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BIOMARKERS E TENSORE DI DIFFUSIONE NEL CARCINOMA MAMMARIO

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

BIOMARKERS E TENSORE DI DIFFUSIONE

NEL CARCINOMA MAMMARIO

Relatori

Chiar.mo Prof. Emanuele Neri

Chiar.ma Prof.ssa Carolina Marini

Candidato

Alessandro Farro

Anno Accademico 2017/2018

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INDICE

Riassunto ... 5 Epidemiologia ... 6 Incidenza ... 6 Mortalità ... 7 Sopravvivenza ... 8 Prevalenza ... 8 Fattori di rischio... 9 Prevenzione secondaria ... 10

Screening nella popolazione generale ... 10

Mammografia ... 11

Risonanza magnetica mammaria ... 12

Tomosintesi ... 13

CESM (contrast enhanced spectral mammography) ... 15

Screening in donne ad alto rischio ... 16

Presentazione clinica ... 17 Diagnosi... 20 Anamnesi ... 20 Esame obiettivo ... 20 Esami strumentali ... 23 Mammografia bilaterale ... 23 Ecografia ... 24 Risonanza magnetica... 25 Istopatologia ... 26 Sottotipi molecolari ... 27 Stadiazione ... 28

Classificazione secondo il sistema TNM ... 29

Tecnica del linfonodo sentinella ... 32

Storia naturale ... 34

Fattori prognostici e predittivi ... 34

La risonanza magnetica della mammella ... 35

Vantaggi ... 36

Svantaggi ... 37

Indicazioni ... 37

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Timing di esecuzione ... 38

Risonanza magnetica di diffusione ... 39

Il fattore b e ADC ... 41

Criticità della DWI ... 42

Risonanza magnetica con tensore di diffusione ... 43

Principi fisici ... 44

Ruolo della DTI nella diagnosi del carcinoma mammario ... 46

Indici di anisotropia nell’imaging con tensore di diffusione ... 47

Scopo ... 48

Materiali e metodi ... 48

Possibili limiti della sequenza DWI ... 50

Risultati ... 50

Conclusioni... 51

Bibliografia ... 52

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ABBREVIAZIONE DESCRIZIONE

CM carcinoma mammario

ER estrogen receptor

Pgr progesterone receptor

HER2 epidermal growth factor receptor 2

MIP maximum Intensity Projection MPR multi planar rendering

MRI magnetic resonance imaging

CE contrast enhanced magnetic resonance

DBT digital breast tomosynthesis

MS mammography screening

US ultrasound

ROI region of interest

STIR Short T1 Inversion Recovery

DWI diffusion weighted imaging

DTI diffusion tensor imaging

ADC apparent diffusion coefficient

DCE dynamic contrast enhancement

SNR signal noise ratio

FA anisotropia frazionale LA anisotropia lineare SA anisotropia sferica FD fast diffusion SD slow diffusion

DBT digital breast tomosynthesis LNS linfonodo sentinella

FGT fibroglandular tissue

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Riassunto

La risonanza magnetica mammaria è la tecnica di imaging a più alta sensibilità nell’identificare le neoplasie mammarie grazie alla capacità di rilevare i fenomeni neoangiogenici, non riuscendo peraltro a fare diagnosi di natura benigno/maligno, DD demandata alla biopsia percutanea.

L’inserimento della sequenza di diffusione (DWI) pre-contrasto nella RM mammaria permette una ulteriore caratterizzazione nel senso di cellularità delle lesioni in studio tramite l’ADC. Tumori con elevati livelli di Ki67 e grading sono maggiormente cellulati, presentando una proliferazione cellulare incotrollata, con conseguente diminuzione della capacità di diffusione delle molecole d’acqua in essi contenute rispetto al parenchima circostante. Immagini pesate in diffusione DWI, avranno ADC più alto nelle lesioni a maggior contenuto idrico e

conseguentemente valore più basso nelle lesioni ipercellulate.

L’imaging con tensore di diffusione (DTI) rappresenta un ulteriore passo avanti nella tecnica standard di diffusione DWI. Infatti il DTI investiga non solo la mobilità delle molecole d’acqua ma anche la sua direzionalità, in quanto è dimostrato che la mammella non è isotropa.

Le cellule cancerogene nei dotti e nei lobuli aumentano la tortusità e limitano il movimento dell’acqua causandone una riduzione del coefficiente di diffusione in tutte le direzioni e nel movimento anisotropico. Pertanto questo coefficiente può essere aggiunto ai biomarkers del carcinoma mammario in quanto indicativo della struttura tissutale del reperto.

La DWI valuta la cellularità, la DTI valuta la struttura architetturale mostrando una maggiore alterazione della struttura (FA) delle lesioni maligne rispetto alle benigne e delle benigne rispetto al tessuto normale.

Ne nostro studio la FA non risulta essere influenzata dal fibroglandular tissue (FGT) così come non risulta statisticamente significativa la correlazione con i vari sottotipi molecolari.

Mentre risulta significativa la correlazione dell’FA con il grado di BPE del tessuto mammario circostante. Le differenze in BPE appaiono influenzare gli indici di anisotropia frazionale (FA), lineare e sferica (nel tumore) ed in particolare a valori più bassi dei tre parametri

corrispondono mammelle con BPE moderato/marcato e viceversa.

