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La dottrina delle cinque anime: psicologia e metempsicosi nel pensiero di Bernardin de Saint-Pierre

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Academic year: 2021

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La dottrina delle cinque anime:

psicologia e metempsicosi nel pensiero di Bernardin de Saint-Pierre

Mais, me dira-t-on, peut-on supposer ainsi plusieurs âmes renfermées dans un seul corps? Sans doute, comme j’ai supposé et démontré plusieurs couleurs renfermées dans un même rayon de lumière. B. de Saint-Pierre, Harmonies de la nature

L’obiettivo del presente saggio è quello di analizzare la dottrina delle cinque anime esposta da Bernardin de Saint-Pierre (1737-1814) nel quinto libro delle Harmonies de la nature. Lo scritto, composto nell’ultimo ventennio di vita dell’autore e pubblicato postumo nel 1815 a cura di Louis Aimé-Martin, fu ristampato a più riprese sino al 1889 e divenne una delle opere di storia naturale più celebri del diciannovesimo secolo1. In provocatoria controtendenza rispetto alla riflessione

filosofica di quegli anni – dominata dai materialisti atei, eredi degli Enciclopedisti, e dagli Idéologues – Saint-Pierre inserisce apertamente la propria psicologia (nel senso aristotelico del termine) all’interno di una visione religiosa del mondo naturale. Ci si propone, nello specifico, di mettere in luce come la dottrina delle cinque anime, assieme a quella della metempsicosi che da essa discende e ne rappresenta il completamento, fornisca un’originale giustificazione teorica al provvidenzialismo antropocentrico e finalistico già illustrato nelle Études de la nature del 1784.

L’interesse di una simile operazione è duplice. In primo luogo, essa apporta un contributo allo studio della peculiare religiosità di Saint-Pierre, che rappresenta l’asse portante della sua riflessione filosofica. Nonostante la figura di Bernardin stia ricevendo un’attenzione crescente negli ultimi anni – favorita dalla pubblicazione delle Œuvres complètes e della Correspondance in edizione critica2 – il suo pensiero religioso non è stato ancora oggetto di un’indagine sistematica, ad

eccezione della monografia, sotto certi punti di vista datata, di Kurt Wiedemeier3 e di alcuni

articoli4. In secondo luogo, l’approfondimento di un simile aspetto pare giustificato alla luce della

crescente importanza storiografica delle Lumières catholiques, troppo a lungo ingiustamente trascurate negli studi sul Settecento5. Sottraendosi all’opposizione stereotipata tra spiritualisti e

materialisti, la riflessione di Saint-Pierre è un ottimo esempio del tentativo di alcuni «apologistes sentimentaux»6 di conciliare fede e scienza, ragione e sentimento, senza rinunciare a un puntuale

confronto con alcune tematiche canoniche della filosofia occidentale, come appunto le funzioni dell’anima e la loro gerarchia o la metempsicosi.

1 Sulla complessa genesi dell’opera e sulla sua vicenda editoriale, mi limito a rinviare a S. Baridon, Les Harmonies de

la nature di Bernardin de Saint-Pierre: studi di filologia e di critica testuale, Milano, Istituto Editoriale Cisalpino,

1958, 2 voll.,

2 Cfr. J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, Œuvres complètes, édition de J.-M. Racault, G. Armand, C. Duflo et C. Meure, Paris, Garnier, 2014- (ad oggi è stato pubblicato il Tome I: Romans et contes); J.-H. Bernardin de Saint-Pierre,

Correspondance de J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, édition de M. Cook, pubblicazione online via Electronic

Enlightenment (http://www.e-enlightenment.com), Bodleian Libraries, University of Oxford (2.177 lettere sono attualmente online). Sulla recente fortuna storiografica di Saint-Pierre, rimandiamo a S. Davis, État présent Bernardin

de Saint-Pierre, «French Studies», LIXX (2015), pp. 220-227.

3 Cfr. K. Wiedemeier, La religion de Bernardin de Saint-Pierre, Fribourg, Éditions Universitaires de Fribourg, 1986. 4 Cfr. C. Duflo, La religion dans la philosophie de Bernardin de Saint-Pierre, «Cahiers de Fontenay», LXXI-LXXII (1993), pp. 135-163; Id., De la religion naturelle à la religion de la nature. Rousseau et Bernardin de Saint-Pierre, «Dix-huitième siècle», XXXIII (2001), pp. 517-527.

