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Specialità, regionalismo differenziato e asimmetrie: una comparazione tra i sistemi costituzionali italiano e spagnolo

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UNIVERSITÀ DI PISA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE DELLE

PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Classe LM – 63

TITOLO

Specialità, regionalismo differenziato e asimmetrie: una comparazione

tra i sistemi costituzionali italiano e spagnolo

RELATRICE

Prof.ssa Elettra Stradella

CANDIDATA

Isabella La Fauci

(2)

2

Ad Antonino e alla mia famiglia,

per aver sempre creduto in me

A me stessa,

per non aver mai mollato

(3)

3

INDICE

INTRODUZIONE

5

CAPITOLO

I:

LA

GENESI

DELLA

SPECIALITA’

NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO

1.1 Significato e fondamento della specialità

16

1.1.1 Lo strumento di implementazione della specialità: le norme di attuazione

22

1.2 Le radici antropologico - culturali del regionalismo speciale

26

1.3 I caratteri portanti delle regioni a statuto speciale: autonomia legislativa,

amministrativa e finanziaria

36

CAPITOLO II: IL REGIONALISMO ASIMMETRICO TRA

PROSPETTIVE

DI

DIFFERENZIAZIONE

E

MANCATA

ATTUAZIONE

(4)

4 2.2 I limiti costituzionali al regionalismo differenziato

61

2.3 Il procedimento di differenziazione

67

2.4 La legge attributiva delle forme e condizioni particolari di autonomia

72

2.5 Cause di inattuazione dell’autonomia regionale “differenziata”

76

2.6 I recenti tentativi di attuazione dell’art. 116, co. 3, Cost. da parte di alcune Regioni e il ruolo del referendum consultivo nelle relative richieste di

maggiore autonomia

80

CAPITOLO

III:

LE

AUTONOMIE

SPECIALI

NELLA

RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE: LA

SPECIALITA’ HA ANCORA RAGIONE DI ESISTERE?

3.1 La specialità regionale in crisi

96

3.2 L’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001: dubbi interpretativi e relativa applicazione

103

3.2.1 Gli effetti della clausola di maggior favore sulla specialità

112

3.3 Il difficile sviluppo dell’autonomia speciale siciliana

115

(5)

5

CAPITOLO IV: IL REGIONALISMO SPAGNOLO: UN VALIDO

MODELLO DI CONFRONTO

4.1 I motivi della comparazione

129

4.2 Il modello autonomico “aperto” della Costituzione spagnola del 1978

137

4.2.1 Il processo di formazione delle Comunità autonome: le vie d’accesso

all’autonomia

145

4.2.2 La distribuzione delle competenze tra lo Stato e le Comunità autonome

153

4.3 Il fatto differenziale quale elemento strutturale dello Stato autonomico

158

4.4 Un regionalismo asimmetrico non privo di criticità, tra volontà di secessione e

salvaguardia dell’unità dello Stato

172

CONLCUSIONI

181

BIBLIOGRAFIA

188

(6)

6

INTRODUZIONE

Le esperienze comparate tra i vari Paesi, in particolare quelli europei, mostrano come la sfida principale di ogni Stato composto sia raggiungere un equilibrio tra due poli contrapposti: unità e diversità.

In questo quadro, si fa riferimento ai regionalismi e ai federalismi, in quanto hanno assunto, a seguito di un percorso evolutivo, forme di pluralismo territoriale, nelle quali si è manifestata questa tensione.

Dagli studi comparatistici, si è ravvisata una comune tendenza ad alternare fasi di omogeneizzazione e di differenziazione, delineando assetti a “geometria variabile”. In particolar modo, il presente lavoro di tesi, insiste su tre elementi riscontrabili in tali assetti: specialità, asimmetria e differenziazione.

Questi, sono gli strumenti e i parametri (il c.d. tertium comparationis1) scelti per

effettuare un’analisi, prima del nostro ordinamento giuridico nazionale e, in secondo luogo, per tentare un raffronto comparatistico con l’ordinamento giuridico spagnolo.

L’esistenza di ordinamenti giuridici diversi dal nostro, ci induce a pensare ad un confronto tra questi e tra i rispettivi istituti, portando alla luce similitudini e divergenze. A volte, proprio grazie al metodo comparativo, si riescono a trovare soluzioni a problematiche comuni. Andare oltre i confini nazionali consente di possedere una conoscenza di più ampio respiro.

Dalle ricerche di diritto costituzionale comparato è emerso che, alcuni ordinamenti e istituti all’interno di essi, hanno rappresentato modelli di riferimento a cui ispirarsi, esportandone le chiavi di successo.

Un esempio è proprio il caso del regionalismo asimmetrico spagnolo, il quale ha influenzato, per alcuni aspetti, il regionalismo italiano, oggi detto “differenziato”. L’Italia e la Spagna si collocano all’interno di quel processo evolutivo che ha caratterizzato la maggior parte degli ordinamenti democratici europei durante il secondo dopoguerra. Tale processo ha permesso, per mezzo di una dinamica

1 G. DE VERGOTTINI, La comparazione nel diritto costituzionale: scienza e metodo, in Diritto Costituzionale, CEDAM, 2017, p.49.

(7)

7 centrifuga2, che Stati di tipo unitario centralizzato approdassero al c.d. pluralismo

territoriale cooperativo, i cui caratteri fondanti sono il riconoscimento di una potestà legislativa agli enti decentrati e l’esigenza di coordinamento tra i diversi livelli di governo3, fondata sul principio di leale collaborazione4 (denominazione utilizzata in Italia5).

Questa spinta verso maggiori spazi di autonomia, deriva dalle particolari esigenze delle comunità all’interno degli Stati e dalle loro caratteristiche peculiari.

Tale forma di pluralismo territoriale ha fatto emergere forti asimmetrie all’interno delle rispettive strutture decentrate, indipendentemente che si qualifichino come federali o regionali6.

Sia lo Stato italiano che spagnolo derivano da esperienze unitarie di accentramento che, col tempo, mediante la suddetta dinamica centrifuga decentralizzante, sono diventati Stati regionali7.

Tuttavia, occorre sottolineare che, in virtù dei continui mutamenti dei paradigmi interpretativi nel diritto, risulta difficile inquadrare gli ordinamenti giuridici all’interno delle tradizionali classificazioni: la distinzione tra le diverse categorie, in realtà, non è così netta.

2 La dinamica centrifuga descrive quel processo attraverso cui comunità politiche unite si sarebbero

differenziate. Opposta ad essa, è la dinamica centripeta, spiegata dal federalizing process di Friedrich, che descrive i casi in cui una Costituzione istituisce una nuova entità, tendendo gradualmente a unificare ciò che in passato era diviso. P. CARROZZA - A. DI GIOVINE -G. FERRARI, I rapporti centro-periferia: federalismi, regionalismi e autonomie, in P .CARROZZA e

altri Diritto costituzionale comparato, Edizioni Laterza, 2017, p. 896.

3 Con la forma cooperativa del pluralismo territoriale si è abbandonata, definitivamente, quella

rigida separazione delle competenze tra Stato centrale ed enti decentrati, resa possibile dal principio di enumerazione materiale. Esso ha perso il suo significato giuridico a causa dell’attuazione di una cooperazione verticale,cioè con gli accordi tra i vari livelli di governo, chiamati a definire i rispettivi compiti.

4 Concretizzazione di tale principio è l’utilizzo di strumenti di raccordo, ad esempio l’istituzione di

seconde camere a rappresentazione territoriale, come quelle in Germania o negli USA, oppure attraverso l’istituto delle Conferenze, organismi che costituiscono una sede permanente di decisione integrata tra il livello di governo statale e il livello di governo degli enti decentrati, che permette di ovviare al problema della seconda camera a rappresentatività territoriale debole (come in Italia e in Spagna).

