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WELFARE E BENESSERE IN AZIENDA Verso un nuovo paradigma di efficienza organizzativa delle aziende: holocracy, azienda liberata e smart working

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea magistrale in comunicazione d’impresa e politica delle risorse umane (LM – 59)

WELFARE E BENESSERE IN AZIENDA

Verso un nuovo paradigma di efficienza organizzativa delle aziende: Holacracy, Azienda liberata e Smart working

Il Candidato Il Relatore GBOLOHA Kodjo Prof. Marco GIANNINI

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Prefazione

In occasione della 25^ Giornata Mondiale della Sanità, tenutasi il 10 ottobre 2017, l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) ha voluto lanciare un allarme sul tema della salute mentale sui luoghi di lavoro. Secondo l’OMS, oltre 300 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di depressione, la principale causa di disabilità. Più di 260 milioni vivono con disturbi d'ansia. All’immensa sofferenza umana si accompagna una perdita di produttività globale che si attesta su un trilione di dollari l’anno. Nel caso specifico dell’Italia, i dati sono altrettanto allarmanti. Lo stress lavoro-correlato colpisce circa 6 milioni di lavoratori su oltre 28 milioni. Il lavoro fa soffrire più frequentemente le donne (3,2 milioni): 500 mila i casi attestati di disturbi d'ansia, contro i 230 mila casi d’insonnia e i 220 mila di depressione, mentre 2,2 milioni presentano disturbi transitori di ansia, irritabilità, facilità al pianto, deficit di concentrazione, disturbi del sonno.1

Nel 1970 in Italia, c’è stata una grande svolta nel mondo operaio; la Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM) pubblicava una dispensa intitolata “L’ambiente di lavoro”. Nella prima parte del documento, gli autori affrontavano il tema dei fattori nocivi suscettibili di provocare danni fisici al lavoratore e quindi al suo organismo. Si trattano i temi del microclima dell’azienda (rumore, temperatura, luminosità, umidità ecc.), dell’ambiente di lavoro (radiazioni, polvere, gas, rumore, residui di elementi ecc.), del tipo e del carattere del lavoro (penoso, fisico, statico) e, infine, della forma e del contenuto del lavoro (ripetitivo, stancante, non valorizzante ecc.). La seconda parte del documento riguardava le conseguenze dei fattori nocivi – citati nella prima parte dello stesso documento – sulla salute dei lavoratori. Il cosiddetto “quarto fattore” viene individuato come la causa principale di malattie fisiche o psichiche che non rilevano da una causa specifica (dolori muscolari, disturbi gastro-digestivi, insonnia ecc.). Grazie a quest’ultima parte del documento il tema del benessere psichico e fisico varca le soglie dell’Organizzazione Mondiale della Salute.

La legge di stabilità2 dell’anno 2016 e la legge n. 81 /20173 toccano entrambe degli argomenti rilevanti per la condizione del lavoratore. La prima riguarda le politiche di

1 Dati pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della sanità – Ottobre 2017

2 In Italia è il principale strumento della manovra di finanza pubblica insieme alla legge di bilancio. 3 Entrata in vigore il 14 giugno 2017

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welfare attuate dallo Stato per venire incontro ai lavoratori e incrementare la loro soddisfazione sul luogo di lavoro, mentre la seconda dà il via ad un nuovo modo di lavorare volto a dare più spazio e flessibilità al lavoratore: Smart working.

Questi sono i temi sui quali si è incentrata quest’analisi. Oltre ai preoccupanti dati pubblicati dall’OMS, la decisione di approfondire queste tematiche è nata dalla volontà di portare alla luce e denunciare i problemi con cui il lavoratore deve fare i conti. La limitata partecipazione ai processi decisionali, lo scarso controllo sulla propria attività, la poca chiarezza nei compiti e negli obiettivi organizzativi, la mancanza di riconoscimento, la fatica, la precarietà e soprattutto lo stress, costituiscono un freno alla soddisfazione e al benessere del lavoratore. La scelta di un tale argomento è stata, soprattutto, motivata dall’esperienza personale in un’azienda nella quale, in cinque (5) anni, il peggioramento delle condizioni di assunzione e di lavoro ha generato un clima e un ambiente lavorativo sgradevoli che a loro volta hanno provocato una demotivazione generalizzata dei lavoratori. E’ stata, poi, decisiva l’esperienza del programma ERASMUS svolta in Francia che mi ha consentito di toccare con mano delle realtà aziendali – in Francia e in Belgio – attivamente coinvolte nella ricerca del benessere dei loro lavoratori tramite i nuovi modelli di management.

Il primo capitolo dell’analisi offre una breve panoramica circa l’organizzazione aziendale (le teorie, il funzionamento e la struttura) e il lavoro. Viene poi affrontata, nel secondo capitolo, la questione del malessere interessandoci al lavoratore, dei suoi bisogni e i rischi fisici e psicosociali ai quali viene esposto. Nel terzo e ultimo capitolo, oltre ad analizzare i nuovi modelli organizzativi quali holacracy, azienda liberata e Smart working, vengono affrontati i temi del welfare e del benessere in azienda, le misure aziendali e statali per la soddisfazione dei lavoratori.

Ringrazio le aziende e le persone senza le quali questo lavoro non sarebbe stato possibile. Il primo pensiero è per Jean-Luc Bouillon – professore di management delle organizzazioni presso il dipartimento di scienze dell’informazione e della comunicazione all’Università Rennes 02 (Rennes/Francia) – e per il mio relatore – il professor Marco

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durante la preparazione di questa tesi. Penso a Jean-François Zobrist dell’azienda FAVI

(Francia), a Laurence Vanhée del Ministero dei Trasporti Belga (Belgio), a Massimo

Fattori di GT S.r.l. (Italia) e Angela Silvestrini dell’ISTAT4 (Italia).

Ai miei cari colleghi di lavoro e a tutti i lavoratori che aspirano al miglioramento delle loro condizioni di lavoro.

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ABSTRACT

Il lavoro, oltre ad essere indispensabile, è una componente fondamentale per il benessere di ogni individuo. Tuttavia, in una società alla continua rincorsa del massimo profitto, il benessere del lavoratore passa talvolta in secondo piano. Le varie rivoluzioni industriali e alcune modalità di organizzazione aziendale hanno creato delle condizioni di lavoro più che discutibili, le quali hanno dato origine a uno stato di malessere generale del lavoratore. Con le teorie di Mc Gregor, Lewin Kurt o ancora A. Maslow, l’interesse delle aziende si è gradualmente concentrato sul lavoratore, con un sempre maggior riguardo verso le sue esigenze e i suoi bisogni. Ci si rese quindi conto di come le condizioni di lavoro non soltanto impattano sul lavoratore, ma svolgano un ruolo significativo anche sulla sua performance e su quella dell’azienda, con potenziali ricadute sull’economia globale. Nascono quindi dei nuovi modelli di management – holacracy, azienda liberata e Smart working – in grado di garantire il benessere del lavoratore e al tempo stesso l’efficienza organizzativa delle aziende. Vengono inoltre attuate, sia a livello statale sia a livello delle imprese, delle politiche di welfare volte a migliorare le condizioni di vita e di lavoro del lavoratore.

Tale analisi si prefigge come obiettivo, da un lato, l’identificazione del collegamento tra il tipo di organizzazione aziendale e il benessere del lavoratore, mentre dall’altro lato esplora il contributo dei nuovi modelli organizzativi circa la performance del lavoratore e dell’azienda. Dopo un preliminare excursus storico sull’organizzazione aziendale, ci si concentrerà sul rapporto tra il lavoro e l’individuo nella sua condizione di lavoratore, affrontando i vari approcci del welfare e del benessere aziendale, con una particolare attenzione rivolta al tema dei nuovi modelli di management.

Si è giunti infine alla conclusione che il benessere, sia in termini generali che più specificamente lavorativi, non potrà mai essere raggiunto appieno finché non si giungerà al compimento di un’epocale rivoluzione culturale che rimetta al centro del processo lavorativo l’unica risorsa fondamentale, quella umana: il lavoratore.