5 Cfr. il volume Christianisme et Lumières, «Dix-huitième siècle», XXXIV (2002), sous la direction de S. Albertan-Coppola et A. McKenna; David Sorkin, The Religious Enlightenment, Princeton, Princeton UP, 2008; U. L. Lehner,

The Catholic Enlightenment: The Forgotten History of a Global Movement, Oxford, Oxford University Press, 2016.

6 L’espressione è tratta da D. Masseau, La position des apologistes conciliateurs, «Dix-huitième siècle», XXXIV (2002), pp. 121-130: 125.

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1. Unione e gerarchia delle anime

L’ambizioso progetto che anima le Harmonies de la nature è quello di esaminare ogni singola parte dell’universo in rapporto a tutte le altre, per mostrare – attraverso una vera e propria “ricostruzione” della manifestazione dell’armonia divina – come ogni cosa ruoti attorno all’essere umano. Questo mastodontico processo tassonomico è incentrato sull’individuazione di sette potenze naturali (potenza solare, aerea, acquatica, terrestre, vegetale, animale e lunare) e di dodici armonie fondamentali: sei armonie fisiche e sei armonie morali. Queste armonie sono rispettivamente divise in elementari e organizzate: le armonie fisiche elementari sono quella aerea, acquatica e terrestre, mentre quelle organizzate sono l’armonia vegetale, animale e umana; le armonie morali elementari sono invece l’armonia fraterna, coniugale e materna, mentre quelle organizzate (o sociali) sono l’armonia specifica, generica e sferica. Tutte queste manifestazioni armoniche, inoltre, possono intrecciarsi tra di loro positivamente o negativamente, dando origine a una serie pressoché infinita di combinazioni, che si traducono di fatto in un coacervo di armonie improbabili e bizzarre.

All’interno di un simile schema euristico, la dottrina delle cinque anime rappresenta un vero e proprio punto di snodo, in quanto consente il passaggio dalle armonie del mondo naturale (armonie vegetali, dell’acqua, dell’aria, della terra e degli animali) alle armonie dell’uomo e, dunque, il passaggio dalla dimensione fisica a quella morale.

Questo scarto determinante è giustificato sulla base di un’elaborata teoria psicologica, secondo cui tutti gli esseri viventi sarebbero dotati di quattro tipologie di anima gerarchicamente organizzate tra di loro, mentre soltanto l’essere umano ne possiederebbe una quinta: «A partire dal lombrico o verme di terra, tutto nudo, che non ha la capacità di coprirsi con uno straccio, sino a giungere a Newton, che ha creato un sistema del mondo, distinguiamo cinque generi d’anima: l’elementare, la vegetale, l’animale, l’intelligente e la celeste. Le prime quattro appartengono anche al più piccolo insetto, la quinta solo all’uomo»7.

Per comprendere la specificità dell’anima umana è dunque necessario ripercorrere la linea argomentativa (spesso contorta) dell’autore che, rifiutando consapevolmente il metodo analitico tipico della scienza newtoniana, è incentrata su un modo di procedere analogico e sintetico, indirizzato a cogliere l’unità sostanziale della natura e del suo fine generale. L’ipotesi da cui si prendono le mosse è proprio quella di un’analogia costitutiva tra la dimensione corporea e l’organizzazione psicologica che la anima:

Non soltanto l’anima di un animale non è semplice, ma essa non è unica. Sembra al contrario composta da più anime che agiscono tuttavia di concerto, allo stesso modo in cui il corpo è formato da più materie differenti, come i nervi, la carne e le ossa, che sono in armonia tra di loro. Del resto, non è poi più strano immaginare diverse anime rinchiuse nella pelle di un solo animale, di quanto lo sia immaginare più piante sotto la scorza di un solo vegetale o, addirittura, innesti di specie differenti. Persino la luce del Sole, così pura, non racchiude forse in sé tutti i colori?8

Proprio all’azione del Sole – che (come si avrà modo di constatare nel prosieguo) ricopre una posizione preminente nella visione scientifico-religiosa dell’universo di Bernardin – è strettamente legata la prima tipologia di anima: «L’anima elementare degli animali è questo primo principio dell’esistenza che li accomuna a tutti i corpi, ossia l’attrazione […]. La grande sorgente dell’attrazione è il Sole, che l’esercita su tutti i corpi planetari che esso fa ruotare attorno a sé»9.

