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Solidarietà e percorso iniziatico. L’impegno della massoneria contro vecchie e nuove povertà

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M. No varino - S . R osso

SOLID

ARIETÀ E PER

CORSO INIZIA

TICO

SCAFF ALE - 193

In questo libro, suddiviso in due parti e scritto a quattro mani da Marco Novarino e Sergio Rosso, viene delineato il senso profondo che riveste la solidarietà massonica dalle sue origini fino ai nostri giorni. Le pagine di Marco Novarino tracciano, sotto il profilo storico, il percorso della solida-rietà massonica, declinata in alcuni momenti con la beneficenza e in altri con la filantropia a partire dalle Corporazioni medievali fino ai primi anni del Novecento. In queste fasi il germogliare di iniziative promosse e sostenute dalla libera muratoria dimostra inconfutabilmente che la solidarietà non è un percorso del nostro presente ma fa parte della storia della massoneria; non a caso confrontando le esperienze del passato con quelle attuali è possibile trovare considerevoli similitudini. Fra le associazioni paramasso-niche più antiche sopravvissute nel tempo vi sono gli Asili Notturni Umberto I di Torino, dei quali, nella seconda parte di questo libro, ci parla diffusamente Sergio Rosso, Gran Maestro Aggiunto del Grande Oriente d’Italia e Presidente degli Asili Notturni di Torino. Nel suo intervento Rosso chiarisce che questa centenaria istituzione non ha mai nascosto, pur senza ostentarlo, che il valore della solidarietà è una naturale conseguenza di quella crescita interiore che si realizza durante i lavori svolti sotto la volta stellata del Tempio massonico, alimentandosi e introiettando cultura e spiritualità. Prendendo come esempio l’esperienza degli Asili Notturni di Torino ultimamente sono nate numerose associazioni, coordinate dalla Federazione italiana di solidarietà massonica, delle quali viene tracciata una breve descrizione del loro operato.

SOLIDARIETÀ

E PERCORSO INIZIATICO

SOLIDARIETÀ

E PERCORSO INIZIATICO

193

Marco Novarino - Sergio Rosso

Marco Novarino - Sergio Rosso

In copertina:

Albert Anker, Distribuzione della zuppa ai poveri, 1890 (part.)

L’impegno della massoneria

contro vecchie e nuove povertà

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SCAFFALE DEL NUOVO MILLENNIO 193

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Marco Novarino - Sergio Rosso

SOLIDARIETÀ

E PERCORSO INIZIATICO

L’impegno della massoneria

contro vecchie e nuove povertà

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I proventi dalla vendita del libro saranno devoluti al Piccolo Cosmo e alla F.I.S.M.

ISBN 978-88-6318-207-1

Proprietà artistiche e letterarie riservate

Copyright © 2018 – Gruppo Editoriale Bonanno s.r.l. Acireale - Roma

www.gebonanno.com gebonanno@gmail.com

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Indice

Dalla beneficenza alla solidarietà nella libera muratoria. Un percorso plurisecolare

Marco Novarino

«Obblighi d’amore verso i compagni»

nelle corporazioni libero muratorie pag. 11 La nascita della massoneria speculativa

e il concetto di beneficenza ” 17

Dalla beneficenza settecentesca

alla filantropia ottocentesca ” 22

Laicità, educazione e solidarietà

alla base della rinascita del Grande Oriente d’Italia ” 29 Massoneria, solidarietà e pauperismo

dopo l’unificazione italiana ” 34

Un problema, una associazione per risolverlo.

Massoneria e solidarietà laica ” 37

Nutrire i ‘nuovi poveri’. Le cucine popolari ” 44 Aiutare gli operai, soccorrere i malati

e sfamare i mendicanti sotto la Mole. Un case study ” 51 Igienismo, solidarietà e massoneria: Luigi Pagliani ” 57 Non solo sfamare ma anche soccorrere e curare:

(7)

L’esempio di Pini ‘contagia’ le logge italiane pag. 69 Quando arriva la notte.

La massoneria e gli asili notturni ” 73

Gli Asili Notturni ‘Umberto I’ -

«Labor, Virtus, Caritas» ” 77

Bibliografia ” 84

Solidarietà massonica oggi

Sergio Rosso

Fenomenologia della solidarietà massonica

tra ieri e oggi ” 93

Solidarietà massonica ed esperienza personale ” 95 La rinascita

degli Asili Notturni Umberto I di Torino ” 96 “Solidarietà” ed etimologia.

Riflessioni e considerazioni ” 98

Gli invisibili: ancora un salto nel passato,

tra le pagine della memoria ” 101

Nascita ed evoluzione del progetto “Piccolo Cosmo”:

una Grande alchimia per chi “non ce la fa” ” 106 Servizi e medicina solidale

agli Asili Notturni Umberto I ” 109

Perché la nascita degli Ambulatori Odontoiatrici

e dei progetti ad essi collegati ” 116

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FISM (federazione italiana di solidarietà massonica) pag. 124

La Rete Odontoiatrica ” 130

Progetti di supporto alla Rete Odontoiatrica ” 138 Carta costituzionale italiana e libera muratoria:

un inscindibile legame ” 139

Usi e abusi del termine solidarietà massonica

e del suo significato ” 141

Conclusioni ” 144

Appendice

Antico bilancio 1910 ” 149

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Dalla beneficenza alla solidarietà

nella libera muratoria.

Un percorso plurisecolare

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«Obblighi d’amore verso i compagni» nelle corporazioni libero muratorie

Sulla storia della libera muratoria aleggia ancora, almeno per la fase cosiddetta «operativa», un alone di mistero.

Nel magistrale studio L’Illuminismo dei Rosa-Croce, la storica inglese Frances Yates affermava che «le origini della massoneria sono uno dei problemi più discussi e discutibili in tutto il campo della ricerca storica» (Yates), e anche se negli ultimi quarant’anni (la prima edizione di The Rosicrucian Enlightenment venne pub-blicata nel 1972) molti passi in avanti sono stati fatti al punto da ridimensionare tale affermazione, permane nel sentire collettivo l’equazione massoneria uguale mistero.

Ignoranza, pregiudizi ma a volte la stessa volontà dei suoi ade-renti a non voler fare chiarezza, sulle finalità e le modalità organiz-zative, hanno generato nell’opinione pubblica un’idea deformata delle organizzazioni massoniche, alimentando credenze e leggende che negli anni sono diventate opinioni diffuse e indiscusse.

La letteratura sulla storia della massoneria è enorme, ma mol-te opere sono il frutto di autori che senza un’adeguata prepara-zione storica, si sono sentiti legittimati a scrivere per il solo fatto di essere stati iniziati massonicamente.

A un certo punto un autorevole studioso arrivò a teorizzare che solo gli storici, o presunti tali, che al contempo fossero degli iniziati, avevano la capacità di scrivere sulle vicende massoniche, gettando discredito sull’oggetto stesso della ricerca.

Fortunatamente quella teoria non trovò seri sostenitori e in molti paesi europei, a partire dal secondo dopoguerra, si è visto un rifiorire di ricerche scientifiche serie e qualificate che hanno contribuito a dipanare, almeno nel mondo storico-accademico, il mistero poco sopra richiamato.

Ma come spesso accade, le ricerche scientifiche non escono dal limitato ambito dell’accademia e poche sono state trasforma-te in opere di carattrasforma-tere divulgativo, alimentando nell’opinione pubblica una persistente confusione, moltiplicatasi a dismisura con l’avvento di internet e della famosa ‘rete’.

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Se la storia della libera muratoria dal 1717 in avanti è stata ampiamente studiata, pur lasciando ancora spazio a possibili ap-profondimenti, la questione del passaggio dalla massoneria co-siddetta ‘operativa’ a quella ‘speculativa’, al contrario, necessita di ulteriori ricerche che cancellino definitivamente le tante, troppe, ricostruzioni fantasiose abilmente costruite.

Solo a mero titolo esemplificativo, in una ricerca compiuta all’inizio del Novecento su oltre 200 opere storiografiche (che forse sarebbe più corretto classificare, per la maggior parte dei casi, come pseudo-storiografiche) riguardanti le origini della li-bera muratoria, venivano contemplate ben 39 ipotesi diverse.

A parte quelle grottesche (loggia massonica presente nel pa-radiso terrestre, origini nel post-diluvio universale, logge tra i costruttori della torre di Babele e persino collegate alla figura di Gesù Cristo), alcune avevano il preciso intento di legittimare la storia massonica settecentesca – ricca d’innesti di svariate culture tradizionali sulla struttura libero muratoria codificata dalle costi-tuzioni di Anderson e che avevano dato vita a innumerevoli Riti – e dotarla di una tradizione (ad esempio attribuendole origini templari oppure egizie, tanto per citare le più in voga).

Altre, invece, seppure in modo empirico, cercavano di fornire delle spiegazioni la cui veridicità ed esattezza è stata confermata dalla storiografia nei decenni successivi.