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INDICE

INTRODUZIONE pag. 12 Capitolo I

L’organizzazione aziendale: una breve panoramica

I. L’Azienda nel suo funzionamento » 16

1. Un quadro generale » 16

2. Un quadro storico » 18

2.1. Le teorie organizzative nel corso del tempo » 18

2.1.1. La scuola classica » 19

2.1.2. La scuola delle relazioni umane » 22

2.2. Progettazione contemporanea del management » 26

2.2.1. Lean management: il modello dell’organizzazione snella » 26 2.2.2. Learning organization: organizzazione che apprende e/o di apprendimento » 26

2.2.3. Knowledge management: spazio alla conoscenza » 26

2.3. Struttura organizzativa dell’azienda » 27

II. Il lavoro in sé » 30

1. Definizione e cenni storici » 30

1.1. Definizione: i diversi approcci » 30

1.2. Cenni storici » 34

2. L’evoluzione nel lavoro: lavoro e condizione umana » 35

2.1. Lavoro e necessità » 35

2.2. Lavoro e libertà » 35

2.3. Le trasformazioni nel lavoro: meccanizzazione e digitalizzazione del lavoro » 37

2.3.1. La meccanizzazione del lavoro » 37

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Capitolo 2

La questione del malessere al lavoro

III. Il lavoratore » 42

1. Il lavoratore come individuo » 42

1.1. I bisogni dell’individuo: la piramide di Maslow e la gerarchia dei bisogni » 42

1.2. I bisogni nel contesto lavorativo » 47

2. Il lavoratore nel rapporto di lavoro » 49

2.1. La ricerca della stabilità » 50

2.2. Il disequilibrio tra le varie dimensioni della vita: il blurring » 51 3. Il malessere al lavoro: fattori di rischio e conseguenze » 54

3.1. Alcuni dati » 55

3.2. I fattori di rischio » 56

3.2.1. Il mobbing » 57

3.2.2. Lo stress: il male del secolo » 60

3.2.3. Il burn out » 67

4. Lavoro e precarietà » 68

4.1. Terminologia: Precario, precarietà e precariato » 68 4.2. Combattere la precarietà e favorire la stabilità: Le recenti mosse (contestate) dello Stato

riguardanti il lavoro » 69

4.2.1. Il Jobs Act » 69

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Capitolo 3

Welfare aziendale: benessere e performance tramite nuovi stili di management

IV. Il welfare aziendale » 77

1. Il concetto di welfare in azienda » 77

2. Il contributo decisivo dello Stato: le normative vigenti in materia di welfare aziendale in

Italia » 78

2.1. La legge di stabilità 2016 (LS/2016) » 78

2.2. Il TUIR e le modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità 2016 » 79

3. Il ruolo sociale delle imprese » 82

4. Come attivare un piano di welfare in azienda? » 83

5. Applicazione del welfare in azienda: i vantaggi e i vari modelli » 87

V. Il concetto di benessere al lavoro » 92

1. Le azioni concrete per il benessere in azienda » 95

1.1. Dal punto di vista legislativo » 95

1.1.1. A livello Internazionale » 95

1.1.2. A livello Nazionale: Il progetto BES precursore in Europa » 96

1.1.3. I concetti base dei domini del BES » 97

1.2. Dal punto di vista pratico: benessere e soddisfazione in azienda » 101

1.2.1. Le dimensioni del benessere al lavoro » 102

1.2.2. Costruire il benessere del lavoratore » 106

1.3. Una nuova figura aziendale: Chief Happiness Officer » 110

1.4. Benessere e performance: tutti ci guadagnano » 110

VI. Nuove sfide manageriali:

benessere e performance tramite nuovi stili di management » 114

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1.1. Funzionamento e principi dell’olacrazia: un’organizzazione costituzionale » 116

1.2. Le aspettative e i risultati circa l’olacrazia » 119

1.3. Il caso Zappos » 121

1.4. Le critiche nei confronti dell’holacracy e i suoi limiti » 122 2. L’azienda liberata: libertà e autonomia del lavoratore » 123 2.1. Come funziona?: Il processo di liberazione dell’azienda » 124

2.2. I vantaggi dell’azienda liberata » 127

2.3. Il caso FAVI (Francia): quando la fiducia fa rima con la performance » 129 2.4. Le critiche nei confronti dell’azienda liberata e i suoi limiti » 130

3. Lo Smart working: lavorare in modo agile » 131

3.1. Contestualizzazione, origine e definizione del concetto » 131 3.2. Implementazione e funzionamento dello Smart working » 134

3.2.1. Dal punto di vista legislativo » 134

3.2.2. Dal punto di vista organizzativo:

Vantaggi e problematiche circa lo Smart working » 136

4. Una riflessione sullo Smart working: a chi conviene di più? » 140

CONCLUSIONI » 143

APPENDICI » 147

Appendice 1 – questionario per la valutazione del proprio benessere al lavoro » 147 Appendice 2 – questionario per la valutazione del benessere dei suoi lavoratori » 149

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“The secret of success in life is, for a man, to be ready for his opportunity when it comes” Benjamin Disraeli

Un pensiero a tutte le persone che, da vicino o da lontano, direttamente o indirettamente, mi hanno dato supporto durante il mio percorso di studio. Voi che avete reso possibile il raggiungimento di questo traguardo, a me caro e indispensabile per prepararmi alla mia opportunità. Poiché, l’importante nella vita non è avere tante opportunità ma di essere pronto per quella buona, quella della sua vita.

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INTRODUZIONE

Nel 1848, Marx dichiarava che l’elemento differenziale tra l’animale e l’uomo era che quest’ultimo era capace di “produrre le proprie condizioni di esistenza”, di trasformare il mondo e di non essere più sottomesso ai soli rischi della natura5. Dalla suddetta affermazione di Marx, il lavoro venne considerato, dai marxisti e non solo, non soltanto come una caratteristica importante della specie umana, bensì come l’essenza stessa dell’uomo. In una prospettiva socio-storica, si può giustamente sostenere che il lavoro è diventato, dall’avvento del capitalismo e della rivoluzione industriale del XVIII secolo, un elemento centrale della vita umana nelle società occidentali e non solo. Il lavoro esprime la relazione primordiale tra l’uomo e la natura. Per sopravvivere l’uomo deve avere un’abitazione, vestirsi e soprattutto mangiare: per questo deve lavorare, cioè trasformare le cose della natura per produrre dei beni utili alla sua esistenza. Il lavoro appare come una costrizione poiché esprime la necessità nella quale si trova l’uomo di soddisfare i suoi bisogni al costo di uno sforzo (energia) penoso e doloroso. Questa costrizione si esplica in quanto tale non solo nella dipendenza dell’uomo nei confronti del lavoro ma anche nella sua dipendenza nei confronti della natura, dell’ambiente esterno, della società e di tutto ciò che lo circonda legandolo direttamente e/o indirettamente al lavoro. Se il lavoro è basato oggigiorno su delle caratteristiche di necessità, d’indispensabilità e di costrizione, ha tuttavia conosciuto un’evoluzione e una diversificazione nel corso degli anni. Dal lavoro ai fini di sussistenza siamo passati al lavoro ai fini di produzione e commercializzazione, da allevamento e agricoltura siamo passati all’industria. Ciò ha portato un cambiamento del rapporto tra l’uomo e il lavoro, un cambiamento tra l’uomo e l’ambiente esterno (natura, la società ecc.), all’interno del lavoro stesso ma anche dello stesso uomo. Una delle più importanti condizioni di questo nuovo assetto, è che l’uomo, nel fornire sforzi e spendere energie (lavorare) per la soddisfazione dei suoi bisogni, non si relaziona più con la natura ma deve fare i conti con delle realtà organizzate e strutturate volte a fare profitti, ovvero le aziende.

L’azienda, in quanto organizzazione, è innanzitutto un raggruppamento per la coordinazione di attività e lo sviluppo delle procedure per raggiungere uno o più scopi specifici: economici, sociali, politici ecc. Essa è poi un insieme d’individui, ordinato e gerarchizzato

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con lo scopo di assicurare la cooperazione e la coordinazione dei propri membri per degli obiettivi prefissati. L’organizzazione non risulta, dunque, qualcosa di naturale o preesistente ma nasce ed esiste per via di esigenze e di obiettivi. Il capitalismo e la rivoluzione industriale rappresentano un momento cardine. Tale rivoluzione non è stata solamente un terreno fertile per le aziende, ma ha segnato anche in modo decisivo il rapporto dell’uomo con il lavoro soprattutto dal punto di vista delle sue condizioni di vita. I lavoratori non si erano mai resi conto, prima di quell'epoca, di quanto il lavoro fosse pesante e usurante. Esso inoltre non consentiva, se non in rari casi, una reale soddisfazione dei loro bisogni.

