2.2 IL CONCETTO DI DIVERSITÀ FUNZIONALE
Solo da pochi anni la diversità funzionale sta emergendo come un aspetto di cruciale importanza nel determinare i processi dell‟ecosistema, e sta guadagnando un posto di generale importanza nelle ricerche ecologiche (Naeem 2002). Secondo uno studio effettuato da Petchey & Gaston (2006) l‟uso del termine diversità funzionale negli anni 2003-2005 è apparso nel titolo, nell‟abstract o tra le keywords di ben 238 articoli. Il concetto di diversità funzionale rimane, tuttavia, complesso ed è stato definito spesso come “slippery” (Martinez 1996; Bengtsson 1998; Díaz & Cabido 2001). Sono tre le questioni ancora aperte: come definire la diversità funzionale, come misurarla e come stimare la sua performance.
Per quanto riguarda il primo punto, è stato prodotto un ampio range di definizioni di “diversità funzionale” come: “la molteplicità funzionale all‟interno di una comunità” o il “ numero, tipo e distribuzione delle funzioni compiute dagli organismi all‟interno di un
ecosistema “ (Díaz & Cabido 2001). Ma, come notano Petchey e Gaston (2006), il termine è frequentemente usato senza definizione; infatti, nel 2005, oltre il 50% degli articoli pubblicati con “ diversità funzionale” nel titolo, abstract o keywords non forniscono nessuna definizione e nessun riferimento alla stessa, piuttosto essi sembrano basarsi su una comprensione intuitiva dei suoi significati e suppongono che ciascuno condivida lo stesso concetto. Ovviamente questo crea una forte incertezza sull‟argomento (Petchey & Gaston 2006). C‟è un generale accordo, nel ritenere che la diversità funzionale generalmente coinvolga la comprensione di comunità ed ecosistemi fondati “su che cosa” l‟organismo fa piuttosto che sulle sue storie evolutive. Questa è una considerazione molto generale per la diversità funzionale e pone un enorme numero di questioni. Per esempio, se “cosa l‟organismo fa” è interpretato come il fenotipo dell‟organismo (esempio un carattere fenotipico) allora la diversità funzionale equivale alla diversità fenotipica (Petchey & Gaston 2006). Possiamo affermare che la maggior parte delle ricerche considera proprio quest‟aspetto. Sebbene tale generalità è accettabile, recenti ricerche circa le potenziali conseguenze della biodiversità per i processi dell‟ecosistema (Tilman 1999; Chapin et al. 2000; Grime 2001; Loreau et al. 2001; Hooper et al. 2005) hanno portato a una più specifica definizione di diversità funzionale intesa come: “il valore e il range di quei caratteri delle specie e degli organismi che influenzano il funzionamento dell‟ecosistema” (Tilman 2001). Una conseguenza di questa definizione è che la misura della diversità funzionale è circa la misura della diversità dei caratteri funzionali (plant traits), dove i caratteri funzionali sono i componenti del fenotipo dell‟organismo che influenzano i processi a livello dell‟ecosistema (Petchey & Gaston 2006).
2.3 MISURE DELLA DIVERSITÀ FUNZIONALE
La diversità funzionale è un‟importante componente della biodiversità, tuttavia in confronto alla diversità tassonomica, i metodi di quantificazione della diversità funzionale sono ancora poco sviluppati (Petchey & Gaston 2002). Non c‟è una semplice, soddisfacente o standardizzata misura della diversità funzionale (Díaz & Cabido 2001; Tilman 2001), né esiste una misura “perfetta” della stessa. Vengono solitamente distinte due componenti della diversità funzionale: la composizione funzionale (la presenza di certi caratteri o tipi funzionali) e la ricchezza (il numero di differenti tipi funzionali). Un modo per misurare o meglio caratterizzare la diversità funzionale, quindi, è quello di analizzare i caratteri morfologico-funzionali delle specie (plant traits) e poi di raggrupparle in gruppi che sono simili nei valori dei caratteri e di contare il numero dei gruppi presenti in un assemblaggio, cioè il numero dei gruppi funzionali o di quelli che vengono definiti Plant Functional Types (PFTs). Quindi, una comune misura della diversità funzionale è il numero di gruppi funzionali delle specie in una comunità (Naeem & Li 1997; Hooper 1998; Hector et al. 1999; Rastetter et al. 1999; Fonseca & Ganade 2001; Tilman 2001; Tilman et al. 2001).
Ma vediamo meglio cosa si intende per plant trait (carattere funzionale) e cosa per Plant Functional Type (PFT) o tipo funzionale.