Allo stato attuale della ricerca, nessuno mette più in dubbio che la massoneria, come attualmente è conosciuta e operante, tragga origine dalle corporazioni dei liberi muratori che hanno avuto un’ampia diffusione nel basso Medioevo.

All’interno di tali corporazioni, come d’altronde in tutte le associazioni di mestiere medievali, l’insegnamento della profes-sione e le mansioni operative erano sottoposte a rigide regole che imponevano non solo un gradualismo dell’apprendimento e la segretezza sui lavori svolti, ma anche regole di comportamento da tenersi anche al di fuori dall’ambito lavorativo.

L’insegnamento gradualistico della pratica lavorativa presup-poneva quindi l’esistenza di categorie ben definite che operavano all’interno della corporazione secondo le conoscenze acquisite e non potevano in alcun modo svolgere mansioni a cui non erano abilitate. Quindi all’interno delle corporazioni esistevano due li-velli di segretezza: il primo riguardante il complesso delle

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cono-scenze possedute dall’intera corporazione ritenute fondamentali per edificare le cattedrali e altri edifici di culto; il secondo, inter-no alla corporazione stessa, che impediva al grado più basso della struttura gerarchica di conoscere alcune nozioni negando così l’opportunità di svolgere determinati lavori.

Nelle corporazioni libero muratorie – denominate freemasons in inglese; franc maçons in francese, da cui l’italianizzazione di

frammassoni e massoni – in linea di massima erano presenti due

categorie o gradi: quello degli apprendisti e quello dei lavoranti (o compagni d’arte) mentre i cosiddetti maestri non erano una vera e propria categoria, poiché rappresentavano il vertice del-la struttura, con incarichi di responsabilità dirigenziale. Il loro compito non si limitava soltanto alla direzione delle maestran-ze, ma consisteva anche – mansione dalla quale trae origine la denominazione – nell’impartire l’insegnamento ai due gradi e decidere modi e tempi delle promozioni.

L’aspetto interessante in questo tipo di organizzazione ge-rarchica era costituito dal fatto che il maestro non solo fosse il depositario della conoscenza operativa muratoria, ma che il suo insegnamento assumesse un carattere morale e religioso. In so-stanza, come è già stato detto, la corporazione risultava essere una scuola di vita, con precise regole e codici di comportamento che andavano al di là della semplice conoscenza professionale.

Tutti momenti di vita comunitaria erano scanditi da precisi riti e giuramenti, tramandati principalmente per via orale e, a partire dal XIV secolo, anche in forma scritta.

L’insegnamento, i riti e i giuramenti erano espressi attraverso un linguaggio simbolico, dove antiche tradizioni come la costru-zione del Tempio di Salomone e la leggenda di Hiram avevano una funzione didattica e allegorica e che, seppur influenzati dalla tradizione giudaico-cristiana, costituivano un corpus rituale con proprie peculiarità, tali da renderli unici nel loro genere e soprat-tutto segreti.

Quindi un forte alone di mistero aleggiava intorno alle comu-nità dei liberi muratori e soprattutto rispetto al luogo di riunio-ne, la loggia. Come sappiamo, il mistero induce curiosità, crea supposizioni e dicerie, ma soprattutto interesse, a maggior ragio-ne in un contesto anglosassoragio-ne caratterizzato, a partire dal Cin-quecento, da una società pluralista moderna, nella quale sempre

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più nobili e borghesi si indirizzavano verso gruppi e società che prendevano le distanze da identità confessionali forti e codificate tentando, con alterna fortuna, di dare vita a un pensiero sincreti-co, dove una componente rilevante veniva assunta dall’elemento esoterico.

Viene spontaneo domandarsi se questo interesse fosse ben vi-sto dai maestri libero muratori e quali fossero per loro i vantaggi di introdurre, in alcuni momenti delle loro attività nelle logge, degli estranei, che pur non essendo potenziali concorrenti (appa-riva infatti chiaro come né ricchi borghesi né tanto meno giovani nobili avrebbero mai preso in mano un martello e uno scalpello e squadrato una pietra) erano però interessati esclusivamente ai rituali e al linguaggio simbolico.

Occorre tener presente che una corporazione si stabiliva in un luogo per numerosi anni, in molti casi decenni, ovvero il tempo necessario alla conclusione dei lavori di costruzione dell’edificio di culto, che potevano anche interrompersi, per periodi più o meno lunghi, per mancanza di finanziamenti.

Tale elemento è importante per introdurre la questione del re-ciproco aiuto all’interno del mondo libero muratorio medievale. Essendo le corporazioni fortemente legate alla tradizione cri-stiana la solidarietà verso chi soffriva era un precetto fondamen-tale che traeva origine dalle parole di Cristo «Amerai il prossimo tuo come te stesso: altro comandamento maggiore di questo non v’è» (Marco, XII, 31).

Attraverso l’analisi dei testi libero muratori operativi che ci sono pervenuti, si evince come fossero continui i richiami, nell’ambito della solidarietà, al cristianesimo delle origini con l’obbligo di aiutare i fratelli più bisognosi.

Il fondo comune di assistenza presente nelle corporazioni si rifaceva alle arcae genus dei primi cristiani. In primis la solida-rietà era rivolta verso i membri della corporazione come attesta la Carta di Bologna del 1248, il più antico documento normativo della libera muratoria operativa finora conosciuto che stabiliva e ordinava che se uno dei soci si fosse ammalato «i Ministeriali debbano fargli visita se l’avranno saputo e che gli debbano dare assistenza e aiuto».

Secondo Bonvicini questa ‘assistenza’ rientrava nelle iniziative di fratria che «non si limitavano alle “collette” disposte caso per

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caso, ma che consistevano anche in forme di proto-mutualismo a favore dei confratelli, delle loro famiglie e, riteniamo, estensibile agli apprendisti e discepoli» (Bonvicini: 280), mentre nel Poema

Regius, il più famoso documento ‘operativo’ inglese, datato 1390,

si parla di «Obblighi d’amore verso Dio, verso la Chiesa e verso i compagni» (Il Poema Regio: 138).

Simili disposizioni si trovano in quello che è considerato come il più importante documento normativo statutario della libera muratoria operativa, lo Statuto degli scalpellini e muratori, approvato a Ratisbona nel 1459, e noto come Statuto di

Strasbur-go. In questo documento veniva prescritto che il «maestro che ha

la direzione della Loggia» (l’equivalente del Maestro Venerabile nelle logge speculative) era il custode di una «scatola» dove ogni membro della corporazione doveva versare settimanalmente un «pfenning». Da questo fondo ogni «maestro o socio» colpito da malattia, con la conseguente mancanza del «nutrimento necessa-rio», poteva attingere per le sue necessità fin quando non si fosse ristabilito. Unica condizione è che tale aiuto non costituiva un dono, ma un prestito che il fruitore era chiamato a restituire non appena fosse stato in grado di farlo.

Queste disposizioni, secondo Bonvicini, fanno presupporre che le corporazioni libero muratorie attuassero una vera e propria attività di fratria con aiuti che coinvolgevano anche le persone vicine ai soci. Queste fratrie di solidarietà erano indipendenti dalle opere di carità religiose o da quelle gestite da istituzioni pubbliche o dai signori locali. In molti casi le fratrie costituiva-no una parte integrante di una corporazione libero muratoria, oppure facevano parte di più ampie confraternite assistenziali di contrada e quartiere.

Nella simbologia libero muratoria la fratria e di conseguenza la solidarietà e la beneficenza era simboleggiata dalla cazzuola. Irène Mainguy, nel suo libro sulla simbologia massonica, descri-vendo questo strumento – necessario al muratore per stendere la calce che connetteva tra loro le pietre squadrate – ritiene che venisse interpretato come il

simbolo dell’amore fraterno che unisce tutti massoni, per mezzo del cemento essenziale utilizzato per l’edificazione del tempio ideale. La cazzuola è riconosciuta in particolare come emblema delle qualità essenziali del vero massone: tolleranza e benevolenza; essa viene

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al-tresì percepita come simbolo della coscienza della fraternità univer-sale fra tutti gli esseri umani, realizzata dal lavoro della solidarietà condivisa (Mainguy: 273)

Quindi uno strumento dalla valenza simbolica molto for-te, che sottolineava come il libero muratore ‘operativo’ avesse l’obbligo di soccorrere i bisognosi, interiorizzando i concetti di «benevolenza illuminata e tolleranza generosa» ed era cosciente del fatto che già nella Bibbia (II Libri di Esdra), citando la rico-struzione del Tempio di Salomone per opera di Zorobabele la cazzuola era considerato uno degli strumenti più importanti per i costruttori dell’epoca.