Prima che Maslow pubblicasse nel 1943 la sua teoria riguardante la piramide dei bisogni, questi erano ovviamente già esistenti e la loro soddisfazione era necessaria, per non dire vitale, per ogni individuo. Ed è proprio da questa incapacità a soddisfare i propri bisogni, persino quelli più primari che nacquero le prime reazioni dei lavoratori. Al giorno d’oggi, in un mondo con delle realtà ed esigenze socio-economiche e culturali in totale cambiamento e sviluppo, l’uomo ha visto i suoi bisogni evolversi e diversificarsi portando le aziende a fare i conti con richieste, da parte dei lavoratori, in aumento e di tutt’altra natura. E’ chiaro, quindi, che oggi lavorare non è un semplice autosostentamento ma qualcosa di molto più profondo. In questo nuovo quadro del rapporto tra uomo e lavoro, sorgono delle domande: perché si lavora? Qual è il senso del lavoro? E in che cosa consiste il lavoro oggi?

Molti studiosi ed esperti, interessandosi alla questione, hanno cercato di rispondere a queste domande partendo dalla motivazione, di ciò che spinge l’uomo ad alzarsi ogni mattina per andare a lavorare. Emerge che “tutti vanno al lavoro, ma non tutti ci vanno felici”. Partendo dall’assunzione che il benessere e/o la felicità al lavoro e la performance sono strettamente collegati poiché un dipendente felice è più produttivo, una domanda viene spontanea: come fare felice un lavoratore e garantire il suo benessere al lavoro? Oggi, con l’aumento dello stress lavoro-correlato e del burn out nelle realtà lavorative, l’argomento appare più che mai cruciale. Dato che i problemi vengono dall’azienda, le soluzioni in essa devono essere ricercate. In effetti, secondo i ricercatori, le soluzioni per risolvere i problemi dell’infelicità, della demotivazione e del malessere al lavoro, sono di ordine strutturale e organizzativo. Oltre ad implementare delle politiche di welfare, le aziende puntano allo Smart working/lavoro agile e alla riduzione e semplificazione della gerarchia piramidale -

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holacracy 6 - che ormai risulta obsoleta e poco produttiva. Ciò lascia spazio a un'organizzazione aperta e orizzontale, dove il lavoratore possa sentirsi più gratificato, realizzato e soprattutto più libero nelle sue prestazioni. Tom Peters,7 nel libro Liberation management sviluppa e sostiene l’idea di un tipo di azienda basato sull’organizzazione delle

squadre auto gestite e motivate in una struttura semplice. Hyacinthe Dubreuil, un sindacalista francese, è stato uno dei primi a esaminare la questione del benessere al lavoro. Nel libro “A chance for everybody”8, indica che ci sono tre (3) criteri per essere soddisfatti al lavoro: il criterio economico (il salario/stipendio), il criterio intellettuale (il piacere) e il criterio morale (responsabilità sociale). Pertanto, è necessario sviluppare la comunicazione interna (nell’azienda) per rendere il lavoro apprezzabile dal lavoratore e fargli prendere coscienza dell'importanza del suo ruolo nell'azienda. L’autore sostiene che il tutto consista nel liberare i lavoratori da una sensazione di subordinazione e disinteresse.

In Italia, il lavoro agile o Smart working è definito nella legge n. 81/2017. Esso pone l’accento, a grandi linee, sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentono di lavorare da remoto. Il progetto di lavoro agile o di Smart working o ancora della liberalizzazione dell’azienda o del lavoro, ci pone di fronte a una serie di domande. Come impostare questo tipo di processo? Il concetto di holacracy, di azienda liberata e di Smart working è davvero sinonimo di felicità e di benessere?

6 Olacrazia in italiano anche se quest’ultimo non è molto diffuso.

7 Dal suo nome completo Thomas J. Peters. La prima edizione del libro Liberation management fu

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CAPITOLO

1

L’organizzazione aziendale: una breve panoramica

“Il desiderio di vivere felicemente o di vivere bene, di agire bene è l'essenza dell'uomo.” - Baruch Spinoza

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I. L’Azienda nel suo funzionamento 1. Un quadro generale

Nel suo libro Organizzazione aziendale,9 R. Daft definisce le organizzazioni come entità sociali guidate da obiettivi, progettate come sistemi di attività deliberatamente strutturate e coordinate, in relazione con l’ambiente esterno. L’azienda invece può essere inquadrata come un sistema interattivo di risorse organizzate, finalizzato alla creazione di valore per i clienti, per i proprietari e per tutti coloro che hanno un interesse nell’organizzazione attraverso la produzione di beni o l’erogazione di servizi. L’azienda è un’“organizzazione” in quanto sistema strutturato ed integrato di persone, di risorse e di attività, orientato a fini stabiliti. Si può quindi parlare di organizzazione aziendale per definire il modo in cui le persone e/o risorse di una determinata azienda, interagiscono le une con le altre nell’esercizio di funzioni o ruoli che contribuiscono a conseguire gli obiettivi e risultati dell’azienda. Secondo Mintzberg, un’organizzazione essendo un sistema in sé, è costituita da cinque (5) sottosistemi10: alla base dell’organizzazione si colloca la working base (il nucleo operativo) che comprende le persone, ovvero gli operatori che svolgono l’attività fondamentale direttamente collegata all’ottenimento dei prodotti e dei servizi. E’ il sottosistema che presidia la trasformazione degli input in output, procurando gli input per la produzione (materie prime), distribuendo gli output (vendita e distribuzione) e fornendo supporto diretto alle funzioni d’input. Rappresenta il cuore di ogni organizzazione. Viene poi la technostructure (tecnostruttura), presidia l’adattamento dell’organizzazione all’ambiente, sia quello interno che esterno. Comprende, da una parte, gli analisti che adattano e modificano l’organizzazione per far fronte ai cambiamenti ambientali, e dall’altra parte quelli che controllano e regolarizzano l’attività dell’organizzazione. Essi progettano, modificano il lavoro, addestrano le persone che lo svolgono, ma non ci partecipano. Gli analisti con funzioni di controllo realizzano tre (3) tipi di attività: gli analisti del lavoro che riguardano i processi di lavoro, gli analisti di pianificazione e controllo che valutano gli output e infine gli analisti di problemi del personale che valorizzano le capacità. In un’organizzazione molto articolata la tecnostruttura opera a tutti i livelli. All’interno della tecnostruttura vige l’adattamento

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reciproco. Il sottosistema support (staff di supporto) è quello incaricato alla “manutenzione” dell’organizzazione. Sono delle numerose unità, tutte specializzate, che forniscono all’azienda un supporto “esterno” al suo flusso operativo. Tali unità svolgono funzioni specifiche e operano come mini-organizzazioni che vengono finanziate dall’organizzazione e le forniscono servizi specifici. Sono presenti a vari livelli della gerarchia secondo il destinatario del servizio. Ogni unità si coordina a modo proprio, anche se la standardizzazione delle capacità va per la maggiore. Il middle management (Linea intermedia) presidia l’implementazione delle strategie e delle politiche e coordina le unità organizzative. È necessaria per supervisionare le varie parti di un’azienda di grandi dimensioni. Infatti, ogni manager non può dirigere più di un tot di operatori, ciò che viene chiamato: ampiezza del controllo. I compiti di un manager della linea intermedia consistono nel raccogliere feedback sulla performance della propria unità e trasmetterli ai manager superiori, intervenire nel flusso delle decisioni, gestire situazioni di confine con altre unità interdipendenti con la propria, formulare la strategia per la sua unità (concreta e dettagliata) che è comunque influenzata dalla strategia generale. Al vertice del modello organizzativo di Mintzberg si colloca il top management (vertice strategico) che è formato dalle persone che hanno la responsabilità globale dell’organizzazione. Presidia la definizione della strategia, degli obiettivi e delle politiche dell’organizzazione. Deve assicurare che l’azienda assolva alla missione in modo efficace e che risponda ai bisogni degli shareholder11 e degli stakeholder12. Il vertice strategico svolge tre (3) funzioni: la supervisione diretta, la gestione delle condizioni di confine e cioè delle relazioni dell’organizzazione con il suo ambiente e lo sviluppo della strategia dell’azienda.