Questa tipologia d’anima, che si manifesta sostanzialmente attraverso l’elettricità e il magnetismo, ha la determinante funzione di garantire l’unitarietà di fondo del mondo naturale, confermando

7 J.-H. Bernardin de Pierre, Harmonies de la nature, in Œuvres complètes de Jacques-Henri-Bernardin de

Saint-Pierre, mises en ordre et précédées de la vie de l’auteur, édition de L. Aimé-Martin, Paris, Mequignon-Marvis, 1820,

12 voll., vol. X, p. 166 [edizione indicata nel prosieguo con la sigla OC seguita dal numero romano del volume]. Dove non indicato diversamente, la traduzione è nostra.

8 Ibidem.

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l’idea – resa già celebre dallo Spectacle de la nature dell’abbé Pluche – secondo cui «tutto è legato in natura»10.

Dopo essersi soffermato per alcune pagine sulla simpatia, resa possibile dall’anima elementare, che lega i pianeti ai metalli e agli animali, Saint-Pierre rivolge la propria attenzione alla seconda tipologia di anima: l’anima vegetale. Questa segna il discrimine tra la materia inanimata (fermo restando l’idea che tutto il cosmo è pervaso da una sorta di anima universale) e la materia animata in senso stretto. Per questa ragione, l’anima elementare e quella vegetale sono non solo nettamente distinte, ma anche gerarchicamente organizzate:

Un animale possiede, accanto alla sua anima elementare, un’anima vegetale che ne è ben distinta. Se possedesse solo un’anima elementare, metterebbe semplicemente il suo corpo in bolla attraverso l’attrazione, oppure in una sorta di aigrette attraverso la sua elettricità, o in qualche altra forma analoga a quella dei cristalli e delle piriti. Invece l’anima vegetale ha ai suoi ordini – se oso dirlo – l’anima elementare, con tutte le sue facoltà meccaniche11.

Per spiegare questo rapporto di subordinazione, Bernardin si affida dapprima alla metafora di un muratore (l’anima vegetale) che ha al suo servizio un apprendista che gli porta tutto ciò di cui ha bisogno (l’anima elementare), per poi soffermarsi sulle funzioni che l’anima vegetale stessa assolve nelle diverse forme di vita organizzata in cui è presente. In generale, essa presiede alla definizione del sesso e alla determinazione delle armonie corporee, restando tuttavia completamente inconsapevole del proprio ruolo:

Se si può paragonare la debole industria dell’uomo a quella dell’Essere supremo, queste anime meccaniche o vegetali assomigliano alle macchine progettate da un inventore saggio, le cui forze messe in azione dal fuoco, dal vento oppure dall’acqua, producono liquori, trasformano il grano in farina […] e coniano persino le monete con le loro leggende. Mai questi meccanismi così ingegnosi hanno il sentimento o la conoscenza delle loro operazioni12.

Se le prime due tipologie di anima sono puramente meccaniche e contraddistinguono «des espèces d’aimants insensibles», la terza tipologia d’anima, ossia l’âme animale, contraddistingue gli animali ed è per questo «l’anima propriamente detta»: «Essa dona il suo nome all’animale poiché lo anima; solo essa ha il sentimento della propria esistenza e di quella del corpo»13. La facoltà

principale dell’anima animale è pertanto l’azione, i suoi strumenti sono l’istinto e la sensazione, mentre i criteri che ne determinano il funzionamento (che s’identifica con la componente strettamente empiristica dell’esistenza degli esseri viventi) sono il piacere e il dolore.

Inizia qui a profilarsi uno dei principali nodi problematici della psicologia di Saint-Pierre, ossia la sede fisiologica delle differenti anime. Per quel che concerne l’anima animale, Bernardin sembra oscillare tra due opzioni: il cuore e il cervello. Si tratta di un’esitazione rivelatrice, che anticipa in qualche modo le problematiche che emergono dall’introduzione della quarta tipologia di anima, ossia l’anima intellettuale.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, l’âme intelligente non è una prerogativa esclusiva dell’essere umano, ma appartiene a tutti gli animali. Da buon «discepolo» di Rousseau14,

Saint-Pierre nega che la razionalità sia il tratto distintivo della specie umana e sostiene che la differenza con gli altri animali è in quest’ambito quantitativa e non qualitativa. Il gatto, ad esempio,

10 N.-A. Pluche, Le spectacle de la nature ou, Entretiens sur les particularités de l’histoire naturelle (1732-1742), Paris, Frères Estienne, 1763, 9 voll., vol. III, p. 17. Sull’importanza dello Spectacle de la nature nella cultura settecentesca si rimanda a D. Trinkle, Noël-Antoine Pluche’s Le Spectacle de la nature: an Encyclopaedic Bestseller, «Studies on Voltaire and the Eighteenth Century», CCCLVIIII (1997), pp. 93-134.