5 In Spagna viene chiamato principio dell’aiuto reciproco.

6 Sostanzialmente lo stato federale si forma dall’aggregazione di precedenti stati sovrani (dinamica

centripeta), mentre nel caso dello stato regionale si tratta di uno stato unitario che ha attuato progressivamente un decentramento riconoscendo enti autonomi territoriali (dinamica centrifuga). G.DE VERGOTTINI, op. cit., p. 405.

7 L’Italia ha conosciuto processi di regionalizzazione sin dalla Costituzione del 1948, verificandosi,

poi, un’espansione graduale dei poteri regionali, dapprima, con le riforme Bassanini del 1997, che hanno effettuato un efficace livello di decentramento attraverso il trasferimento di funzioni, successivamente potenziato con la riforma del Titolo V con legge n.3/2001.

(8)

8 La comparazione ha dimostrato, infatti, la labilità dei confini tra i differenti modelli. Tant’è vero che, ad esempio, elementi tipici di uno Stato federale si rinvengono all’interno di uno Stato regionale o viceversa.

Pertanto, le rigide classificazioni non determinano profonde cesure tra gli ordinamenti, ma il c.d. fenomeno della “circolazione dei modelli”8 ha sviluppato

casi di ibridazione tra questi che rende difficoltoso distinguere la pluralità dei percorsi costituzionali.

Si può, però, prendere atto del fatto che i processi di regionalizzazione degli Stati europei hanno assunto, in larga misura, i connotati del regionalismo asimmetrico o differenziato.

La Spagna viene inquadrata come stato regionale, ma è talmente ricca di peculiarità che risulta difficile e poco scontata la sua collocazione.

In realtà, si preferisce riferirsi allo stato spagnolo come Stato autonomico o delle autonomie. Uno stato sui generis, con una organizzazione territoriale del potere squisitamente spagnola.

È come se operasse come uno Stato federale ma non si autodefinisce tale.

Secondo alcuni, quella spagnola, è una forma ibrida, una via intermedia tra federalismo e regionalismo, essendo presenti elementi che richiamano sia l’uno che l’altro, senza tuttavia, coincidere pienamente con nessuno. O, secondo altri, essa rappresenta una forma intermedia tra l’unitarismo e il federalismo9.

O ancora, altri, parlano di regionalismo “forte”, per le modalità di accesso all’autonomia da parte delle Comunità autonome e per la diversa distribuzione territoriale del potere10.

A quello che viene definito, regionalismo asimmetrico spagnolo, si deve riconoscere un importante merito: l’aver raggiunto il giusto equilibrio tra uniformità e differenziazione. Motivo per cui, molti altri ordinamenti giuridici europei, lo innalzano a modello da seguire, tra questi anche l’Italia.

8 Tale fenomeno è spiegato nel senso di una diffusa “permeabilità di un ordinamento a principi

maturati altrove”, G. DE VERGOTTINI, op. cit., p. 25.

9 G. ROLLA, Alcune considerazioni in merito al fondamento costituzionale del regionalismo speciale. L’apporto del Diritto comparato, in www. federalismi.it, 1 luglio 2015.

10 J.F.L. AGUILAR, in Lo stato autonomico spagnolo. Stato composto asimmetrico e fatti differenziali nella Costituzione spagnola del 1978, CEDAM, 1999.

(9)

9 La Spagna è riuscita a coniugare unità e diversità, attraverso la presenza di forti asimmetrie, assicurando la compatibilità di diversi elementi quali: da un lato, un’omologazione federalizzante consistente nell’equiparazione delle competenze e degli assetti istituzionali degli enti territoriali decentrati (Comunità autonome), avutasi solo a partire dagli anni ’80 con i primi Accordi autonomici11 e, dall’altro,

una differenziazione derivante dalla garanzia costituzionale dei fatti differenziali, le cui origini sono storiche.

La Spagna ha attuato, in un primo momento, una diversa attribuzione delle competenze tra le Comunità, approdando ad un modello di regionalismo asimmetrico. Successivamente, il percorso autonomico, ha seguito una direzione di segno opposto, omogeneizzante, ma solo parzialmente, facendo salvo il riconoscimento costituzionale degli “hechos diferenciales12”.

La Spagna è stata in grado di costruire un modello che ha suscitato notevole interesse da parte degli altri Paesi europei, in particolar modo l’Italia.

Infatti gli strumenti predisposti dalla riforma costituzionale del Titolo V del 2001, ha accolto il modello di regionalismo asimmetrico, introdotto all’art. 116 terzo comma della nostra Costituzione, ispirato all’esperienza spagnola.

L’esigenza comune era quella di attuare un ampio decentramento all’interno di uno Stato unitario, mettendo in luce le specificità degli enti decentrati senza intaccare l’unità e l’indivisibilità dello Stato. Anche se, in verità, problemi legati a rischi di secessione non sono mancati, specialmente in Spagna, la cui unità è stata messa in crisi dalle vicende indipendentiste basca e catalana.

Rilevante spazio verrà riservato al tema dell’autonomia speciale che rappresenta una delle più osteggiate tematiche per la quale si nutre particolare incertezza all’interno dei dibattiti politici e costituzionali recenti, spesso inconcludenti e, a cui, forse, si è dedicata scarsa attenzione.

Il presente lavoro di tesi, relativamente all’istituto della specialità, ne ricostruisce il significato, il fondamento e i caratteri portanti.

11 Gli spagnoli, per indicare questa dinamica emulativa diffusa tra le Comunità autonome, hanno

utilizzato l’espressione “café para todos”. Idem.

12 A. ALOIA, Il regionalismo differenziato. Perché nessuno ne parla?, in www.Diritto.it, ISSN

(10)

10 In questa sede si cerca di ragionare su un dibattito costituzionale, ancora oggi acceso, sulla ragion d’esistere della specialità, alla luce delle recenti problematiche emerse dalla difficile attuazione del regionalismo differenziato previsto all’art. 116 Cost.

Dopo aver proceduto ad una analisi del meccanismo di differenziazione in discussione, sia dal punto di vista procedurale che sostanziale, in riferimento anche ai recenti tentativi di attivazione promossi da alcune Regioni italiane, si riflette sul possibile ruolo dell’autonomia speciale nel nuovo contesto di “specialità diffusa”, con un particolare cenno alla specialità siciliana, soffermandosi anche sugli effetti che la riforma costituzionale ha provocato sulla specialità, fino a tentare di comprendere, quale direzione prenderà in un futuro prossimo.

Infine, vengono studiate le peculiarità del regionalismo spagnolo al fine di realizzare un’analisi comparativa delle asimmetrie e specialità che caratterizzano i sistemi costituzionali italiano e spagnolo.

Prima di questo, è opportuno, al fine di garantire una chiara e organica trattazione, procedere con la ricostruzione degli istituti menzionati inizialmente, quali strumenti della comparazione.

L’asimmetria, la specialità e la differenziazione sono elementi tra loro collegati ma non coincidenti. Fattori caratterizzanti che manifestano una continua tensione verso la ricerca di una pacifica convivenza con altri principi, quale quello di uniformità. Da alcuni autori13, l’asimmetria è definita come “eterogeneità o difformità tra le parti che integrano il tutto”. Questa definizione, anche se breve, è ampiamente esaustiva, in quanto descrive esattamente quella tensione verso una non conflittuale compresenza con l’uniformità, appunto con il “tutto”.

In altri termini, l’asimmetria può essere descritta come il bilanciamento tra l’omogeneità e la differenziazione. È proprio l’asimmetria a far coesistere entrambe.

Infatti, talvolta, viene utilizzata l’espressione “federalismo asimmetrico”, piuttosto che regionalismo, per indicare l’intenzione da un lato, di voler salvaguardare l’unità e, dall’altro, le diversità, riconoscendo agli enti federati ampi spazi di autonomia.

