• Non ci sono risultati.

Vescovo e Comune tra XII e XIII secolo. Definizioni e rapporti

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Vescovo e Comune tra XII e XIII secolo. Definizioni e rapporti"

Copied!
282
0
0

Testo completo

(1)

U

NIVERSITÀ DEGLI STUDI DI

P

ISA

D

IPARTIMENTO DI

C

IVILTÀ E

F

ORME DEL SAPERE

CORSO DI

D

OTTORATO IN

S

TORIA ED

O

RIENTALISTICA

D

ISSERTAZIONE

F

INALE

C

OMUNE E

V

ESCOVO TRA

XII

E

XIII

SECOLO

.

DEFINIZIONI E RAPPORTI

RELATORE CANDIDATO

(2)

Non nobis Domine, non nobis, sed tuo nomini da gloriam

(3)
(4)

4

P

REMESSA

7

I

NTRODUZIONE

13

C

APITOLO

P

RIMO

:

P

ARMA 22

FORMAZIONE ED EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA CITTADINA A PARMA 28

DOMINICUS WALCUS E IL PROBLEMA DEL SUO BREVE (1192-1193) 50

1195,29 MAGGIO, PIACENZA 61

OTTONE IV,1210 73

AL VESCOVO:1210,30 MARZO,IMOLA 74

AL COMUNE:1210,26 MAGGIO,LODI 76

AL VESCOVO:1210.17 AGOSTO,SAN SALVATORE 78

FEDERICO II,1219 80

1218,CAUSA TRA VESCOVO E COMUNE, IL LIBELLUS 83

1220, ONORIO III, LA SENTENZA 98

1221,10 LUGLIO 103

DE COMPOSITIONE DOMINI EPISCOPI ET COMMUNIS 103

DOPO IL 1221 121

CAPITOLO SECONDO

:

M

ODENA

125

IL TERRITORIO DI MODENA 128

(5)

5

MONASTERI 142

URBANISTICA E PRODUZIONE SCRITTA 150

CONCORDIAE 155

1182,31 OTTOBRE 156

1227,3 DICEMBRE 167

C

APITOLO TERZO

:

T

REVISO 184

LA COSTRUZIONE DEL POTERE TEMPORALE DEL VESCOVO DI TREVISO 185

LA FAMIGLIA COMITALE 202

FAMIGLIE SIGNORILI E VASSALLI VESCOVILI 204

LA FORMAZIONE DEL COMUNE DI TREVISO 214

IL RUOLO DEL CONTE 224

CONTESE TRA VESCOVO E COMUNE 232

1182–IL QUARANTESIMUM ROMERIIS 236

L’ESTIMARIA 238

1210-1211: IL VESCOVO TISO DA VIDOR E LA CONTESA CON IL COMUNE 241

GLI ULTIMI ACCORDI TRA TISO E IL COMUNE 244

C

ONCLUSIONE

250

(6)
(7)

7

Questo contributo nasce dall’aver osservato una coincidenza particolare, nei decenni a cavaliere tra XII e XIII secolo, nelle vicende di due città nell’Italia centro-settentrionale: Parma e Modena.

In questi decenni si assiste al dispiegarsi delle tensioni più aspre tra il Vescovo e il Comune, che si trovano a convivere in una stessa città. Questi contrasti vedono una composizione sistematica nei primi decenni del XIII secolo, attraverso la stipulazione di concordiae tra i due enti. Questi accordi erano volti alla definizione dei rapporti tra il presule e le istituzioni cittadine e la determinazione delle rispettive giurisdizioni e aree di influenza. Si trovano composizioni di questo genere in tutta l’Italia settentrionale.

Qui si analizzeranno i casi di Parma, di Modena e di Treviso che presentano una cronologia e una dinamica molto simili. Nel 1221 a Parma e nel 1227 a Modena, vengono siglate due composizioni in cui si stabiliscono i vari diritti spettanti al Comune e al Vescovo e si può notare come quello si affermi sempre più sia nella città che nel contado, a detrimento dell’autorità vescovile, tradizionale punto di riferimento di tutto il territorio. Si osserva dunque un mutamento radicale, che vede il consolidarsi di una coscienza cittadina chiara che va plasmando la società, la cultura e gli equilibri politici nel territorio diocesano.

I due atti del 1221 e del 1227 sono l’apice di un percorso che si snoda lungo i decenni precedenti e che segue tappe simili per le due città, segnate da una serie di documenti dai contenuti sorprendentemente analoghi, espressione di cambiamenti istituzionali e sociali altrettanto paragonabili.

(8)

8

Parma e Modena presentano un contesto molto simile: l’ambiente e la geografia, la rete di relazioni con le altre città dell’Italia settentrionale e con i due poteri universali di papato e impero in cui sono inserite e in cui rivestono una posizione analoga, il contesto sociale urbano e il legame almeno iniziale con il vescovo e l’evoluzione dei rapporti con questo. A partire da questa base comune e dinanzi allo sviluppo di una problematica simile, com’era quella della definizione della giurisdizione nel rapporto con il vescovo, si giunge a soluzioni che, se sotto alcuni aspetti sono paragonabili cosi come nel loro risultato ultimo, sono raggiunte attraverso la formulazione e l’utilizzo di strumenti molto diversi.

Oltre a questi due casi, si valuterà la situazione della città di Treviso. Nello studio delle controversie tra il comune e il vescovo per la giurisdizione sulla città e sul contado circostante, che ha il suo culmine nei primi due decenni del XIII secolo, è emersa come la situazione delle città venete e lo sviluppo dei loro comuni presenti delle peculiarità rispetto ad altre zone dell’Italia centro-settentrionale. Si è individuato un insieme di elementi: la presenza e l’azione continuativa in città di una figura pubblica come il conte; una nascita tarda del comune attorno alla metà del XII – per Treviso anche oltre; uno scarso o quasi nullo ricambio nell’élite di governo cittadino; un’élite con forti rapporti con il vescovo e decisi interessi signorili nel contado; vescovi a loro volta immersi nella politica locale delle famiglie aristocratiche di cui fanno loro stessi parte dopo la lunga sequenza di vescovi tedeschi; una tendenza a modellare l’azione e la politica del comune lungo gli assi di interesse delle varie famiglie aristocratiche che compongono il ceto dirigente comunale; una storia comunale che si può definire breve, schiacciata dall’avvento delle dominazioni dei da Romano. Tutti questi

(9)

9

aspetti, evidenti a Treviso e rintracciabili anche nelle storie degli altri comuni veneti, sembrano essere le linee di un modello di comune particolare.

Per il caso di Treviso si nota anche una convivenza pacifica tra chi pur aderiva a partiti opposti nella grande politica internazionale – adesione che mutava anche repentinamente a seconda degli interessi in gioco ma che non si riflettevano in violenti ed espliciti conflitti interni. Per quel che riguarda nello specifico i rapporti tra vescovo e comune trevigiani si nota una decisa partecipazione del vescovo alle logiche e alle politiche signorili del comune e un atteggiamento nei confronti della gestione del patrimonio vescovili assimilabile a quello dell’élite cittadina nei confronti della politica comunale di cui si è appena detto. Tuttavia, nei primi due decenni del XIII secolo si registra comunque lo sforzo dei vescovi nel difendere e recuperare il proprio patrimonio e le proprie prerogative, anche su forte pressione del papa, che interverrà più volte direttamente. Il ruolo del vescovo tornerà centrale verso la fine della dominazione dei da Romano e nei primi anni della nuova fase del comune libero, nella seconda metà del XIII secolo, in cui la sua autorità ricompatta una comunità dispersa dalla lunga dominazione signorile e la sua potenza economica concorre a risollevare un’economia cittadina provata dai molti anni di guerre e carestie. Una dinamica, anche questa, che si può osservare molto simile in altri comuni veneti.

Dunque, può esser interessante seguire questi percorsi per trovare punti comuni e divergenze, per poter cogliere gli indizi di trasformazioni interne alla società cittadina, nell’ambito dell’acquisizione e del consolidamento di una propria identità, che seguano tendenze comuni riscontrabili a livello regionale. Un cambiamento di coscienza che non sia determinato solamente da fattori dipendenti dalle decisioni e dagli andamenti della politica più alta, subiti passivamente, e neppure definito

(10)

10

solamente da logiche strettamente locali e da interessi avulsi dal resto della società.