11 J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, Harmonies de la nature, OC X, p. 172. 12 Ibidem, p. 174.

13 Ibidem, p. 175.

14 «Avendo dei sensi, ogni animale ha delle idee, e fino a un certo punto arriva anche a combinarle; sotto questo rispetto, la differenza tra la bestia e l’uomo è puramente quantitativa». J.-J. Rousseau, Discours sur l’inégalité, in Œuvres complètes, édition de B. Gagnebin – M. Raymond, Paris, Gallimard, 1959-1995, 5 voll., vol. III, p. 141; trad. it. in Scritti politici, a cura di E. Garin, Bari, Laterza, 1994, 3 voll., vol. I, p. 149.

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«ragiona e la sua intelligenza non è il risultato di una semplice attrazione o di un vortice magnetico»15. Le tre principali qualità dell’anima intellettuale sono l’immaginazione, il giudizio e la

memoria. Poiché queste facoltà non possono prescindere in alcun modo dalla sensazione (senza l’esperienza non può infatti verificarsi alcuna operazione di tipo astrattivo implicata dalle facoltà superiori), ecco che la distinzione tra l’anima animale e quella intellettuale diventa problematica, a tal punto da sembrare più teorica che reale. Lo stesso Saint-Pierre suggerisce questa compenetrazione tra le due tipologie d’anima costruendo tra di esse una sorta di equazione basata sull’immagine (carica di significato nella sua riflessione) della sfera: «L’anima intelligente di ogni specie animale non è che un raggio particolare della sfera dell’intelligenza comune a tutti gli animali, allo stesso modo in cui la sua anima animale non è che un raggio della sfera delle loro passioni»16. La peculiarità dell’essere umano consiste nel trovarsi nella perfetta congiuntura di

entrambe le sfere, riuscendo a raggiungere non solo l’eccellenza per quel che concerne la ragione, ma anche, e soprattutto, per quel che concerne il cuore: «Solo l’uomo riunisce in sé la pienezza di queste due sfere: egli è allo stesso modo suscettibile di tutte le industrie come di tutte le gioie. Lo si chiama l’animale razionale per eccellenza, poiché il suo spirito è capace di concepire tutte le ragioni o i rapporti tra gli esseri; lo si potrebbe tuttavia chiamare anche l’animale animato per eccellenza, perché il suo cuore è suscettibile di tutte le ragioni degli animali»17.

2. L’anima celeste

L’analisi delle prime quattro tipologie d’anima, pur mettendo già in luce l’eccezionalità dell’essere umano all’interno della creazione, non ne rappresenta ancora una giustificazione teorica. Tale giustificazione va ricercata proprio nella quinta e ultima tipologia di anima, l’anima celeste, che è «ben superiore alle due precedenti». La differenza specifica dell’essere umano non risiede infatti nella razionalità o in qualche altra facoltà astrattiva, ma nel fatto di essere «il solo tra gli animali che possiede il sentimento della Divinità»18.

L’eco di Rousseau – che nella Profession de foi aveva paragonato apertamente la coscienza a una forma di istinto divino19 – è qui nuovamente ben udibile. Mentre tuttavia Jean-Jacques

inserisce i suoi «dogmi di fede» in una prospettiva rigorosamente spiritualistica, Saint-Pierre costruisce attorno all’idea di anima celeste una riflessione al contempo morale e scientifica, muovendosi sul sottile crinale tra spiritualismo e materialismo. Accanto a una evidente funzione apologetica, l’individuazione della quinta anima ha anche la funzione di giustificare “scientificamente” la centralità dell’essere umano all’interno del creato, legandolo alla totalità pneumatica dell’universo. Inoltre, adottando la prospettiva terrestre invece di quella cosmica, emerge una sua ulteriore funzione, che è quella di garantire il progresso, d’ispirare l’amore per la virtù e la benevolenza verso il prossimo, rendendo in definitiva possibile la vita associata:

È il sentimento dell’esistenza di un Dio […] che fa compiere all’uomo tanti progressi nelle scienze e nelle arti e dona tanta estensione alle sue passioni quando esso si combina con loro. È a questo istinto della Divinità che si deve quello della virtù, che indirizza i suoi innumerevoli desideri verso la felicità dei propri simili, nella paura o nella speranza che