13 Così J.F.L. AGUILAR, op. cit., p.86.

(11)

11 Da ciò discende che, l’asimmetria risiede nel fatto che «l’esercizio del potere è diviso in modo diversificato»14, estendendo, così, il processo decisionale anche a livello degli enti decentrati.

Secondo uno dei più illustri studiosi del federalismo, ossia Carl Joachim Friedrich, la soluzione federale appare la struttura più congeniale per quelle comunità portatrici di interessi e tradizioni diverse, capace di valorizzare le loro specificità e, al contempo, perseguire l’obiettivo della comunità generale più ampia.

Dalle esperienze costituzionali europee, sono emersi caratteri asimmetrici sia in ordinamenti qualificati come federali sia come regionali (si pensi al nuovo art. 116 comma 3 della Costituzione italiana che ha introdotto il regionalismo asimmetrico). Si può, ad esempio, fare riferimento a due accezioni della nozione di asimmetria, una riconducibile al caso italiano, e l’altra, al caso spagnolo.

La prima si basa sulla «qualità dell’autonomia» delle Regioni italiane, distinte per questo fra ordinarie e speciali. La seconda, è quella per cui, «all’interno di uno Stato composto, ogni Regione ha un suo livello di autonomia, risultato di una negoziazione bilaterale fra quella Regione e lo Stato centrale»15.

A condurre verso l’asimmetria è la disomogeneità e la peculiarità delle realtà territoriali che compongono uno Stato.

Essa è connaturata nel pluralismo regionale, in quanto consente di calibrare le politiche alle specificità di ogni realtà territoriale.

Le asimmetrie che si vengono a creare, nutrono una necessità di adattamento normativo che si sostanzia in un’ allocazione differenziata delle competenze.

In questo tipo di assetti decentrati, competenze e autonomia sono distribuite in maniera diseguale tra le varie componenti territoriali, che, a loro volta, possono presentare anche una struttura istituzionale diversificata16.

Dunque, è il grado di asimmetria presente all’interno di un ordinamento giuridico che apre le porte a possibilità di differenziazione, non solo di competenze ma anche di istituzioni, al fine di rispondere alle specifiche esigenze dei diversi enti territoriali.

14 S. VENTURA, Federalismo e Nazionalismo: il Federalismo asimmetrico, in Rivista italiana di scienza politica, n.3, dicembre 2004, p. 409.

15 M. OLIVETTI, Il federalismo asimmetrico belga e le sue recenti evoluzioni, in G. D’Ignazio, Integrazione europea e asimmetrie regionali, Milano, Giuffré, 2007.

(12)

12 A partire da questa affermazione possiamo dare una definizione di Stato regionale asimmetrico o differenziato, intendendo quello Stato in cui le entità sub-statali non godono degli stessi poteri, non esercitano le medesime competenze, e fanno un diverso utilizzo dell’autonomia loro attribuita.

Costituzionalmente l’asimmetria si fonda sulla possibilità di ottenere un trattamento giuridico diversificato per alcuni enti territoriali, sfuggendo, in tal modo, ad un regime di uniformità per quanto concerne la disciplina competenziale e l’articolazione delle istituzioni.

Ma non sempre ad una diseguale distribuzione delle competenze corrisponde una diseguale struttura istituzionale. Ad esempio, in Spagna, le competenze e il grado di autonomia tra le Comunità autonome differiscono. Alcune, come la Catalogna, i Paesi Baschi e la Galizia ( le c.d. comunità storiche), godono di maggiori competenze, rispetto alle altre, in specifici settori; e, tali competenze ricevono garanzia costituzionale, essendo elencate dagli statuti di ogni Comunità.

Pertanto, è la Costituzione stessa che riconosce le asimmetrie.

Tuttavia, a livello istituzionale, le Comunidades Autonomas subiscono una tendenza omogeneizzante17.

L’asimmetria può essere intesa anche in termini identitari, indicando, cioè, la presenza di minoranze nazionali all’interno di un Paese.

In ordinamenti come la Spagna, si è finito per attribuire uno status speciale a tali unità politiche portatrici di una propria identità nazionale, come nel caso delle Comunità storiche che godono di un maggiore margine di autonomia rispetto alle altre18.

E proprio dal regionalismo asimmetrico spagnolo, che rappresenta il primo regionalismo storico19, trae ispirazione la “clausola di asimmetria” contenuta nel

17 Esempio contrario è fornito dal Belgio, il quale presenta un disegno costituzionale asimmetrico: la

federazione belga è costituita da due unità principali, ovvero le comunità e le regioni. Per approfondimenti in merito al sistema federale belga si veda M. OLIVETTI, Il federalismo

asimmetrico belga e le sue recenti evoluzioni, in G. D’IGNAZIO, Integrazione europea e asimmetrie regionali, Milano, Giuffrè, 2007.

18Infatti è solito distinguere tra asimmetrie de iure e asimmetrie de facto: le prime, discendono da differenze di tipo giuridico-formale; le seconde, derivano da peculiarità di tipo storico, culturale, economico e sociale proprie delle entità territoriali decentrate.

19 La Spagna rappresenta il primo precedente di regionalismo, in particolare quella della seconda

Repubblica spagnola del 1931. In questa prima fase, gli enti sub statali in cui lo Stato spagnolo si articolava, erano Regioni in senso pieno, dotate di competenze legislative autentiche. Esse ebbero vita breve con l’avvento del franchismo il quale ha ripristinato lo Stato unitario centralizzato. Sarà,

(13)

13 nuovo art. 116 comma 3 della Costituzione italiana, in quanto prevede la possibilità (e non l’obbligo), per le regioni ordinarie, di richiedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”.

Questa possibilità sottolinea l’elemento facoltativo e di volontarietà che sta alla base di tale disposizione, ispirandosi al carattere “aperto” della Costituzione spagnola, il cui principio dispositivo ne costituisce il fondamento.

La panoramica europea è, ormai, dominata da varie forme di differenziazione che cercano di dare risposta alle specifiche esigenze territoriali, ed è in questo quadro che si inserisce il concetto di “specialità”.

L’asimmetria consente la compresenza di specialità e differenziazione.

Il fattore che accomuna questi tre elementi è la loro capacità di configurare un regionalismo contrapposto alla regionalizzazione uniforme.

I fenomeni che essi generano, si manifestano anche in quegli Stati dove l’uniformità era storicamente radicata (come in Spagna e in Italia).

Tuttavia, in quegli stessi Stati, si cerca anche di salvaguardare l’originario quadro unitario del sistema, creando, in tal modo, una continua tensione tra uniformità e diversità.

Basti pensare all’art. 2 della Costituzione spagnola del 1978 «La Costituzione si fonda sull’unità indissolubile della Nazione spagnola, patria comune ed indivisibile di tutti gli spagnoli, riconosce e garantisce il diritto all’autonomia delle nazionalità e delle regioni che la compongono, nonché la solidarietà fra tutte queste» e all’art. 5 della Costituzione italiana del 1948 «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento, in cui convivono il principio di unità dello Stato e il principio autonomistico».

L’art. 5 della nostra Costituzione è stato, infatti, definito come quel «ponte necessario» 20 che ha permesso la trasformazione di uno Stato di diritto accentrato in senso autonomistico.

poi, la Costituzione del 1978, tutt’ora vigente, ad affermare la fine del regime dittatoriale e l’instaurazione della democrazia.

20 D. GALLIANI, Brevi osservazioni su due concetti apparentemente opposti ma probabilmente speculari: specialità e regionalismo differenziato, in Le istituzioni del Federalismo, 2, 2003, p. 222.

(14)

14 Da questo parallelismo emerge che la sfida dello Stato composto è conseguire un equilibrio tra uniformità e differenziazione, mantenendo, per un verso, l’unità e per l’altro, valorizzare le differenze senza confluire in una disgregazione.