La motivazione del raggiungimento di questi accordi, che segnano un’accelerazione nei processi di affermazione delle istituzioni comunali, prima relativamente graduali e prudenti, deve esser cercata nella risultante di queste logiche generali e particolari. Ad esse occorre aggiungere da un lato appunto l’intreccio di relazioni economiche e politiche a livello regionale che determinano molte delle scelte e che influenzano vicendevolmente i rispettivi sviluppi istituzionali e culturali, dall’altro il fatto che le decisioni assunte, le istituzioni formate e le vicende intraprese siano il frutto del pensiero e delle azioni di singoli uomini e di una collettività fatta di individui, che dunque non è incastrata in schemi necessari, ma che può determinare situazioni diverse pur a partire da presupposti comuni.

(11)
(12)
(13)

13

Questo contributo si inserisce in un settore, quello del rapporto tra le città e i vescovi1 nei secoli XI-XIII, che ha molto attirato l’interesse della

storiografia.

A grandi linee, gli studi che riguardano questo problema seguono due tendenze principali. Da una parte, quegli studi monografici2, che sono incentrati su singole realtà cittadine, considerando le motivazioni della formazione delle istituzioni comunali per lo più esclusivamente come il frutto degli sviluppi locali, degli intrecci tra gli interessi politici ed economici delle famiglie incardinate nella città, lasciando solo un ruolo marginale

1 Su questo problema la bibliografia è naturalmente amplissima, si rimanda agli

studi classici di riferimento: O.CAPITANI, Città e comuni, in Storia d'Italia diretta da

G. Galasso, IV: Comuni e signorie: istituzioni, società e lotta per l'egemonia, Torino 1981, pp. 3-57; di R. BORDONE, Nascita e sviluppo delle autonomie cittadine, in La

Storia. I grandi problemi dal Medioevo all'Età Contemporanea, a cura di N.

Tranfaglia, M. Firpo, II/2: Il Medioevo. Popoli e strutture politiche, Torino1986 (Milano 1993), pp. 427-460 e di E. ARTIFONI, Tensioni sociali e istituzioni nel mondo

comunale, ibidem, pp. 461-49; si vedano inoltre i saggi di Renato Bordone e di

Massimo Vallerani, nella sezione L'età dei comuni, in Comuni e signorie nell'Italia

settentrionale: la Lombardia, a cura di G. Andenna, R. Bordone, F. Somaini, M.

Vallerani, Torino 1998 (Storia d'Italia, 6), pp. 317-480, G. TABACCO, La sintesi

istituzionale di vescovo e città in Italia e il suo superamento nella res publica comunale, in ID., Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, Torino

1979, pp. 397-427; L. FASOLA, Vescovi, città e signorie (secc. VIII ex.-XV), in Chiesa e

società. Appunti per una storia delle diocesi lombarde, a cura di A. Caprioli, A.

Rimoldi, L. Vaccaro, Brescia 1986, pp. 79-126; M.PELLEGRINI, Vescovo e città. Una

relazione nel Medioevo italiano (secoli II-XIV), Milano 2009. Per quel che riguarda più

da vicino gli aspetti di produzione documentaria come costruzione della memoria e dell’identità: G. ALBINI (a cura di) Le scritture del Comune. Amministrazione e

memoria nelle città dei secoli XII e XII, Torino 1998; P- CANCIAN (a cura di), La

memoria delle chiese. Cancellerie vescovili e culture notarili nell’Italia centro-settentrionale (secoli X-XIII), Torino 1995.

2 Per quel che riguarda questa tesi, si considerino principalmente per Modena: R.

RÖLKER, Nobiltà e Comune a Modena. Potere e amministrazione nei secoli XII e XIII,

Modena 1997, per Parma, R. SCHUMANN, Istituzioni e società a Parma dall’età

carolingia alla nascita del comune, Reggio Emilia 2004. In entrambi i lavori lo

sguardo è più concentrato a seguire le evoluzioni delle varie famiglie signorili urbane e del contado e quindi a seguire le vicende del comune in rapporto a queste, piuttosto che seguire gli sviluppi istituzionali e giurisdizionali dell’affermazione degli uffici comunali e dei legami con il vescovo.

(14)

14

all’orizzonte più ampio dell’influenza della politica imperiale e papale o a quello delle relazioni economiche e politiche tra città delle diverse regioni.

Dal lato opposto ci sono quegli studi che invece considerano le città e i vescovi in rapporto alla loro funzione di intermediari, agenti od ostacoli della politica, si potrebbe dire, sovranazionale di papi e imperatori3, interpretando le azioni di vescovi e istituzioni comunali secondo i progetti e il linguaggio tipici di questi poteri universali, inquadrandone le evoluzioni nella scacchiera politica di quei poteri alti, rischiando così di ridurre i movimenti cittadini e vescovili a mera espressione della volontà pontificia o imperiale.

Un’altra tendenza che sovente si coglie è quella di valutare le vicende sviluppatesi all’interno della città scindendo i percorsi delle loro componenti principali - soprattutto quelle facenti capo alle istituzioni comunali da un lato e agli enti ecclesiastici dall’altro – e analizzandole separatamente senza poi ripotarle in una sintesi e evidenziarne sia punti di contatto o di divergenza, sia il grado di influenza reciproca, ma piuttosto descrivendone la storia come fossero enti completamente separati e che non avessero, se non in rari occasioni, occasioni di contatto.

Tuttavia, nessuna di queste vie può pensare di esaurire in sé le ragioni delle vicende dei comuni italiani di questo periodo, che anzi piuttosto sono la risultante di tutte queste tendenze, i cui prodotti non possono essere scissi tra loro.

3 Tra gli altri, si fa rifermento ai lavori dell’Alberzoni, in particolare M.P.ALBERZONI,

Città, vescovi e papato nella Lombardia dei comuni, Novara 2001, e L. BAIETTO, Il

papa e le città. Papato e comuni in Italia centro-settentrionale durante la prima metà del secolo XIII, Spoleto 2007. Il primo di questi testi raccoglie una serie di saggi sul

rapporto dei vescovi lombardi e papa Innocenzo III e il secondo ne riprende la prospettiva allargandola a tutta l’Italia centro settentrionale e prolungandola fino al pontificato di Innocenzo IV.

(15)

15

Dunque - ed è quello che almeno teoricamente questo contributo si propone di fare attraverso i casi di Modena e Parma e di Treviso- occorre riguardare agli avvenimenti che intrecciano le vicende di questi enti, i loro interessi e le loro azioni, tentando di tenere insieme tutti questi fattori e insieme inserendoli in un contesto regionale, che possa rendere ragione della sorprendente contemporaneità e somiglianza di eventi, anche in assenza di scambi di particolare intensità, tra queste stesse città.

È pertanto a questo livello regionale - delle connessioni tra città le cui mire insistono su territori simili - che si può trovare una chiave di lettura che possa spiegare tutti i cambiamenti che si concentrano specialmente nei decenni a cavallo del XII e XIII secolo. Infatti, solo tenendo insieme tutti questi fattori possono essere comprese le complesse sfaccettature degli sviluppi cittadini, dalla ripresa demografica ed economica della città, connessa con il miglioramento delle condizioni di vita e con forte sviluppo delle attività mercantili che inevitabilmente porta ad intessere rapporti tra città poste sulle stesse vie di comunicazione alimentandone così l’economia; allo sviluppo e all’organizzazione delle istituzioni comunali e alla formazione di identità cittadine che seguono percorsi analoghi attraverso l’acquisizione di una coscienza politica collettiva e l’utilizzo e il consolidamento di una competenza giuridica; alle manifestazioni culturali, artistiche e religiose che sono espressione e riflesso dei cambiamenti in corso4.

4 In questo senso vanno gli studi che studiano i rapporti e gli scambi a livello

politico ed istituzionale tra queste città, come il lavoro che raccoglie una serie di saggi sulla circolazione dei podestà nei vari comuni, secondo le città di provenienza: J.C.MAIRE –VIGUEUR (a cura di),I podestà dell’Italia comunale, Roma 2000.