Tornando alla struttura delle corporazioni, dato che si trat-tava di una comunità integrata nel tessuto sociale del luogo nel quale si era decisa l’erezione di una nuova cattedrale o chiesa, no-nostante i molti privilegi sanciti dalle leggi e la protezione delle autorità politiche e religiose, i libero muratori necessitavano di mantenere buoni rapporti soprattutto con i notabili del luogo, vale a dire i borghesi e i nobili più influenti.

Quindi a partire dalla fine del Cinquecento fino ai primi anni del Settecento nelle corporazioni muratorie esistevano due cate-gorie ben distinte: i massoni «operativi», ovvero coloro che svol-gevano a tutti gli effetti l’arte muratoria, e gli «accettati», e cioè soggetti entrati nella comunità essendo degli esoteristi appassio-nati di letture rosacrociane, oppure curiosi attratti dai misteriosi rituali che si svolgevano in loggia o semplicemente appassionati di matematica e architettura, stupiti dalle conoscenze che i liberi muratori possedevano riuscendo a costruire delle cattedrali che, a volte, parevano sfidare le stesse leggi della fisica tanto erano ar-dite. Successivamente, alla fine del Seicento e nei primi del Sette-cento, la categoria degli «accettati» si differenziò ulteriormente e quelli che erano entrati sulla spinta d’interessi esoterici e filosofici assunsero il nome di massoni «speculativi».

Qualsiasi sia stata l’evoluzione che si produsse è certo che an-che gli insegnamenti in ambito solidaristico entrarono a far par-te del bagaglio morale degli «accettati» e la loro presenza segnò l’inizio di quel processo, che durò circa un secolo, portando alla nascita, nel 1717, della massoneria speculativa.

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La nascita della massoneria speculativa e il concetto di beneficenza

A partire dalla sua diffusione, prima in Europa continentale e poi nel resto del mondo, la massoneria speculativa venne perce-pita nell’immaginario collettivo come un’organizzazione dotata di una struttura organizzativa diffusa a livello mondiale e retta da organi dirigenti sovranazionali che imponevano direttive e linee guida alle strutture nazionali.

Una visione che non corrisponde storicamente alla realtà. È infatti errato parlare di massoneria in senso generico, ma occorre utilizzare questo termine seguito dalla nazione all’interno della quale ha operato tale tipologia di associazionismo, tenendo poi ulteriormente conto di come nelle stesse entità nazionali agi-rono più organismi, spesso in contrasto tra loro.

Senza dubbio la presenza di usi, rituali, statuti, regolamenti quasi universalmente simili per non dire uguali, ma soprattut-to di una comune vocazione al cosmopolitismo, ha contribuisoprattut-to a costruire l’immagine della ‘fratellanza libero muratoria’ come un organismo strutturalmente coeso, centralizzato, teso al perse-guimento di una strategia universale. Si tratta di uno stereotipo che ha impedito di percepire le radicali differenze e i contrasti esistenti tra le varie componenti nazionali, sia per questioni di relazioni interne, sia a seguito di dispute statuali, che videro, in quest’ultimo caso, le organizzazioni nazionali essere, a volte ob

torto collo, ‘nemiche’.

Durante l’Ottocento in quasi tutti i paesi europei i massoni furono costretti a confrontarsi nel tentativo di conciliare l’uni-versalismo massonico con le esigenze patriottiche.

La dicotomica questione ‘cosmopolitismo-nazionalismo’ è strettamente collegata alla difficoltà di passare dalla fratellanza massonica a quella dell’umanità intera, come era negli inten-dimenti dei padri costituenti inglesi dell’inizio del Settecento. Questo passaggio impegnava i membri delle logge a promuovere la pace tra le nazioni e l’armonia tra i popoli, avendo però al contempo l’obbligo di essere «pacifici sudditi dei Poteri Civili», come previsto dalle fondamentali Costituzioni dei Liberi

Murato-ri, redatte dal pastore anglicano James Anderson e pubblicate nel

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nazionalistiche di tipo imperialistico. Tale confronto può risulta-re utile per comprisulta-renderisulta-re l’evoluzione delle borghesie europee a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, essendo ormai chiaro che le obbedienze massoniche a partire dalla fine dell’esperienza na-poleonica si svilupparono (e in certi momenti storici ne diventa-rono i riferimenti politici) all’interno della parte più progressista di questa classe sociale.

Fin dalla loro nascita le obbedienze esercitarono un ruolo di-rigente nelle società in cui operarono dato che, pur non trasfor-mandosi mai in veri e propri partiti, svolsero un’intensa attività politica, in alcuni casi palese ed esplicita (come in Francia, Italia e Spagna), in altri più defilata ma non per questo meno efficace (come in Inghilterra, con il ruolo svolto nella politica imperiale attraverso l’opera delle logge costituite nei territori colonizzati).

La rivoluzione francese e il risveglio delle nazionalità, manda-rono in crisi il concetto della ‘Repubblica universale’, anche se le obbedienze nazionali non persero mai completamente il retaggio cosmopolita, seppur impegnate a diventare un soggetto politico dirigente nazionale.

La situazione che si venne a creare, diede vita a un serrato dibattito sul rapporto tra cosmopolitismo e cittadinanza a cui Johann Gottlieb Fichte, all’interno del confronto filosofico tede-sco, tentò di fornire una risposta.

Secondo il filosofo tedesco colui che nella propria nazione era un operoso patriota, poteva essere in pari tempo un attivo ‘cittadino del mondo’, poiché «lo scopo ultimo di ogni saggia cultura nazio-nale era quello di estendersi a tutto il genere umano» (Conti: 38).

In questo contesto ‘evoluzionistico’ della massoneria, tra-sformatasi da cosmopolita e con base aristocratica a organismo nazionale prevalentemente borghese, si situa, ad esempio, la trasformazione della beneficenza in filantropia che, al contrario di quanto si possa pensare, non sono sinonimi. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la beneficenza, applicata nei primi decenni dalle logge, fosse molto simile a quella che veniva svolta dalle congregazioni cristiane e in particolar modo da quelle cattoliche.

Si trattava in molte situazioni di un’affermazione vicina al vero, anche se esistono dei documenti che dimostrano, altresì, come la questione fosse più complessa e presentasse elementi di differenziazione e originalità.

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Nel famoso Discorso il cavaliere Andrew Michael Ramsay, a cui molti studiosi fanno risalire la nascita del Rito Scozzese An-tico ed Accettato, individua essenzialmente in quattro le qualità che un massone necessariamente deve possedere tra cui la prima doveva essere la «Filantropia saggia» specificando «ovvero l’amore per l’umanità».

Secondo Ramsay tale principio era essenziale per la nascita dei moderni stati prendendo atto che, guardando al passato e analizzando l’opera dei grandi legislatori, non si poteva far al-tro che constatare come fino a quel momento vi fosse stata una scarsa attenzione per il bene dell’umanità e come il diritto all’u-guaglianza non fosse mai stato applicato. Da qui discendeva il concetto che «Il mondo intero non è che una grande repubblica, della quale ogni nazione è una famiglia, e ogni particolare un figlio» (Ramsay: 3).

Sempre nel Settecento un notevole spazio ai concetti di carità, beneficenza e solidarietà fu dato nella Regola massonica ad uso delle

Logge riunite e rettificate, approvata nel convento di Wilhelmsbad

nel 1782 – che sancì la fine dell’Obbedienza definita Stretta Os-servanza e la rinuncia definitiva alla restaurazione dell’“Ordine del Tempio” – e che pose le basi del Regime Scozzese Rettificato. Come si evince dalla lettura dei paragrafi dedicati alla benefi-cenza più che a un riferimento alle origini ‘muratorie’ della mas-soneria speculativa si fa riferimento ai concetti cristiani di carità mettendo in evidenza, come si è già visto, la complessa questione dei Riti settecenteschi che introdussero elementi religiosi e di fi-loni esoterici e templari.

Nella parte introduttiva la Regola parla esplicitamente di se-guire l’insegnamento del Dio cristiano, accostandosi a questo modello «con la volontà costante di versare incessantemente su-gli altri uomini tutta la quantità di felicità che è in tuo potere; tutto ciò che lo spirito può concepire di bene è il patrimonio del Massone» e indica una serie di priorità del libero muratore che diventeranno parte integrante dei codici comportamentali della massoneria europea continentale.

Un’attenzione particolare viene posta verso il soggetto più de-bole ovvero l’infanzia povera

Osserva la miseria impotente dell’infanzia, essa reclama il tuo ap-poggio; considera l’inesperienza funesta della gioventù, essa

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solleci-ta i tuoi consigli; poni la tua felicità a preservarla dagli errori e dalle seduzioni che la minacciano; eccita in lei le scintille del fuoco sacro del genio, aiutala a svilupparle per il bene del mondo

senza dimenticarsi però la regola di Ippocrate del «prevenire meglio del curare», che doveva essere applicata anche nel sociale dato che

Ogni essere che soffre o geme ha dei sacri diritti su di te; guardati dal misconoscerli, non aspettare che il grido penetrante della mise-ria ti solleciti; previeni e rassicura lo sventurato timido

ma soprattutto, stabilendo un’altra norma destinata a dive-nire un precetto fondamentale per i massoni che a partire dalla metà dell’Ottocento si dedicheranno a vari livelli nel campo della solidarietà,

non avvelenare, con l’ostentazione dei tuoi doni, le fonti di acqua viva dove lo sfortunato deve dissetarsi; non cercare la ricompensa per la tua beneficenza nei vani applausi della moltitudine; il Mas-sone la trova nella quieta approvazione della sua coscienza e nel sorriso fortificante della Divinità, sotto i cui occhi è sempre posto.