Il regionalismo asimmetrico sembra essere la soluzione al problema, consentendo di ricomporre il principio di autonomia con quello di uniformità.

È chiaro come questi profili detengano non trascurabili margini di incertezza, ponendosi al centro di ampi dibattiti costituzionali, come quello che ha interessato, di recente, il panorama italiano relativamente alla non facile attuazione del nuovo meccanismo previsto dall’art. 116 co. 3 Cost.

Più complicato appare il rapporto tra asimmetria e specialità, nozioni non proprio coincidenti, in quanto esprimono fenomeni diversi.

La prima, esprime l’effetto del principio di volontarietà, risultante dal principio di autonomia, in quanto consente di individuare strutture organizzative e competenze differenziate, in baso al grado di autonomia riconosciuto; la seconda, invece, rappresenta un insieme di elementi di carattere culturale, economico, giuridico e sociale che affondano le radici nella storia, riuscendo a vivere nel presente e a proiettarsi ancora nel futuro. Si tratta di elementi pregiuridici, ossia che preesistono i disegni costituzionali21.

Ma come si collegano asimmetria e specialità?

La connessione è quella per cui l’esistenza dell’asimmetria è giustificata dall’esistenza della specialità stessa. In altri termini, le asimmetrie all’interno di uno Stato composto, derivano proprio dalla presenza di fattori storici, culturali, economici e sociali che rendono alcune comunità territoriali più “speciali22” rispetto ad altre.

Si evince che la specialità è già di per sé una forma di differenziazione, dal momento in cui specialità significa anche identità.

Riproponendo, nuovamente, un parallelismo tra l’ordinamento italiano e quello spagnolo, basta pensare al fatto che, in Italia, la prima forma di asimmetria o differenziazione consiste nella volontà di distinguere tra Regioni ordinarie e

21 A. D’ATENA, Passato, presente…e futuro delle autonomie regionali speciali, in Rivista AIC, 4,

2014.

22 Con l’aggettivo “speciale”, in questa sede, si intende sottolineare le caratteristiche intrinseche e

(15)

15 Regioni speciali e, queste ultime, sono state istituite proprio in virtù delle specialità storiche, culturali, economiche, linguistiche e geografiche che le caratterizzava in passato e ancora oggi, anche se spesso ne viene messa in discussione l’attualità. Allo stesso modo, in Spagna, il fattore di specialità derivante dall’elemento storico si ravvisa all’art. 143 della Costituzione spagnola per cui “…le Province limitrofe con caratteristiche storiche, culturali ed economiche comuni, i territori insulari e le Province d'importanza regionale storica potranno accedere all'autogoverno e costituirsi in Comunità autonome”, in virtù, come spiega lo stesso articolo, dell’ “esercizio del diritto di autonomia di cui all’art. 2”.

E proprio all’art. 2 possiamo individuare la prima asimmetria dell’ordinamento giuridico spagnolo, quella per cui i padri costituenti intesero distinguere, innanzitutto, tra nazionalità e regioni23, senza però specificare quali fossero, riconoscendo ad entrambe pari livello di autonomia24.

L’autonomia, intesa come forma di autogoverno25, viene riconosciuta agli enti

decentrati alla luce delle loro specialità. Essa è legata alla storia e alle tradizioni di quei territori e la sua attribuzione si riflette in diritti e istituti derogatori rispetto all’ordinamento giuridico generale26.

La maggiore autonomia o autodeterminazione discende, quindi, dalle differenze storiche, culturali, etnico-linguistiche delle popolazioni, quali elementi caratterizzanti l’identità.

Infatti, le Regioni speciali italiane, rappresentano l’embrione del regionalismo in Italia, alla luce di quegli elementi pregiuridici dai quali la loro specialità deriva. In Spagna, il carattere storico è stato al centro del dibattito costituente fin dall’inizio, facendo leva su di esso per distinguere alcune Comunità autonome (storiche) da altre.

Si è riconosciuta rilevanza costituzionale al “passato”, attribuendo, così, speciale tutela costituzionale ai “fatti differenziali”. Così come, in Italia, anche la specialità riceve garanzie costituzionali, all’art. 116 Cost.

23 Le prime traevano fondamento da movimenti nazionalisti, le seconde, costituendosi per la prima

volta in Comunità autonome, potevano accedere al diritto di autonomia ex novo.

24 J.F.L. AGUILAR, op. cit., p. 10.

25 P.CARROZZA-A.DIGIOVINE-GFERRARI, op. cit, p. 902. 26 G. ROLLA, op. cit., p.8.

(16)

16 La nostra Costituzione, a seguito dell’introduzione dell’istituto del regionalismo differenziato all’art. 116 riformato, sottolinea la volontà di mantenere una distinzione tra questo nuovo istituto e quello della specialità: quest’ultima ha la sua base nel “fatto differenziante” (la cui genesi è storica) che il regionalismo differenziato non ha. Questo, piuttosto, attiene ad una dimensione quantitativa in termini di potere legislativo.

Il regionalismo differenziato sarebbe più una species all’interno del più ampio genus che sarebbe il principio di differenziazione.

Infatti, se il principio di differenziazione, di cui si possono avvalere tutte le Regioni indistintamente, è una clausola generale, al contrario, il principio di specialità, può essere attribuito solo caso per caso, alla luce dei “fatti differenziali” che ne costituiscono la ragione del suo fondamento costituzionale, oltre che storico-culturale27.

Sulla base di quanto detto fin’ora, non si può altro che affermare che il regionalismo non è un criterio di organizzazione del territorio omogeneo, in quanto favorisce la convivenza di comunità differenziate all’interno di una comunità nazionale, salvaguardandone le peculiarità e specialità.

Ma secondo autorevole dottrina28, regionalismo e federalismo rappresentano le soluzioni che meglio si adattano a questa esigenza: valorizzare le autonomie, mantenendo comunque fermo il carattere unitario del sistema.

27 A. POGGI, Le funzioni legislative e amministrative nelle autonomie speciali, tra vecchie e nuove fonti e realtà effettiva, in www.federalismi.it, n. 22/2015.

(17)

17

CAPITOLO

I:

LA

GENESI

DELLA

SPECIALITA’

NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO

1.1 Significato e fondamento della specialità

Prima di parlare di “asimmetria” e “differenziazione” è opportuno parlare di “specialità”, che delle prime due rappresenta l’embrione.

L’istituto della specialità, come è noto, ha origini precostituzionali, discendenti da differenti esigenze autonomistiche di alcuni territori peculiari, i cui tratti caratteristici, non potevano altro che condurre al riconoscimento di un regime diverso da quello generale del nostro ordinamento.

La specialità regionale non va ricostruita soltanto in termini di attribuzione a cinque Regioni su venti di «forme e condizioni particolari di autonomia», più ampie, di quelle di cui uniformemente dispongono le rimanenti quindici Regioni ordinarie (a meno che non venga attuato l’art. 116, co. 3, Cost.); questo è soltanto il punto di arrivo del costituente del 1948, costretto a riconoscere un trattamento particolare a specifiche realtà che in tempi precedenti si erano già consolidate. Infatti, come affermato da autorevole dottrina29, «la creazione di Regioni a statuto speciale non è stata l’effetto di pure volizioni politiche, ma è stato un portato della storia».

Il regime di specialità non rientrava in un progetto di regionalizzazione, rispondendo ad esigenze autonomistiche preesistenti al processo costituente della Repubblica italiana. La specialità già operava prima che il processo di regionalizzazione venisse esteso a tutto il territorio nazionale e spinta da motivazioni diverse.