(16)

16

Le questioni di fondo del rapporto tra vescovi e comuni nel periodo qui osservato si possono riassumere brevemente. Il problema principale, infatti, è il controllo e la definizione dell’esercizio della giurisdizione5, prima in città e poi anche nel territorio di dipendenza cittadina, così come di delinea all’interno dell’evoluzione delle relazioni tra i due enti, in realtà a loro volta influenzata da quelle definizioni, mano a mano che si affermano l’autorità e il potere delle nuove istituzioni comunali, da cui il ruolo del vescovo è decisamente minacciato. Attorno a questo nucleo, infatti, ruotano tutte le dispute e i conflitti che oppongono vescovi e comuni nel periodo che qui interessa, e in questo punto si innestano le altre problematiche.

Il vescovo, infatti, autorità e riferimento di una collettività che lo riconosceva come garante dei propri interessi e dei propri organismi amministrativi, si trova a dover fare i conti con una situazione del tutto nuova e in cui si iniziava a percepire un sovvertimento nella gerarchia dei rapporti. Infatti, via via aumenta una coscienza cittadina del senso di una collettività, di un'identità comune in cui riconoscersi e quindi si cominciano ad approntare gli strumenti per rendere effettiva ed autonoma questa coscienza e questa collettività ormai in grado di agire per se stessa.

Si potrebbe dire dunque che questa ritrovata coscienza di sè cittadina e lo sviluppo di dispositivi normativi e soprattutto la consapevolezza dell'importanza di competenze giuridiche specifiche vadano di pari passo e

5 Tale giurisdizione, secondo quanto si evince dal testo di un’inchiesta istruita dagli

avvocati della chiesa parmense durante il più aspro conflitto con il comune nel 1218, era costituita da diversi elementi, tra i quali i principali erano: Habere et

tenere terras, disctrictus, Iurisdictio (exerxere), auferre banna, punire maleficia, Audire (tractare, facere) causas, Facere placita, (Habere) per castaldum (homines, nuncios), ripaticum fluminis, passagium navium transeuncium accipitur, fecerint elargari vias, pontes refici …

(17)

17

si intreccino e abbiano come conseguenza da un lato un sempre maggior impulso all'indipendenza e all'affermazione nel territorio e dall'altro all'organizzazione della gestione della cosa pubblica, in cui si vanno sempre più identificando.

Al termine di questo percorso il vescovo si ritroverà ad essere semplicemente una delle parti nel gioco di poteri all’interno dell’ambito cittadino, sotto l’egida delle istituzioni comunali, ormai intese come garanti del bene comune e per questo detentrici di ogni prerogativa e giurisdizione, fatto salvi alcuni settori pubblici e alcuni diritti signorili. Al termine di queste vicende, infatti, il comune rimarrà il solo interlocutore politico a rappresentanza della collettività, dal momento che il vescovo, dovendo accettare una realtà ormai di fatto, rinuncia a buona parte delle prerogative pubbliche, che gli sarebbero legittimamente spettate, in cambio del consolidamento e dell’espansione del proprio patrimonio fondiario e delle rendite.

Ma prima di arrivare a questo, si passa attraverso una serie di duri contrasti tra il vescovo e il comune per l’ottenimento di quell’esercizio giurisdizionale e quelle prerogative pubbliche. E sono proprio queste dispute, che nelle loro fasi più acute diventano veri e propri conflitti violenti, che qui interessano, perché permettono di cogliere i passi salienti di queste trasformazioni istituzionali, sintomo di una coscienza cambiata. Queste contese costituiscono come delle accelerazioni di quei processi in corso dalla fine del secolo XI e i documenti che ne costituiscono le composizioni sono illuminanti rispetto ai nodi cruciali del contendere e quindi degli interessi preminenti delle parti. Il vescovo infatti non si rassegna a davanti all’azione di erosione delle proprie prerogative da parte del comune, che però nella prassi si andava sempre più radicando e consolidando, e dà il via a una serie

(18)

18

di rivendicazioni, di appelli e di accordi che si avvalgono di tutti gli strumenti che l’elaborazione giuridica gli andava fornendo.

Inoltre, prima che si consumasse la rottura, i due enti erano strettamente legati, legame che fu rinsaldato dall’inizio delle lotte tra città vicine: i vescovi, infatti, erano sovente ben inseriti a livello locale e regionale, attraverso le proprie famiglie di provenienza e a causa della distribuzione del patrimonio episcopale. In questo modo si assiste ad un inziale forte coinvolgimento del presule nelle vicende cittadine e di un suo adoperarsi per l’interesse della cittadinanza. E questo fintanto che il vescovo e la cittadinanza in qualche modo coincidevano o quanto meno erano considerati come inscindibili; e pertanto l’azione del vescovo è in qualche modo plasmata sulle esigenze cittadine, e sarà quest’idea della coincidenza, che ha radici antiche, tra la città e il vescovo che farà da sostegno alle pretese comunali di poter estendere il proprio controllo e i propri diritti a tutto il territorio diocesano, facendolo coincidere con quello cittadino.

E su questi presupposti locali che si innestano gli altri due livelli, quello regionale e quello, si potrebbe dire, universale. Il primo infatti si rende evidente nei conflitti e nelle alleanze tra città che ruotano attorno a problemi per lo più commerciali, che si faranno veicolo di modelli istituzionali e culturali. I rapporti che si andranno a creare saranno stretti e influenti nella vita delle singole città, tanto che li si vede intervenire nei conflitti interni a sostegno dell’una o dell’altra parte, per poter tutelare anche i propri interessi che ormai andavano intrecciandosi con quelli delle altre città, soprattutto dal punto di vista economico, così che l’interdetto posto a una di queste comunità rappresentava un grave danno a tutte le città che ad essa erano legate. Il formarsi di questa rete cosi stretta di legami tra le città era anche

(19)

19

favorito dall’esistenza di famiglie signorili i cui patrimoni erano dislocati nei territori di diverse città, diventando da un lato una giustificazione alle pretese di espansione dei comuni, dall’altro un elemento unificante nella politica e nell’economia di città diverse. E questi rapporti sono anche il contesto che può spiegare il perché si assista ad avvenimenti molto simili, come quello delle concordie stipulate tra vescovi e comuni, che sono il segno di un cambiamento nella coscienza che è generale, seppur ovviamente influenzato dalle dinamiche politiche, sociali, economiche ed ambientali peculiari di ciascun luogo.

Il secondo livello, quello della politica alta di papi e imperatori, vede due diverse tendenze. Da una parte l’intervento, soprattutto pontificio, per regolare e ordinare le varie situazioni locali ad uso dei proprio progetti politici ed ideologici, cercando in questo modo di controllare e inquadrare le vicende locali in modo da avere più appoggi possibili e giocarli a proprio vantaggio; dall’altro il ricorso da parte sia del vescovo che del comune alle autorità superiori sia per la necessità di riconoscimenti formali che dessero fondamenti legittimi alle proprie rivendicazioni sia per un rimando ideologico che potesse essere sfruttato per giustificare una serie di azioni altrimenti prive di legittimità. In questo modo gli schieramenti politici che si coagulano attorno alle varie parti in realtà sono semplicemente il calco delle alleanze o dei contrasti a livello regionale.

Questo contributo si innesta, quindi, in questo quadro. L’analisi delle vicissitudini delle città di Modena, di Parma e di Treviso nei decenni tra la fine dell’XII e l’inizio del XIII, permettono di cogliere bene queste tendenze. Come si è detto nella premessa, la cronologia delle vicende di queste città è sorprendentemente analoga, cosi come simili sono i contesti di partenza. In

(20)

20

questo modo si può affrontare un confronto che si pensa possa essere proficuo6.

Un’ultima avvertenza riguarda le tipologie di fonti disponibili per queste città.

Per Parma infatti ci si può basare su una serie cospicua di diplomi papali e bolle pontificie, sia per il vescovo che per il comune, oltre che su un documento straordinario qual è il libellus preparatorio per la causa contro il comune del 1218 e il concordato che segna la fine delle contese.

Per Modena invece, l’analisi sarà basata sul testo di due lunghe concordiae stipulate tra i rappresentanti del comune e quelli degli enti ecclesiastici.

Per Treviso l’analisi verterà su una serie di privilegi e bolle per quel che riguarda il vescovo e il conte, e su due privilegi per il comune. Oltre a questi saranno utilizzati alcune normative statutarie e alcuni documenti giudiziari e commerciali riguardanti i due enti cittadini.

Questo studio, dunque, descriverà prima le vicende di ciascuna città, cercando di tenere in conto quanto detto finora, per poi tentare un confronto e alcune osservazioni generali, in sede di conclusione.

