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4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

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Academic year: 2021

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4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

I risultati delle prove preliminari hanno determinato la scelta della sonda biologica riguardante le camere test e i materiali. Per quanto concerne la scelta dei materiali, le analisi non hanno mostrato differenze significative tra le camere test e le piastre sterili comunemente utilizzate per l’esecuzione del saggio in laboratorio. La scelta della tipologia di camera definitiva, con un'unica apertura con rete di maglia 55 μm, al di là della elaborazione dei risultati ottenuti, è stata dettata soprattotto da esigenze pratiche. Infatti le camere inizialmente utilizzate con 2 e 3 aperture presentavano al loro interno elevate quantità di materiale particellato che rendeva molto complessa la localizzazione e il conteggio degli embrioni. Tale effetto si riduceva drasticamente nelle camere con una sola apertura e soprattutto con la successiva scelta della rete con maglia da 55 μm. Tale misura garantisce comunque il ricambio d’acqua ed è maggiormente confrontabile a quella impiegata in studi di letteratura (20 – 30 μm), che hanno valutato lo sviluppo embrionale di altri organismi esposti in situ alla colonna d’acqua (Beiras et al., 2001; Geffard et al., 2001).

I risultati preliminari hanno mostrato una forte contaminazione, sia in situ che in laboratorio, delle acque dei siti L1 e L2 posti all’interno dell’area portuale di Livorno. Tutta quest’area risulta infatti fortemente antropizzata, motivo per cui è stata riconosciuta sulla base della L. 137/97 come “area critica da elevata concentrazione di attività industriali”, poi Sito di Interesse Nazionale (SIN) ai fini della bonifica. Difatti sono presenti attività produttive di tipo chimico (classificate come “industrie a rischio d’incidente rilevante”), numerose attività commerciali, depositi di prodotti chimici oltre che di solventi e oli minerali. Vi sono inoltre alcune aree adibite al trattamento di rifiuti tossici, al traffico di rame e materiali non ferrosi (Sartori, 2006). I due siti scelti per lo studio rientrano inoltre tra quelli utilizzati per il piano di monitoraggio della vasca di colmata del porto, condotto dai ricercatori ISPRA di Livorno a partire dal 2001. A conferma dei risultati ottenuti nel presente lavoro di tesi, le analisi precedenti avevano mostrato alti livelli di contaminazione della colonna d’acqua (Pellegrini, com. pers.). In particolare, ad esempio, nei mitili impiegati per il mussel watch, è stato osservato un alto bioaccumulo di metalli come Cr, Cu e Zn, di idrocarburi policicilici aromatici ad alto peso molecolare (tipici di attività industriali), oltre a un disturbo biologico rilevato dall’analisi dei biomarkes (Regoli et al., 2010).

Considerata l’assenza di embrioni normoformati riscontrata nelle stazioni campionate (L1 e L2), ad eccezione che nella prima prova del 12.05.2010, è emersa l’esigenza di scegliere siti con minori livelli di contaminazione per poter meglio testare la metodologia in situ (S1). Si è riscontrata anche la difficoltà di avere un sito di controllo in mare, considerato che le zone a minori livelli di contaminazione come la L3 sono normalmente più esposte alle mareggiate. Si è quindi provveduto

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a individuare due siti lontani da possibili fonti di contaminazione e meno esposti al moto ondoso: S2 e S3. In particolare S3 è localizzato nell’area da cui provengono anche gli organismi di P.lividus utilizzati per i differenti saggi di spermiotossicità e embriotossicità, un sito quindi ritenuto non soggetto a inquinamenti.

Le prove di laboratorio effettuate a diverse temperature hanno mostrato l’assenza di effetti tossici sullo sviluppo embrionale, e piuttosto un’influenza sulla velocità dello sviluppo larvale. Al riguardo si è riscontrata una diminuzione del tempo necessario al raggiungimento dello stadio di pluteo 4 braccia passando da 13°C (con 96-120 h) a 24°C (con 24-48 h), temperatura che nel Mar Mediterraneo viene raggiunta nel periodo estivo. Questo ultimo dato può costituire un’utile indicazione per l’esecuzione di prove di campo durante una stagione in cui generalmente cessa l’emissione dei gameti. Da questo punto di vista, oltre al test di laboratorio, potrebbe essere quindi applicabile anche un saggio in situ con temperature massime dell’acqua almeno fino a 24°C, accorciando a 2 giorni il periodo d’esposizione. Riguardo invece alla temperatura di 13°C, che in mare si raggiunge nel periodo invernale, le prove effettuate hanno indicato un tempo di 96-120 h per il raggiungimento dello stadio di pluteo a 4 braccia, contro le 72 h a 18°C riportate dalla letteratura per la standardizzazione del protocollo metodologico da impiegare (Arizzi Novelli, 2002; Volpi Ghirardini et al., 2005; Lera et al., 2006). Questa informazione è stata di fondamentale importanza per il presente lavoro di tesi perché ha permesso di determinare il prolungamento del periodo d’esposizione in situ degli embrioni durante la stagione invernale, momento in cui sono state effettuate le prove definitive. Il dato inoltre risulta in accordo con quanto riportato da Beiras et al. (2001).