15 J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, Harmonies de la nature, OC X, pp. 148-149. 16 Ibidem, p. 178.

17 Ibidem.

18 Ibidem, pp. 59-60. Saint-Pierre è un sostenitore convinto dell’innatismo dell’idea di Dio. Su questo punto egli non esita a criticare apertamente Locke: «Se Locke fosse stato attento alle lezioni impartite dalla natura a tutti gli animali, si sarebbe reso conto che anche l’uomo […] ha delle idee innate». L’essere umano, infatti, «è il solo tra gli animali a possedere un’idea innata della divinità; questa idea si ritrova tra tutti i popoli della terra». Harmonies de la nature, OC X, pp. 17 e 20.

19 «O coscienza, o coscienza, divino istinto, immortale e celeste voce, guida sicura di un essere ignorante e limitato, intelligente e libero […]». J.-J. Rousseau, Émile, in Œuvres complètes, vol. IV, p. 600; trad. it. Emilio, o,

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gli ispira il sentimento di un Essere supremo, vendicatore e remuneratore.Questo istinto celeste è il fondamento di ogni società umana20.

Mentre l’anima animale causa discordia, poiché giustifica le differenti passioni, l’anima celeste permette la comunione interumana e la pace, indicando a tutti gli uomini quella loro comune origine che è la Divinità. Il rapporto che vige tra l’anima celeste e Dio è così del tutto analogo a quello che regola i rapporti dei singoli pianeti con il Sole: allo stesso modo in cui l’astro più luminoso consente il funzionamento e il mantenimento del sistema cosmico, Dio rivela incessantemente il proprio potere grazie all’anima celeste, irraggiando costantemente il bene nell’anima umana.

Al di là di alcune oggettive difficoltà – come ad esempio quella relativa alla sede fisiologica delle differenti anime – la dottrina psicologica di Saint-Pierre assolve efficacemente a un duplice compito. In primo luogo, essa fornisce una spiegazione «scientifica» della superiorità dell’essere umano nell’economia del creato e, in secondo luogo, rende possibile comprendere tutti i possibili «malfunzionamenti» dell’anima umana, facendo al contempo salva la bontà di Dio e l’esistenza del libero arbitrio. Per spiegare tutta la complessità dell’organizzazione psicologica del vivente, Bernardin si serve ancora una volta di un’immagine letteraria e, più precisamente, di una bella metafora tratta dal mondo, a lui caro, della navigazione:

Paragoniamo tutti i gradi dell’intelligenza degli animali destinati a navigare sull’oceano della vita, alle diverse imbarcazioni che l’uomo ha immaginato per navigare sulle acque, a partire dal tronco galleggiante di un albero che serve al selvaggio per attraversare un piccolo torrente, sino al vascello equipaggiato con tutte le arti delle scienze nautiche, costruito per circumnavigare il mondo intero. Troveremo tra questi due estremi la zattera, la piroga, la iole, il canotto, la scialuppa, la goletta, il brigantino, la fregata e arriveremo infine ai grandi vascelli da guerra, armati di cento o più cannoni. Ecco ciò che riguarda le forme del corpo degli animali. Quanto alle anime e alle facoltà che li animano, possiamo paragonare quella elementare ai minatori, ai falegnami, ai tessitori e ai cordai che forniscono la materia prima per l’imbarcazione, senza conoscere l’uso che ne sarà fatto. L’anima vegetale può essere paragonata ai fabbri, ai carpentieri e ai calafati che li impiegano seguendo i piani e le proporzioni che fornisce loro la natura, questo sapiente ingegnere. Questi si occupano anche delle riparazioni e, per questa ragione, l’anima vegetale è sparsa in tutto il corpo. L’anima animale, con le sue passioni, assomiglia all’equipaggio, composto da tanti marinai schierati ognuno al proprio posto, sempre pronti a obbedire al comandante e al suo secondo; essa ha sede nel cuore. L’anima razionale, con le sue facoltà intellettuali, piazzata nello stretto cervello degli animali, è paragonabile al timoniere e ai suoi aiutanti, la cui cabina è situata presso il timone e la bussola. Egli dirige la rotta del vascello e comanda le manovre dell’equipaggio21.