6 Per quel che riguarda la storia di Parma, si segnala l’opera di recente uscita a

cura di Greci, che però non entra particolarmente nello specifico della questione qui trattata: R. GRECI (a cura di) Storia di Parma. III. Parma medievale. Poteri e

istituzioni, I, Parma 2010. Per Modena l’opera di riferimento rimane RÖLKER, Nobiltà

(21)

CAPITOLO PRIMO

PARMA

(22)

22

Il Comune di Parma si forma relativamente tardi – la prima menzione di consoli è del 1149, ma è appena un accenno generico in un trattato di pace tra Parma e Piacenza – anche se i cives e una loro azione collettiva sono già avvertibili nei decenni precedenti, per quanto sempre in stretto rapporto con il vescovo7 e le attestazioni di boni homines ai placiti e di convocazioni di

assemblee cittadine indicano come questi avessero semplicemente natura consultiva e di garanzia del bene comune8. Questo legame con il vescovo

costituisce una peculiarità del comune parmense e della sua formazione soprattutto per la sua lunga durata. Infatti se attorno alla metà del XII secolo cominciano a manifestarsi i primi consistenti tentativi di affrancamento del

7 Cfr «Il periodo compreso fra il 1084 e il 1133 fu dunque senza dubbio quello più

cruciale per la storia della comunità cittadina di Parma. All'interno di questo periodo si possono distinguere diverse fasi. Una prima fase, compresa tra il 1084 e il 1104, in cui i cives collaborarono al governo del vescovo di nomina imperiale trovando anche un compromesso con il partito riformatore; una seconda fase dal 1104 al 1108 o poco oltre in cui i cives, già rafforzatisi, sostennero il vescovo nel le lotte di potere scoppiate all'interno della diocesi; una terza fase durata fino al 1119-1120, in cui il populus si avvicinò all'aristocrazia vassallatica mentre i milites vescovili passavano sotto la guida dei cittadini; infine, un 'ultima fase in cui il governo laico guidato dai cives e dai nobili si affermò come autonomo rispetto a quello vescovile» in R.SCHUMANN,Istituzioni e società a Parma dall’età carolingia alla

nascita del comune, Reggio Emilia 2004, p. 231.

8 «I boni homines partecipano ai placiti […] appartengono a gruppi familiari

cittadini, hanno una competenza giuridica, sono i depositari delle consuetudini locali: l’assemblea dei cittadini (cives) rafforza con le sue decisioni i pareri dati dai

boni homines. È un progressivo, lento percorso, nel quale nel 1149 si inserisce un

elemento nuovo: la presenza dei consoli cittadini.» in G.ALBINI, Vescovo, comune. Il

governo della città tra XI e XIII secolo, in R.GRECI (a cura di), Il governo del vescovo.

Chiesa, città, territorio nel Medioevo parmense, Parma 2005, p. 73. E così anche in

R. SCHUMANN, Istituzioni e società…cit., pp. 201 ss., sull’evoluzione della società

cittadina e sull’origine del Comune a Parma, dall’inizi del XI alla metà di quello successivo, e in particolare pp. 238- 251, per l’evoluzione e il ruolo di assemblea cittadina e boni homines prima e dopo l’affermazione del comune.

(23)

23

comune, bisogna aspettare la fine del secolo e soprattutto l’inizio del successivo per vedere un netto distacco e confronto tra le due istituzioni, anche se rimangono in ogni caso forti legami. 9 Inoltre il vescovo non perderà

mai la sua autorità spirituale e il suo ruolo di prestigio, mantenendo pertanto tutta la giurisdizione su quella parte della giustizia che in qualche modo avesse risvolti spirituali ed etici e rimanendo forte la sua influenza come

dominus.

L’evoluzione di questo rapporto è esemplificata da alcune vicende che coinvolgono l’assetto urbano parmense per lo spostamento e la costruzione delle sedi di potere delle due istituzioni, come è ben sintetizzato da Guyotjeannin nel suo testo su un’inchiesta da parte dei notai vescovili svolta nell’estate del 1218:

«Le palais episcopal, au moins depuis le milieu du XIe siècle, est situé au nord et hors de l'enceinte primitive. C'est au palais épiscopal que se tient le conseil; c'est là que les consuls ou leurs assesseurs donnent, au moins comme témoins, leur caution à des actes.»

A questa prima fase di stretta collaborazione e vicinanza, anche fisica, tra il vescovo e gli ufficiali cittadini, segue una prima presa di distanza da parte del vescovo, che per la gestione degli affari e delle cause che gli competono esclusivamente utilizza una nuova sede10; mentre il comune , non

9 O.GUYOTJEANNIN,Conflicts de jurisdiction et exercice de la justice à Parme et dans

son territoire d’après une enquête de 1218, in “Melanges de l’Ecole français de

Rome. Moyen-Age, Temps modernes”, T. 97, N°1, 1985, p. 254; e in G. ALBINI,

Vescovo. Comune…cit., pp. 73-74.

10 La sede vescovile, insieme al palazzo regio, era stata spostata fuori le mura nel

1055, quando i cittadini parmensi possono ricostruire la cinta muraria fatta radere al suolo dall’imperatore dopo la sommossa del 1037. Questo spostamento si può leggere già come segno dell’ottenimento di un’autonomia dal vescovo nell’amministrazione della giustizia. Vd. R. SCHUMANN, Istituzioni e società…, pp.

217, 294 e n.22; «Ciò fa pensare all’acquisita capacità della cittadinanza di esercitare in autonomia poteri giudiziari, amministrativi e fiscali all’interno del

(24)

24

sente ancora l’esigenza di una propria sede di governo o forse non ha ancora le necessarie risorse umane, organizzative ed economiche e quindi continua ad utilizzare il vecchio palazzo vescovile, che presto nella nomenclatura diventerà il palatium communis, infatti

«La situation se complique lorsque l'on voit apparaître, en 1175, un palatium novum de l'évêque, qui coexiste avec le palatium vetus. Lorsque l'évêque intervient directement, sans lien avec la commune et que la chose est précisée, c'est toujours au palatium novum; le palatium vetus est passé à la commune, depuis 1195 au moins; il se double, à proximité, d'un porticus communis, où la justice est fréquemment rendue, et reçoit, à partir de 1209, et de plus en plus fréquemment, l'appellation de palatium communis.11»

Pertanto, la separazione definitiva tra il comune e il vescovo ha come riscontro il trasferimento del governo comunale in una sede che non possa esser ricollegata al potere vescovile e che affermi il legame del comune con la cittadinanza:

«Mais ce n'est qu'en 1221 - le synchronisme est frappant - que la commune se dote d'un nouveau palais, radicalement éloigné du palais episcopal et implanté en plein cœur de la cité12».

Il sincronismo a cui Guyotjeannin fa cenno è dato dal fatto, come si vedrà meglio in seguito, che il 1221 è anche l’anno in cui ha luogo un’importante concordia tra il comune e il vescovo parmensi, in cui verranno sancite l’autonomia e l’autorità del comune rispetto al vescovo che, pur mantenendo il suo prestigio, vedrà ridotto di molto il suo potere pubblico.

centro urbano, tramite l’elezione, o quanto meno l’approvazione, in una apposita assemblea (conventus), di giudici o scabini.» in R.GRECI, Origini, sviluppi e crisi del

comune, in R. Greci (a cura di) Storia di Parma.III. Parma medievale. Poteri e

istituzioni, I, Parma 2010, p. 119.

11 O.GUYOTJEANNIN,Conflicts de juridiction…., pp. 245-256. 12 Vd. Supra n. 4

(25)

25

Questa rottura, questo strappo, consumatosi a un certo punto dell’evoluzione istituzionale, del comune che corrisponde ad una più matura coscienza di sé e delle proprie possibilità a gestirsi autonomamente – presa di coscienza che trasforma queste possibilità in istanze, in pretese di rivestire con efficienza un ruolo pienamente pubblico, avendo al proprio interno un principio legittimante di validità universalmente riconosciuta, la cittadinanza, e assumendo come obiettivo il bene comune, il cui perseguimento diventa la giustificazione di ogni azione comunale- si ritrova anche nelle vicende di altre città comunali, anche molto diverse come tipologia, cioè aventi un’origine, una composizione sociale e uno sviluppo differenti.