Per quanto riguarda le prove definitive, nei saggi eseguiti in laboratorio i siti indagati hanno mostrato percentuali di plutei normoformati elevate, con valori superiori al 70%, percentuale identificata in letteratura come valore soglia per considerare un campione come controllo (Arizzi Novelli, 2002; Volpi Ghirardini et al., 2005; Lera et al., 2006). In situ i valori sono risultati più bassi rispetto ai dati di laboratorio in tutte le date e in tutti i siti, ad eccezione che il 15.02.2011 in S2 e S3 (sito di controllo a mare). La maggiore confrontabilità è presente per S3, uno dei 2 siti utilizzati come controllo e sito “nativo” degli organismi utilizzati. Tale sito si è confermato come reale controllo in mare, presentando un valore medio dei test in situ superiore al 70%. I valori mediati tra le date hanno mostrato una quantità maggiore di embrioni normoformati in condizioni di laboratorio rispetto a quelli ottenuti tramite l’esposizione in situ. Per quanto concerne le prove effettuate sui gameti trasportati in campo, i valori di EC50 si confermano in linea con quelli della carta di controllo del laboratorio di tesi (21,69 - 68,18 µg/l; Sartori, com.pers.), rilevando così l’assenza di uno stress dei gameti dovuti al trasporto.

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Nonostante alcuni studi abbiano rilevato minori tossicità in laboratorio (Hose et al., 2006) o differenze non significative (DeWitt et al, 1999; Kater et al., 2001; Castro et al., 2003), in numerosi altri casi, in accordo con quanto osservato anche nel presente lavoro, i saggi biologici condotti in situ hanno rilevato livelli di tossicità maggiore rispetto alle prove di laboratorio (Sasson-Brickson e Buron, 1991; Pereira et al., 1999; Moreira et al., 2002,; Anderson et al., 2004; Burton et al., 2005; Salamanca et al., 2009). Tale fenomeno si è verificato in questo studio in particolare per i siti S1 e S2 che, ad eccezione di S2 il 15.02.2010, hanno mostrato in tutte la date valori significativamente minori rispetto alla prova condotta in laboratorio. Tutti i valori di sviluppo risultano più bassi del 70% e molti testimoniano un’elevata tossicità, una volta confrontati con una scala di tossicità ipotizzata per campioni tal quali (senza alcuna diluizione necessaria per il calcolo di una ECxx.) Dal confronto con questa scala di tossicità, che tiene conto della correzione di Abbott e del confronto dei dati in situ con quellli di laboratorio (§2.3.1), tutti i campioni rientrerebbero nella categoria “tossicità alta” (24 < A < 56, P < 0,05) o “tossicità molto alta” (A>56, P < 0,05).

Si è riscontato inoltre che questi risultati non dipendono da un artefatto dovuto alla metodologia in situ, visto che nelle stesse date di campionamento e con lo stesso pool di gameti si sono ottenuti buoni risultati nelle prove di campo condotte nel sito di controllo (S3). Le minori percentuali osservate in situ possono essere spiegate da molti fattori che operano nell’ambiente naturale e che risultano difficilmente controllabili, anche a causa delle variabilità spaziale e temporale che sono molto più elevate in campo rispetto alle condizioni “ideali” di laboratorio (Pereira et al., 1999). In particolare alcuni fattori di stress, noti con il termine di confounding factors, possono interferire anche in modo rilevante sulla variazione del segnale biologico. Questi fattori possono essere controllati in condizioni di laboratorio, permettendo così di valutare solo gli effetti dovuti alla contaminazione. Ciò però è difficilmente attuabile in situ. Di conseguenza la risposta di campo della specie test risulta influenzata da tutte le interazioni tra i fattori di stress di tipo sia chimico che fisico che avvengono nel sito d’esposizione (Baudo et al., 1999). Alcuni autori individuano temperatura, salinità, pH, ossigeno, potenziale redox, irraggiamento, idrodinamismo, come alcuni dei possibili confounding factors che operano in condizioni di campo (Baudo et al., 1999; Anderson et al., 2004; Salamanca et al., 2009). Per quanto riguarda il presente studio, in tutti i siti e in tutte le date non sono state riscontrate sostanziali variazioni dei parametri chimico-fisici analizzati (temperatura, salinità, pH, ossigeno disciolto), ancorchè misurati ad inizio e fine test. In particolare per la temperatura, sono stati considerati gli effetti della variazione stagionale mediante le specifiche prove di laboratorio, come sopra riportato.