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Epidemiologia

Il carcinoma della mammella, escludendo i carcinomi cutanei, è la neoplasia più frequente nelle donne (28% di tutti i cancri) ed è responsabile del 14% delle morti per cancro nel sesso femminile1. In Europa, considerando uomini e donne insieme, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro ha stimato che vengono diagnosticati 464.000 nuovi casi all’anno di carcinoma mammario (il 99% dei casi nelle donne)2.

Figura 1: IARC/WHO Europa 2012, incidenza prevalenza e mortalità

Incidenza

In Italia ogni anno vengono diagnosticati circa 50.200 nuovi casi di carcinoma mammario, più di 1 caso all’anno ogni 1000 donne, e rappresenta la prima causa di mortalità per neoplasia nelle donne3. Mediamente il rischio, per una donna italiana, di ammalarsi di carcinoma della mammella è del 13%. Questa percentuale varia in base all’età:

- Il 2,3% fino all’età di 49 anni (1 donna su 45) - Il 5,2% tra i 50 ed i 69 anni (1 donna su 19) - Il 4,4% dopo i 70 anni (1donna su 23)

La curva di incidenza cresce fino agli anni della menopausa (50-55 anni), rallenta lievemente dopo la menopausa e torna a salire dopo i 60 anni. E’ degno di nota riscontrare che i tumori fra le donne sotto i 50 anni sono una minoranza ma da 5 anni la loro frequenza tende ad aumentare considerevolmente. Considerando le frequenze nelle varie fasce d’età, i tumori della mammella rappresentano il tumore più frequentemente diagnosticato sia tra le donne nella fascia d’età fra 0-49anni (41%), sia nella classe d’ età 50-69anni (32%), sia in quella

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sopra i 70aa (22%). Invece il trend d’incidenza del tumore della mammella in Italia appare in leggero aumento mentre continua a diminuire in maniera significativa la mortalità (-2,2% per anno)

Mortalità

Il CM è il tumore con più alta mortalità nelle donne. In Italia le neoplasie maligne della mammella sono circa 25 000 casi per anno e costituiscono (con il 17%) la prima causa di morte per tumore nella donna. Essi rappresentano il 29% delle cause di morte oncologica prima dei 50 anni; il 21% tra i 50 ed i 69 anni ed il 16% dopo i 70 anni

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Sopravvivenza

I dati italiani di sopravvivenza a 5 anni, dopo diagnosi di CM, indicano un importante incremento passando dal 78% del 1992 fino all’ 87% del 2007 con dati migliori rispetto la media europea. Complessivamente in Italia vivono 700.000 donne che hanno avuto diagnosi di CM. L’aumento della sopravvivenza a cui si è assistito negli ultimi 20 anni è dovuto certamente al miglioramento delle terapie ed alla prevenzione secondaria (screening)4. Numerosi studi hanno dimostrato come lo screening mammografico5 riduce la mortalità6. La sopravvivenza non presenta eterogeneità elevata nelle diverse fasce di età ma si evidenziano dei valori di sopravvivenza leggermente inferiori al meridione rispetto al centro e nord Italia (rispettivamente 85% sud, 87%centro, 88%nord)

La prognosi e la sopravvivenza del CM variano in base al sottotipo molecolare7. Il sottotipo Luminal A è il più comune ed è quello con prognosi migliore, inoltre, insieme al Luminal B è quello che ha una sopravvivenza maggiore. I sottotipi basal like ed Her2+/ ER- sono quelli con profilo più aggressivo e con minore sopravvivenza.

Prevalenza

Complessivamente in Italia vivono 767.000 donne con diagnosi di carcinoma mammario, rappresentando il 43% di tutte le donne con una diagnosi di tumore e il 23% di tutti i casi di tumore in uomini e donne3

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Fattori di rischio

Il rischio di ammalarsi di CM aumenta progressivamente in maniera lineare fino alla menopausa (50-55anni), correlabile all’effetto proliferativo degli estrogeni sull’epitelio mammario, per poi subire un rallentamento nel periodo postmenopausale. I fattori di rischio correlabili al carcinoma mammario sono8:

Fattori riproduttivi/ormonali

- Lunga durata del periodo fertile con menarca precoce o menopausa tardiva, la quale comporta una aumentata esposizione agli estrogeni

- Nulliparità o prima gravidanza dopo i 30 anni - Mancato allattamento al seno

- Terapia estrogenica sostitutiva in menopausa

- Età: il carcinoma mammario è un tumore il cui rischio aumenta con l’età, è relativamente raro prima dei 50 anni e molto raro prima dei 40 anni.

Familiarità ed ereditarietà

Vi è un 15-20% di pazienti con storia familiare di carcinoma mammario ma in cui ancora non è stato identificato il fattore genetico ereditario. Di questi, un sottogruppo del 5% ,sono tumori ereditari, dovuti principalmente alla mutazione BRCA1/BRCA2. BRCA1 e BRCA2 sono

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geni oncosoppressori che codificano per proteine zinc finger coinvolta nella riparazione del DNA. Le donne con allele mutato hanno almeno il 60-80% di probabilità di sviluppare tumore della mammella ed un 33% di ca. ovarico. Solitamente queste mutazioni sono più frequenti nei carcinomi insorti in età giovanile rappresentando il 10% dei tumori diagnosticati prima dei 40 anni.