Ciò che differenzia radicalmente l’uomo dagli altri esseri viventi – per rimanere all’interno della metafora di Saint-Pierre – è il fatto che il suo viaggio deve (o, per meglio dire, dovrebbe) seguire una rotta precisa, senza abbandonarsi banalmente all’istinto animale. L’anima celeste dell’uomo è infatti paragonata a un capitano che si trova nella sua camera di consiglio. Costui è un «uomo di qualità che non sa niente né della nave né della sua costruzione, ma conosce il segreto del viaggio grazie al suo istinto»22. Poiché tuttavia l’anima celeste non si occupa direttamente di

governare la nave, avendo in mente soltanto il destino ultimo del viaggio (la vita ultraterrena), può capitare che perda il controllo del vascello, cadendo vittima di ammutinamenti da parte delle altre tipologie di anima. È in particolar modo l’anima animale, che come si è visto è schiava delle passioni terrene, a traviare quella intelligente, sino a convincerla della bontà dell’ateismo e di come «non c’è altro Dio al di fuori di me [dell’uomo] nell’universo»23.

A volte può inoltre capitare che alcune tipologie di anima smettano di funzionare, a causa di qualche patologia o di qualche evento traumatico. Nel caso dell’imbecillità l’anima animale e quella razionale sono come paralizzate, ma il buon funzionamento dell’anima elementare e vegetale garantisce la salute dell’“idiota”. Al contrario, può capitare che le tipologie inferiori di anima siano compromesse e solo quella intellettuale conservi (o addirittura potenzi) la propria attività, come

20 J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, Harmonies de la nature, OC X, p. 178. 21 Ibidem, pp. 179-180.

22 Ibidem, p. 180. 23 Ibidem, p. 181.

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conferma l’esempio di Pascal, la cui mente geniale era imprigionata in un corpo malaticcio. Infine, e si tratta del caso che sta maggiormente a cuore a Saint-Pierre, esistono alcuni privilegiati momenti in cui è l’anima celeste a prendere il sopravvento. Una simile situazione si può osservare soprattutto nelle persone in punto di morte, quando «l’anima celeste, pronta ad abbandonare la Terra, è suscettibile delle più sottili concezioni, proprio come il Sole che, al tramonto, brilla con tutto il suo splendore»24.

3. Metempsicosi ed escatologia planetaria

Per quanto la dottrina della gerarchia delle anime possa apparire eccentrica – in quanto sospesa (come del resto tutta l’opera di Bernardin) tra una pretesa di scientificità e un’esposizione poetica – essa si inserisce in maniera piuttosto lineare all’interno della polemica contro i materialisti condotta dalle Lumières catholiques. Tutta la lunga disamina di Saint-Pierre si può, in ultima analisi, considerare una sorta di sviluppo (pseudo)scientifico del terzo dogma di fede del vicario savoiardo di Rousseau, secondo cui «l’uomo è libero nelle sue azioni e, come tale, animato da una sostanza immateriale»25.

La riflessione sulla gerarchia che vige tra le anime sfocia tuttavia in una ben più problematica dottrina della metempsicosi, che è in bilico tra ortodossia ed eterodossia e, per di più, avvicina sotto certi aspetti Saint-Pierre ai materialisti da lui criticati con tanta asprezza. Non soltanto infatti «le anime precedono i corpi»26, rendendo possibile sia le armonie fisiche sia quelle

morali, ma esse circolano in un vero e proprio processo di trasmigrazione.

Questo vale innanzitutto per l’anima elementare che, dopo la morte, torna a riunirsi a una sorta di anima universale composta da «corpuscoli luminosi» che l’autore non esita a paragonare alle «molecole organiche» di cui parlava Buffon, suo acerrimo rivale per quel che concerne le teorie geologiche27. Un discorso analogo vale per le anime vegetali, che si riuniscono a una «potenza

vegetale universale»28, prima di essere ridistribuite nelle diverse piante, grazie alla mediazione

dell’acqua e della terra. La questione si complica quando si passa all’analisi dell’anima animale, la cui circolazione è presentata come limitata ai confini della specie:

Quanto alle anime animali o appassionate, esse paiono circolare di generazione in generazione in ogni specie animale. È forse da queste trasmigrazioni che derivano, attraverso un sistema che non conosciamo ancora, le idee innate degli animali? Il loro istinto nel valutare l’avvenire non sarebbe altro che il frutto di una vita precedente? Per quel che mi riguarda, sono portato a crederlo. Solo attraverso la trasmigrazione noi stessi possiamo spiegarci le simpatie e le antipatie che portiamo in noi alla nascita29.