A partire dal 1946, iniziarono a manifestarsi richieste autonomistiche, da parte di alcuni territori italiani, per fronteggiare e frenare, innanzitutto, movimenti indipendentistici (Sicilia)30 e rivendicazioni territoriali austriache (Trentino

Alto-Adige). Si aggiunsero anche altri fattori peculiari che condizionarono lo sviluppo

29 G. SILVESTRI, Le autonomie regionali speciali: una risorsa costituzionale da valorizzare,

Trieste, maggio 2014.

30 L’autonomia siciliana prende avvio nel 1946 quando, venne firmato un decreto reale dall’allora

Luogotenente del Regno d’Italia per conto del padre Vittorio Emanuele III, il principe Umberto di Savoia. Con il r.d.lgs. n. 455 del 15/05/1946, venne adottato lo statuto siciliano, grazie al quale si riuscì a porre fine al movimento indipendentista siciliano (il MIS) che si era sempre più rafforzato dopo la seconda guerra mondiale. Esso si sciolse nel 1951, bloccando le spinte separatiste. C. ERCOLANO, Storia dell’autonomismo siciliano, in www.ambientediritto.it .

(18)

18 storico delle autonomie speciali, quali: il rallentato sviluppo di alcuni territori, la presenza di minoranze etnico - linguistiche31, l’insularità, l’incidenza del contesto internazionale sui territori posti a confine.

La specialità regionale nasce, quindi, per rispondere a peculiari esigenze di autonomia attraverso una forte domanda sociale. È la storia che caratterizza l’identità culturale di tali territori e che giustifica le loro richieste autonomistiche. Pertanto, l’Assemblea costituente, nel 1946, doveva considerare la specialità come un dato di fatto.

Sono state proprio le autonomie speciali ad inaugurare il percorso di regionalizzazione in Italia, destinate ad operare da sole per lungo tempo, a causa della mancata realizzazione delle Regioni ad autonomia ordinaria, fino al 197032.

Il regionalismo speciale si trovò quindi, per una lunga stagione, a contrapporsi al modello stato-centrico, che ha da sempre caratterizzato l’impalcatura dell’ordinamento giuridico italiano designato dalla Costituzione, ponendosi in un rapporto di separazione.

Ma i nostri padri costituenti non vollero ridurre il regionalismo italiano unicamente a quello speciale, delineando così, un sistema misto33 che affiancava al regime

speciale (per sole cinque regioni) un regime comune (per le restanti quindici). La scelta di introdurre un’autonomia ordinaria è stata dettata, soprattutto, dall’esigenza di alleggerire il carico dei compiti dello Stato, sia sul versante legislativo34 che amministrativo35.

Il concetto di specialità presuppone, quindi, l’esistenza della Regione ordinaria, derogando alla sua disciplina generale. Anche se, a detta di molti, bisogna leggere

31 In particolare si trattava della minoranza germanofona nel Trentino Alto-Adige, della minoranza

slovena nel Friuli Venezia Giulia e della minoranza francofona in Valle D’Aosta.

32A. D’ATENA, Passato, presente…e futuro delle autonomie regionali speciali, cit., p. 7. 33 Ivi, p. 4.

34 Si pensi alla fissazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza regionale, per cui le

Regioni, invece, elaborano una normativa di dettaglio.

35 Si pensi al centrale ruolo degli enti locali in materia di funzioni amministrative. Nello specifico

l’art. 118, co. 1, Cost. attribuisce tali funzioni, in primo luogo, al Comune, quale ente più prossimo ai cittadini: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne

l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.

(19)

19 la derogabilità dell’autonomia differenziata, non tanto rispetto alle Regioni ordinarie, bensì rispetto all’ordinamento complessivamente inteso36.

Rinviando all’art. 114 della Costituzione italiana che designa la struttura territoriale dello Stato, si ricava che a tutte le Regioni, indistintamente, si riconosce un diritto all’autonoma.

Tale principio-diritto, garantito costituzionalmente, attribuisce agli enti in questione, la possibilità di darsi propri statuti, riconoscendo poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione37.

Ma, soltanto alle cinque Regioni speciali, si riservano condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale38.

A dare sostanza alla specialità è la capacità derogatoria delle leggi costituzionali con le quali gli statuti speciali sono adottati, a differenza degli statuti delle Regioni ordinarie, adottati con legge regionale statutaria.

La differenziazione si ravvisa anche all’interno della stessa specialità, poiché ogni Regione speciale adotta un proprio statuto che designa un distinto e specifico modello di autonomia regionale39; si potrebbe, dunque, parlare di una «specialità

nella specialità»40.

Alla base della varietà vi sono quelle motivazioni, di natura metagiuridica e precostituzionale che hanno guidato la costruzione dei singoli modelli statutari. Il compito degli Statuti è quello di tutelare le peculiarità dei territori in questione, rispondendo alle singole necessità.

Pertanto, in virtù delle particolarità storico-geografiche di questi territori, non si sarebbe potuto applicare su di esse un regime comune, da qui, la scelta dell’ordinamento di riconoscergli una disciplina diversa da quella generale.

Tale riconoscimento costituisce l’essenza stessa della specialità.

Per questo motivo, la si può intendere come la prima forma di differenziazione tra le Regioni, delineando il primissimo aspetto di asimmetria nell’ordinamento regionale italiano.

36 M. COSULICH, op. cit.

37 Art. 114, co. 2, Cost. 38 Art. 116, comma 1, Cost.

39 G. PASTORI, La nuova specialità, in Le Regioni, fasc. 3, maggio-giugno, 2001, p. 488.

40 F. PALERMO, Federalismo fiscale e Regioni a statuto speciale. Vecchi nodi vengono al pettine,

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20 Il fondamento costituzionale della specialità regionale italiana si trova all’art. 116, co.1, Cost., secondo cui «il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale».

Il revisore del 2001 ha apportato alcune modifiche alla disposizione costituzionale, ad esempio, la scelta di utilizzare il verbo “disporre”, piuttosto che “attribuire” previsto nel testo originario.

Tale scelta sottende la volontà di evidenziare il carattere preesistente della specialità regionale, ritraendola come un qualcosa di “extacostituzionale”.

La vecchia disposizione poteva essere interpretata, erroneamente, nel senso in cui era la Costituzione ad istituire le Regioni speciali, mentre, la nuova formulazione dell’art. 116, riconosce semplicemente qualcosa che già esisteva, prendendone atto. Un’altra differenza rispetto alla versione originale della disposizione costituzionale è l’aggiunta del nomen in tedesco (Südtirol) per il Trentino Alto-Adige ed e il nomen in francese (Vallée d’Aoste) per la Valle D’Aosta41.

Il fatto di voler introdurre, all’interno di una Costituzione nazionale parole straniere, conferma la tesi per cui la specialità vive nell’asimmetria.

Sempre nell’ottica della differenziazione bisogna leggere il secondo comma dell’art. 116, il quale contiene la previsione delle due Province autonome di Trento e Bolzano per la Regione Trentino Alto-Adige.

È chiaro come la tendenza differenziante sia stata, fin dal principio, presente nel disegno costituzionale e, come, gradualmente, si sia accentuata generando forti asimmetrie. Tendenza, la quale sembra essere accolta, in misura maggiore, anche all’ultimo comma del succitato articolo, configurando una “specialità diffusa”42 , di

cui si parlerà meglio più avanti, nel corso della presente trattazione.

La volontà di “specializzarsi” rispetto alle altre realtà territoriali, all’interno dello stesso ordinamento, apre prime prospettive di differenziazione, dalle quali avrà origine un fenomeno di accrescimento delle asimmetrie istituzionali.

41 G. DEMURO, Regioni ordinarie e regioni speciali, in T. GROPPI, M. OLIVETTI, La repubblica delle autonomie, Torino, Giappichelli,2001.

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21 Tuttavia, non bisogna interpretare la specialità nel senso di un’attribuzione di poteri maggiori, ma di poteri adeguati a operare in contesti di difformità, per fare in modo di valorizzare i relativi caratteri peculiari.