Per una maggiore completezza dei dati, nelle ultime prove in situ sono state effettuate anche alcune analisi chimiche delle acque. In particolare sono stati ricercati i valori di metalli (As Cd, Cr, Pb, Cu

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e Zn) e idrocarburi totali. In aggiunta a queste analisi sono stati quantificati anche i solidi sospesi presenti. I risultati hanno mostrato assenza di Cd in tutte le stazioni e valori molto bassi per gli altri metalli. Non è stata registrata inoltre la presenza di idrocarburi. Questi valori indicano l’assenza di evidenti contaminazioni anche se la stazione S1 si è confermata quella con i livelli più alti. In occasione di questa ultima prova di embriotossicità, si è riscontrata la maggiore tossicità in situ rispetto a tutte le prove effettuate. Di conseguenza i risultati osservati sullo sviluppo larvale di P. lividus nelle condizioni di campo potrebbero dipendere da eventi di stress/contaminazioni avvenuti durante il periodo d’esposizione e non identificabili all’inizio della prova, né per contaminazioni evidenti né per elevati valori dei fattori di confusione, entrambi misurati. Tra i possibili fattori di stress ha probabilmente un ruolo importante l’idrodinamismo. Difatti un aumento del moto ondoso può sottoporre la sonda biologica a un elevato stress meccanico. Inoltre un effetto indiretto sugli embrioni consiste nell’aumento della risospensione di particellato ad opera delle mareggiate, con conseguente aumento della probabilità d’interazione con i contaminanti eventualmente presenti nei sedimenti e possibile modificazione di alcuni parametri chimico-fisici della colonna d’acqua.

A conclusione di questo studio possiamo evidenziare i seguenti principali vantaggi della metodologia in situ:

 Innazitutto la specie utilizzata e in particolare il saggio di embriotossicità, si è rivelato “sensibile” e logisticamente “idoneo” per studi di questo tipo,

 Sono stati integrati nel tempo gli effetti della presenza di eventuali tossici e delle loro interazioni con altri fattori ambientali, permettendo un’interpretazione più realistica della contaminazione dei siti oggetti di studio, confermando la scelta del sito di raccolta degli organismi (S3) come sito di controllo a mare.

 L’impiego dei materiali utilizzati, senza costi ulteriori rispetto al classico approccio di laboratorio, non comporta particolari risorse economiche aggiuntive.

Tuttavia sono emersi anche alcuni aspetti negativi, soprattutto da un punto di vista logistico:

 Maggiore impiego di tempo legato alla costruzione e manutenzione delle camere-test oltre che alla maggiore frequenza dei prelievi rispetto ai saggi di laboratorio.

 Necessità di condizioni meteo-marine non eccessivamente perturbate nell’area di studio e durante il periodo d’esposizione, in particolare nel momento della messa in campo e del recupero della sonda biologica.

 Non trascurabile anche il rischio di furti o danneggiamento dei materiali, che aumentano in funzione del periodo d’esposizione e soprattutto della “visibilità” delle sonde in situ.

In aggiunta a vantaggi/svantaggi, nel corso dello studio sono emerse alcune difficoltà dovute alla carenza di studi di confronto e di protocolli standardizzati. Ciò ha accresciuto l’impegno

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nell’esecuzione del metodo. Per questo motivo sono state condotte, come si è visto, le prove preliminari. In quest’ottica, il presente studio, che ha sviluppato una metodologia sperimentale, costituisce un primo passo verso un possibile sviluppo di metodi standard che facilitino una maggiore diffusione dell’approccio in situ.

Per quanto riguarda le prospettive future sono comunque utili approfondimenti di indagine, volte ad esempio a meglio valutare l’effetto dei fattori chimico-fisici, incrementando i prelievi durante il periodo di esposizione in situ , soprattutto in relazione alla variazione delle condizioni meteo-marine delle aree costiere. Un’ulteriore verifica potrà essere quella dell’applicazione del metodo proposto nei periodi estivi e in aree salmastre (esempio le foci fluviali).

Risulta comunque auspicabile l’utilizzo anche di altre specie test, al fine di ampliare la possibilità di un confronto con le risposte biologiche di altri organismi-test. In questo senso sarebbero utili esperimenti tesi a valutare la fattibilità dell’utilizzo in situ di una vera propria batteria di saggi biologici. La definizione di un’adeguata batteria potrebbe essere in grado di coprire un ampio spettro di ruoli trofici, livelli evolutivi, habitat e vie di esposizione, fornendo una realistica risposta alla contaminazione presente nell’ecosistema oggetto di studio (Volpi Ghirardini e Pellegrini, 2001).

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