Per quel che riguarda l’anima intelligente, Bernardin è convinto che essa sia strettamente connessa a quella animale, a tal punto da seguirla nel corso delle sue trasmigrazioni. Il punto più interessante, e al contempo più problematico, è rappresentato tuttavia dal destino dell’anima celeste. La teoria della metempsicosi – che fu una vera e propria ossessione negli anni del tournant des

Lumières30– era infatti generalmente abbracciata dai materialisti (basti pensare all’esempio di un

autore manifestamente ateo come Sade) per confutare l’ipotesi dell’esistenza di un Dio personale come quello della tradizione cristiana. Bernardin, al contrario, si serve di tale teoria in una prospettiva apologetica della religione, sino a porre l’idea di metempsicosi al centro di un ardito

24 Ibidem, p. 182.

25 J.-J. Rousseau, Émile, pp. 586-587; trad. it. p. 428.

26 J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, Harmonies de la nature, OC X, p. 182.

27 Cfr. J.-M. Racault, Géologie, vulcanologie et imaginaire chez Bernardin de Saint-Pierre, «Revue italienne d’études françaises», I (2011), pp. 37-54.

28 J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, Harmonies de la nature, OC X, p. 186. 29 Ibidem, p. 187.

30 Cfr. M. Delon, L’obsession de la métempsycose à la fin du XVIIIe siècle, in Presenza di Cagliostro, sous la direction de D. Gallingani, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 1994, pp. 71-82.

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disegno di escatologia individuale, brevemente descritto nelle righe conclusive del sesto libro delle

Harmonies:

Dove vanno le anime celesti quando sono separate dal corpo? Gli Indiani credono che quelle che sono state soggiogate dalle loro passioni finiranno nel corpo degli animali che le rappresentano: quelle dei golosi si reincarneranno nei maiali, e così via. Quelle che invece hanno acquisito qualche grado di perfezione grazie alla virtù, passeranno in uno dei sette paradisi o mondi, di cui forniscono diverse descrizioni e che paiono identificarsi con i pianeti. Per quel che mi riguarda, sono portato a credere che le più perfette vanno nel Sole, astro splendente da cui si emana tutto ciò che c’è di più bello sulla Terra31.

Questo progetto, appena abbozzato nel sesto libro delle Harmonies, è ampiamente sviluppato nel nono e conclusivo libro dell’opera, intitolato Harmonies du Ciel, ou les mondes32.

Qui Bernardin fornisce una peculiare visione del cosmo in cui il Sole non è semplicemente il centro del sistema che porta il suo nome, ma ne è la causa generatrice perpetua e il fine escatologico, in quanto solo in esso si manifesta pienamente l’armonia, intesa come unione di simili e non di contrari. Questa forma superiore di armonia non può essere compresa dall’uomo nella vita presente, ma esclusivamente nell’esistenza futura. Il Sole, paragonato apertamente all’Iperuranio platonico33,

diviene così non solo il motore fisico del cosmo, ma anche il punto d’approdo della riflessione religiosa. Il luogo in cui si accederà nella vita ultraterrena non è infatti, secondo il particolare spiritualismo “materialista” di Saint-Pierre, un altro mondo, ma un mondo geograficamente collocabile nel nostro universo, organizzato in sette sfere concentriche34. Il Sole rappresenta

ovviamente il centro di questo paradiso: qui vivono i benefattori del genere umano, da Socrate a Confucio, da Platone a Rousseau. Proprio «lo sventurato Jean-Jacques, […] giunto alla fine della vita terrena e alle soglie di quella celeste» avrebbe confermato questa verità attraverso le sue ultime parole: «Oh! Com’è bello il Sole! Sento che mi chiama a sé»35. Lo stesso Bernardin spera di poter

accedere a questo luogo privilegiato dopo la propria morte: «È là che gioiremo di tutte le ineffabili armonie della luce in seno alla luce stessa»36.