A questo riguardo sono interessanti alcune affermazioni della Rossetti a proposito di Pisa e Milano, che, con le dovute riserve per la diversità di tempi e modi tra loro e rispetto a Parma, possono essere utili per comprendere questi anni cruciali per lo sviluppo della coscienza cittadina nel comune parmense13. Pisa e Milano testimoniano questa rottura – e quindi

13 G. ROSSETTI, I caratteri del politico nella prima età comunale. Due modelli a

confronto: Pisa e Milano, in "Bollettino Storico Pisano - In memoria di Cinzio

Violante", LXX (2001), p. 57. Ovviamente, occorre necessariamente tenere in considerazione le differenze esistenti tra le due situazioni e i fatti contingenti in cui queste affermazioni generali trovano un riscontro concreto, e di conseguenza le diverse sfumature di significato e valore che possono acquisire in relazione alla specificità di questi stessi avvenimenti. Per Pisa infatti il punto di rottura è testimoniato dalla cacciata del visconte (1153), legittimo rappresentate del potere imperiale, e dalla conseguente assunzione delle prerogative pubbliche da parte dei consoli. Quest’evento funziona poi come catalizzatore e gli avvenimenti condensati nei anni successivi (1153-1160) sono la manifestazione di questa presa di coscienza del comune e della propria identità politica: “Cacciato il visconte il 1153, nel 1155 si inizia la costruzione delle nuove mura urbane …, nel 1156 si insedia la commissione di esperti incaricata di redigere in forma sistematica il Constitutum

legis et usus, e in quello stesso anno nel nuovo spazio, in presenza dell’assemblea,

per la prima volta in una corte giudiziaria, i giudici incaricati di dirimere una contesa si definiscono «publici pisani iudice» …il 1159, ancor prima della promulgazione del Constitutum (dicembre 1160) la parte lesa reclama un

(26)

26

questa maturità – attorno alla metà del XII secolo, in concomitanza con le lotte contro Federico I; proprio quando a Parma si hanno le prime attestazioni di consoli. Ma proprio questo sfasamento cronologico può essere una conferma di quanto si sta dicendo:

«Quando la situazione muta è in conseguenza di un preciso atto politico di rottura fatto dai rappresentanti a nome e in presenza della assemblea: siamo al terzo livello o della autolegittimazione della autonomia, mediante la fondazione di un nuovo diritto, la scelta di una sede che marchi anch’essa il distacco dalla realtà precedente, l’assunzione delle prerogative pubbliche come proprie.»

E si prenda più da vicino la testimonianza più concreta di questo cambiamento, ovvero il trasferimento della sede del comune:

«… muta anche la sede dell’esercizio dei poteri: il tribunale e l’assemblea si spostano dall’area del palazzo marchionale in una sede neutra che sancisca il distacco definitivo dai poteri tradizionali … il luogo che per decenni aveva rappresentato il simbolo della continuità, della legittimità del potere e della supplenza da parte dei cives, nel nuovo clima politico poteva diventare pericoloso, significare una sudditanza che non si era più disposti ad accettare dopo settant’anni di autonomo reggimento»14

Quest’annotazione relativa alla scelta di una nuova sede conferma quanto detto poco sopra per Parma, riguardo allo spostamento del luogo del governo comunale dal palazzo del vescovo a un palazzo apposito, nel centro della città, così che evidenziasse simbolicamente e fisicamente la maturità del comune e la sua nuova coscienza e quindi il nuovo e pieno ruolo politico che assume il suo governo, con i propri ufficiali e il distacco dall’autorità vescovile, la cui intermediazione e la cui funzione di garante per il bene comune della cittadinanza non era più necessario – potendo il comune fare

risarcimento «ex constitutione civili»”(Ibidem, 59). Nel caso di Parma la rottura si consuma nei confronti del vescovo.

(27)

27

da sé – ed anzi visto ormai come un concorrente – pur mai mettendo in dubbio l’autorità e la preminenza spirituale del vescovo.

(28)

28

FORMAZIONE ED EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA CITTADINA A PARMA

Prima di proseguire all’analisi di alcuni documenti che danno conto delle tappe essenziali per la definizione dei rapporti tra il Comune e il Vescovo e delle rispettive giurisdizioni, può esser utile ripercorrere rapidamente i passi del risvegliarsi di una coscienza cittadina e del dispiegarsi di questa, che andò a costituirsi in una forma via via sempre più definita e strutturata, ancorché fluida ed elastica, certamente almeno fino ai primi decenni del XIII secolo, periodo in cui si concentrano i documenti qui analizzati, in particolar modo nei decenni a cavallo del cambio di secolo15.

Le vicende di Parma nei decenni iniziali del XI secolo vedono da un lato il raggiungimento del massimo potere vescovile e dall’altro

«…la crescita di una realtà ancora chiamata, indistintamente, con il nome di chi la componeva: cives. […]. A dare a questo termine un significato più puntuale dovevano concorrere alcune condizioni: in primo luogo il fatto, che riguardava tutti i componenti della comunità civica, di essere nati e di essere stati battezzati nella città, di fare quindi parte integrante della sua chiesa e di riconoscersi in essa; ma anche il fatto – connesso alle trasformazioni sociali del periodo e tale da determinare delle differenze all’interno dell’intera popolazione urbana – di rivestire, entro lo spazio cittadino, posizioni di un qualche rilievo, nonché un ruolo attivo, soprattutto dal punto di vista militare»16

15 Per questa breve ricostruzione del percorso dell’affermazione dei cives e di una

coscienza cittadina collettiva, farò riferimento principalmente ai seguenti lavori: G. ALBINI, Vescovo, comune. Il governo della città tra XI e XIII secolo, in R.GRECI (a cura

di), Il governo del vescovo. Chiesa, città, territorio nel Medioevo parmense, Parma 2005; R.SCHUMANN,Istituzioni e società a Parma dall’età carolingia alla nascita del

comune, Reggio Emilia 2004; R. GRECI, Origini, sviluppi e crisi del comune, in R.

GRECI (a cura di) Storia di Parma.III. Parma medievale. Poteri e istituzioni, I, Parma

2010. Per i ritratti dei vescovi in nota invece il riferimento è a M.P.ALBERZONI, La

chiesa cittadina, i monasteri e gli ordini mendicanti, in GRECI, (a cura di) Storia di

Parma.III. Parma medievale. Poteri e istituzioni, I, Parma 2010, dove non indicato

altrimenti.

(29)

29

L’anno 1037, anno della Constitutio de feudis emanata da Corrado II, vede manifestarsi uno dei segnali più significativi di una presa di coscienza da parte della collettività parmense: in quell’anno infatti si assiste a una ribellione dei cittadini contro l’imperatore, fermatosi a Parma a celebrare il Natale presso il fedele vescovo Ugo17, che portò all’abbattimento di parte

delle mura cittadine come punizione per la sommossa:

«Eodem anno hiberno tempore collecto exercitu imperator trascendens Padum ad Parmam civitatem venit, ibi natalem Domini celebravit inchoante anno dominicae incarnationis MXXXVIII. In ipsa die nativitatis Domini inter Teutonicos et cives Parmenses magna seditio orta est, et quidam bene valens vir Chuonradus, infertor ciborum imperatoris, cum aliis interfectus est. Unde commotus exercitus gladiis et igne cives aggreditur; et imperator post incendium magnum partem murorum destrui praecepit, ut eorum praesumptionem non inultam fuisse haec ruina aliis civitatibus indicaret.»18

Lo stesso imperatore appena un paio di anni prima aveva confermato al vescovo parmense, Ugo, il dominio non solo sulla città di Parma e il suo suburbio, ma su tutta la diocesi,

«volumus quod Parmensis Episcopi Hugonis fidelitatem erga nos et servitutis studium adtendentes, totum prorsus et in integrum tam infra muros quam extra comitatum per suos certos fines et antiquae discretionis limites sicut illum sanctae Parmensi ecclesiae

17 Ugo, cancelliere imperiale, fu vescovo di Parma dal 1027 al 1044, ebbe stretti

rapporti con l’imperatore da cui ricevette forti poteri pubblici sulla città di Parma ed estesi al contado del territorio diocesano. Cappellano di corte, fu cancelliere d’Italia tra il 1025 e il 1027, di provenienza non documentata, molto probabilmente un notaio di corte di provenienza italica. Nominato vescovo nel 1027, rimise all’Imperatore la carica di cancelliere. Corrado II nel giugno del 1029 indirizzò alla chiesa di Parma un diploma di conferma dei suoi beni e nel 1036 il vescovo ottenne il trasferimento del comitato parmense sotto la sua giurisdizione. In questi anni il vescovo Ugo si schierò sempre al fianco del sovrano. Come presule si dimostrò attento alla cura del monastero di San Paolo, donando un bosco e una vigna oltre a confermarne i beni esistenti. Anche con i canonici della Cattedrale instaurò un rapporto privilegiato, confermando la terza parte delle offerte di Borgo San Donnino e di Berceto in occasione delle feste patronali. L’ultima notizia del vescovo si ha nel 1040 quando presenziò ad una donazione in favore dell’Abbazia di Pomposa Per un breve ritratto delle figure che si susseguono alla cattedra episcopale parmense.