Fattori dietetici e metabolici

- Obesità (incremento della concentrazione estrogeni in postmenopausa, che riflette l’aumento della attività aromatasica nel tessuto adiposo)

- Alcol

- Sindrome metabolica - Diabete

Radioterapia del torace o precedenti tumori al seno

Prevenzione secondaria

La prevenzione secondaria è un’attività diagnostica periodica ed organizzata rivolta a donne asintomatiche con lo scopo di una diagnosi precoce del carcinoma mammario. La gestione dello screening mammografico si basa sull’età della paziente e sul rischio di sviluppare un carcinoma mammario e varia nella popolazione generale rispetto alle donne ad alto rischio.

Screening nella popolazione generale

Lo screening mammografico nella popolazione generale per la diagnosi precoce del CM è stato uno dei progressi reali di maggior rilievo. I benefici apportato sono sostanziali dato che

l’individuazione preventiva contribuisce in maniera drastica nel ridurre la mortalità da carcinoma della mammella. Le evoluzioni future per una sempre più accurata diagnosi precoce includeranno: protocolli di rischio basali su misure che in primo luogo estendano l’arco di età su cui effettuare lo screening; nuovi strumenti di produzione di immagine; l’ottimizzazione dei programmi esistenti, attraverso un miglior monitoraggio.

Al giorno d’oggi gli esami clinici e strumentali hanno, nell’ambito dello screening del CM nella popolazione generale, le indicazioni riportate:

- Autopalpazione: non evidenzia efficacia nello screening9

- Valutazione clinica della mammella: non evidenzia efficacia nello screening10,11 - Ecografia: non evidenzia efficacia nello screening. Al momento non è nota la

quantificazione degli effetti collaterali (in numero di falsi positivi ed aumento del numero degli interventi chirurgici per overdiagnosis) derivati dall’aggiunta dell’eco ai programmi di prevenzione.12,13

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- Rx mammografica bilaterale: è il test più efficace per lo screening del CM. In Italia nelle donne fra i 50-69 anni la MS è raccomandata con cadenza biennale; nelle donne nella fascia d’età fra i 40-49 anni la MS andrebbe eseguita personalizzando su misura la cadenza temporale di esecuzione in base alla paziente (presenza di familiarità, densità del tessuto mammario). Nel nuovo piano nazionale di prevenzione viene suggerito di estendere

l’invito alle donne di 45-49anni a sottoporsi alla Mx con cadenza 12-18 mesi14; nelle donne di età ≥ 70 anni non è stata rilevata nessuna evidenza scientifica sulla efficacia della rx mammografica nello screening. Il PNP però suggerisce di considerare l’estensione della MS per le donne di età 70-74 .

Mammografia

La Mx utilizzata come test di screening ha dimostrato infatti di ridurre il RR di mortalità da CM nella maggior parte degli studi randomizzati tranne che in quelli canadesi (The Canadian Contamination)15. La metanalisi inglese con oltre 13 anni di follow up ha evidenziato che lo screening mammografico determina una riduzione relativa della mortalità per carcinoma del 20%, simile a quanto riportato da altre metanalisi svolte da altri gruppi scientifici

internazionali.

La riduzione relativa di mortalità per CM è diversa nelle varie fasce d’età ed è pari al 14% per le donne di età 50-59anni e al 32% per quelle di età 60-69, riflettendo l’aumentata sensibilità della mammografia con l’aumentare dell’età in relazione ad una riduzione della densità mammaria.16

Il beneficio derivante dallo screening mammografico si valuta invece come numero di donne che devono essere invitate/screenate per prevenire una morte da carcinoma mammario nei trials di screening mammografico17. Anche questo beneficio è molto variabile fra le varie metanalisi ed i differenti studi presi in considerazione variano da 113 a 720 donne che devono essere screenate e da 235 a 2.000 donne invitate per prevenire una morta da CM. Questa così ampia variabilità dipende dall’età delle donne invitate/screenate, dalla durata dello screening e dalla lunghezza del follow up.

Negli studi si passa da una morte da carcinoma evitata per ogni 1.902 donne screenate nella fascia d’età 39-49 anni, ad una morte evitata per 1.339 donne screenate nella fascia d’età 50-59 anni, ad una morte evitata per 377 donne screenate nella fascia d’età 60-69 anni,

riflettendo ancora una volta l’aumentata sensibilità della mammografia e l’aumentata incidenza con l’aumentare dell’età.

Negli ultimi 15 anni lo screening mammografico è stato messo in discussione per l’eccesso di overdiagnosis, per la quota rilevante di falsi positivi ed accertamenti inutili soprattutto nella fascia d’età 40-49 anni; inoltre il beneficio dello screening nei decenni si è ridotto in termini di impatto sulla mortalità in seguito alla ampia applicazione della CT adiuvante.18

Mentre c’è un consenso generale sull’utilità della mammografia nella fascia d’età 50-69 anni; rimane aperta la valutazione sia nelle altre fasce d’età, in particolare quella 40-49 anni, e sia sulla cadenza temporale ottimale nell’esecuzione dello screening. Per la fascia d’età 40-49 anni la U.S Preventive Service Task Force ha modificato le linee guida sull’utilizzo della mammografia come test di screening riservandola solo alle donne ad alto rischio. Infatti, per le donne a basso rischio, l’alto tasso di falsi positivi e la bassa sensibilità della Mx in questa fascia d’età, rendono il rapporto rischio/beneficio inadatto a supportare lo screening19,20. Queste conclusioni sono però state messe in discussione da numerosi studi, soprattutto uno

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studio non randomizzato condotto in Svezia21, dove l’efficacia dello screening in questa fascia d’età è stata valutata confrontando i tassi di mortalità per tumore tra aree che avevano attivato il programma di screening per almeno 6 anni ed aree che non lo avevano effettuato. Una riduzione relativa del tumore della mammella pari al 26% è stata documentata nelle donne invitate a sottoporsi alla MS, mentre una riduzione del 29% si è avuta nelle donne screenate, con una riduzione maggiore nelle donne di età compresa tra i 45-49 anni rispetto a quelle più giovani. Lo studio, insieme ad alcune metanalisi, confermano come esista una riduzione del rischio relativo di mortalità derivante dallo screening mammografico condotto nella fascia d’età 40-49 anni.22 Queste osservazioni confermano l’esigenza, in questa fascia d’età, di eseguire la mammografia con cadenza personalizzata nella singola donna in base ai sui fattori di rischio ed alle preferenze individuali.