Pur non fornendo indicazioni precise in che ambito interve-nire, la Regola sottolineava l’esistenza di alcuni bisogni primari ed essenziali per le fasce più deboli della popolazione dato che

il tuo cuore vorrebbe abbracciare i bisogni dell’umanità, ma il tuo spirito deve scegliere i più pressanti ed i più importanti. Istruisci, consiglia, proteggi, dona, dà sollievo a seconda i casi; non ritenere mai di aver fatto abbastanza e non riposarti per le tue opere che per trarre nuove energie

e terminava con una interessante puntualizzazione: quanto detto prima era qualcosa che ogni uomo al quale la «Provvidenza liberale [gli aveva] accordato del superfluo» poteva e doveva fare senza essere un massone, ma la loggia poteva diventare un valore aggiunto perché

quando infine senti i limiti della tua natura finita, e che non po-tendo essere sufficiente da solo a compiere il bene che vorresti fare, la tua anima si rattrista, vieni nei nostri templi; osserva l’insieme

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sacro dei benefici che ci unisce e concorri efficacemente, secondo tutte le tue facoltà, ai piani ed agli impieghi utili che l’associazione Massonica ti presenta e che realizza, rallegrati di essere cittadino di questo mondo migliore; assapora i dolci frutti delle nostre forze combinate e concentrate per uno stesso obiettivo; allora le tue ri-sorse si moltiplicheranno, aiuterai a fare mille felici invece di uno ed i tuoi voti saranno coronati (Regola massonica: 4).

Non a caso uno degli ispiratori del Regime Scozzese Rettifica-to, il francese Jean-Baptiste Willermoz, aveva fondato nel 1774 una loggia dal titolo distintivo “La Bienfaisance”. Inoltre esiste-vano in Europa, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocen-to, altre logge intitolate a questo lemma, come la “Beneficenza” di Corfù (1782), l’“Amicizia e Beneficenza” a Milano (1809), le “La Bienfaisance” ad Asti (1801), Alessandria (1809) e Torino (1812), “Beneficenza” a Monopoli (1810), le francesi “Amitié Bienfaisante” a Bar-de-Luc (1790), e le “La Bienfaisance” a Mon-tauban (1772), Beaune (1777), Grenoble (1779), Montepellier (1784), Moret (1784) e Nimes (1785), la “Bienfaisante et Pro-grès” (1819) a Boulogne, l’“Amis Bienfaisants” (1829) a Parigi, la “Bienfaisante et Amitié” a Lyon, la madrilena “Logia de Be-neficencia de Josefina” (1810) e la più conosciuta viennese “Zur Wohltätigkeit” (Alla beneficenza) dove il 14 dicembre del 1784 fu iniziato il giovane Mozart.

Sempre in questo periodo veniva creata a Parigi la Société Philanthropique, di sicura ispirazione libero muratoria e illumi-nista, che contava tra i suoi fondatori i massoni Louis-Claude de Saint-Martin, il visconte di Tavannes e Charles-Pierre-Paul Savalette de Langes, suo primo presidente.

La nuova istituzione, fondata nel 1780, aveva lo scopo di con-tribuire alla nascita di una società laica e combattere il pauperi-smo «secourir par le concours de leur fortune ou de leur lumière, la vertu indigente et souffrante» e «sans distinction d’opinion et de croyance» al fine di restituire «toute sa dignité à la personne que l’existence a maltraitée».

Superata la stagione rivoluzionaria, la Société contretizzò le sue attività principalmente sulle prime necessità degli indigenti, distribuendo le “zuppe economiche” che ben presto si trasfor-marono in cucine popolari, creando ambulatori per le prime as-sistenze mediche e la fornitura di medicinali – per agli adulti a

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partire dal 1803 e poi dal 1883, anche ambulatori specifici per bambini – asili notturni prima maschili poi anche per donne e bambini, creati nel 1879, e costruendo le prime abitazioni popo-lari ed economiche nel 1889 (Dedeyan).

Dalla beneficenza settecentesca alla filantropia ottocentesca

A partire dal XIX secolo l’accezione di beneficenza si trasformò, anche se non del tutto, nel pensiero e nella pratica libero murato-ria, perché all’interno del nuovo paradigma di modernizzazione e laicizzazione della società e dello stato, attuato specificatamente dalle massonerie latine, il riscatto dei ceti meno abbienti diven-tava un elemento essenziale per lo sviluppo nazionale. Il tradizio-nale aclassismo contribuiva a depotenziare ogni trasformazione di tipo rivoluzionario, assegnando al ‘progresso’ scientifico un ruolo ‘laicamente’ taumaturgico. Come logica conseguenza, la filantropia costrinse le logge a occuparsi della cosiddetta ‘questio-ne sociale’ e ad adoperarsi per la sua risoluzio‘questio-ne.

All’inizio dell’Ottocento la solidarietà, in questo caso ancora declinata come beneficenza, non era solo un insegnamento impar-tito nelle logge ma costituiva una parte integrante della ritualità. Infatti era obbligatorio che al termine delle tornate i ‘fratelli’ pre-senti contribuissero con donazioni in denaro attraverso una borsa di beneficenza che veniva fatta circolare generalmente dall’Elemo-siniere. Senza la donazione al cosiddetto «Tronco della Vedova», una tornata rituale non poteva considerarsi regolarmente conclusa.

Tale elemento di ‘regolarità’ non sempre era praticato nelle tornate delle logge anglosassoni e il «tronco» compare nelle Ob-bedienze massoniche dopo la Rivoluzione francese soprattutto nei paesi latini. L’uso del termine «Vedova», deriva dal fatto che questa figura era presente sia nell’Antico sia nel Nuovo Testa-mento in particolare nel Vangelo di Marco (12, 41-44):

Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava mone-te. Tanti ricchi ne gettavano molmone-te. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno

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gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Quindi la «Vedova» rappresentava non solo allegoricamente la povertà, ma serviva per impartire un insegnamento a coloro che erano in grado di donare di continuare a farlo con maggiore impegno e generosità.

Ma più specificatamente per quanto riguarda l’ambito masso-nico, si presume che prenda origine dalla leggenda – contenuta nel primo Libro dei Re – di Hiram, l’architetto che costruì il Tem-pio di Gerusalemme, su incarico del Re Salomone, e che proveni-va da Tiro ed era figlio di una vedoproveni-va della tribù di Neftali.

La consuetudine della ‘donazione rituale’, anche se praticata fin dai primi anni dell’Ottocento, fu codificata per la prima volta in lingua italiana nei famosi Statuti generali dei liberi muratori pubblicati a Napoli nel 1821 – libro che sarà più volte ristampa-to dopo la rinascita della massoneria italiana nel 1860 e ritenuristampa-to come un testo fondamentale da parte del Rito Scozzese Antico ed Accettato – dove veniva dichiarato che

Quella unione di uomini saggi e virtuosi che, con allegorico signifi-cato, si appella ordinariamente “Società dei Liberi Muratori” è stata in ogni tempo considerata come il santuario dei buoni costumi, l’asilo della innocenza, la scuola della virtù, il Tempio della filantro-pia. Essa ha per principio l’esistenza di un Dio, che adora e rispetta sotto il convenuto titolo di Grande Architetto dell’universo; ha per fine il perfezionamento del cuore umano e si propone, quale mez-zo necessario per ottenere questo fine, l’esercizio e la pratica della virtù. Lo stesso nome di Società dei Liberi muratori, la quale è di sua natura eminentemente umanitaria, chiaramente indica che essa è incessantemente occupata ad erigere e fabbricare templi alla virtù e scavare prigioni al vizio (Statuti generali: 3).

Nel successivo capitolo dedicato alle funzioni dell’Elemosi-niere veniva espressamente citata la «borsa di beneficenza», men-tre l’obolo raccolto doveva confluire in una «Cassa di beneficenza principalmente destinata al sollievo d’individui o famiglie pro-fane che gemono nel vero bisogno, e la cui indigenza non sia l’effetto del vizio, o dell’ozio».

Inoltre le singole logge erano obbligate a prestare «soccorsi metodici o straordinarii all’indigenza profana» ma soprattutto

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non era considerata come massonicamente regolare ogni «seduta, in qualsiasi grado, nella quale si ometta di beneficare la indigen-za» (Statuti generali: 51 e 131).