11 Sono gli azionisti dell’azienda, coloro che ne posseggono quote di capitale.

12 sono i portatori di interesse che ruotano intorno all’organizzazione (i clienti, gli investitori, i fornitori e i

dipendenti dell’azienda). Gli shareholder sono considerati stakeholder dell'azienda poiché ne possiedono delle azioni.

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Figura 1: Struttura organizzativa - Henry Mintzberg, The Structuring of Organizations p. 215-297

2. Un quadro storico

2.1. Le teorie organizzative nel corso del tempo

Le varie rivoluzioni nel settore industriale videro l’emergere di grandi aziende, la cui gestione si fece quindi sempre più complessa. La teoria organizzativa, avviatasi all'inizio del XX secolo poi sviluppata negli anni ‘30, cercò di elaborare dei modelli che consentissero una migliore organizzazione della produzione, ma anche e soprattutto migliori prestazioni per l'azienda. Inizialmente, la teoria dell'organizzazione nacque dalle varie riflessioni delle figure aziendali (dirigenti o ingegneri) e, successivamente, di docenti universitari

TEC HNO STRU CTU RE TOP MANAGEMENT WORKING BASE MIDDLE MANAGEMENT SU PPO RT

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sulla sociologia dell'azienda o delle organizzazioni. Essendo diventata una disciplina scientifica indipendente, la teoria delle organizzazioni, costituita da un insieme di concetti, metodi e strumenti di gestione, racchiude diverse scuole di pensiero, ognuna delle quali offre un approccio diverso circa l'organizzazione aziendale. Grandi scrittori come Frederick Taylor (1856-1915) e Henri Fayol (1841-1925), appartenenti alla scuola classica, posero le basi della teoria organizzativa. Dall'inizio del XX secolo, diverse scuole si sono succedute e sarebbe utopico pensare di poter elencarle tutte, considerando sia la loro pluralità e ricchezza, sia la diversità dei campi in cui sono state elaborate (sociologia, psicologia, scienze decisionali o economia). In questa prima parte del lavoro verranno esposte quelle principali, che hanno maggiormente influenzato il mondo dell’azienda focalizzandosi sulle condizioni del lavoratore. Cercheremo di esporre le linee guide, i vantaggi/svantaggi e/o limiti delle varie teorie.

2.1.1 La scuola classica (1900 - 1930)

La rivoluzione industriale del XVIII secolo e la concentrazione dei mezzi di produzione favorì l'emergere di una nuova forma di produzione. Il settore industriale si dimostrò in grado di attrare una grande forza lavoro agricola, che non si adattò bene alla produzione tecnica e che quindi, doveva essere integrata opportunatamente. È in questo contesto che la scuola classica si sviluppò in due direzioni: la teoria manageriale (Taylor, Fayol) e la teoria sulla burocrazia (Weber).

Nel 1911 Taylor, pubblicò Principles of scientific management13 (principi di gestione scientifica) esponendo la sua teoria che andava oltre la semplice organizzazione del lavoro. L’autore basò la sua teoria – l’organizzazione scientifica del lavoro – sulla convinzione che la scienza può risolvere tutti i problemi. Egli sosteneva che la funzione di gestione era mal eseguita a causa di una supervisione incompetente perché scarsamente addestrato. I lavoratori cercavano di lavorare il meno possibile mentre i metodi di lavoro erano inefficaci. Taylor propose, quindi, in un primo tempo, la sostituzione della gestione quotidiana inefficiente con un sistema che definisce organizzazione scientifica del lavoro. Risultava

13 Le regole di management esposte in questa monografia scritta da Frederick Winslow Taylor, furono

riprese da H. Ford nella gestione della sua fabbrica. Il modello di gestione proposto da Taylor ha segnato in modo rilevante il mondo industriale.

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necessario abbandonare l’idea della figura caratterizzata dal mestiere di origine artigiana con l’operaio specializzato che non s’identificava con nessun mestiere in specifico, ma che era chiamato a svolgere una specifica mansione. Le sequenze operative erano ricombinate secondo il principio di un’elevata divisione del lavoro. L’organizzazione scientifica del lavoro si basava su alcuni principi. Innanzitutto ci doveva essere una separazione del lavoro di concezione da quello di esecuzione. Il lavoratore doveva essere sollevato da ogni iniziativa ed era importante distinguere chi pensa da chi esegue. Deve essere eseguito, poi, uno studio scientifico del lavoro. Si adottava, inoltre, una selezione scientifica e un addestramento del lavoratore secondo le sue capacità fisiche. La motivazione, secondo Taylor, consisteva nel ricompensare l’operaio più veloce con uno stipendio dal 30% al 100% più alto del mercato. La struttura funzionale di Taylor si basava sulla specializzazione, l'autorità era giustificata dalla posizione gerarchica occupata.

I vantaggi della teoria di Taylor erano, tra l’altro, l’efficienza dell’organizzazione nella preparazione e l’adattamento del lavoratore a un compito specifico e un’elevata efficienza produttiva. Per quanto riguardano gli svantaggi, al primo posto, c’è l’alienazione del lavoratore. Seguono poi la diluzione dell’autorità e della responsabilità, la difficoltà di coordinamento dovuta al fatto che tutti considerano il funzionamento dell’azienda dal punto di vista della propria funzione. Nonostante l'organizzazione scientifica del lavoro si sia molto diffusa, il taylorismo è stato criticato su diversi punti. La separazione “discriminatoria” tra la progettazione e l’esecuzione che consisteva nel distinguere e separare chi pensa da chi esegue, cioè che lavora. L’eccessiva divisione del lavoro con compiti ripetitivi, monotoni e alienanti e l’idea che l'individuo sia motivato solo dal denaro.

La teoria della burocrazia14, sviluppata da Weber, era dedicata alle strutture dell'autorità per classificazione delle organizzazioni. Chiedendosi perché gli individui obbedivano agli ordini, introdusse la distinzione tra il potere, che è la capacità di forzare l'obbedienza, e l'autorità che è la capacità di fare eseguire volontariamente gli ordini. Sostiene che in un sistema di autorità, i subordinati accettano gli ordini perché essi sono legittimi. In base a come l’autorità viene legittimata, Weber distingue tre (3) tipi “puri” di

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autorità. In pratica, in un'organizzazione si può ritrovare la combinazione di un’autorità carismatica basata sulle qualità personali del leader. I “discepoli” formano con il leader l'essenza dell'organizzazione. Questo tipo di organizzazione è instabile per via della sua costruzione. Il secondo tipo di autorità è quello tradizionale: l'autorità si basa su precedenti e usi. Il leader deriva la sua autorità dallo status che ha ereditato. L'estensione di questa autorità è determinata dalla cultura dell’azienda. Viene poi l'organizzazione burocratica che è, per Weber, la più efficiente perché la gerarchia è chiaramente definita. L'autorità è istituzionale, è definita da criteri di razionalità.

Il modello Weberiano è razionale ma è vincolato alla stabilità dell’ambiente. Inoltre, il suo formalismo può essere fonte di disfunzioni (pesantezza, rigidità, lentezza nelle realtà aziendali più grandi).