Nella fascia d’età ≥70 anni i dati presenti sono ancora pochi e derivanti dallo studio svedese Two County23. Pertanto, visto il numero esiguo di donne arruolate ed il dato mancante relativo al numero assoluto di morti in questa fascia d’età, non è stato possibile evidenziare una riduzione significativa della mortalità per CM24. Per tale motivo lo screening non viene raccomandato.

Per quanto concerne la cadenza con cui sottoporsi allo screening mammografico, la U.S PSTF consiglia la mammografia di screening per le donne di età compresa tra i 50-74 anni con cadenza biennale (sulla base di studi non randomizzati che mostravano una riduzione simile della mortalità in donne sottoposte a screening con mammografia annuale rispetto a Mx ogni 18-33 mesi25). In un’analisi basata sui dati dalla Breast Cancer Surveillance Consortium del NCI, lo screening con mammografia biennale rispetto allo screening Mx annuale, non è associato ad un rischio aumentato di diagnosi di carcinoma mammario nelle donne di età maggiore di 50 anni, mentre risulta essere associato ad un aumentato rischio in donne di età compresa 40-49 anni. Questa differenza sembrava supportare lo screening a cadenza annuale fra i 40-49 anni26, in realtà la minore sensibilità della mammografia è dovuta alla maggiore densità del parenchima mammario in questa fascia d’età. Per quanto riguarda l’utilizzo della mammografia digitale rispetto quella analogica, va evidenziato come la mammografia digitale riesca ad aumentare il contrasto tra il tumore ed il parenchima normale circostante, in

particolare nelle mammelle con tessuto mammario denso, migliorando di conseguenza la sensibilità nei pazienti più giovani. Le due tecniche(analogica e digitale) presentano

globalmente la stessa accuratezza diagnostica ma nel sottogruppo di donne con età inferiore a 50 anni, nelle donne con tessuto mammario denso oppure eterogeneamente denso, e nel sottogruppo di donne pre e peri- menopausale, la mammografia digitale risulta avere un’accuratezza diagnostica significativamente più elevata rispetto alla mammografia analogica.

Risonanza magnetica mammaria

La risonanza magnetica mammaria non è raccomandata come indagine di screeening nella popolazione generale.

La MR mammaria presenta una sensibilità maggiore nella diagnosi di carcinoma mammario rispetto alla mammografia, accanto ad una minore specificità e ciò comporta un maggior tasso di falsi positivi. Diversi studi hanno dimostrato globalmente, in quasi il 50% dei casi, che la risonanza magnetica trova ulteriori reperti rispetto all’utilizzo della mammografia e della ecografia mammaria27. Questo comporta che un paziente su 5 viene sottoposto a biopsia dei

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nuovi reperti ma solo in un caso su otto (12%) viene diagnosticato un ulteriore focolaio di carcinoma. Oltre a ciò la MR non è in grado di rilevare le microcalcificazioni (visibili invece alla mammografia ed espressione di carcinoma duttale) e l’impatto dello screening con MR sulla sopravvivenza globale non è stato ancora valutato da nessuno studio clinico. Esistono solo casistiche condotte su pazienti con diagnosi di carcinoma e sottoposte a completamento diagnostico con la risonanza mammaria. In particolare, è stato dimostrato che, a distanza di 8 anni, non c’è nessuna differenza in numero di recidive locali, metastasi a distanza, mortalità correlata al tumore e mortalità globale. In aggiunta una metanalisi condotta su 2.600 casi di carcinoma mammario, ha evidenziato che con la risonanza magnetica preoperatoria vengono diagnosticati ulteriori focolai di carcinoma. Il riscontro di questi focolai ha portato a

modificare l’intervento chirurgico ed overtreatment con mastectomie inutili. La risonanza oltre tutto non è associata ad una diminuzione dei margini positivi di resezione chirurgica dopo terapia conservativa, ad una riduzione delle ri-escissioni oppure ad una riduzione delle recidive tumorali locali; mentre comportano un aumento delle mastectomie e delle

mastectomie profilattiche controlaterali sia nel carcinoma invasivo che in quello in situ. Infine va tenuto in considerazione che ad oggi rimane ambiguo il significato degli ulteriori focolai tumorali riscontrati alla risonanza, ovvero se si tratta di focolai di malattia indolente o meno. Il ruolo della risonanza magnetica nello screening del carcinoma lobulare in situ è stato valutato in uno studio retrospettivo dove alcune donne venivano valutate con la sola mammografia annuale mentre altre con mammografia e risonanza magnetica. Nell’ambito delle pazienti che avevano ricevuto entrambi gli esami, la MR ha diagnosticato un carcinoma mammario nel 4% dellle donne con mammografia negativa.