18 WIPONE, Gesta Chuonradi II. Imperatoris, in IDEM, Opera, ed. H. Bresslau, in

MGH,Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum separatim editi, vol. LXVI,

(30)

30 jamdudum fideli devotione contulimus videlicet quantum

episcopatus ipsius comitatus distenditur a Pado usque ad Alpes et a termino illo quo divisio est inter predictum episcopatum et episcopatum Placentinum usque ad terminum illum quo divisio praefati Parmensis episcopatus et regensis est et extra praescriptum Parmenses episcopatum. Sunt istae curtes ad preaedictum comitatum pertinentes, castrum piciculi, planzum, longura, cum omnibus pertinentiis earum per hanc rememorationis nostrae paginam confirmamus…»19

andando così a definire il territorio su cui sarebbe valsa la delega del potere pubblico20, avvalorata dalla significativa concessione del titolo di

conte21, consolidando in questo modo un potere ben radicato, esteso e

19 MGH, Diplomata, Konradus II, Hannoverae-Lipsiae 1909; pp. 298-299, n. 218,

1035, fine maggio.

20 Nel 1029, l’imperatore Corrado II dispone che dopo la morte del conte Bernardo

l’intero contado parmense diventi soggetto al vescovo di Parma: «perpetua donatione

largimur sanctae Parmensi Ecclesiae, cui Hugo praest Episcopus, totum Comitatum Parmenses tam infra urbem, quam extra per circuitum, secundum per priscos fines illius et descriptionis terminos prout hactenus moraliter habebatur, post decessum videlicet Bernardi comitis Widonis, nisi forte de coniuge sua ita nomine filium habuerit masculinum, si autem filius ejus ille legitimus caruerit masculino, tunc comitatus dictus cum districtus, cunctisque publicis functionibus, et exactionibus sicut nostrae pertinuit potestati sanctae dictae Ecclesiae ac nostra ex integro auctoritate concedat omni nostra et heredum nostrorum contradictione rempota.» in MGH,

Diplomata, Konradus II, pp. 193-194, n. 143, 1029, 31 dicembre. Questa promessa

verrà resa effettiva da Corrado II nel 1036: Ibidem,pp. 306-307, n. 226, 1036, 15 febbraio e confermata nuovamente da Enrico III nel 1047: MGH,Diplomata, Hentici

III, Berlino 1931, p. 249, n. 197 1047, 1 maggio.

21Come è anche affermato dall’inchiesta del 1218, in cui il titolo comitale e la fama

del suo possesso sono citate tra le rubriche che testimoniano le varie azioni svolte dal vescovo che erano considerate segno tipico della detenzione di giurisdizione e prerogative pubbliche; al pezzo XXI, rubriche 10-11, si legge: «Quod fama sit quod

episcopus Parmensis est comes civitatis et episcopatus pro imperatore, probatur: per dominum Iacobum de Colurnio qui dicit verba rubrice; per Iohannem Mariscalcum qui dicit quod fama est quod episcopus Parmensis est comes civitatis et episcopatus Parmensis pro imperio; per dominum Alferium de Bulgarello, testem adverse partis, qui dicit quod publica fama est quod episcopus Parmensis est comes civitatis et episcopatus. Quod episcopus Bernardus fidelitatem iuraverit imperatori Frederico et imperator eum investiverit de omnibus regalibus quas ab imperio habebat et de Castrorignano quia quidam impediebant episcopum in illo castro, probatur: per dominum Pellegrinum de Cassio qui dicit verba rubrice; per Rascacium domini episcopi qui dicit quod vidit cum episcopus Bernardus fidelitatem iuravit domino Frederico imperatori et ipse imperator ipsum episcopum investivit cum sceptro in

(31)

31

consolidato dalle varie componenti che lo costituivano: quella spirituale intrinseca alla carica vescovile, quella signorile derivante dai possessi fondiari e ora anche quella pubblica conseguente alle concessioni imperiali:

«… conferimus et perpetua donatione per hanc nostri praecepti paginam sancte Parmensi ecclesiae cui Hugo praest episcopus totum parmensem comitatum tam intra urbem quam extra per circuitum secundum priscos fines ipsius et discretionis terminos secundum quod hactenus consuetudinaliter et localiter habebatur integre largimur atque nostra anterioris concessionis auctoritatem absolverre et firmiter corroboramus tam omni districtu ad eumdem comitatum pertinente cuctuisque publicis functionibus et exactionibus sicut nostrae pertinet potestati omni nostra et nostrorum successorum contradictione seu molestatione remota.»22

Questa coincidenza tra il territorio di esercizio delle prerogative pubbliche e il territorio diocesano è da tener presente per l’importanza che avrà negli sviluppi successivi l’ideale della diocesi come territorio naturale del Comune, necessario per la sua sopravvivenza e come spettantegli di diritto, e che sarà alla base dell’azione di espansione nel territorio da parte del Comune di Parma. Nella sua espansione il Comune di Parma andrà progressivamente a sostituire il vescovo nelle sue funzioni pubbliche tanto nella città che nella diocesi.

Il vescovo, però, non può assolvere direttamente a quelle funzioni pubbliche che riguardino ambiti contrastanti con la natura religiosa del suo ruolo, quindi è proprio nella gestione di questi aspetti della cosa pubblica che si va formando un nuovo gruppo, i cui singoli componenti e le loro famiglie traggono vantaggi dai compiti loro affidati dal vescovo nell’esercizio delle

manibus de omni suo recto feudo quod ipse et eius predecessores hactenus habuerant et tunc idem imperator restituit ipsi episcopo Castrorignanum quia petebatur illud castrum ab illis de Massa»

(32)

32

prerogative pubbliche. Ci si trova di fronte a famiglie che se un lato tessono legami sempre più stretti con il vescovo stesso e con le principali famiglie di vassalli episcopali, dall’altro sono proiettate e immerse nei problemi cittadini, facendo sì che la città e il suo governo diventino l’orizzonte della loro azione23 e che si vanno a intrecciare con quei cives che emergono dalle

vicende tumultuose del 1037:

«Si trattava di persone comuni – dalle fonti indicate come “cives”, o “urbani”, o, ancor più genericamente, come “Parmenses” – che abitavano in città e che in essa, presumibilmente, erano riuscite ad acquisire una certa importanza per il fatto di possedere a vario titolo, terre a loro concesse dal più grande proprietario del tempo, cioè dalla chiesa locale, oppure – ma è ancora un caso raro – di svolgere alcuni lavori artigianali particolarmente redditizi e rispettati. [...] un ceto di cittadini non aristocratici i quali, a parte un fabbricante di armi, appaiono a vario titolo di possessori di terre tramite il vescovo, tramite il capitolo, ma anche tramite i Canossa, che avevano beni in zona. Essi godevano della piena cittadinanza (non per niente erano detti cives) e quindi, pur non facendo parte dell’aristocrazia rurale, esibivano uno status sociale di rilievo, tanto da apparire come testimoni nei documenti di quegli anni, mescolati ai veri e propri dipendenti (famuli) della chiesa e distinti dalla familia del vescovo, costituita da vassalli e funzionari»24

Si andava dunque man mano delineando una diversificazione tra le varie componenti della cittadinanza, anche ai vertici di questa, a seconda di come si bilanciavano e combinavano tra loro il rapporto al vescovo e alla sua clientela vassallatica e il ruolo svolto a livello di impegno cittadino25. Per

23 Vd. R. SCHUMANN,Istituzioni e società, cit., pp. 193ss; R.GRECI, Origini, sviluppi,

cit., pp. 117, 119.