L’importanza rituale e materiale del «tronco della Vedova» fu ribadita con forza alla fine dell’Ottocento dal Gran Maestro Er-nesto Nathan, che disse «Nessuna nostra riunione si chiude senza che sia passato di mano in mano, raccogliendo l’obolo dei Fratel-li, il tronco della Vedova, fonte di soccorsi e in pari tempo sim-bolo dello spirito eminentemente benefico della Massoneria» ag-giungendo che «Quello spirito non deve arrestarsi ai sottili rivoli degli aiuti diretti, ma risalire alle larghe fonti, e vegliare perché il patrimonio dei poveri, il largo concorso della filantropia non siano sviati e la sola sventura ne tragga beneficio, merce quelli illuminati criteri, che mirano a prevenire prima, a soccorrere poi, la miseria» (Bacci: 486-487).

Si tratta di passaggi molto importanti per sfatare il mito che la solidarietà massonica fosse solo praticata all’interno delle logge, a favore degli stessi iniziati.

Senza dubbio l’aiuto reciproco tra liberi muratori era una prassi codificata fin dalle corporazioni medievali e fu ribadito dalle costituzioni di Anderson e da tutte quelle successive ema-nate da qualsiasi Obbedienza, con precisi articoli che rendeva obbligatorio prestare assistenza a un «Fratello povero, che è un uomo buono e sincero, prima di qualsiasi altra persona povera nelle stesse circostanze» (Anderson: 121).

Esiste però una sostanziale differenza tra la solidarietà oriz-zontale vigente tra membri di uno stesso sodalizio, diffuso in tut-ti i tut-tipi d’associazionismo, e l’altruismo pratut-ticato verso l’esterno, atteggiamento non consueto durante il Settecento e l’Ottocento neanche tra organismi deputati espressamente per il mutuo soc-corso dove l’aiuto, a parte rari casi, era riservato solo ai membri quotizzanti.

Durante l’Ottocento si passò da un concetto di beneficen-za definita come «prestazione che ha per scopo di recare aiuto e assistenza a persone bisognose» a quello di filantropia intesa come «Amore verso il prossimo, come disposizione d’animo e come sforzo operoso di un individuo o anche di gruppi sociali a promuovere la felicità e il benessere degli altri» (Enciclopedia Treccani), anche se il primo termine venne usato frequentemente

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nella letteratura massonica anche quando si riferiva chiaramente al secondo concetto.

La filantropia nella sua accezione ottocentesca è strettamente legata al concetto illuministico della fraternité e non è un caso che il trinomio scaturito dalla Rivoluzione francese sia stato poi adot-tato dalla maggior parte delle Obbedienze dei paesi latini. A parti-re da quegli anni nel pensiero e nell’agiparti-re massonico la filantropia fece parte integrante di quel paradigma di emancipazione e riscatto umano che doveva avvenire non tramite rivoluzioni ma attraverso un gradualismo riformistico e un costante progresso scientifico.

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento il termine «filantropia» fu spesso usato negli scritti massonici e in Europa nacquero logge che lo riportarono nella denominazione distintiva come la tarantina e la leccese “Della Filantropia”, fondate, rispet-tivamente, nel 1804 dal generale Giuseppe Lechi e nel 1805. A esse si aggiunsero “La Philantropie” di Acqui (1810), “Filantropi Numistrani” di Nicastro (1813), “Filantropia” di Penne (1813), “Filantropia Enotrea” di Rende (1813), “Filantropia Ipponese” di Vibo Valentia (1813), “Filantropia” di Montevarchi (1862), “Pro-gresso Filantropico” di Barletta (1864), la belga “Les Amis philan-thropes” di Bruxelles, la sabauda e poi francese “La Philanthropie Ligurienne” di Nizza (1858), e le francesi “Les Amis Philanthropes et Discret Rèunis” di Versailles (1827), “Nature et Philanthropie” di Lorient (1837), “L’Union Philanthropique” di Saint-Denis, an-che se già alla fine del Settecento esistevano le logge “La Philan-thropie” di Saint-Etienne (1776), “PhilanPhilan-thropie” di Saint-Quen-tin (1799) e “La Réunion Philanthropique” di Longwy (1788).

Un’ulteriore conferma della diffusione del termine «filan-tropia» ci viene fornita dal discorso di Francesco Saverio Salfi intitolato, Della utilità della Franca Massoneria sotto il rapporto

filantropico e morale, pubblicato nel 1811 dal Grande Oriente

d’Italia, dove si affermava che

Il perfezionamento dell’uomo importa lo sviluppo delle sue facoltà; e l’uno sarà tanto maggiore, quanto più l’altro sarà sicuro ed agevole. Le sue facoltà sono o intellettuali, o morali, o meccaniche; e dal loro simultaneo complesso risulta la sua piena moralità, il cui massimo grado ne constituisce quel che si dice amor della spezie, o filantro-pia. La Massoneria deve dunque sviluppare queste facoltà per perfe-zionare il carattere morale e filantropico dell’uomo (Salfi: 15).

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Il patriota cosentino partiva dal presupposto che fino a quel momento la massoneria era stata considerata come scuola filoso-fica e di moralità, ma che era giunto il momento di vederla sotto l’aspetto della «sociabilità, o della filantropia, che propriamente constituisce il carattere della fraternità massonica». Questa carat-teristica fondante faceva sì che i liberi muratori non dovessero ac-contentarsi di essere «giusti, ma si obbligano di esser benefici; e la beneficenza, che le leggi civili affidano all’arbitrio del cittadino, si prescrive come un dovere perfetto ed impreteribile dalle leggi massoniche, e come la qualità caratteristica del vero massone» (Salfi: 39) e che la filantropia fosse un’evoluzione della benefi-cenza, a sua volta diversa dalla tradizione caritatevole di matrice cattolica.

Dietro questo nuovo concetto vi era un paradigma di pro-gresso ed emancipazione umana che contraddistinse la cultura massonica post-rivoluzionaria nei paesi latini e contribuì in larga misura alla politicizzazione di queste Obbedienze, sempre più inclini a interessarsi alla cosiddetta ‘questione sociale’ e, più in generale, allo sviluppo delle loro nazioni. Tale propensione a ‘fare politica’ fu pubblicamente difesa dal massone francese Alphonse Signol, che nel 1826 affermò la necessità di trasformare l’eco-nomia, la società e lo stato partendo dalla progressiva laicizza-zione della beneficenza massonica trasformandola in filantropia (Signol: 154). Il rapporto tra filantropia e impegno politico e sociale venne ribadito mezzo secolo dopo da Ulisse Bacci – alto dignitario che in pratica resse le sorti della segreteria del Grande Oriente d’Italia per cinque decenni – che scrisse:

I massoni esercitano la beneficenza, ma la beneficenza morale; non quella elemosina che fu fatta un tempo alle porte dei monasteri; e poiché nessuna maggiore beneficenza per gli uomini che quella di liberarli da conflitti pericolosi e di renderli pacificamente felici, così nulla tanto rientra nello spirito vero della Massoneria, quanto lo studio e la soluzione delle controversie sociali e politiche, conforme ai bisogni della umanità ed alle leggi del progresso indefinito.

Un esempio di come il concetto di umanitarismo si ramificò non solo in Europa e di come venne diffuso dai massoni in am-bito profano, attraverso forme associative filo-massoniche, fu la fondazione nel 1839 a New York – da parte dei ‘fratelli’, o che lo

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diventeranno, Piero Maroncelli, Eleuterio Felice Foresti, il gene-rale Giuseppe Avezzana e Quirico Filopanti – della Società Ita-liana di Unione, Fratellanza e Beneficenza, che – come recitava lo statuto stilato da Maroncelli e Foresti – «provvedeva sussidi in cibi, alloggio, farmaci e assistenza medica; in talune circostanze, “eccezionali”, soccorsi in denaro, e mezzi per trasferirsi altrove», e venne sostenuta da novanta soci fondatori (Samori).

Come ha opportunamente evidenziato Fulvio Conti

Questo mutamento di prospettiva si è accentuato nella seconda metà dell’Ottocento, quando l’altruismo massonico si è manife-stato con modalità diverse e sempre più distanti da quelle della tradizionale beneficenza delle origini. In nome dell’umanitarismo e della fratellanza universale, la massoneria è stata sovente all’origine di movimenti e associazioni che si sono posti come obbiettivo la pace fra i popoli, l’abolizione della pena di morte, il soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali, l’elevamento morale e ma-teriale delle classi popolari. L’altruismo è diventato una sorta di de-clinazione di un concetto più ampio: quello di umanitarismo. E la massoneria si è proposta come motore di un processo di emancipa-zione e di rinnovamento della società su basi laiche, democratiche ed egualitarie che facesse perno proprio sull’idea di amore fraterno universale (Conti: 40).