Ad oggi la risonanza magnetica come metodica di screening complementare ma non sostitutiva alla mammografia, trova indicazione:

- Nelle donne ad alto rischio

- Nelle donne a rischio moderato che presentano una storia personale di CLIS o CDIS, iperplasia duttale atipica; mammelle particolarmente dense (ACR4)

Tomosintesi

Il limite maggiore della mammografia (sia digitale che analogica) è la bassa sensibilità nel tessuto mammario denso. Con la mammografia aumentano il numero di cancri misconosciuti, in quanto la sovrapposizione delle strutture anatomiche nelle immagini 2D limita il

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Con la tomosintesi si combinano immagini convenzionali acquisite a due dimensioni con immagini tridimensionali multistrato. Il tubo catodico compie un arco di rotazione (±8 a ±30) rispetto all’asse verticale, raccogliendo una serie di proiezioni della mammella sotto diverse angolazioni, mentre rimangono ferme la mammella ed il detettore.

Le immagini vengono rielaborate con un algoritmo analogo a quello impiegato in TC e la dose di una tomo è sostanzialmente sovrapponibile a quella di una mammografia standard (1,6 mGy). La

mammella viene visualizzata scorrendo le immagini corrispondenti a diverse sezioni d’organo perpendicolari all’asse verticale. La ricostruzione a strati della tomosintesi riduce o elimina il problema causato dalla sovrapposizione dei tessuti anche se il limitato angolo di rotazione non consente una completa cancellazione dei particolari contenuti nei piani sovrastanti e sottostanti quello di interesse (“ombre di trascinamento”). Nonostante questo i particolari anatomici nel piano di interesse appaiono ben rilevabili con un rapporto segnale/rumore molto maggiore.

Numerosi trials clinici stanno valutando l’efficacia della tomosintesi, come esame di primo livello, nel programma di screening del carcinoma della mammella in donne asintomache28. I risultati iniziali mostrano una aumento del tasso di individuazione (Oslo DR˃ 40%). Inoltre gli studi iniziali mostrano una riduzione del tasso di

richiamo, quindi la tomosintesi sembra migliorare l’efficienza ed aumenta la compliance delle donne al programma di screening. Le esperienze in corso di utilizzo della DBT29 come esame di screening di 1 livello mostrano come la rilevazione con DBT debba essere integrata alla mammografia 2D per aumentare la specificità.

I vantaggi della DBT sono :

- Maggior valore predittivo positivo - Riduzione del numero di richiami - Minor numero di falsi positivi Invece gli svantaggi della DBT sono:

- Costi maggiori

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- Formazione operatori

- Maggiore durata esame DBT rispetto Mx 2D

- Maggior dose alla paziente effettuando DBT e Mx 2D ( la dose ghiandolare media dovuta alla doppia proiezione è pari a circa 2.2 mGy riconducendo questa metodica nel range di dose ghiandolare accettabile secondo le linee guida europee per la qualità assicutata nello screening del carcinoma mammario. Inoltre per una donna che partecipi all’intero programma di screening, il numero di esami mammografici rimarrebbe pressoché invariato (passando da 18 a 19).

CESM (contrast enhanced spectral mammography)

La mammografia digitale dual energy CESM è una metodica di indagine mammografica che sfrutta la differenza di coefficiente di attenuazione del fascio dello iodio. Si somministra il mezzo di contrasto iodato endevena, durante una singola compressione del seno, e viene effettuata una doppia esposizione: una a bassa energia pari alla Mx standard ed una ad alta energia. Così facendo si ottengono due immagini, una a bassa energia uguale ad una immagine di mammografia, ed una immagine ricombinata dove l’enhancement è correlato alla

neoangiogenesi tumorale.

La cesm è stata applicata sia per lo screening mammografico che per valutare la risposta alla chemioterapia neoadiuvante nei tumori localmente avanzati inoperabili. La risposta alla CTNA si valuta analizzando la variazione di dimensione della lesione e del tipo di vascolarizzazione. La cesm rispetto alla mammografia ed all’ecografia presenta una maggiore sensibilità e specificità nel definire le lesioni mammarie. La metodica più utilizzata nella valutazione della risposta alla CTNA rimane la MR con mdc, però la cesm può essere considerata una valida alternativa alla risonanza magnetica nella misurazione delle lesioni tumorali trattate con CTNA in tutte le pazienti con controindicazioni alla MR

(claustrofobia, pacemaker, volume corporeo maggiore del volume del gantry). Oltre a ciò la cesm ha mostrato maggiore precisione nel definire il residuo tumorale in alcuni sottotipi istologici come il carcinoma lobulare.

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metodica cesm. Non responder alla CTNA metodica cesm. Responder alla CTNA

Screening in donne ad alto rischio

Nelle donne ad alto rischio per importante storia familiare di carcinoma mammario o perché portatrici di mutazioni BRCA1/BRCA2, i controlli mammografici dovrebbero iniziare all’età di 25 anni oppure 10 anni prima dell’età di insorgenza del tumore nel familiare più giovane (nonostante l’acclarata bassa sensibilità della mammografia in questa fascia d’età).