24 Ibidem, p. 118.

25 «Ci troviamo di fronte a vassalli vescovili che, a loro volta, grazie ai benefici

concessi dalla chiesa parmense, avevano generato una clientela di milites minores, detentori di forza militare e politica. […] non siamo in presenza di gerarchie rigide […] Tale situazione, alquanto fluida e tutto sommato non sempre facilmente comprensibile, rendeva dunque disponibile la vassallità ecclesiastica a nuove alleanze» in Ibidem, p. 121.

(33)

33

meglio valutare questi rapporti, in special modo quelli stretti con il vescovo, occorre ricordare il contesto politico generale, all’inizio del periodo di massima tensione tra il papato riformatore e l’impero e successivamente tutte le conseguenze locali che il contesto della lotta per le investiture. comportò. Parma si inserisce nel vivo di queste vicende con il vescovo Cadalo26. Cadalo

diverrà antipapa: questo fatto lascerà ai cives spazi d’azione consistenti nel progredire della loro affermazione27. Il presule infatti, avrà bisogno di tutto

l’appoggio e il consenso possibili localmente e dunque sarà più propenso a fare concessioni sostanziose ai cittadini e in special modo ai ceti emergenti, pur di mantenerli fedeli alla sua causa e contrastare efficacemente il papato e i Canossa, i potenti alleati del papa ben radicati nel territorio parmigiano e non solo:

«È negli anni dell’episcopato di Cadalo che si colloca, molto presumibilmente, l’acquisizione da parte della popolazione cittadina del controllo sui communia di cui si ha piena manifestazione nell’età del suo successore il vescovo Everardo. […] Ma va anche notato come il ‘popolo’ formasse un gruppo dotato di un status giuridico tale da accettare la transazione,

26 Cadalo, fu vescovo di Parma dal 1048 al 1072. Di origine veronese, nel 1034 era

vice domino della chiesa di Verona, divenne vescovo di Parma prima del maggio 1045 per intervento dell’imperatore. Nel 1046 Enrico III confermò al vescovo i beni e il comitato di Parma e successivamente, nel 1055 concesse la sua protezione ai canonici della Cattedrale. Cadalo governò la diocesi seguendo le orme dei suoi predecessori, con una particolare attenzione al monastero di San Paolo concedendogli una conferma dei beni e due donazioni. Partecipò alle assemblee sinodali di Pavia (1046), di Roma (1049) Firenze (1055, sinodo antisimoniaco). Nell’ottobre del 1061 a Basilea, fu eletto papa con il nome di Onorio II, alla presenza dell’Imperatrice Agnese, di inviati provenienti da Roma e di una rappresentanza dei vescovi lombardi e ricoprì tale carica fino alla fine di maggio del 1064 quando, alla fine del Concilio di Mantova, quando fu definitivamente riconosciuto Alessandro II e egli dovette tornare a Parma e se ne ha notizia come vescovo fino al 1069. Fino alla sua morte non si hanno notizie di disordini patarinici. Morì tra il 1072 e il 1073.

(34)

34 probabilmente in forma di investitura, e da concedere a sua volta

parte dei beni che ora controllava»28

Questi communia sono essenziali per il percorso che la cittadinanza sta intraprendendo verso l’affermazione della propria autonomia politica per costruire il nucleo di partenza della rivendicazione dei diritti pubblici in nome del bene pubblico e della pubblica utilità. Il loro contenuto riguardava la gestione dei beni ecclesiastici – saecularia, cioè quei beni e diritti concessi al vescovo in seguito all’investitura imperiale, contrapposti e separati dal

divinum officium, ossia possessi e rendite orientati all’esercizio della funzione

pastorale del vescovo - e dei beni comuni – i communia appunto, beni demaniali trasferiti al vescovo detentore di poteri pubblici: i prati regi e la palude, esterni alle cinte murarie e potenzialmente ottime fonti di reddito.

Nel corso della seconda metà del secolo aumentano gli indizi della formazione di un’organizzazione della cittadinanza, soprattutto per quel che riguarda l’amministrazione della giustizia, fino a giungere all’affermazione dell’assemblea civica come soggetto con una personalità e quindi in grado di portare avanti azioni giuridiche e ottenerne il riconoscimento di valenza pubblica.

Una decisa accelerazione nel percorso per l’autonomia e la

28 Ibidem, p. 219. Cfr Ibidem, p. 252. Vd. M. GUENZA, Pastori e signori. La grande

potenza dei vescovi parmensi, in GRECI,Il governo del vescovo…, pp. 58-60. Per quel

che riguarda il successore di Cadalo, Everardo, a cui si accenna nella citazione: vescovo di Parma negli anni 1072-1085 (ante), ecclesiastico di Colonia, confermò la fedeltà di Parma all’autorità imperiale e seppe mantenere un saldo controllo sul suo territorio diocesano e tenne in particolare considerazione sia il monastero di San Paolo che il capitolo cattedrale. Nel febbraio del 1079 il nuovo papa Gregorio VII, a causa della cattura dell’abate di Reichenau, minacciò di sospendere Everardo fino a quando l’abate non fosse ricomparso al cospetto del papa e l’anno seguente Everardo fu tra i vescovi che a Bressanone elessero l’antipapa Clemente III Tra il 1081 e il 1084 accompagnò Enrico IV nella spedizione italiana, ma venne fatto prigioniero nell’estate del 1084, durante una spedizione militare contro Matilde di Canossa. Morì l’anno successivo.

(35)

35

configurazione del Comune, per Parma particolarmente lungo, è permessa dagli esisti avversi alla parte imperiale della Lotta per le investiture e la conseguente vittoria della parte papale anche in Parma, con l’elezione al soglio episcopale nel 1104 di Bernardo degli Uberti29, sostenitore del papato

riformatore. Questo cambiamento comportò un vuoto di potere, causato dalla perdita di autorità pubblica del vescovo - non più considerabile fidelis e funzionario dell’imperatore, dato che questi, sconfitto in battaglia, aveva perso i territori a sud del Po -, e favorì il tentativo di azione autonoma dei

cives e una maggiore autorità all’assemblea cittadina. Con l’elezione del

29 Bernardo degli Uberti fu vescovo di Parma dal 1104 al 1133. Monaco

vallombrosano e cardinale legato, fu uno dei protagonisti del processo di ristrutturazione della Chiesa di Parma. Nato a Firenze, 1055/1060 circa, entrò nel monastero di San Salvi nei pressi della città, di cui divenne abate nel 1091, abate maggiore nel 1098 e 1099 con un ruolo decisivo nella rifondazione della congregazione. Negli anni dal 1101 al 1106 gli fu affidata, dal neoeletto papa Pasquale II, una legazione con funzioni vicariali nell’Italia settentrionale, con lo scopo di sanare le ferite dello scisma dell’antipapa Clemente III e nel 1104 Bernardo per la prima volta entrò in contatto con la diocesi di Parma. Ebbe un appoggio fondamentale all’introduzione della riforma in quelle terre da Matilde di Canossa come testimoniato dal gran numero di diplomi matildini nella documentazione della legazione. Nel 1104 dopo la sua predica in Cattedrale il giorno della festa dell’Assunta venne arrestato e rinchiuso in una torre dai filoimperiali, fu necessario l’intervento delle truppe canossiane perché venisse liberato. Dopo il concilio di Guastalla, nel 1106, il papa lo consacrò vescovo e consacrò anche la rinnovata Cattedrale. Bernardo, avendo allentato i legami con l’impero ebbe qualche difficoltà a far accettare la sua autorità dai vassalli fedeli all’imperatore ma riuscì ad ottenere l’appoggio dei cives che nel 1127 ottennero dal vescovo il comando dell’esercito cittadino, al quale furono aggregati anche i vassalli del vescovo che costituirono la cavalleria. In tale occasione consegnò il vexillum al capitano scelto tra i cittadini, rinunciando così ad una prerogativa del suo potere temporale in linea con il processo di estromissione del vescovo dalla sfera politico-militare da lui iniziato. Mantenne le funzioni di legato e vicario papale almeno fino al 1109. Nel 1111 prese parte alle trattative tra l’imperatore Enrico V e il papa Pasquale II sulle investiture e successivamente ottenne vari incarichi di responsabilità fuori dalla sua diocesi. L’aver sostenuto a Milano, la causa di Lotario di Supplimburgo contro re Corrado, causò la sua cacciata da Parma, nella quale potè rientrare quando l’impresa di Corrado in Italia fallì definitivamente. Non si hanno, invece, documentazioni della sua attività pastorali se non quelle relative alle fondazioni di comunità religiose e l’istituzione della fabbrica del Duomo in occasione della ricostruzione della Cattedrale dopo il terremoto del 1117. Bernardo morì il 4 dicembre 1133 Viene descritto nelle fonti come defensor civitatis contro le altre città. Cfr, R. VOLPINI,

(36)

36

vescovo Bernardo si comincia ad intravedere una divisione interna alla cittadinanza tra cives maiores e cives minores30, ma soprattutto è l’inizio di un

nuovo ruolo delle famiglie cittadine all’interno della gestione degli interessi della città e quindi dell’affermazione politica di un ceto eminentemente cittadino, che incomincia ad avere un peso sempre più preponderante nelle vicende parmensi sia interne31 che nelle relazioni con le altre città.