L’obiettivo di Fayol, con la sua teoria sull’amministrazione15, era di creare una scienza di gestione aziendale che sia universale, applicabile ovunque, in qualsiasi momento e in qualsiasi attività aziendale. Essendo stato lui stesso dirigente, Fayol provò ad enumerare tutte le operazioni che vengono svolte in azienda. Quelle operazioni, che definisce con il termine di “funzioni”, sono tra l’altro: la funzione di tecnico (produzione, trasformazione), di commerciale (acquisto, vendita, scambio), di sicurezza (protezione di persone e proprietà), finanziaria (ricerca e uso ottimale del capitale), amministrativa (organizzare, coordinare, controllare, ordinare, prevedere). Ogni posizione racchiude queste funzioni, ma con proporzioni diverse. Secondo Fayol, la funzione amministrativa è la più importante perché è l'unica che un dirigente non può delegare poiché racchiude le attività gestionali. Dalla funzione amministrativa, funzione essenziale, dipende il corretto funzionamento dell'organizzazione. Nell’esposizione dei principi di amministrazione, Fayol distinse la capacità produttiva che riguarda solo l’ultima scala della gerarchia, cioè le persone coinvolte nel processo di produzione, e la capacità amministrativa che riguarda esclusivamente il capo. Egli Difese l’idea di una struttura gerarchica o lineare che si basa sull'unità di comando, l'autorità scorre dall'alto verso il basso. I principali vantaggi della sua

15 Nel 1916 Henri Fayol pubblicava l’Administration industrielle et générale con le premesse della sua teoria

che verrà poi concretizzata con la pubblicazione di The administrative theory in the state nel 1923.

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teoria riguardavano la semplicità e chiarezza dovute all'unità di comando, la possibilità di isolare le responsabilità molto chiaramente, l’assenza di confusione nelle relazioni tra le persone e l’efficacia nella risoluzione dei conflitti. Gli svantaggi, invece, riguardano la rigidità della gerarchia, la mancanza di coordinamento dovuta alla rigida suddivisione dei vari organi e la mancanza di reattività dovuta alla cattiva circolazione dell'informazione. Il leader, in questo modello di gestione, deve avere più abilità nel riuscire a circondarsi di un personale accuratamente preparato.

2.1.2 La scuola delle relazioni umane: “i motivazionalisti” (1920 - 1970)

L'evoluzione delle tecniche di produzione e le trasformazioni che hanno inciso sulla natura del lavoro fanno emergere l’interesse all'ergonomia. Lo scopo dell'ergonomia è di adattare il lavoro all'uomo. La psicologia applicata deriva dai lavori di Sigmund Freud che sottolineò l'importanza dei fattori psicologici rispetto alla produttività delle aziende. Allo stesso modo, ad influenzare la produttività, c’erano i fattori fisiologici legati all'ambiente fisico e alle condizioni di lavoro. La crisi del 1929 è all'origine di un certo movimento di protesta contro il pensiero classico e il suo razionalismo. La scuola delle relazioni umane criticò quella classica perché trascurava la natura umana del lavoro, la motivazione e la demotivazione dei lavoratori. Tale scuola studiò l'atteggiamento degli uomini sul lavoro, la loro psicologia e il comportamento dei gruppi di lavoro. Attribuì quindi, alla dimensione umana dell'azienda un posto essenziale.

Elton Mayo, una delle figure della scuola dei “motivazionalisti”, condotte gli sperimenti di Hawthorne16. Venne effettuata, presso lo stabilimento della Western Electric con l'obiettivo iniziale di stabilire un collegamento tra condizioni di lavoro e produttività, una seria di sperimenti. Mayo studiò il comportamento di un gruppo di 6 (sei) donne che lavoravano su assemblaggi di relè telefonici. Aumentando il tempo di pausa e preservando la distribuzione dei bonus, si evidenziò un aumento della produzione. Ripristinando poi la

16 Mayo E. - Hawthorne and the Western Electric Company, The Social Problems of an Industrial Civilisation, Chicago 1927.

Viene poi indicato come “effetto Hawthorne”, l'insieme delle variazioni di un fenomeno, o di un comportamento, che si verificano per effetto della presenza di osservatori, ma che non durano nel tempo.

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situazione iniziale, la produzione non tornò ai valori iniziali. Da questi esperimenti derivano delle conclusioni secondo le quali, il semplice fatto che l'individuo sa di essere osservato cambia il suo comportamento. Inoltre, l'aumento della produttività si realizza quando i lavoratori sentono l'interesse dimostrato nei loro confronti. Questo non ha nulla a che fare con le condizioni materiali. Si evidenzia anche l’importanza delle relazioni intrapersonali all'interno del gruppo, la relazione intra-gruppo e la coesione e il rapporto con il responsabile del gruppo favoriscono l'aumento della produttività. La coesione e le buone relazioni si ottengono passando dal tradizionale sistema di supervisione a un sistema più flessibile. Ciò che conta è l'aspetto emotivo e non l'autorità e pertanto, la vera motivazione è di natura sociale. Negli anni '50, Brown dimostrò l'importanza dei gruppi informali nell'organizzazione e le loro regole nel funzionamento dell'organizzazione. Inoltre, Matthewson aveva dimostrato che il fattore stimolante era la stima reciproca. La motivazione economica non è, quindi, l'unica forza trainante del comportamento: “Quando si stabiliscono partecipazione, cooperazione e comunicazione, le condizioni fisiche sono di scarsa importanza”. I lavoratori devono essere lasciati con più responsabilità, è quindi, necessario creare strutture decentralizzate. Nonostante le critiche questa scuola ha avuto il gran merito di evidenziare il sentimento di appartenenza che è senza dubbio un aspetto importante nella soddisfazione del lavoratore.

Abraham Maslow sviluppò la teoria dei bisogni. I bisogni individuali sono al centro della teoria. L'obiettivo è migliorare la qualità della vita sul lavoro. Secondo Maslow, i bisogni sono gerarchici e quando si soddisfano determinati bisogni, si presentano altri di livello superiore. Un bisogno non soddisfatto ha conseguenze negative sul lavoratore. In ordine dal basso verso l’alto, si parla di bisogni fisiologici, di sicurezza, sociali o di appartenenza, di stima, di autorealizzazione. Questa teoria è molto diffusa e mette in evidenza l'impatto del contenuto del lavoro per il lavoratore e mostra che c'è più di una semplice motivazione finanziaria (la retribuzione). La classificazione di Maslow consente di comprendere l'origine delle tensioni all'interno dell'azienda e di porvi rimedio.

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Lo psicologo Herzberg, autore della teoria bi-fattoriale, mette in evidenza sedici (16) fattori di comportamenti al lavoro17. Dieci (10) sono rilevanti e sei (6) non lo sono. Classifica le fonti di soddisfazione in due (2) categorie, di cui la prima – i fattori d’igiene – si riferisce all'ambiente di lavoro. La non soddisfazione di questi bisogni è fonte di conflitto, ma la loro soddisfazione ha un effetto temporaneo. Con i fattori motivazionali (seconda categoria), si riferiscono al contenuto del lavoro e hanno un ruolo essenzialmente positivo. Corrispondono al bisogno di auto-soddisfazione. Herzberg propone di conseguenza cinque (5) fattori di motivazione: crescita e promozione, attrazione del lavoro, responsabilità, riconoscimento e gratitudine e autorealizzazione/soddisfazione. L'organizzazione del lavoro deve fornire una risposta ad entrambe le categorie di bisogno. È quindi necessario evitare, in un primo tempo, il malcontento, vale a dire prendere in considerazione l'ambiente di lavoro e modificare la politica di remunerazione. Bisognerà poi, favorire una maggiore soddisfazione del lavoratore estendendo e arricchendo le sue attività e mansioni.

In conclusione, Herzberg sostiene che i sentimenti di frustrazione nei confronti dell'azienda e i comportamenti conseguenti sono dovuti alla mancanza di considerazione dei fattori motivazionali da parte delle politiche sociali dell’azienda. Questo è il motivo per cui le politiche delle risorse umane che si concentrano solo sui fattori d’igiene falliscono.