La risonanza magnetica con cadenza annuale come metodica di screening30, in aggiunta alla mammografia e all’esame clinico, trova indicazione nelle donne con:

- Mutazione BRCA1 o BRCA2

- Lifetime risk del 20-25% secondo i comuni modelli di predizione del rischio - Anamnesi di radioterapia a carico delle pareti toraciche all’età di 10-30 anni - Diagnosi di sindrome di Li Fraumeni, Cowden

Recentemente è stata pubblicata una metanalisi che ha valutato i dati di studi di fase3 placebo controllati di chemioprevenzione su donne ad elevato rischio di malattia con modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni SERMs: tamoxifen,raloxifene,arzolixifene, lasofoxifene. Ad un follow up mediano di 65 mesi l’utilizzo dei serms ha determinato una riduzione del 38% dell’incidenza del carcinoma duttale infiltrante ed in situ. La riduzione è stata molto pù marcata nei primi 5 anni di trattamento ma si è mantenuta anche nei successivi 5 anni di follow up. L’utilizzo dei chemioterapici ha determinato come effetto collaterale un aumento degli eventi tromboembolici accanto ad una riduzione significativa di incidenza di fratture vertebrali. Sulla base di questa metanalisi il National Institute for Health and Care Excellence ha pubblicato le nuove linee guida nelle quali viene indicato che il trattamento in prevenzione con tamoxifene in premenopausa e con raloxifene in postmenopausa, dovrebbe essere offerto a donne con elevato rischio definito secondo il modello di Tyrer-Cuzick. Il modello predice il rischio di ammalarsi di carcinoma mammario valutando la combinazione di storia familiare, esposizione endogena agli estrogeni, iperplasia atipica, densità mammografica, con il fine di indicizzare il tasso di rischio di sviluppare il CM a 10 anni. Quindi possono essere incluse nel trattamento chemiopreventivo donne con carcinoma lobulare in situ o iperlpasia duttale

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atipica dopo exeresi oppure donne con mutazione di BRCA1/BRCA2. Nelle donne con rischio moderatamente elevato il trattamento con tamoxifene potrebbe essere considerato31. L’uso di tamoxifene in premenopausa e di raloxifene in postmenopausa, per la riduzione del rischio del carcinoma mammario è validato dalla FDA nelle donne ad aumentato rischio. E’ da notare che l’uso di tamoxifene ha ridotto dell’ 86% il rischio di cancro nelle donne con pregressa iperplasia duttale atipica. Nel resto di Europa, eccetto che nel Regno Unito, l’uso dei serms in chemioprevenzione è ad oggi off-label. L’uso degli inibitori dell’aromatasi si è dimostrato efficace in due trials di fase 3 placebo controllati32, per questo motivo il NICE nel 2017 ha aggiornato le proprie linee guida indicando che il trattamento preventivo con anastrozolo in postmenopausa33 dovrebbe essere offerto alle donne ad elevato rischio, tranne coloro che presentano una severa osteoporosi. Ad oggi l’indicazione all’uso degli inibitori dell’aromatasi per la chemioprevenzione34 del carcinoma mammario non è registrata in nessun Paese ed il suo utilizzo è quindi off-label.

Presentazione clinica

La patologia neoplastica della mammella è in una larga maggioranza dei casi asintomatica o paucisintomatica. I sintomi di neoplasia sono rappresentati dagli aspetti descritti di seguito:

- Nodulo di consistenza duro lignea. La paziente può riferire la comparsa di un nodulo di consistenza dura rispetto al parenchima circostante, non dolente e non arrossato. Inoltre, nella metà delle pazienti con nodulo palpabile sono associate metastasi nei linfonodi ascellari.Nelle donne in età fertile la presenza di questo nodulo è riferita come

immodificata nel corso del ciclo mestruale. Di solito la paziente non riferisce dolore e la lesione è descritta in accrescimento non troppo rapido. La mastalgia o mastodinia è una condizione clinica presente nelle donne di tutte le età. Essa è per lo più da correlare ai cambiamenti ormonali e morfologici della ghiandola dal telarca al climaterio. Spesso può essere condizionata da alterazioni posturali, da dimagrimenti o da un aumento ponderale piuttosto rapido. Sovente la mastalgia si presenta per ragioni di tipo psicologico associate a lutti familiari, alterazioni della sfera psicosessuale, diagnosi di carcinoma della

mammella a familiari prossime.

- Retrazione della cute sovrastante il nodulo (“dimpling”) spontanea o provocata. etrazione del capezzolo, nei casi in cui il tumore è localizzato nella porzione centrale della mammella

- Deformazione del profilo mammario e/o del complesso areola-capezzolo, in presenza o meno di noduli palpabili, che determina una visibile asimmetria con la mammella controlaterale. I noduli benigni della mammella si distinguono dai maligni perché

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solitamente non determinano distorsioni del profilo mammario, edema della cute o retrazione del complesso areola-capezzolo. Essi si manifestano tipicamente nelle donne giovani (noduli solidi agli esami strumentali) e nelle donne fra i 35 e i 50 anni (più frequentemente noduli cistici agli esami strumentali). Le forme solide giovanili possono avere anche una crescita rapida. Le forme cistiche sono spesso dolenti ma l’evacuazione delle cisti risolve la sintomatologia dolorosa. Anch’esse possono insorgere e svilupparsi molto rapidamente.

- Secrezione ematica o sieroematica dal capezzolo in presenza o meno di noduli palpabili. L’eventuale secrezione può essere uniporica o multiporica, in base al numero di unità che la producono. In base alla consistenza e al colore possiamo distinguere:

una secrezione lattescente (tipicamente bianca/giallastra e caratteristica della donna gravida o di situazioni in cui è associata a disturbi ormonali);

una secrezione sierosa (lesioni benigne dei dotti retroareolari);

una secrezione ematica (in presenza di neoplasie benigne o maligne, invasive e non)35.