Il principio di specialità trova, però, un limite all’art. 5 della Costituzione italiana, il quale sancisce il principio di unità e indivisibilità della Repubblica.

La specialità viene, sì, garantita ma nel rispetto dell’unità nazionale con la quale deve essere bilanciata.

La solida cultura centralistica è dovuta scendere a compromessi con l’autonomismo regionale per promuovere una pacifica sintesi tra unità e autonomia, riflessa all’art. 5 della Costituzione.

Di tale rapporto, il riconoscimento della specialità ne rappresenta il punto di equilibrio.

Storicamente la specialità è stata considerata «un caposaldo dell’architettura repubblicana43», poiché rientrante tra gli elementi intangibili dell’ordinamento

costituzionale e pertanto insuscettibili di revisione44. Ragion per cui viene definita

“principio di regime”, per le precise garanzie costituzionali di cui gode.

Ma ad oggi, non si ha un quadro del tutto chiaro in termini di garanzia della specialità, alla luce dei dibattiti costituzionali che per decenni hanno interessato lo scenario italiano, i quali mettono in discussione l’attuale validità dell’istituto. Il dubbio scaturisce dalla volontà costituente di assegnare anche alle Regioni ordinarie un regime speciale attraverso la richiesta (eventuale) di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia45.

Ma se tutte le Regioni italiane fossero speciali, in un’ottica omogeneizzante, non ci sarebbe più motivo di definirle tali e di mantenere la distinzione tra le due tipologie di autonomia.

Da questo paradosso discende l’interrogativo relativo alla scelta di eliminazione o mantenimento dell’istituto della specialità.

Dunque è possibile intervenire su un tale “principio di regime”?

43 V. TEUTONICO, La specialità e la crisi del regionalismo, in Rivista AIC, 4, 2014, p. 1.

44 Così in F. PALERMO, Il regionalismo differenziato, in T. GROPPI, M. OLIVETTI, La repubblica delle autonomie, Torino, Giappichelli, 2001.

45 Art. 116, comma 3, Cost., il quale introduce il regionalismo differenziato, a seguito della Riforma

costituzionale del Titolo V parte II della Costituzione italiana, attuata con legge costituzionale n. 3/2001.

(22)

22 Vi sono due possibili direzioni da evidenziare in merito.

Il primo orientamento è a favore del fatto che la Costituzione non preveda alcun limite esplicito alla revisione dell’art. 116 Cost.

L’articolo in questione individua le condizioni speciali di autonomia delle cinque Regioni, disciplinate dai rispettivi Statuti, approvati con legge costituzionale dello Stato e dalla stessa fonte possono essere modificati, con il procedimento di revisione costituzionale ex art. 138 Cost.46 (aggravato).

Pertanto, le modifiche agli Statuti non dovrebbero incontrare limite di revisione. Il secondo, opposto al primo, si dirige verso la tutela dell’intangibilità del regime particolare delle Regioni a statuto speciale.

Esso si basa sulla giurisprudenza costituzionale che, attraverso la sentenza n. 213/1998, individua il significato ultimo e più profondo della specialità.

La Corte Costituzionale in tale sentenza dichiara che il metodo della cooperazione paritetica tra lo Stato e la Regione, da cui scaturiscono le norme di attuazione degli Statuti speciali, determina «i contenuti storico-concreti dell’autonomia regionale47».

Pertanto, l’intangibilità si rinverrebbe proprio nel principio pattizio, dal quale scaturisce «una sorta di presunzione di legittimità costituzionale delle norme di attuazione»48.

46 Tuttavia, prima del 2001, non tutte le Regioni a statuto speciale rinviavano alla disciplina recata

dall’art. 138 Cost. Se per quanto riguarda la Sicilia, il Trentino Alto Adige e la Valle D’Aosta, i rispettivi statuti non prevedevano alcuna deroga nei confronti del meccanismo dell’art. 138, per cui la revisione degli statuti era integralmente rimessa alla fonte costituzionale, per la Sardegna e il Friuli Venezia Giulia non era così. Quest’ultime, pur rinviando alla medesima disposizione, si allontanavano parzialmente dal modello delineato dall’art.138. Lo Statuto del Friuli Venezia Giulia prevedeva, altresì, che per le modifiche dello Statuto fosse “sentita la Regione”.

Mentre, lo Statuto della Sardegna, per le proposte di modifica, prevedeva il parere del Consiglio regionale e, ancora, che “qualora il progetto di modifica sia stato approvato in prima deliberazione

da una delle Camere ed il parere del Consiglio regionale sia contrario, il Presidente della Giunta regionale può indire un referendum consultivo prima del compimento del termine previsto dalla Costituzione per la seconda deliberazione”. Le varianti aggiunte da queste due regioni furono

eliminate, con la legge n. 2/2001 che ha reso omogenei i procedimenti di revisione degli Statuti speciali, escludendo la possibilità di indire un referendum nazionale e il parere del Consiglio regionale. E’ stata solo fatta salva la possibilità di prevedere il referendum consultivo per lo Statuto sardo. In P. COLASANTE, Unità e diversità nel (parziale) regionalismo asimmetrico italiano, alla

luce della riforma costituzionale in itinere, Montreal, ottobre 2015.

47 Cfr. Corte Cost., sent. n. 213/1998, in Giur. Cost., 1998, p. 1667 ss., cit. F. PALERMO, Federalismo fiscale e Regioni a statuto speciale. Vecchi nodi vengono al pettine, cit., p. 13.

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23 I particolari meccanismi di collaborazione tra Stato e Regioni speciali, sviluppati per mezzo delle norme di attuazione, hanno posto il problema della specialità come «problema di forma più che di sostanza»49.

La decisione di prevedere procedimenti bilaterali, formalmente distinti, per definire i diversi aspetti dell’autonomia, deriva dalla volontà di valorizzare le specificità delle singole Regioni speciali.

Il loro funzionamento è sempre stato caratterizzato da meccanismi di dialogo diretto con lo Stato, preferendo una condizione di reciproco isolamento e di singola contrattazione con l’autorità statale (probabilmente anche a causa della peculiare condizione geografica e politicamente periferica)50.

Anche questa separatezza delle procedure è un elemento che contribuisce ad acuire le asimmetrie regionali esistenti.

Confermata la perdurante validità delle norme di attuazione, anche dopo la Riforma costituzionale del 2001, rafforzando quel modello bilaterale che presiede alla formazione di dette norme, sarebbe opportuno precisarne il valore.

1.1.1 Lo strumento di implementazione della specialità: le norme di attuazione Le norme di attuazione sono approvate attraverso lo strumento del decreto legislativo, deliberate dalle Commissioni paritetiche Stato-Regione51 e promulgate dal Presidente della Repubblica.

Con riferimento alla loro collocazione all’interno del sistema delle fonti del diritto, nonostante la Corte abbia più volte fatto riferimento alla competenza separata e riservata delle norme di attuazione, rispetto a quella esercitabile dalle ordinarie leggi della Repubblica52, le si può considerare fonti normative intermedie tra la legge costituzionale (con la quale viene emanato e adottato lo Statuto) e la legge ordinaria, ponendosi, nei confronti di quest’ultima, in una posizione di superiorità.

49 D. GALLIANI, Brevi osservazioni su due concetti apparentemente opposti ma probabilmente speculari: specialità e regionalismo differenziato, cit., p. 223.

50 V. TEOTONICO, op. cit., p. 6.

51 Si tratta di organismi formati, in ugual misura, da membri del Governo centrale e membri della

Regione che fungono da “strumento di collaborazione e raccordo tra Stato e Regioni ad autonomia

speciale finalizzato alla ricerca di una sintesi positiva tra posizioni ed interessi potenzialmente diversi" (sentenza Corte Costituzionale n. 109 del 1995), in www.affariregionali.gov.it .