Sviluppate da Mc Gregor, le teorie X e Y18 fanno parte di quelle più diffuse della scuola dei “motivazionalisti”. Secondo Mc Gregor ci sono due modi per gestire il personale. La teoria X si basa sui presupposti secondo i quali l'uomo è pigro, non gli piace lavorare, deve essere controllato e sottomesso a delle sanzioni. Nella misura in cui il lavoro è necessario, solo il salario può compensare la disutilità del lavoro. L'uomo preferisce essere comandato ed evita ogni responsabilità, ha poche ambizioni e preferisce la sicurezza. Non gli piace il cambiamento, preferisce i compiti di routine perché li conosce bene. La teoria Y sostiene una tesi diversa – da quella della teoria X – circa l’uomo e il lavoro. Il lavoro è indispensabile quanto il riposo. L'uomo ha la capacità di auto-dirigersi e autocontrollarsi, ha la capacità di esercitare la sua immaginazione, la sua creatività al servizio di un'organizzazione. Il sistema di sanzioni e controllo esterno non è l'unico modo per

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convincere gli uomini a soddisfare i bisogni e gli obiettivi dell'organizzazione. I metodi della teoria X, oltre a non essere efficienti, sono inappropriati perché si basano su motivazioni poco importanti. Lo stile di management basato sulla teoria Y è, invece, più efficiente perché si basa su motivazioni più profonde che consentono l'integrazione di obiettivi individuali e organizzativi. Le modalità di gestione basate sulla teoria X possono essere utilizzate con successo quando i bisogni fisiologici dell'individuo non sono soddisfatti o in assenza di una legislazione che preveda un salario minimo. Ma tra il 1945 e il 1970, il tenore o la qualità di vita si è migliorato e, si sono quindi cercati altri modi, diversi dalla retribuzione, per motivare l'individuo. Nel contesto della crisi e della disoccupazione degli anni '80 e ‘90, c'è stato un ritorno della teoria X nelle organizzazioni, e allo stesso tempo uno sviluppo della gestione partecipativa.

Scuola classica Scuola di relazioni umane

Decisione Centralizzata Decentralizzata

Unità di base dell'organizzazione

Individuale Di gruppo

Struttura Formale (e) informale

Forza d’integrazione Autorità Fiducia

Funzione del superiore Rappresentante dell'autorità Agente di controllo intra-gruppo e inter-intra-gruppo Atteggiamento nei confronti

del lavoro

Controllo esterno Responsabilità

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2.2. Progettazione contemporanea del management

2.2.1. Lean management: il modello dell’organizzazione snella

L’organizzazione snella si caratterizza dalla sua capacità di raggiungere elevati livelli di prestazioni in termini di efficienza, qualità, flessibilità e prezzi, con un livello minimo di utilizzo di risorse in termini di uomini, macchine e scorte. Sul piano strettamente organizzativo, si tende alla riduzione del numero dei livelli gerarchici, così come degli organi di staff; sono privilegiati i collegamenti laterali e inter-funzionali e viene accordata la preferenza a forme di auto-organizzazione e autocontrollo piuttosto che a meccanismi di regolazione dall’alto, mentre la logica di processo si impone sulla specializzazione funzionale.

2.2.2. Learning organization: organizzazione che apprende e/o di apprendimento.

Sono organizzazioni all’interno delle quali l’apprendimento è considerato un obiettivo prioritario a tutti i livelli. Gli obiettivi del management sono, in primis, la predisposizione delle condizioni organizzative favorevoli alla generazione ed elaborazione di conoscenza. Viene, poi, la previsione dei meccanismi che ne consentano la codificazione, la diffusione e l’interpretazione. Infine, il learning management mira ad approntare gli strumenti idonei per l'immagazzinamento delle conoscenze ritenute più significative.

2.2.3. Knowledge Management: spazio alla conoscenza

Complesso di sistemi organizzativi, manageriali, informativi e delle comunicazioni attraverso cui un’organizzazione si appropria delle conoscenze individuali e dei gruppi, le assimila e offre un ambiente fertile per la generazione di nuove conoscenze; le trasferisce e le diffonde, le capitalizza, le incorpora in prodotti e servizi, realizzando profitti e sostenendo un vantaggio competitivo nel tempo. Lo scopo del Knowledge management è di fornire le informazioni raccolte dai dipendenti, dalle best practices, da tutti gli stakeholders (clienti,

partner, fornitori, centri di ricerca, università, competitor ecc.) e da altre fonti in un formato che possa essere utilizzato per valorizzare le conoscenze e migliorare la qualità dei processi.

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2.3. Struttura organizzativa dell’azienda

Per struttura organizzativa si intende l’insieme delle unità organizzative elementari, dette organi, fra le quali è suddiviso il lavoro complessivo d’impresa, ma anche, un sistema di posizioni tra loro interagenti, ricoperti da individui portatori di bisogni, aspettative, valori, obiettivi, interessi. La struttura organizzativa definisce i criteri di divisione e coordinamento del lavoro ed indica: le unità organizzative tra le quali è suddiviso il lavoro, le mansioni e i compiti di ogni organo, le attribuzioni di responsabilità e autorità, lo schema delle relazioni (gerarchiche o verticali, funzionali, orizzontali) che collegano l’attività di ogni organo a quella degli altri secondo un disegno unitario. Definendo il concetto di “organizzazione”, si era sottolineato l’aspetto dei ruoli e delle funzioni mirati alla realizzazione dei suoi obiettivi. Cosa s’intende con ruolo e mansione?

Per mansione s’indica un insieme di compiti, collegati in relazione alla natura delle attività ed a vincoli di natura tecnica, affidati a chi ricopre una certa posizione organizzativa. Le sue dimensioni rilevanti sono: il grado di varietà (che richiama la numerosità dei compiti svolti), il grado di discrezionalità e/o di autonomia, l’intensità delle relazioni sociali e la contribuzione che fa riferimento alla significatività e rilevanza del contributo offerto al conseguimento degli obiettivi aziendali. Il ruolo, invece, è un modello di comportamento definito tanto dai compiti assegnati all’individuo che occupa una certa posizione organizzativa, quanto dall’insieme di forze ed aspettative formulate nei suoi confronti. In genere si definisce e si differenzia secondo delle determinate domande. Che cosa fare (compiti)? Chi lo fa (competenze, motivazioni)? Da chi, a chi, per chi, con chi farlo (sistema delle relazioni dirette e indirette)? Perché farlo (obiettivi da conseguire)? Questa differenziazione, se non è chiara e ben definita, porta spesso a dei conflitti tra i diversi ruoli assegnati ai lavoratori. E’ importante, per evitare che ciò accada, definire la posizione dei lavoratori in modo chiaro. Questi conflitti derivano nella maggior parte dei casi, da aspettative poco chiare e contrastanti (ad esempio una doppia linea di autorità), dall’assegnazione o dallo svolgimento simultanea di più ruoli e dallo squilibrio tra autorità e responsabilità. Ogni azienda ha bisogno di definire in modo chiaro una struttura che sancisce la ripartizione delle persone tra di loro e nei confronti delle varie mansioni o posizioni. Per questo motivo esistono documenti come il mansionario e l’organigramma.

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Il mansionario contiene la descrizione delle mansioni assegnate alle singole posizioni in termini di compiti, responsabilità e relazioni, mentre l’organigramma è la rappresentazione grafica della struttura organizzativa formale che mostra le varie parti di un’organizzazione, il modo in cui sono collegate e come ogni posizione e unità si colloca nell’insieme. Tramite l’organigramma, ogni lavoratore sa qual è la sua posizione e quella dei suoi colleghi. I lavoratori sapranno, in base a questa definizione chiara, come relazionarsi tra di loro, principalmente chi detiene l’autorità su di loro e su chi possono esercitare la loro autorità.

Figura 2: Esempio di organigramma

In un organigramma si possono individuare, oltre agli organi, le dipendenze gerarchiche e quelle funzionali. Ci interesseremo a queste ultime due (2). Il rapporto gerarchico comporta una dipendenza disciplinare ed esecutiva. Il rapporto funzionale comporta una trasmissione di informazioni, consulenze non obbligatorie ma utili allo svolgimento del lavoro. Un altro aspetto dell’organigramma che va sottolineato è la sua dimensione verticale e quindi quella della struttura organizzativa. Questa dimensione è data

Store Manager

Manager reparto 1

Manager

reparto 2 reparto 3 Manager Manager reparto 4

Responsabile reparto 1

Responsabile

reparto 2 Responsabile reparto 3 Responsabile reparto 4

Co-worker reparto 1

Co-worker

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Per quanto riguardano le forme strutturali presenti in azienda, si definisce struttura alta/piatta, una struttura con un basso/alto numero di livelli gerarchici fra il vertice e la base della piramide organizzativa. La dimensione verticale della struttura organizzativa, quella più diffusa, è orientata all'ottenimento di obiettivi di specializzazione e di efficienza; il controllo, realizzato attraverso i collegamenti verticali, assicura una coerenza forte con obiettivi di massimizzazione dell'utilizzo delle risorse specialistiche. Come si era detto prima, in un contesto caratterizzato dalla stabilità delle condizioni operative, questo modello di struttura appare il più coerente. Offre dei vantaggi quali; la profondità del controllo gerarchico, l’elaborazione e l’analisi dei problemi, il coinvolgimento nel processo decisionale, la riduzione del carico di supervisione ecc. Gli svantaggi della struttura alta riguardano, tra l’altro, i processi di comunicazione (lenti e distorti), la rigidità al cambiamento, i costi di struttura, il coinvolgimento operativo dei capi e la demotivazione dovuta alla pesantezza della linea gerarchica. La dimensione orizzontale della struttura organizzativa risponde, invece, all'esigenza di flessibilità e di adattamento dell'organizzazione; tale struttura induce nell'organizzazione comportamenti coerenti con lo sviluppo delle risorse (apprendimento), con la ricerca di soluzioni innovative (creatività) e con la condivisione delle informazioni (coinvolgimento e partecipazione).