- Linfoadenopatia ascellare. Le neoplasie maligne della mammella possono insorgere anche con adenopatie nelle regioni ascellari e nelle fosse sovraclaveari.

In alcuni rari casi la patologia mammaria maligna può fare il suo esordio già in stadio metastatico senza evidenza di noduli palpabili.

- Arrossamento ed ispessimento della cute di una parte o della intera mammella

(carcinoma infiammatorio).Questo cambiamento del seno può avvenire molto

velocemente e può assomigliare ad una mastite. Nella mastite carcinomatosa la cute acquisisce la tipica conformazione a buccia d’arancia; si presenta tenera al tatto, calda e tumefatta, con linfedema cutaneo dovuto all’infiltrazione delle cellule neoplastiche nei vasi linfatici che comportano un’ostruzione del drenaggio linfatico. La paziente può riferire prurito, dolore, calore insolito e fastidio alla mammella. Oltretutto la paziente può notare un’involuzione verso l’interno del capezzolo, una

decolorazione che dà al seno un aspetto rosso/viola contuso ed ingrossamento dei linfonodi claveari. Il carcinoma mammario infiammatorio è un raro tipo di cancro che si sviluppa rapidamente ed è considerato d’emblée un tumore localmente avanzato.

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- Ulcerazione dell’areola o del capezzolo oppure ulcerazione della cute sovrastante il nodulo.Le erosioni e l’eczema della cute del capezzolo possono essere sintomo di una malattia neoplastica del complesso areola-capezzolo denominata malattia di Paget. In questo caso va posta la diagnosi differenziale con altre malattie della cute ed è opportuno eseguire una consulenza dermatologica. Il work-up diagnostico prevede come sempre l’esecuzione di una mammografi a. La malattia di Paget può essere associata alla presenza di un carcinoma intraduttale della mammella con microcalcifi cazioni associate; altre volte si associa a noduli solidi della mammella. La studio diagnostico va completato con la biopsia del complesso areola-capezzolo (punch-biopsy o biopsia chirurgica).

Figura: Erosione del capezzolo nella malattia di Paget

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Diagnosi

Anamnesi

Per la diagnosi del carcinoma mammario si inizia con l’anamnesi familiare e fisiologica, in cui si indagano: età della paziente, età del menarca e menopausa, n° gravidanze, età prima

gravidanza, familiarità CM, allattamento, precedenti patologie mammarie. Dopo si passa all’anamnesi patologica senologica in cui si investigano epoca di comparsa del nodulo,

associazione o meno con a dolore, presenza di secrezioni dal capezzolo o alterazioni della cute

Esame obiettivo

L’esame obiettivo è sempre comparativo, è indispensabile andare ad osservare

simultaneamente entrambe le mammelle per poter notare le differenze morfologiche fra le due. L’esame obiettivo va eseguito a torace completamente esposto e con illuminazione radente la superficie cutanea in modo da identificare la presenza di retrazione cutanea. Per l’esame obiettivo, sia ispettivo che palpatorio, la paziente va posta seduta con mammelle pendule. All’ ispezione si devono valutare: forma, volume e simmetria delle due mammelle, la presenza di deviazione dei capezzoli. Si deve indagare il profilo e la superficie cutanea

notando se ci sono evidenze di retrazione cutanea, ulcere o eritema cutaneo, edema con “cute a buccia d’arancia” e la presenza di discromie con alterazione della colorazione della cute. Inoltre, si deve valutare il pattern venoso evidenziando se sono rilevabili vene rigonfie. In secondo luogo, va esaminato il complesso areola-capezzolo che di norma non deve essere retratto, non deve mostrare ulcerazione e deve presentarsi simmetrico al controlaterale. Nella gran parte delle donne il capezzolo è estroflesso, ma in alcune donne può non sollevarsi sul piano areolare o presentare addirittura una morfologia ombelicata. L’ispezione mammaria in vista del trattamento chirurgico prevede anche un’analisi della morfologia della ghiandola. Devono essere analizzate alcune misure caratteristiche, valutate sulla superficie della parete toracica, la forma della ghiandola, il suo volume e lo spessore del tessuto sottocutaneo. Per

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eseguire queste stime occorre disporre di un decimetro e di un plicometro. Con la paziente in ortostatismo con le braccia disposte lungo il torso si procede prima di tutto alla valutazione della simmetria bilaterale e si passa poi all’analisi del livello dei solchi sottomammari. Questi di norma sono posti allo stesso livello bilateralmente, alcune volte tuttavia ci possono essere dislivelli che non superano gli 1-2 cm in condizioni fisiologiche. Si procede quindi con la misurazione della distanza tra giugulo e capezzolo, di quella tra solco e areola e della

larghezza della mammella. In condizioni ottimali, nella donna adulta questa misura varia tra i 19 e i 22 cm; in casi particolari può superare anche i 30 cm. Con l’impiego del plicometro si stima lo spessore cutosottocutaneo che ricopre la componente ghiandolare. La misurazione del volume mammario non è molto agevole (metodo per immersione, analisi con immagini di risonanza magnetica o con altre tecnologie). Solitamente la misura della larghezza della mammella è abbastanza indicativa delle dimensioni ghiandolari. La distanza tra giugulo e capezzolo rappresenta, in combinazione con il posizionamento del capezzolo stesso rispetto al solco sottomammario, una stima della ptosi mammaria, parametro caratterizzante la

morfologia.