52

(24)

24 Le norme di attuazione rappresentano lo strumento immediatamente attuativo e integrativo della disciplina statutaria, quindi lo strumento di implementazione della specialità.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 22/1961, ha sottolineato la necessità e l’importanza del ruolo di intermediazione che ricoprono le norme di attuazione. Nello specifico, ha ritenuto che l’esercizio delle competenze attinente all’ordinamento e alle funzioni di uffici dello Stato, non può essere espletato esclusivamente in virtù della specialità della Regione in quanto tale, ma si rende necessario l’intervento di apposite norme di attuazione per l’inizio delle attività regionali53.

Tali norme, subordinate alla Costituzione e allo Statuto, non sfuggono, tuttavia, all’ordinario controllo di legittimità costituzionale, qualora non adempiono al loro compito di armonizzare, nell’unità dell’ordinamento giuridico, i contenuti e gli obiettivi particolari dell’autonomia speciale.

Inoltre, esse fungono da parametro in sede di giudizio di legittimità di leggi statali o regionali, da parte della Corte, nonché da strumento interpretativo delle stesse espressioni statutarie che delimitano le sfere di competenza delle Regioni ad autonomia differenziata54.

Tuttavia, nella prassi, i decreti legislativi di attuazione degli Statuti speciali, hanno finito per frenare l’evoluzione delle autonomie, favorendo il decollo delle Regioni ordinarie.

Ciò si è verificato a partire dal 1970, con l’avvio del processo di regionalizzazione complessivo dello Stato, che ha conosciuto diverse ondate di trasferimenti di funzioni.

Il motivo dell’indebolimento del regionalismo speciale sta nell’efficacia “differita” degli Statuti speciali, visto che il passaggio delle competenze dallo Stato alla Regione speciale viene subordinato all’adozione dei suddetti decreti di attuazione.

53R. CHIEPPA, Le esperienze delle commissioni paritetiche e il valore delle norme di attuazione degli statuti speciali regionali, in Le Regioni, n.6, novembre-dicembre 2008, p. 12, dove più avanti

si chiarisce che la sentenza in questione, riguardava una legge sarda approvata dal rispettivo Consiglio regionale il 16 giugno 1959, e riapprovata il 25 maggio 1960, disciplinante funzioni in materia di turismo. La legge è stata dichiarata incostituzionale, poiché disciplinava funzioni allora esercitate dallo Stato, senza che ancora fossero intervenute norme statali per il trasferimento di tali funzioni alla Regione.

(25)

25 Le autonomie speciali rimasero escluse già dal primo trasferimento di funzioni avvenuto nel 1972 e poi anche nel 1977 (di cui, invece, le Regioni ordinarie avevano goduto), dovendo contrattare “uti singuli” , tali competenze, con lo Stato55. Lo stesso è accaduto, anche successivamente, con le Leggi Bassanini del 199756 nell’ambito dell’attuazione della Riforma della Pubblica Amministrazione e del c.d. federalismo amministrativo.

Queste leggi sancivano un importante principio all’interno del vasto disegno di riforma: il rovesciamento del criterio di ripartizione delle funzioni amministrative tra Stato e Regioni57.

Tale fondamentale inversione, avrebbe comportato un incremento delle competenze a livello locale, ridisegnando le funzioni di tutte le autonomie58.

Le leggi in questione, si rivolgevano unicamente alle Regioni ordinarie, ponendo il problema della loro estensione e applicabilità anche alle Regioni ad autonomia differenziata.

Come è noto, il notevole ritardo del loro adeguamento alla riforma, ha provocato delle ripercussioni sulla loro autonomia. Ritardo dovuto al fatto che il trasferimento di funzioni conferite alle Regioni ordinarie, dovesse avvenire con apposite norme di attuazione59.

55 P. COLASANTE, Unità e diversità nel (parziale) regionalismo asimmetrico italiano, alla luce della riforma costituzionale in itinere, cit.

56 Si tratta delle leggi n. 59/1997 “recante Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, e n. 127/1997 che accompagna alla riforma del decentramento

amministrativo, quella della semplificazione amministrativa con l'obiettivo di ridisegnare l'organizzazione e il funzionamento dell'amministrazione pubblica. G. PAGANETTO, Il significato

della “specialità” regionale, in Le Regioni, fasc. 6, novembre-dicembre, 2000.

57 Si trattava di un meccanismo completamente diverso rispetto a quello passato. Si andavano, cioè,

ad individuare le sole funzioni riservate allo Stato, divenendo titolare di competenze enumerate. Tutte le altre funzioni, sia che esse fossero ricomprese nell’elenco dell’art. 117 Cost, sia che fossero estranee ad esso, andavano attribuite alle Regioni o agli enti locali, purché «relative alla cura degli interessi ed alla promozione dello sviluppo delle relative comunità» o comunque «localizzabili nei rispettivi territori». Cit. G. PAGANETTO, Il significato della «specialità» regionale.

58 Ibidem.

59 Per ripercorrere le varie tappe dei trasferimenti di funzioni alle Regioni, nonché la questione del

tardo adeguamento delle autonomie speciali a quelle ordinarie, v. A. D’ATENA, La specialità

regionale tra deroga ed omologazione, in Rivista AIC, N. 1/2016; G. PAGANETTO, Il significato della «specialità» regionale, cit.; G. D’IGNAZIO, Regionalismo asimmetrico e riforma della Costituzione, in Osservatorio legislativo interregionale, Bologna, 10-11 aprile, 2003; D.

GALLIANI, Brevi osservazioni su due concetti apparentemente opposti ma probabilmente

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26 Ulteriore impulso al processo lo diede, poi, anche il d.lgs. n. 112 del 1998 che riguardava il “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali”, in attuazione delle succitate leggi.

Esemplificativo è l’art. 10 del suddetto decreto, che stabilisce che «con le modalità previste dai rispettivi statuti si provvede a trasferire alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in quanto non siano già attribuite, le funzioni e i compiti conferiti dal presente decreto legislativo alle regioni a statuto ordinario60».

Dalla disposizione si può facilmente desumere che i decreti di trasferimento delle funzioni alle Regioni speciali hanno, in linea di massima, ricalcato quelli delle Regioni ordinarie, finendo per non realizzare una concreta differenziazione tra le due61. Infatti, la dottrina fa spesso riferimento ad un fenomeno di “appiattimento62” della specialità delle Regioni a Statuto speciale nei confronti delle Regioni ordinarie.

Le funzioni che venivano attribuite prima alle Regioni ordinarie, venivano, dopo, attribuite alle Regioni speciali. Per cui quest’ultime arrivavano in ritardo, a causa della necessità di mediare attraverso i decreti legislativi di attuazione, scandendo quell’affannoso inseguimento dell’autonomia delle Regioni ordinarie.

Autorevole dottrina ha definito le norme qui analizzate, come «lo strumento che più di ogni altro ha inchiodato le Regioni speciali al loro passato»63, facendo in modo di mantenere quei “privilegi” (attraverso il procedimento bilaterale con lo Stato che le sottende) che impedirono il loro allineamento con le Regioni ordinarie.

Si è parlato, al riguardo, di “specialità in negativo”, vale a dire la minore autonomia complessiva delle Regioni speciali nei confronti di quelle ordinarie64.

Alcuni autori65 hanno evidenziato la “falsa omogeneità” delle Regioni durante il periodo delle riforme amministrative a “Costituzione invariata66”, in quanto in

60 D. GALLIANI, op.cit., p. 226 61 Ivi, p. 225.

62 Ibidem.

63 Cosi G. VERDE,Uniformità e specialità delle regioni, in Rivista AIC, n.4/2015, p. 13. 64 D. GALLIANI, op.cit., p. 227.