Declinando l’esperienza massonica in ambito nazionale ita-liano, nel 1805 con la nascita del Grande Oriente d’Italia per la prima volta fece la comparsa un’obbedienza che – indipendente-mente dal fatto di essere sottoposta alla tutela napoleonica o di non essere ancora in grado di esercitare la propria giurisdizione su tutta la penisola – contemplava finalmente la parola «Italia» e associava pertanto ai principi massonici di libertà, fraternità e solidarietà l’aspirazione a una nazione che smettesse di rap-presentare soltanto «un’espressione geografica», ma fosse anche libera e unita.

La nascita del Grande Oriente d’Italia assume un significato simbolico di notevole rilevanza perché da quel momento, infatti, tutti i massoni battutisi fino ad allora per dare vita a una nazione libera e indipendente e a una società moderna, democratica e lai-ca – anche in quelle regioni della penisola in cui il Grande Orien-te d’Italia non era presenOrien-te – presero a riconoscersi in un’entità capace di creare un sentimento di appartenenza e di orgoglio,

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sentendosi allo stesso tempo italiani e massoni. Lo dimostra il fatto che le logge pugliesi e napoletane chiesero di unirsi al Gran-de Oriente d’Italia e che, oltre mezzo secolo dopo, i fondatori della loggia “Ausonia” di Torino si dichiararono eredi di quella breve ma significativa esperienza.

In quegli anni all’interno delle logge si ritrovarono, in un cli-ma di fratellanza e parità, esponenti appartenenti alla borghesia, funzionari dello Stato, militari e parte di quella nobiltà che aveva accolto il nuovo che avanzava non disdegnando di stabilire rap-porti con altre classi sociali. Le logge divennero pertanto luoghi di scambio e mediazione politica, grazie anche al fatto che vi era un comune sentire condiviso dal potere politico e dalla massone-ria, i cui rispettivi vertici, spesso, coincidevano.

Pur ammettendo eccessi di ‘adulazione’ nei confronti della persona dell’imperatore e dei suoi familiari, avvenuti in tutte le logge, non si può non riconoscere che le riforme napoleoniche, la cui modernità fu rilevata anche dai giuristi più esplicitamen-te ostili, furono ispiraesplicitamen-te e applicaesplicitamen-te principalmenesplicitamen-te da uomini – prefetti, sottoprefetti, alti funzionari dell’amministrazione – che affollavano le officine libero muratorie. Dal loro canto le logge, lungi dall’essere soltanto ritrovi conviviali allietati da banchetti e brindisi all’«Augusto imperatore», consentivano anche momenti di confronto serrato e costruttivo, in cui gerarchie e differenze sociali finivano per stemperarsi allo scopo di individuare soluzio-ni che potessero essere messe in atto una volta che i partecipanti riprendevano il loro ruolo pubblico.

Fu anche grazie a questo impegno per «il bene dell’umanità» se l’introduzione dei codici civili, innovativi strumenti del diritto positivo, non si trasformò in un mero esercizio teorico legislati-vo: il Code Napoléon (introdotto nella penisola italiana nel 1806), che enunciava i diritti fondamentali dei cittadini equiparando la proprietà, intesa come diritto naturale assoluto e individuale, alla persona, venne subito applicato.

Con esso si riconoscevano i diritti civili e politici di tutti i sudditi, anche i non cattolici – fino a quel momento pressoché costantemente discriminati – mentre il godimento dei diritti ve-niva esteso anche agli stranieri. Per quanto riguardava la famiglia, l’autorità giurisdizionale della chiesa veniva sostituita con quella dello Stato: il matrimonio, così come la registrazione delle

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nasci-te e delle morti, si trasformava in un atto civile e doveva pertanto essere celebrato davanti a un ufficiale di stato civile e soltanto in un secondo tempo, eventualmente, presso le autorità religiose. Veniva inoltre istituito il divorzio, naturale conseguenza del ma-trimonio inteso non come sacramento ma come libero contratto e, in quanto tale, passibile di rescissione. Dal punto di vista pe-nale, si assistette alla graduale applicazione delle leggi francesi e, a partire dal 1811, fu introdotto il codice che, essendo ispirato alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, tutelava i diritti dell’imputato cancellando l’arbitrarietà della condanna e la retroattività delle leggi.

Laicità, educazione e solidarietà

alla base della rinascita del Grande Oriente d’Italia Il 16 febbraio 1856, dopo più di quarant’anni di silenzio e tota-le inattività deltota-le logge massoniche subalpine, venne pubblicato sul periodico torinese “La Ragione” un documento, stilato dalla loggia belga “Les Philadelphes” di Verviers, intitolato Nuovo

pro-gramma dei Liberi-Muratori.

Il documento, tipica espressione di quella massoneria ‘latina’ politicizzata, impegnata nel sociale e profondamente anticleri-cale, di cui il Grande Oriente del Belgio era un alfiere, attrasse l’attenzione del fondatore e direttore de “La Ragione”, Ausonio Franchi – alias Cristoforo Bonavino, ex sacerdote convertitosi al razionalismo – che decise di pubblicarlo non per gli elemen-ti innovaelemen-tivi che il programma portava all’interno della masso-neria, di cui lo stesso Franchi affermava di conoscere poco, ma per la straordinaria identità di idee e programmi con il gruppo di democratici italiani che, dopo la crisi prodottasi nel 1853 a seguito del fallimento del tentativo mazziniano del 6 febbraio, si riconobbe nel programma de “La Ragione”: «Razionalista nel campo filosofico e religioso, democratica in politica e socialista nelle questioni sociali».

Il Nuovo programma che pervenne grazie all’interessamen-to del chierese David Levi, iniziato nella massoneria negli anni Quaranta, profondo conoscitore e frequentatore degli ambien-ti democraambien-tici e massonici d’oltralpe, conteneva una serie di

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ri-vendicazioni politiche, sociali ed economiche avanzate di cui gli estensori auspicavano una attuazione immediata. In campo po-litico i massoni belgi propugnavano il suffragio universale nelle elezioni comunali, viste non solo come espressione primaria del potere democratico, ma come palestra per un uso corretto degli strumenti elettorali democratici. Sul versante economico caldeg-giavano la diminuzione della pressione fiscale, l’attivazione di banche popolari, la riduzione di tutti i bilanci statali, soprattutto quello per le spese di guerra e in particolar modo la creazione di un ramificato e forte associazionismo operaio che garantisse il diritto al lavoro e stimolasse, tramite fondi erogati dallo Sta-to, forme d’imprenditorialità artigiane coinvolgendo gli operai più laboriosi. Infine, sul terreno sociale, auspicavano una serie di misure atte ad alleviare il pauperismo creando associazioni filan-tropiche che si facessero carico delle condizioni igienico-sanitarie delle classi meno abbienti, come la fondazione di ristoranti eco-nomici, bagni pubblici e cooperative di consumo. Non mancò una proposta con un forte valore simbolico anticlericale: la co-stituzione di una associazione per i funerali laici, sottraendo alla chiesa il monopolio dell’ultimo ufficio ai defunti.

La pubblicazione di questo programma diede vita a un di-battito a livello internazionale a cui partecipò anche Levi che definendo la sua visione dell’istituzione libero muratoria, pose l’accento su tre questioni che sarebbero diventate i cardini della futura organizzazione massonica italiana: la difesa delle libertà individuali, la lotta alla Chiesa cattolica e una forte attenzione verso le classi meno abbienti nel nome di quella fraternité prece-dentemente evocata.

Ricordando il ruolo giocato dall’istituzione nel mantene-re vivi i principi di libertà e fratellanza durante la rivoluzione francese e in seguito nel periodo della Restaurazione, attraverso la costituzione di società segrete, Levi analizzava lucidamente il ruolo finora svolto dalla massoneria latina, indicata come l’unica organizzazione avente un programma di questo genere.

Levi era cosciente che l’anticlericalismo non poteva essere l’u-nico obiettivo, ma che occorreva lottare per risolvere i gravi pro-blemi sociali all’epoca esistenti. Anche in tale passaggio riaffio-rano pensieri e concetti sostenuti da tutti coloro che ruotavano sia intorno alla “Ragione” – come Giuseppe Montanelli, Filippo

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De Boni, Giuseppe Ricciardi, Giovanni Battista Demora, Mauro Macchi, Edgar Quinet e Charles Fauvet, tutti massoni o futuri massoni – sia alla “Gazzetta del Popolo”.

Il documento e la querelle che ne seguì, al di là del peso che ebbero sul nascente dibattito sulla ricostruzione di un organismo massonico in Piemonte, evidenzia il ruolo svolto dalle due testate nella creazione di un terreno all’interno del quale si sviluppò una corrente razionalista e scientista che, prevarrà nella massoneria italiana a partire dalla metà degli anni Sessanta.