2.3.1 Plant traits e Plant Functional Types
Storicamente, il termine traits si è spostato naturalmente dal linguaggio comune a quello più scientifico in diverse discipline (genetica quantitativa, ecologia funzionale). In seguito alla proposta di Darwin, i caratteri (traits) furono inizialmente usati soprattutto come elementi predittivi della performance degli organismi. Nelle ultime tre decadi, sviluppi nell‟ecologia delle comunità e in quella degli ecosistemi, hanno spinto il concetto di carattere oltre questi confini originari, e gli approcci basati sui traits sono oggi utilizzati in studi che vanno da livello dell‟organismo a quello degli ecosistemi (Violle et al. 2007; Fig. 1.5).
Nonostante alcuni sforzi nel fissare una terminologia, c‟è ancora oggi un alto grado di confusione nell‟uso, non solo del termine traits di per se stesso, ma anche nel sottolineare i concetti a cui si riferisce. Violle et al. (2007), nel loro studio, hanno definito i concetti di traits e di functional traits, e hanno suggerito una struttura che indica come i traits dovrebbero essere utilizzati per affrontare le problematiche correnti nel campo dell‟ecologia delle comunità e degli ecosistemi. Essi propongono di utilizzare i caratteri solo a livello del singolo individuo, con la seguente definizione: un trait è “ogni aspetto morfologico, fisiologico e fenologico, misurabile a livello dell‟individuo, dal livello di cellula a quello dell‟intero individuo, senza riferimento all‟ambiente o ad altri livelli di organizzazione”. Questa definizione implica che nessuna informazione esterna all‟individuo (fattori ambientali) o ad ogni altro livello di organizzazione (popolazione, comunità o ecosistema) è richiesta per definire un carattere. A livello di popolazione, Violle et al. (2007) suggeriscono di attenersi alla terminologia utilizzata da Caswell (1989) e di usare l‟espressione “parametri demografici” invece di traits; mentre a livello di comunità o di ecosistema, di utilizzare il termine “property” per designare ogni aspetto o processo come diversità della comunità, decomposizione, disponibilità delle risorse del suolo. La definizione di trait così come presentata da questi autori richiede delle precisazioni importanti: 1) viene detto “attributo” il particolare valore o modalità assunta dal carattere ad ogni spazio e tempo; 2) all‟interno delle specie, il carattere, sia continuo che categorico, può dimostrare differenti attributi lungo gradienti ambientali o nel tempo; 3) l‟attributo per un carattere è usualmente stimato per una popolazione in un dato tempo e spazio.
Una volta definito il concetto di trait, Violle et al. (2007) definiscono quello di “functional trait”; esso è “ogni morfologico, fenologico e fisiologico carattere che incide sulla fitness dell‟individuo indirettamente attraverso i suoi effetti su quelli che vengono definiti “performance traits” (biomassa vegetativa, rendimento riproduttivo e sopravvivenza della pianta)”; questi traits, secondo il paradigma di Arnold (1983) applicato all‟ecologia vegetale, contribuiscono direttamente alla fitness (Fig. 1.6).
Fig. 1.5 - Schema che collega le sfide di interesse di differenti livelli di organizzazione, attraverso i loro propri relativi componenti, ad alcuni esempi di traits trovati in letteratura. Senza l‟informazione trait-based, salendo a più alti livelli di organizzazione si ha bisogno di un‟informazione d‟integrazione complessa (I). Quindi le componenti della fitness di un individuo determinano le componenti del tasso finito di aumento (λ) della popolazione (II-P). L‟occorrenza e la frequenza delle specie a livello di comunità comprendono le componenti di λ
attraverso un‟integrazione complessa (esempio interazione biotica).Infine, l‟ascesa alle proprietà dell‟ecosistema può essere attuata combinando le proprietà funzionali di ciascuna specie della comunità (IC-E). L‟uso di traits
come elementi predittivi di un processo ad un particolare livello di organizzazione biologica può essere attuata senza la funzione di integrazione. Per esempio, a livello di ecosistema, la produttività dell‟ecosistema (una componente del funzionamento dell‟ecosistema) dimostra una forte relazione positiva con l‟altezza della pianta. (da Saugier et al. 2001; Violle et al. 2007)
Una struttura concettuale per comprendere i collegamenti fra specie e il funzionamento degli ecosistemi usando i plant traits è stata proposta da Chapin et al. (2000) e in seguito definita da Díaz & Cabido (2001) e Lavorel & Garnier (2002). Essa distingue: 1) “functional response traits”: caratteri delle specie che variano consistentemente in risposta ai cambiamenti nei fattori ambientali; 2) “functional effect traits”: caratteri delle specie che influenzano il funzionamento dell‟ecosistema. Il totale insieme di functional traits in una comunità è uno dei principali determinanti delle proprietà dell‟ecosistema (Chapin et al. 2000).
Ma lo studio dei plant traits è anche molto utile perché ci permette di operare classificazioni. Tale utilità dei caratteri morfologico-funzionali è conosciuta dall‟epoca di Aristotele e Teofrasto (ca. 300 a.C.), che classificarono le piante in alberi, arbusti e erbe in base all‟altezza e la densità del fusto (Díaz Barradas et al. 1999).