A questo disegno di escatologia individuale fa da contrappunto un suo prolungamento collettivo, ripreso e sviluppato anche in un frammento intitolato Théorie de l’univers. In questo scritto incompiuto Bernardin prova in qualche modo a recuperare la dimensione storica, completamente espunta dalla sua riflessione nelle Études, per inserirla tuttavia in quella prospettiva al tempo stesso mistica e scientifica che caratterizza le Harmonies37. Partendo dall’analisi delle

trasformazioni geologiche del globo si ipotizza un futuro abbassamento dei livelli oceanici, che condurrà alla fusione tra isole e continenti e alla conseguente unificazione del genere umano, in una nuova età dell’oro: «Non rimpiangiamo l’antichità: non è che l’infanzia barbara e imbecille del mondo; stiamo attraversando l’età del ferro; l’età dell’oro è davanti a noi»38. La storia terrestre,

tuttavia, è interpretata come una tappa momentanea della vicenda cosmica che, cominciata con la comparsa del Sole, si conclude con un progressivo ritorno a esso, sino alla ricomposizione

31 J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, Harmonies de la nature, OC X, p. 189.

32 Per un’analisi approfondita di tale libro, cfr. J.-M. Racault, La cosmologie poétique des Harmonies de la nature, «Revue d’histoire littéraire de la France», LXXXIX (1989), pp. 825-842; mi permetto inoltre di rimandare a M. Menin,

La morale des Étoiles. Pluralité des mondes et providentialisme anthropocentrique dans la pensée de Bernardin de Saint-Pierre, «Revue des Sciences philosophiques et théologiques», XCVIII (2014), pp. 705-731.

33 «Platone diceva che il nostro mondo non è che un’immagine del vero mondo, poiché ne esiste un altro dove si trovano in realtà le idee delle cose di cui noi non possediamo che le ombre. Se esso esiste in qualche luogo visibile, deve trovarsi senza dubbio nel Sole». J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, Harmonies de la nature, OC X, p. 326.

34 Lo schema di questo modello, disegnato in un manoscritto della Biblioteca di Le Havre (ms L.H. 25) è riprodotto in S. Baridon, Les Harmonies de la nature di Bernardin de Saint-Pierre: studi di filologia e di critica testuale, vol. I, tavola II.

35 J.-H. Bernardin de Saint-Pierre, Harmonies de la nature, OC X, p. 321. 36 Ibidem, p. 423.

37 Su questo punto mi permetto di rinviare a M. Menin, History Denied: Theories of Harmony in the tournant des

Lumières, «Journal for Eighteenth-Century Studies», XL (2017), pp. 255-272.

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dell’uovo cosmico originario. Le anime celesti, in un ciclo successivo di reincarnazioni nei differenti pianeti (che secondo Bernardin devono necessariamente essere abitati da creature “umane”), faranno così ritorno al Sole:

Il nostro destino è probabilmente legato a tutte le zone celesti del sistema solare, com’è quaggiù legato con quelle che compongono la nostra Terra; probabilmente, prima di giungere qui, abbiamo vissuto i crepuscoli e le aurore di Herschel [Urano] e di Saturno. Altri secoli e nuovi raggi di luce ci hanno trasportato nelle mezze giornate di Giove e di Marte […]. Di là siamo giunti […] su questa Terra, dove combattono la nostra ragione e le nostre passioni. Da qui passeremo alla brillante Venere e a Mercurio, i vicini del Sole, dove perfezioneremo le nostre idee e le nostre virtù. Alla fine, dopo aver percorso tutte le tappe dell’esistenza umana, giungeremo purificati nell’astro da cui sgorgano senza fine il movimento, le forme, gli amori e le generazioni39.

Da questa breve analisi della psicologia di Saint-Pierre pare emergere, in conclusione, l’interesse che la sua opera riveste in un’indagine sulla religione e sulla religiosità tipica del tardo Settecento. Al di là dell’innegabile debolezza che caratterizza a tratti il suo impianto teorico, la dottrina delle cinque anime esposta nelle Harmonies de la nature non è banalmente una teoria pseudoscientifica di retroguardia, degna al massimo di comparire nel Sottisier che chiude Bouvard

et Pécuchet. Essa, al contrario, fornisce non solo un interessante esempio della commistione tra

spiritualismo e materialismo che caratterizzò la fase più matura dell’Illuminismo francese ma, soprattutto, rappresenta un estremo tentativo (sotto alcuni punti di vista anacronistico, ma non per questo meno interessante) di abbracciare in una visione unitaria filosofia, scienza e letteratura. Essa rappresenta pertanto una testimonianza efficace anche se a tratti inadeguata – o forse proprio così efficace poiché inadeguata – dell’impasse di quelle generazioni che, al tournant des Lumières, dovettero fronteggiare l’arduo compito di maneggiare un’eredità densa e complessa come quella illuministica.

Marco Menin, Università degli Studi di Torino, marco.menin@unito.it

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