Scorrendo le loro pagine, risultano evidenti le aspettative che i collaboratori riponevano nel progresso scientifico, considera-to come il moconsidera-tore fondamentale per lo sviluppo dell’umanità, nell’educazione, intesa come promozione dell’emancipazione morale e intellettuale degli italiani, e in un razionalismo, fondato sui principi della libertà, dell’eguaglianza, della fraternità, della scienza e del progresso.

Il progresso dell’umanità era raggiungibile solo attraverso una fede incondizionata nella scienza e nella pratica costante di un programma educativo – che nelle colonne del giornale ebbe ampio risalto in quanto venne assunto come metodo da con-trapporre alla mazziniana propaganda attraverso le armi – il cui scopo fosse «l’emancipazione intellettuale e morale del popolo da quelle credenze religiose, da quelli errori sociali, che sono il pri-mo e principale fondamento della sua servitù, della sua miseria, il primo e principale ostacolo al conseguimento della sua libertà, al miglioramento della sua condizione».

Scienza ed educazione dovevano procedere di pari passo con un forte programma di riforme e di aiuti, da attuare attraverso la creazione di un associazionismo filantropico laico, a beneficio dei ceti più poveri, per migliorare le loro condizioni di vita e, al contempo, renderli meno recettivi alla propaganda di un «egua-litarismo comunista».

Dalle pagine dei due giornali torinesi emergono ‘in pectore’ con forza tutti gli aspetti e le contraddizioni che caratterizzeran-no la massoneria italiana ficaratterizzeran-no al 1925, grazie al confronto sta-bilitosi tra iniziati di lunga data, come i citati Levi, Montanelli e Ricciardi, e i futuri dirigenti dell’istituzione libero muratoria come Felice Govean, Macchi e lo stesso Franchi, anche se non esistono prove di un collegamento diretto tra il dibattito

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svol-tosi nella primavera del 1856 e la nascita della loggia “Ausonia” nell’autunno del 1859.

La continua attenzione rivolta alla questione sociale e la col-locazione dell’istituzione libero muratoria nell’area liberal-de-mocratica come associazione sovranazionale, non partiticamente schierata, che raccogliesse e potenziasse le energie individuali per riaffermare la libertà di pensiero attraverso una posizione di equidistanza – non appiattita su posizioni filosabaude né, tanto meno, incline a connivenze con l’insurrezionalismo mazziniano – costituiscono chiare dimostrazioni di come il pensiero del fu-turo ceto dirigente massonico sia stato influenzato non solo dalle due riviste ma in particolare dagli scritti di Alessandro Borel-la, fondatore insieme a Govean e Giovan Battista Bottero della “Gazzetta del Popolo”.

Recenti ricerche hanno messo in luce quanto il pensiero e gli scritti di Borella, non affiliato a nessuna loggia, abbiano in-fluenzato la rinascita e i primi anni della massoneria torinese – che coincise con quella nazionale – e che molti personaggi che avevano deciso di entrare nelle logge subalpine erano in stretto e quotidiano rapporto con esso.

Non solo i temi come l’anticlericalismo, la solidarietà assi-stenziale e l’istruzione laica e popolare, ma le argomentazioni e i toni usati da Borella erano simili, e spesso coincidenti, con quanto riportato nei documenti e nella stampa ufficiale masso-nica. Inoltre molte delle sue indicazioni d’intervento in ambito solidaristico furono, dopo la sua morte, promosse direttamen-te dalle logge torinesi o tramidirettamen-te collaborazioni e aiuti finanziari (Novarino 2018: 57-83).

Attribuire però alla “Gazzetta del popolo” o a “La Ragione” esclusivi meriti di primogenitura della ricostruzione della masso-neria italiana sarebbe sicuramente errato.

Non bisogna sottovalutare il clima politico e il dibattito cul-turale che attraversava Torino in quegli anni, dopo che la capitale dello Stato sabaudo era diventata il rifugio di numerosi patrioti che avevano frequentato logge massoniche o vendite carbonare nella Penisola o all’estero. Questi esuli trovarono nel capoluogo subalpino un terreno fertile su cui continuare la loro esperienza politico-iniziatica e vennero a contatto con quell’ambiente tori-nese di estrazione massonica in senso lato dove nascevano e

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fre-quentemente si dissolvevano gruppi e cenacoli definiti da Levi, nelle sue memorie, «fratellanze segrete». Era un mondo che come un fiume carsico partiva dall’esperienze delle logge napoleoniche e che nella storia del Regno di Sardegna dal 1814 era riemerso in alcune occasioni.

Quando nell’autunno del 1859 fu costituita a Torino la loggia “Ausonia” e, subito dopo, il Grande Oriente Italiano, riprese con forza l’impegno filantropico come si evince dai primi quattro articoli delle costituzioni approvate nell’assemblea costituente massonica, che si tenne sempre nella capitale del Regno alla fine del 1861:

Art. 1. La Massoneria Italiana è un’associazione di uomini liberi uniti coi vincoli della Massoneria generale e del presente Statuto. Ha per iscopo lo sviluppo massimo della filantropia.

Art. 2. La Massoneria Italiana professa come condizione essenzia-le della filantropia i seguenti principii: a) Indipendenza ed unità delle singole Nazioni, e fraternità delle medesime; b) Tolleranza di qualunque religione, ed eguaglianza assoluta dei Culti; c) Progresso morale e materiale delle masse.

Art. 3. La Massoneria Italiana attenderà a questo triplice scopo coll’influenza legittima e pacifica che darle possono le virtù de’ suoi membri, la mutua loro istruzione, il legame di fraternità che li uni-sce fra loro e con tutti i Liberi Muratori del mondo, e l’esercizio della beneficenza in comune.

Art. 4. La Massoneria Italiana come la Massoneria Universale in-voca Dio il Grande Architetto dell’Universo. All’antica divisa della Massoneria Universale «Libertà, Uguaglianza, Fratellanza», la Mas-soneria Italiana aggiunge la seguente: «Indipendenza, Unità e Fra-ternità delle Nazioni» (Costituzioni: 1-2).

Concetti ribaditi nell’articolo 1 del Regolamento generale:

L’Ordine dei Liberi Muratori d’Italia ha per iscopo la beneficenza, lo studio della morale universale e la pra tica di tutte le virtù.

Anche se le nuove costituzioni, che dovevano rappresentare la cartina di tornasole dell’indirizzo del nuovo organismo, recepiro-no solo marginalmente le tesi, socialmente avanzate, sviluppate dal segretario del Grande Oriente Levi, che affermava come la massoneria do vesse affrontare la questione sociale promuovendo profonde riforme e sollecitando la creazione di crediti agevolati

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per incentivare la formazione di cooperative e migliorare le con-dizioni dei salariati (Programma massonico: 3), l’assemblea torine-se votò delle costituzioni in cui veniva solennemente dichiarato che l’intervento nel sociale poteva avvenire solo attraverso la fi-lantropia. Venivano dunque ribaditi il rifiuto della lotta di classe, i concetti di indipendenza e unità delle singole Nazioni, in pace tra loro, la tolleranza verso qualsiasi credo religioso e l’impegno per il «progresso morale e materiale delle masse».

Fin dai primi anni postunitari, la massoneria assunse un ruolo importante in quel progetto di laicizzazione messo in atto dalla classe dirigente liberale nel periodo storico intercorso tra l’Unità d’Italia e l’avvento del fascismo.

Agendo in tale ambito svolse un importante ruolo di aggrega-zione dove si confrontavano, vista la sua composiaggrega-zione politica-mente ampia, progetti politici e culturali diversi.

Oltre alla tradizione esoterica e rituale – che verrà vissuta all’interno delle logge in modo sofferto, sospeso da un lato da chi ne invocava un totale rifiuto e dall’altro da coloro che aveva-no la consapevolezza che l’osservanza rigorosa avrebbe impedito degenerazioni ‘profane’ pericolose – appare chiaro come l’impe-gno politico e sociale costituisse una componente essenziale della strategia massonica.

Sul versante politico l’istituzione libero muratoria divenne, a partire dal 1860 e fino alla fine del secolo, uno strumento del processo di politicizzazione – data l’assenza nella borghesia e nei ceti dirigenti di moderne strutture partitiche – così da risultare una sorta di laboratorio all’interno del quale le varie opzioni po-litiche sperimentavano strutture d’aggregazione e future alleanze. Massoneria, solidarietà e pauperismo

dopo l’unificazione italiana

A partire dal 1860, malgrado le laceranti lotte tra moderati e de-mocratici, l’istituzione libero muratoria si propose di costruire uno Stato laico fornendo quadri dirigenti, sostenendo un radicale processo di riforme e opponendosi alle forze cattoliche da una parte e sovversive, anarchiche e repubblicane intransigenti dall’al-tra, che agivano come strumenti antisistema o extrasistema.