Prende avvio dunque una fase di collaborazione tra l’élite cittadina e il vescovo, che usa dei cives e della loro sostegno militare per far fronte ai numerosi conflitti intercittadini che sorgono in questo periodo per la volontà di ciascuna città di estendere i propri territori, specie in quelle aree dove i confini erano incerti32. Emblema di questo nuovo raggiunto equilibrio tra le

due parti è la consegna del vexillum33, simbolo del potere militare del

vescovo:

30 «I primi [cives maiores], che erano costituiti da quella parte eminente della

popolazione urbana che già conosciamo (detentori di possessi fondiari, concessionari di terre e alcuni artigiani di spicco), ebbero un ruolo fondamentale nella designazione di Bernardo, mentre i secondi [cives minores], che costituivano la massa dei cittadini, si opposero violentemente a questa nomina insieme a parte dell’aristocrazia (proceres) della diocesi, fino a quel momento rimasta neutrale» in GRECI,Origini, sviluppi…, p.122.

31 Per i conflitti interni tra aristocratici e popolo minuto filoimperiali da un alto e

cives maiores antimperiali dall’altro che accompagnarono l’elezione di Bernardo e

per le successive vicende, oltre alle opere finora citate, vd. Vitae prima et secunda

Sancti Bernardi Episcopi parmensis, ed. P. E. Schramm, in MGH, Scriptores, XXX/2,

Lipsiae 1934, pp. 1314-1327.

32 Nel caso di Parma si assiste ora all’inizio dell’annosa contesa con Piacenza – che

diventerà la sempiterna rivale del comune parmense – per il possesso del Borgo San Donnino, area di cruciale rilevanza economica e così a numerosi contrasti per l’ottenimento del controllo di località strategiche per il controllo dei commerci fluviali e dell’accesso alle varie fiere cittadine e quindi essenziali allo sviluppo economico.

33 «… lo stendardo della chiesa che veniva portato dal comandante dell’esercito

vassallatico dell’episcopium, sottintendendo con questo anche l’attribuzione del comando sui milites vescovili» in SCHUMANN, Istituzioni e società…, p. 229.

(37)

37

Cum Placentini et Cremonenses contra Parmam hostiliter convenissent, vir sanctus popolum advocavit, ad defensionem civitatis eos animavit, capitaneum, dando sibi vexillum suis sacratis manibus, super eos vocavit et eis benedictis34

con la quale tra il 1119 e il 1120, in occasione dei contrasti con Piacenza e Cremona alleate dell’imperatore, il vescovo trasferì il comando militare ai

cives e, benché il capitano dovesse essere scelto da Bernardo tra i suoi

vassalli, la gestione dei problemi militari del comune passò definitivamente alla cittadinanza, andando a costituire il primo riconoscimento formale e il primo tassello della costruzione dell’autonomia e dell’organizzazione cittadina che diventerà il comune. Inoltre, venne chiamata in causa una componente aristocratica, i vassalli vescovili, finora non particolarmente coinvolti nelle vicende interne della città e comunque decisamente poco presenti all’interno del ceto eminente cittadino, andando così ad alterare gli equilibri che si erano formati al suo interno35 e ponendo le basi per un

governo laico, indipendente dalla figura vescovile. Gli interessi via via sempre più divergenti tra vescovo e cives influenzeranno da un lato la posizione presa da Parma nelle successive vicende che riguardano il Regnum

34 Vitae prima et secunda …, p. 1326. Ma anche «Fertur etiam sacris manibus pro

defensione patriae, suis civibus tribuisse vexillum, praecipiens et deprecans quatenus se ab homicidiis et effusione sanguinis custodirent» in SCHUMANN,

Istituzioni e società…, p. 236.

35 «… il trasferimento del vessillo da parte del vescovo Bernardo dovette coincidere o

seguire di poco un accordo tra i cives maiores e minores di Parma e quella parte dell’aristocrazia vassallatica legata alla chiesa che, stante le dimensioni del patrimonio di questa, doveva comprendere la maggioranza dei feudatari parmensi. L’accordo venne pertanto stipulato con ogni probabilità tra la nobiltà nel suo complesso e i gruppi non feudali per formare a Parma un ‘popolo’ che, comprendendo anche i nobili con basi nel territorio rurale, non limitava la sua immunità all’area circoscritta dalle mura cittadine» in Ibidem…, pp. 229-230, e anche il ragionamento che sviluppa riguardo all’importanza dell’ingresso dei nobili vassalli vescovili all’interno dei cives.

(38)

38

e Federico Barbarossa e dall’altro il coinvolgimento della città nei conflitti con quelle vicine.

Le vicende di Papato e Impero andarono infatti a costituire il contesto generale in cui si inquadravano le vicende locali, sfruttate nell’ottica di un’affermazione economica e politica regionali e di un’espansione territoriale dei singoli comuni, cosicché gli orientamenti politici assunti dai governi cittadini seguivano logiche di coerenza e vantaggio con i propri progetti a livello locale. Insomma, le decisioni della città di Parma si sarebbero sempre rivolte agli schieramenti opposti rispetto a quelli a cui aderivano i comuni a lei rivali, specialmente Piacenza, anche se questo poteva significare mettersi contro al proprio vescovo. I comuni non parteciparono ai conflitti, potremmo dire sovranazionali, non per un’adesione fine a se stessa agli orientamenti ideologici al livello universalistico di Papato e Impero, ma piuttosto per i risvolti economici e politici che questi comportavano a livello regionale. Gli schieramenti che vanno formandosi seguono in realtà le linee di alleanza a livello locale e regionale, determinate da scambi, accordi e patti commerciali e politici come da conflitti di interesse per il controllo di determinate aree o diritti o proventi.

Questi meccanismi si realizzeranno ed entreranno in funzione con tutte le loro implicazioni durante il periodo delle lotte tra il Barbarossa e i Comuni.

L’anno di svolta è certamente quello della costituzione della Lega Lombarda nel 1167. Se precedentemente Parma si era schierata con l’imperatore, ora il comune cambia posizione, andando a indebolire il legame con la chiesa cittadina e con la sua rete vassallatica, legate invece all’imperatore dai molti interessi derivati dalla detenzione di poteri pubblici e signorili. Infatti, il passaggio al fronte della Lega Lombarda, giustificato ideologicamente dalla

Riferimenti

Documenti correlati

In section 4.2 , by employing the second transformation in ( A.3 ) and the analytic results presented in section 4.1 , we study the holographic entanglement entropy of a disk

first protecting position 31 (Figs. Following a force 50 acting along at least one direction going from said chin guard 3, in particular from the central portion 3c of said chin

In this paper we present a new adaptive algorithm to solve 2D Poisson problems via a radial basis function partition of unity collocation method.. The refinement process depends on

The analysis is developed, through the tracing and study of all the documentation concerning the organisational models of the groups taken as part of the sample

Marco Taviani (Institute of Marine Sciences - National Research Council, ISMAR-CNR, Bologna, Italy) Eva Tuzzi (University of Nebraska-Lincoln, Department of Geosciences, Lincoln,

Anti-vasculaR endothelial growth factor plUs anti-angiopoietin 2 in fixed comBination therapY: evaluation for the treatment of diabetic macular edema [A randomized,

The aim of this study was to evaluate the in vitro antibacterial and antifungal activities of EOs against the most frequent pathogens isolated from the ears of dogs and cats with