65 Così in G. D’IGNAZIO, Regionalismo asimmetrico e riforma della Costituzione, in Osservatorio legislativo interregionale, cit.

66 Prima, cioè, della riforma costituzionale del Titolo V parte II della Costituzione avvenuta nel

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27 quella fase, la politica attuata dal regionalismo italiano doveva essere una politica dell’ “uniformità” ma così non è stato: le Regioni a Statuto speciale erano rimaste emarginate dal processo di riforma amministrativa.

Pertanto, l’ordinamento regionale non possedeva più il carattere di uniformità, sotto l’aspetto competenziale.

Ma se con il d.lgs n. 112/1998 si sono “appiattite” le funzioni amministrative delle Regioni speciali e ordinarie, attraverso lo strumento (per le prime) delle norme di attuazione, con la Riforma costituzionale del 2001, la situazione cambia, proiettandosi verso una maggiore differenziazione, rendendo «più speciali le Regioni ordinarie e più ordinarie le Regioni speciali»67.

Anche dopo la riforma del titolo V della Costituzione, resta salvo il ruolo delle Commissioni paritetiche e confermata la necessità dello strumento delle norme di attuazione per il processo di decentramento “differenziato” delle autonomie speciali.

Tuttavia, la giurisprudenza successiva, ha sostanzialmente legittimato le norme di attuazione «come procedimento formalmente e sostanzialmente governativo68», per

la necessità di integrare interessi diversi all’interno di un contesto unitario. Resta comunque salvo il principio a cui si ispirano, ossia quello di bilateralità.

1.2 Le radici antropologico-culturali del Regionalismo speciale

Rilevante, ai fini di questo paragrafo, è un discorso tenuto da un importante giurista italiano, ex Presidente della Corte Costituzionale69, nonché ex Magnifico Rettore dell’Università degli studi di Messina, Gaetano Silvestri, in occasione del 50° anniversario dell’Assemblea legislativa regionale, nel 2014:

“Le autonomie speciali, proprio per la loro peculiarità storica, per la particolare posizione e conformazione dei territori, per la composizione etnica e linguistica delle comunità locali, non sono frutto di pura volontà politica o di accordi conclusi per ragioni contingenti e opportunistiche. Esse contengono in sé, in modo

67 V. TEOTONICO, La specialità e la crisi del regionalismo, in Rivista AIC, n.4/2014, p.2.

68 A. POGGI, Le funzioni legislative e amministrative nelle autonomie speciali, tra vecchie e nuove fonti e realtà effettiva, cit., p. 11.

69 Gaetano Silvestri è stato giudice della Corte costituzionale e presidente della stessa dal 19

settembre 2013 al 28 giugno 2014; nonché membro della Commissione paritetica per le norme di attuazione dello Statuto della Regione Siciliana, alla fine degli anni ’90.

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28 oggettivo, le ragioni della specialità; la diversificazione delle forme istituzionali, delle discipline normative e delle organizzazioni amministrative trova giustificazione pertanto nelle peculiarità di ciascun territorio e di ciascuna popolazione”70.

Da questa illuminante premessa, si ricava che la nascita dell’autonomia speciale, non può non ricondursi a quegli elementi pregiuridici che rappresentano le radici antropologico-culturali degli enti ad autonomia differenziata, che della specialità sono l’embrione, riflettendosi anche nella struttura istituzionale71.

La specialità regionale non va letta soltanto in termini di attribuzione di più ampie «forme e condizioni particolari di autonomia», a cinque regioni italiane su venti. Bisogna, invece, razionalizzare l’esistenza di un processo di origine precostituzionale che ha introdotto cinque discipline regionali speciali.

Per tale motivo si ritiene che «le autonomie speciali sono le autonomie regionali che più pienamente corrispondono alle ragioni originarie del regionalismo»72”, e

definite come «madri del regionalismo italiano»73.

Prendendo in prestito un’espressione squisitamente spagnola, si potrebbe dire che la specialità regionale deriva, da “hechos differenciales” le cui radici sono storico-culturali e da cui derivano condizioni particolari.

Le motivazioni che sottendono il regionalismo speciale, hanno origini molto diverse tra loro e si basano su un complesso di fattori di natura culturale, giuridica, etnico-linguistica, geografica, politica, internazionale, aggiungendo anche, movimenti indipendentistici e rivendicazioni territoriali.

In particolare, la necessità di contrastare spinte separatiste che avrebbero minato l’unità nazionale, riguardava la Sicilia; la tutela delle minoranze alloglotte premeva soprattutto per il Trentino Alto-Adige, la Valle D’Aosta e il Friuli Venezia Giulia; la considerazione di peculiari posizioni geografiche dovute al carattere insulare era un problema della Sicilia e della Sardegna; e, infine, l’incidenza del contesto internazionale per i territori posti a confine, rilevava per il Trentino Alto- Adige e il Friuli Venezia Giulia.

70 G. SILVESTRI, Le autonomie regionali speciali: una risorsa costituzionale da valorizzare, p.8. 71 A. D’ATENA, Passato, presente…e futuro delle autonomie regionali speciali, cit., p. 6.

72 Ivi, p. 1.

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29 Per quanto riguarda la specialità della Regione Trentino Alto-Adige, essa deriva dalla confluenza di due fattori in particolare: la tutela delle minoranze linguistiche e l’autonomia di governo locale.

L’autonomia speciale della suddetta regione, con la peculiare articolazione nelle due province autonome di Trento e Bolzano, ha origine dall’accordo italo-austriaco sottoscritto a Parigi il 5 settembre del 1946 dall'allora presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi e dal ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber, per definire la questione della tutela della minoranza linguistica tedesca nella regione74. Con il Trattato di Saint-Germain del 191975 si annetteva il Trentino-Alto Adige al Regno d’Italia che, seppur geograficamente collocato nella penisola italiana, era popolato in prevalenza da abitanti di lingua tedesca, relativamente all’Alto-Adige, senza dimenticare le comunità germanofone nella zona del Trentino.

Dopo la seconda guerra mondiale, durante la quale le truppe naziste occuparono il territorio del Trentino e dell’Alto-Adige, venne sottoscritto tra l’Italia (uscita sconfitta dal conflitto) e l’Austria, un accordo confluito nel trattato di pace del 10 febbraio 1947, appunto l’accordo De Gasperi-Gruber che ne costituisce l’allegato IV76.

L’accordo si poneva a tutela della minoranza linguistica tedesca nel Sudtirolo77.

Infatti al suo articolo 1 prevede la completa uguaglianza di diritti degli "abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e di quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento rispetto agli abitanti di lingua italiana" , “nel quadro

74 M. COSULICH, Regioni a statuto speciale, in Diritto on line, 2017.

75 BERNARDINI-CAU-D’OTTAVIO-NUBOLA (a cura di), L’età costituente. L’Italia 1945-1948, in www.academia.edu.

76 M. COSULICH, op. cit.

77In merito vanno menzionate, ai fini di una ricostruzione storica, le c.d. opzioni in Alto Adige ( o

Sudtirol). Si trattava di un sistema, risalente al 1939, previo accordo tra Italia e Germania, per risolvere il contenzioso sull'Alto Adige e sulle altre isole linguistiche tedesche e ladine presenti in Italia. Tale sistema poneva, davanti alla popolazione di lingua tedesca, ladina, mochena e cimbra, una scelta: diventare cittadini tedeschi e conseguentemente trasferirsi nei territori del Terzo Reich o rimanere cittadini italiani integrandosi nella cultura italiana e rinunciando ad essere riconosciuti come minoranza linguistica. Tuttavia, l’occupazione tedesca, durante la seconda guerra mondiale, pose fine all’ “opzione”. In BERNARDINI -CAU-D’OTTAVIO-NUBOLA (a cura di), L’età

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