In questi ultimi anni si è registrata una tendenza, da parte delle aziende, ad abbandonare le strutture alte a vantaggio di quelle piatte. Questo cambiamento non è riconducibile solo al numero dei livelli gerarchici: i mutamenti più profondi sono rinvenibili nelle modalità di funzionamento. Il sistema di comunicazione favorisce un maggiore sviluppo di canali orizzontali e una maggiore circolazione delle informazioni. Le modalità di controllo fanno prevalere forme di autocontrollo / controllo individuale sulla supervisione personale e diretta. Il contenuto delle mansioni diventa meno parcellizzato e standardizzato. Si passa da uno stile di direzione, prevalentemente autoritario, a uno stile prevalentemente partecipativo. I processi decisionali diventano meno accentrati al vertice e più diffusi, nell’intento di avvicinare la fonte di un problema a quella delle informazioni necessarie per la sua soluzione, con conseguente attribuzione di ambiti di autonomia decisionale anche ai livelli più bassi della struttura.

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II. Il lavoro in sé

1. Definizione e cenni storici

1.1 Definizione: i diversi approcci

v Lavoro come sofferenza e punizione: la genesi19 , il tripalium

“Allora Dio il Signore disse al serpente: « poiché hai fatto questo, sarai il maledetto fra tutto il bestiame e fra tutte le bestie selvatiche! Tu camminerai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. 15 Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno». 16 Alla donna disse: «Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed egli dominerà su di te». 17 Ad Adamo disse: «Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato del frutto dall'albero circa il quale io ti avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. 18 Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l'erba dei campi; 19 mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto; perché sei polvere e in polvere ritornerai».” Genesi 3,14-19. In queste parole tratte dalla Santa Bibbia, che raccontano l’episodio della disobbedienza di Adamo e Eva nei confronti di Dio, il passaggio che ci interessa di più è il versetto 19. In quel versetto, Dio, per punire Adamo gli fa capire che per mangiare dovrà lavorare la terra e sudare poiché non avrà più accesso ai frutti del giardino. Dalle parole di Dio, si evince che il rapporto tra l’uomo e la terra sarà basato, da quel momento in poi, sul lavoro. L’uomo per accedere al frutto della terra dovrà lavorare. Sudore, affanno, spine e rovi sono, i termini che qualificano questo rapporto, rinviando alla fatica, alla sofferenza e al dolore.

L’etimologia del termine “lavoro” è oggetto di divergenze. Mentre alcuni storici dichiarano che il termine deriva dal latino labor con il significato di fatica, altri sostengono

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(lavorare). In ogni caso, tutte le fonti concordano sulla derivazione del termine dal greco tripalium: strumento che veniva usato per fermare gli animali per curarli o ferrarli. Il tripalium veniva usato anche come uno strumento di tortura usato per punire gli schiavi e i criminali. Secondo Alain Rey, linguista e lessicografo francese, il termine lavoro è un deverbale di lavorare e sarebbe apparso per la prima volta nel dodicesimo (XII) secolo. Quest’ultimo deriverebbe dal latino tripaliare che significherebbe tormentare o torturare con il tripalium.

Figura 3: Il tripalium come strumento di tortura

Pare evidente, dalla sua connotazione etimologica e quella biblica, che “lavorare”

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v Il lavoro come operatività e risultato

Alcuni vocaboli che riguardano il lavoro alludono, invece, al suo risultato o all’operatività tecnica dello stesso. Tale è il vocabolo operare, sia latino che italiano, connesso a opus, il prodotto del lavoro. E’ questa la radice comune anche al tedesco werk,

all’inglese work e ad altri vocaboli il cui senso è agire, far funzionare. Nel momento in cui

il prodotto del lavoro diventò fonte di ricchezza, i vocaboli che indicavano l’attività lavorativa vennero associati al concetto di patrimonio. Così in latino pecus = pecora, cioè il

prodotto dell’allevamento, dà vita al vocabolo pecunium = pecunio, che significa

patrimonio in un’epoca in cui questo era costituito dal bestiame. Analogamente, i vocaboli italiani guadagno, guadagnare derivano dagli antichi vocaboli della lingua dei Franchi,

waida = pascolo e waidajan = pascolare, così come il vocabolo grana (derivato dal plurale

del latino granum = grano, cioè il prodotto tipico del lavoro agricolo) e significato di

denaro, ricchezza.

v L’era industriale e l’evoluzione dei vocaboli inerenti al lavoro

Con l’avvento dell’era industriale si sviluppò un nuovo paradigma del lavoro che diede importanza al mercato, al denaro e all’organizzazione. Vennero introdotti vocaboli quali: fabbrica, forza lavoro, organizzazione, sciopero, ecc. Abbiamo poi dei termini come

scioperare dal latino exoperare = uscire dall’operatività. Organizzazione, un vocabolo che muove dal vocabolo greco antico ergon = lavoro, opera. Fabbrica (dal verbo latino fare) o azienda (dal latino agenda = le cose da fare). Nella fabbrica i nomi che indicavano i

lavoratori fanno allusioni al corpo (braccio, mano, capo) e alle relazioni gerarchiche o sociali (impiegato, mestiere, padrone). Inizialmente l’insieme dei lavoratori veniva denominato forza lavoro, dal nome dell’oggetto che essi esclusivamente scambiavano col datore di lavoro. Si parlava, quindi, di manovali (da mano al posto del braccio del bracciante agricolo), di operai comuni (cioè intercambiabili), di operai di mestiere (dal latino ministerium, derivato da minus = quelli che sono meno), di capi (da capo = testa, cioè operai a capo di altri operai) e di impiegati (dal latino implicatus) cioè implicati negli affari del

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personale per indicare l’insieme dei dipendenti. E’ questo un vocabolo che allude alle persone e alle caratteristiche distintive di ogni individuo. Oggi si parla di risorse umane e questa designazione allude all’idea che ogni persona può nascondere, come il sottosuolo, risorse impreviste che possono giovare alla comunità aziendale.

Negli ultimi anni sono comparsi altri vocaboli che designano nuove forme di lavoro: il lavoro flessibile (da flettere), cioè elastico e il lavoro precario (da prece = preghiera), cioè

ottenuto per grazia e non per diritto. La flessibilità pone l’accento sull’opportunità per il lavoratore di cambiare lavoro nel corso della vita, di crescere e svilupparsi senza rimanere ancorato al posto fisso a tempo indeterminato. La precarietà, invece, mette l’accento sugli aspetti degenerativi del contratto di lavoro flessibile (intermittenza lavorativa, limitazione di alcuni diritti tradizionali, incertezza previsionale, con riflessi sulla pianificazione della vita personale e familiare). Torna comunque a contare la percezione emotiva del lavoro da parte del lavoratore. La continuità/discontinuità nel rapporto di lavoro è percepita da alcuni come sicurezza contrapposta a insicurezza e da altri come limitazione del proprio talento contrapposta a opportunità di apprendimento e sviluppo. Negli ultimi tempi si sono aggiunti due vocaboli per indicare due tipi di lavoratori in rapporto alla disponibilità o alla resistenza ai contratti di lavoro flessibili: il surfista (quello favorevole) che affronta il passaggio da un lavoro temporaneo all’altro come un’occasione per cimentarsi e formarsi in attività diverse. Il naufrago (quello sfavorevole) che si aggrapperebbe a qualsiasi scoglio pur di avere un futuro lavorativo, anche modesto, ma certo.

v In economia:

Il lavoro, dal punto di vista economico, è un’attività, remunerata o meno, che permette la produzione di beni e servizi. È un servizio utile che si rende alla società e soprattutto a sé stessi, e prevede la concessione sistematica al pubblico di un bene in cambio di un altro, in forma di compenso non sempre monetario. Nel mondo moderno l'attività lavorativa viene esplicata con l'esercizio di un mestiere o di una professione o con il perseguimento di determinati risultati e ha come scopo la soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi. In ambito socio-economico, lavorare significa occupare il tempo nel fare qualcosa di produttivo, traendone un vantaggio generalmente economico. Infatti, con il

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termine occupato si definisce lo status del lavoratore e, con il suo opposto, disoccupato, si definisce lo status di chi non ha un lavoro come un soggetto in cerca di una (prima) occupazione. Il lavoratore dipendente ha generalmente una controparte, con la quale instaura un rapporto di lavoro regolamentato tipicamente da un contratto di lavoro.

