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View of Attilio Scuderi, L’ombra del filologo. Romanzo europeo e crisi della cultura umanistica

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Between, vol. 1, n. 1 (Maggio/ May 2011)

Attilio Scuderi

L’ombra del filologo.

Romanzo europeo e crisi

della cultura umanistica

Firenze, Le Monnier, 2009, pp. XI+180

«Ein Gespenst geht um in Europa…». L’evocazione umbratile del titolo, schiudendo il campo semantico dello spettro, suggerisce un movimento non del tutto addomesticabile, una dinamica, evanescente e resistente, dell’aggirarsi e dell’incombere: non il filologo, ma le sue spoglie; oppure – e insieme – soltanto un’ombra, del filologo, dovremmo dire, soltanto l’ombra. E così, col passo di uno spettro, avvezzo all’attraversare e al trapassare, la ricerca procede entro e oltre i bordi delle discipline, ascrivibile eppure non circoscrivibile all’ambito della «tematologia letteraria» (p. 1), ma tale da produrre al suo esito, lungo una trama composita di digressioni e ritorni, «una storia culturale del personaggio del filologo e dell’umanista nella letteratura europea del Novecento» (p. 1).

Cultura dentro la letteratura dentro la cultura, insomma, in un fluido rapporto di concentricità reciproche, laddove il tema stesso, oltre a un equilibrato eclettismo metodologico proprio dell’Autore, pare imporre una sostanziale trasversalità d’indagine, situato come si trova all’interno di una rete di snodi che, incrociando le due serie principali del sapere e del potere, raggrumano in sé questioni tanto educative quanto sociologiche, non disgiunte peraltro da una certa emergenza dell’etica. Si prenda, seguendo una prima traccia del percorso affrontato da Scuderi, la figura del Wilamowitz, modello di «filologo militante» in cui l’attività intellettuale non si scinde da un (ingombrante) impegno politico, contraddistinto, quest’ultimo, da posizioni apertamente antidemocratiche, se non precorritrici del nazismo a venire: caso estremo, certo, ma non isolato episodio di una pervasiva solidarietà tra classico e regime che, all’altezza degli anni Trenta e Quaranta, finisce per consolidare un discorso, per dirla con Foucault, costituito di inestricabili legami tra «pratiche culturali e

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Attilio Scuderi, L’ombra del filologo. Romanzo europeo e crisi della cultura umanistica (Corrado Confalonieri)

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sociali, strategie e retoriche di potere ed insieme politiche scientifico-accademiche e pedagogiche» (p. 28).

A partire da questa scomoda compromissione, dunque, sembrano stagliarsi due istanze opposte e coesistenti, la «necessità» del classico accompagnandosi ora alla sua stessa «impossibilità», vittima di soffocanti costruzioni e incrostazioni ideologiche; stretto e internamente diviso tra dover-essere e non-poter-più-essere, il personaggio letterario del filologo-umanista diviene il luogo dove si congiungono – e forse s’ingarbugliano, per usare un’immagine vicina a Gadda, studiato soprattutto nel terzo capitolo – le contraddittorie linee della cultura classica, spesso pericolosamente attigua alle derive dell’elitarismo, e della sua complicata ricollocazione nella società di massa.

Critico spietato del nesso, o della connivenza, tra cultura umanistica e coercizione, Orwell è asse portante del capitolo secondo, principalmente dedicato alla letteratura inglese: emblematico rappresentante della crisi dell’umanesimo tradizionale, il filologo Porteous di Coming up for air incarna così un mondo oramai lontano dal mondo, voce della Cultura in un tempo nel quale il termine, perdendo la lettera maiuscola e con essa il suo carattere monolitico, richiede una declinazione plurale e pluralista (e in questo senso, allora, viene riconosciuto a Orwell un ruolo da precursore dei Cultural Studies). Serrato nella sua torre obsoleta, l’umanista «manca» la modernità che, per tutta risposta, può e deve mancare di lui: a questo orientamento, cui non è distante l’idea di lettura libera da qualsivoglia legge o convenzione della Woolf, la quale pure tenta un recupero alternativo del bagaglio classico, si oppone la proposta conservatrice di Eliot, volta a mantenere un ruolo fondamentale alla cultura umanistica, se non in contrasto, quantomeno come base della letteratura moderna; che si parli di liquidazione o di conservazione, però, resta irrinunciabile denominatore comune l’emergere di problemi riguardanti l’assetto politico della società, con il classico considerato rispettivamente «condizione di possibilità» della democrazia da parte di Eliot e «condizione di impossibilità» della stessa da parte di Orwell.

Trasferendo poi il baricentro della ricerca entro la letteratura italiana, l’Autore continua a in-seguire la traccia del suo personaggio-spettro lungo l’opera di Gadda, Meneghello e Pontiggia, le cui scritture, al di là delle ineliminabili differenze, sembrano poter essere apparentate, relativamente al tema in questione, dalla figura di una non del tutto risolta – e per questo, certo, feconda – contraddizione; tra il desiderio di ordine e di libertà positiva, «nelle» regole, e il senso opprimente di una pratica (anche pedagogica) segnata dalla coercizione, il classico pare darsi al medesimo tempo come «gabbia» e

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come via d’uscita dalla gabbia stessa: qui, nella fragilità e nell’inattualità, nei caratteri propri, insomma, di una cultura sospesa tra la sua fine e un’ostinata quanto intempestiva resistenza (e si vedano pure le sezioni affacciate sulla letteratura europea e il cinema, tra Marías, Toussaint e Manoel De Oliveira), finisce per ritrovarsi il pieno significato del titolo, con quell’ombra che, oscura e impalpabile, tuttavia proietta ancora un cono di tenebra luminosa capace di aprire una lettura del tempo presente.

Un rapido scorcio sul dibattito contemporaneo – tra i saggi di Lanza, Settis e Canfora – chiude il testo senza sigillarlo, aperto, nelle tre stimolanti appendici conclusive, all’esigenza di una discussione sopra un’auspicabile riforma degli studi umanistici da operare entro una nozione più «disponibile e flessibile di cultura» (p. 131): dalla «teoria psicologico-narrativa» di Bruner al Maggio selvaggio di Albinati, con l’erosione del confine tra scuola e carcere, passando per la necessità di nuove mappature letterarie in nome di più ampi campi d’applicazione, perché (le ombre, aggiungiamo, e) «gli spettri ci sono sempre, anche se non esistono, anche se non sono più, anche se non sono ancora» (Jacques Derrida, Spettri di Marx, Milano, Cortina, 1994: 220).

L'autore

Corrado Confalonieri

Dottorando in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie, indirizzo Italianistica all’Università di Padova.

Email: [email protected]

 

La recensione

Data invio: 30/09/2010 Data accettazione: 20/10/2010 Data pubblicazione: 30/05/2011

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Attilio Scuderi, L’ombra del filologo. Romanzo europeo e crisi della cultura umanistica (Corrado Confalonieri)

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Come citare questa recensione

Confalonieri, Corrado, "Attilio Scuderi, L’ombra del filologo. Romanzo

europeo e crisi della cultura umanistica", Between, I.1 (2011),

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