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La massoneria agì come un’organizzazione a difesa della so-cietà laica e liberale contro le spinte non solo delle forze antisiste-ma, ma anche delle forze moderate, nel timore che una conver-genza tra componente cattolica e componente moderata dinasti-ca, appoggiata dall’incultura politica delle masse rurali, portasse a un regime illiberale e clericale.

Ciò spiega il motivo per cui quella italiana si sia costantemen-te caratcostantemen-terizzata per la promozione del progresso scientifico, per l’acceso anticlericalismo – anche se non si configurò mai come un movimento antireligioso e combatté non la religione cattolica in quanto tale, ma le tradizioni e i pregiudizi espressi dalla Chiesa rite-nuti d’ostacolo al progresso della scienza e della società civile – per l’attivazione di una fitta rete d’associazionismo laico e incentivando la presenza, nelle logge e negli organismi dirigenti, delle minoranze religiose ebraica e protestante. Il tutto per realizzare un progetto cri-tico-ideologico inteso a laicizzare non soltanto la società civile, ma anche la scienza, e cercando di dividere la conoscenza della realtà naturale da ogni riferimento metafisico-religioso.

Non era un caso che il motto che accompagnava il primo nu-mero della «Rivista della Massoneria italiana», apparso nel luglio 1870, fosse «Scienza, Libertà, Lavoro, Fratellanza, Solidarietà» e che l’articolo d’apertura rappresentasse un vero e proprio pro-gramma per la creazione di uno Stato laico.

Un definitivo chiarimento sugli scopi del Grande Oriente d’I-talia venne apportato con la stesura delle nuove Costituzioni del 1872 in cui il primo articolo annunciava:

la Massoneria ha per scopo il miglioramento e il perfezionamento morale, intellettuale e materiale della umana famiglia col mezzo dell’educazione, dell’istruzione e della beneficenza moralizzatrice. Si applica alle scienze fisiche, studia le questioni sociali senza restri-zione di specie o di grado, e si occupa di risolverle con le sole forze intellettuali, tanto individuali che collettive (Costituzioni 1872)

In questo progetto alla massoneria si presentarono nitida-mente due percorsi: incentivare il fervore associazionistico della società civile da una parte e sostenere il ruolo delle istituzioni statali dall’altra parte.

Tali direttrici si inserirono all’interno di un campo di forze, in cui esisteva una molteplicità di tensioni dal basso e dall’alto che

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inducono a porre una domanda: le logge contribuirono a «fare gli italiani»? Ebbero cioè un ruolo nel processo di costruzione di un’identità nazionale?

La risposta può senza dubbio essere affermativa: è sufficiente ricordare il massiccio contributo fornito dalle logge massoniche alla costruzione di una tradizione patriottica che, da una parte, mantenesse vivo il ricordo dell’epopea risorgimentale (attraverso manifestazioni commemorative, intitolazioni di vie, inaugura-zioni di monumenti) e dall’altra rafforzasse il processo di legit-timazione che il giovane Stato italiano stava faticosamente por-tando avanti.

La libera muratoria italiana diventando custode della tradi-zione laica e degli ideali di libertà, di tolleranza e di solidarietà che caratterizzarono tutte le correnti di pensiero risorgimentali, affiancò le istituzioni nel processo di costruzione di un’identità nazionale.

Gli assi portanti di questo processo furono lo sviluppo scien-tifico, la crescita culturale della società italiana, la lotta al pregiu-dizio religioso e il sostegno alla diffusione di un ampio concetto di solidarietà.

Per i dirigenti massonici la scienza e l’educazione stavano alla base del progresso dell’umanità e solo la totale laicizzazione della società poteva permettere la riuscita dell’intero paradigma uma-nitario.

La massoneria apportò un notevole contributo all’afferma-zione delle istanze di laicismo, di apertura al pensiero europeo (specialmente nei confronti della Francia e dell’Inghilterra), che ebbero un notevole ruolo nello svecchiamento della cultura ita-liana, soprattutto in una fase in cui si imponeva al nuovo ceto politico ed intellettuale di lavorare per l’unificazione culturale del paese, a partire dalle strutture scolastiche e formative. Non a caso, proprio i temi pedagogici ed educativi in generale, furono al centro degli interessi e delle polemiche dei massoni che voleva-no trasmettere alla società italiana una mentalità laica e pragma-tica, intesa a svincolare la cultura da ogni intento moralistico o spiritualistico, attraverso un forte impulso allo studio dell’uomo e della società.

Non si deve dimenticare che il programma culturale massoni-co massoni-comportava delle forti istanze di carattere pedagogimassoni-co: il

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rin-novamento della società passava in primo luogo attraverso una riforma dell’educazione.

Nella società del secondo Ottocento l’educazione appare come lo strumento indispensabile per costruire una società ispi-rata da ideali scientifico-positivisti e, contemporaneamente, il mezzo più idoneo per produrre una manodopera qualificata ed adeguata allo sviluppo della società industriale.

L’istruzione doveva diventare obbligatoria (almeno quella elementare) e di massa; occorreva una profonda riforma della didattica e dei contenuti dell’insegnamento (maggiore spazio alle scienze e ai laboratori, valorizzazione dell’indagine scientifica, educazione all’osservazione, alla sperimentazione, in breve alla mentalità scientifica).

Ma a partire dall’unificazione nazionale la libera muratoria non solo collaborò con le strutture dello Stato nella costruzione di un’identità nazionale ma ne supplì le carenze contribuendo a dare vita a un articolato sistema di assistenza sociale.

Un problema, una associazione per risolverlo. Massoneria e solidarietà laica

L’impegno del Grande Oriente d’Italia per la costituzione di un associazionismo a favore dei più deboli e disagiati risale fin dalle sue origini. Nella seconda metà dell’Ottocento la massoneria ita-liana contribuì al tentativo di risolvere, o almeno di alleviare in parte, i numerosi problemi sociali che erano presenti nella società italiana. Il progetto, che prevedeva interventi in vari settori del-la società, si differenziava notevolmente sia dal fidel-lantropismo di stile anglosassone sia dal lavoro svolto dalle pie congregazioni di carità. Il paradigma di solidarietà preconizzato infatti aveva una forte componente pedagogica e lo scopo principale non era solo migliorare le condizioni di vita dei settori più deboli della società attraverso un sostegno economico, ma creare i presupposti e le basi per un ‘autoriscatto’ sociale.

Innumerevoli furono le aggregazioni sociali di carattere lai-co e solidaristilai-co, anche di nuova lai-concezione, che videro la luce per iniziativa delle logge massoniche, sensibili non solo ai vecchi bisogni delle fasce più povere della popolazione (cucine e

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ba-gni popolari, società per l’allattamento materno, asili infantili, asili notturni, organismi di sanità pubblica, organizzazioni per il recupero sociale dei carcerati) ma anche alla nuove esigenze urbanistiche (case popolari), pedagogiche-educative (scuole per il popolo serali e domenicali, scuole professionali, Università popolari, biblioteche circolanti), culturali (l’associazione ‘Dan-te Alighieri’, musei risorgimentali), economiche (cooperative di consumo, banche popolari) e sociali (società per la pace e gli arbitrati internazionali, associazioni per l’abolizione della pena di morte, per l’introduzione del divorzio, per la lotta contro la prostituzione, società di cremazione e per le onoranze funebri civili) che in modo dirompente scaturivano dalla società civile.

Molte di queste iniziative furono di fatto finalizzate alla rea-lizzazione di un embrionale sistema laico di assistenza che fosse capace di contrastare l’opera svolta dalle associazioni clericali e nel contempo diffondesse nella società civile una favorevole im-magine dell’istituzione. Ciò, a sua volta, si inquadrava in un più ambizioso progetto di secolarizzazione, democratizzazione e lai-cizzazione della società italiana, che inevitabilmente comportò il crescente coinvolgimento del sodalizio nella lotta politica e sociale.

Nell’Ottocento, come si è visto, subentrò il concetto di filan-tropia e il ruolo che la libera muratoria poteva avere in ambito sociale. Si tratta di un’evoluzione che può essere verificata, sia pure sommariamente, seguendo il percorso contrassegnato da alcuni documenti ideologici che aspirarono a fornire una sintesi della realtà e del pensiero massonico in Italia. Partendo quin-di dall’inizio della rinascita, con il quin-discorso quin-di David Levi all’a-pertura della Costituente massonica del 1861; proseguendo col documento dottrinale proposto nel 1864 da Lodovico Frapolli sotto il titolo Una Voce; poi con i discorsi pronunciati da Adria-no Lemmi nel 1892 in vari orienti; il discorso letto nel 1901 da Ernesto Nathan all’inaugurazione di Palazzo Giustiniani e, in conclusione, con il discorso inaugurale del congresso massonico internazionale, tenutosi a Roma in occasione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. In tale occasione il Gran Mae-stro Ettore Ferrari affermò che la libera muratoria era e dove-va continuare a essere un’associazione iniziatica eminentemente umanitaria e filantropica. Non sembra quindi un caso che uno

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