In Italia, si distinguono, dal punto di vista giuridico, il lavoro subordinato (indica un rapporto di lavoro nel quale il lavoratore cede il proprio lavoro ad un datore di lavoro in modo continuativo), il lavoro parasubordinato, e quello autonomo.

1.2. Cenni storici

La storia e la preistoria ci insegna che l’Uomo ai primi tempi della sua esistenza sulla terra era cacciatore, pescatore e raccoglitore. Oltre a vestirsi, fabbricarsi un rifugio o un riparo, si dedicava a quelle attività principalmente per nutrirsi. Nonostante il fatto che erano destinate al solo consumo, quelle attività erano, in qualche modo, di carattere lavorativo poiché richiedevano sforzo e energia e soprattutto gli permettevano di soddisfare i suoi bisogni. Dall’antichità fino a tempi nostri, passando dal medioevo, il lavoro si è in qualche

modo concretizzato con la diversificazione delle attività nelle quali l’Uomo s’impegnava per soddisfare i suoi bisogni che ormai non sono più gli stessi di millenni fa. Si passa dalle attività di consumo a quelle di scambio, poi di produzione e di commercializzazione. Oltre alla caccia e alla pesca che si sono sviluppati e modernizzati, trovano spazio delle attività come l’allevamento, l’agricoltura e l’artigianato. Con l’industria, la più recente forma delle attività organizzative, le realtà lavorative subirono un forte cambiamento. Durante il lungo periodo dell'antichità, l'agricoltura rimase predominante: se l’attività produttiva esisteva, era limitata a tre prodotti principali: utensili, vestiti e ceramica. Non c'era forza motrice oltre a quella dell'uomo, impiegato in abbondanza e a basso costo. Le miniere, i grandi progetti e le imprese erano delle proprietà statali.

L’Egitto antico è stato, senza dubbio, una realtà cui fare referenza quando si parla di organizzazione e di gestione del lavoro. Una delle caratteristiche fondamentali di questa civiltà era l'assolutismo di stato: il faraone (e la sua amministrazione) era il fondamento del sistema, con legittimità religiosa, politica ed economica. L'amministrazione gestiva il territorio e i governatori dei distretti, sia i funzionari giudiziari sia quelli amministrativi,

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sempre stata altamente centralizzata e gerarchica. La ragione fondamentale dell’importanza dell’Egitto nello sviluppo del pensiero manageriale risiede nell’aver illustrato, per la prima volta (3000 anni a.C.), il trinomio “pianificazione / organizzazione / controllo” in una definizione di funzione che ha dimostrato la sua efficienza nelle grandi opere. Inoltre, è stato osservato che duemila anni a.C., si menzionava (nella persona del re Hammurabi) il concetto di salario minimo, Il concetto di responsabilità / colpa era la regola. Sotto il regno di Nabucodonosor, furono usate tecniche di controllo della produzione in cambio di salari variabili e stimolanti.

2. L’evoluzione nel lavoro: lavoro e condizione umana

2.1. Lavoro e necessità

Per sopravvivere, l'Uomo deve mangiare, ripararsi, vestirsi ecc. Ciò spiega perché deve lavorare, vale a dire, trarre dalla natura beni e cose (trasformarli se necessario) utili alla sua esistenza. Questo vale per il genere umano anche perché, se un individuo scegliesse di non lavorare accontentandosi delle proprie risorse per comprare da un altro individuo, i beni necessari alla soddisfazione dei suoi bisogni, approfitterebbe comunque del lavoro di qualcun’altro che, attraverso i suoi sforzi, ha trasformato le materie prime per produrre i beni. In un primo senso, il lavoro si riferisce alla relazione primordiale tra uomo e natura. Esprime la necessità per ogni uomo di badare a se stesso e ciò viene realizzato al netto di uno sforzo (dispendio di energia) talora doloroso e penoso. Il lavoro è quindi necessario ed è vissuto sotto forma di un vincolo o di una costrizione, imposta all'uomo dall'esterno.

2.2 Lavoro e libertà

Il lavoro esprime la relazione primordiale dell'uomo con la natura: sopravvivere per la specie umana dipende dal suo ambiente naturale, che trasforma per produrre beni utili alla propria esistenza. Isolo in seguito, il lavoro divenne anche il rimedio per questa dipendenza, il mezzo del suo superamento. L'uomo deve lavorare, trasformare le cose della natura in vita, ma sebbene sia un essere naturale come altre specie viventi, il suo modo di essere nel mondo lo rende estraneo, un essere al di fuori della natura, una natura che ora vive come

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ostile e inospitale. Attraverso il lavoro come attività trasformativa della natura, gradualmente addomesticherà, renderà familiare (umanizzare) ciò che era estraneo. Darà forma e significato a ciò che è stato senza forma e senza senso.

Hegel sviluppò l'idea del lavoro come luogo di liberazione o dell’emancipazione dell'umanità20. Per descrivere il processo storico mediante il quale l'umanità si realizzò nel mondo, immagina l'incontro di due esseri dotati di autocoscienza, due volontà, desiderosi di affermarsi e di essere realizzati come volontà nel mondo. Ognuna di queste due volontà poteva essere realizzata come libero arbitrio solo se un'altra libertà, uguale in valore, la riconosceva come tale. Questo riconoscimento era possibile solo nel confronto o nel conflitto delle due volontà, perché ognuno ha bisogno di trovare di fronte a sé una resistenza che gli consenta di sperimentare se stesso come desiderio di affermazione di sé nella sottomissione dell’altro. Quindi tra queste due volontà s’innesca, ci dice Hegel, una lotta fino alla morte. Concretamente queste due volontà possono assumere la forma dell'incontro di due uomini che sono disposti a fare qualsiasi cosa per affermare la propria libertà, ciascuno a spese dell'altro. Qui troviamo la descrizione dello stato di natura di Hobbes in cui ognuno è uguale a tutti gli altri ed è quindi sempre pronto a impegnarsi nella guerra di tutti contro tutti. Il vincitore, la volontà che sarà riconosciuta come libertà, sarà la volontà che non è asservita da alcun determinismo, in particolare non è asservita alla necessità di vivere. Egli accetterà di rischiare la sua vita nella lotta. L'altro preferirà sopravvivere come schiavo piuttosto che correre il rischio di morire. “Sceglierà” quindi di sottomettersi.

In questa guerra il vincitore non uccide il suo prigioniero perché è il riflesso permanente della sua vittoria. Ha bisogno della sottomissione dell'altro per riaffermare costantemente la sua libertà. Va notato che la parola “schiavo” deriva dal latino “servus” che significa “colui che è stato preservato”. Il maestro costringe lo schiavo a lavorare, mentre lui gode delle comodità dell'esistenza. Lo schiavo provvede così ai bisogni del padrone: coltiva la terra, mantiene la casa, tesse gli abiti, fabbrica gli strumenti e le armi ecc. Il maestro non conosce i rigori del mondo materiale, ha lo schiavo per questo che si frappone tra lui e il mondo. Ma il maestro, la cui unica occupazione è la guerra, viene gradualmente conquistato dall'ozio. Non sa più fare nulla e diventa dipendente dal saper fare dello schiavo. Perché lo schiavo, costantemente impegnato a lavorare, impara a conoscere la natura, a controllarla usando la

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