La ptosi della mammella viene classificata come segue (classifi cazione secondo Regnault):

grado I: il complesso areola-capezzolo si trova all’altezza del solco o fi no a 1 cm al di sotto

di esso;

grado II: il complesso areola-capezzolo si trova da 1 a 3 cm al di sotto del solco;

grado III: il complesso areola-capezzolo si trova a più di 3 cm al di sotto del solco;

pseudoptosi: la ghiandola mammaria decombe in gran parte al di sotto del solco senza che il

complesso areola-capezzolo si trovi a un livello inferiore.

In alcune condizioni particolari le mammelle assumono una forma a tubero (mammelle

tuberose) caratterizzata da un diametro molto ampio del complesso areola-capezzolo e da una

marcata ptosi. In una condizione patologica, detta malattia di Poland, si ha un’agenesia

completa o parziale del muscolo pettorale e della ghiandola mammaria sovrastante. I rilievi palpatori vanno eseguiti sia in ortostatismo sia a letto, con lo schienale leggermente inclinato. In entrambe le posizioni la paziente è invitata a posizionare le braccia flesse dietro la nuca in maniera da esporre completamente la superficie mammaria. La palpazione viene condotta con la mano a piatto che scorre sulla cute, in modo da individuare la presenza di edemi o di neoformazioni dello strato cutaneo e sottocutaneo. Quindi si procede con la palpazione profonda eseguita con una delicata pressione, volta ad apprezzare la componente ghiandolare e a identifcare eventuali noduli e irregolarità. La ghiandola mammaria in

condizioni fisiologiche è maggiormente apprezzabile nella porzione retroareolare, ha una consistenza tesoelastica e un aspetto di tipo fibronodulare nelle donne in età fertile, è dolente e turgida nelle gravide e nelle puerpere, è soffice in postmenopausa per il prevalere della componente ghiandolare.I principali reperti palpatori di anormalità riguardano: l’irregolarità nella forma del nodulo, margini mal definiti, consistenza duro-lignea, poca mobilità del nodulo rispetto i piani sottostanti, assenza di dolorabilità.La sola palpazione non consente di

distinguere i noduli solidi (indipendentemente dalla loro natura) dai noduli liquidi che tuttavia solitamente sono fortemente dolenti e ballottabili.

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Un nodulo solido con caratteristiche di benignità ha di solito consistenza tesoelastica o anche dura, ma usualmente i margini sono regolari e la neoformazione non infiltra il piano cutaneo e la parete toracica. I noduli solidi possono essere del tutto asintomatici e non dolenti alla palpazione. Spesso sono mobili sul piano ghiandolare. Un nodulo sospetto per neoplasia ha invece consistenza dura e margini irregolari. Il grado di sospetto aumenta se all’ispezione si osservano anche la retrazione del piano cutaneo e/o la distorsione del profilo mammario. Un’infiltrazione della parete toracica (non del solo muscolo grande pettorale) è di solito scarsamente valutabile senza l’ausilio della diagnosi strumentale. Alla palpazione della ghiandola in alcuni casi si può associare la spremitura del complesso areola-capezzolo per valutare la presenza ed il tipo di secrezione; il capezzolo deve essere simmetrico al

controlaterale, si deve valutare la sua direzione, il colore, la tessitura (soprattutto se la paziente in anamnesi riferisce di ritrovare gemizi nel reggiseno). Tutte le secrezioni del

capezzolo vanno esaminate mediante striscio su vetrino per esame citologico. Di solito i polipi, la malattia fibrocistica e lesioni maligne portano un sanguinamento dal capezzolo; invece una secrezione biancastra lattescente bilaterale deve far pensare ad una iperprolattinemia

(qualunque secrezione potenzialmente maligna è generalmente monolaterale). Infine, è importante la palpazione ascellare per lo studio delle stazioni linfonodali consensuali del cavo ascellare e delle fosse sovraclaveari. L’esame deve essere comparativo ed eseguito prima di qualsiasi procedura chirurgica o diagnostica invasiva. I linfonodi con caratteristiche sospette per metastasi sono di consistenza dura, tondeggianti, talvolta di diametro sensibilmente aumentato, altre volte sono riuniti in pacchetti o adesi alle altre strutture anatomiche. I linfonodi benigni invece hanno tipicamente una consistenza tesoelastica, sono mobili e di piccole dimensioni e modicamente dolenti effettuata con paziente seduta e con le braccia sulle nostre spalle, andando a rilevare in cavità ascellare la presenza di linfoadenopatie. In alcune pazienti il primo sintomo di una patologia mammaria (prevalentemente neoplastica) può essere dato da un’adenopatia del cavo ascellare in assenza di un nodulo palpabile. Anche in questo caso vanno avviate le procedure del triplo assessment. L’esame clinico fornisce indizi sul grado di sospetto per malignità, la mammografa e l’ecografia possono dimostrare la

presenza di noduli sospetti che vanno sottoposti ad accertamento. Nel caso in cui non si riesca a identifcare una sede mammaria di lesioni sospette, si può procedere a un’RM seguita da un

second look ecografico o eventualmente da una biopsia RM-guidata. Se anche dopo questo

ulteriore step diagnostico non si dovessero evidenziare lesioni mammarie, si deve procedere con una biopsia percutanea ecoguidata delle strutture linfonodali sospette. La diagnosi differenziale ovviamente va posta con le neoplasie del sistema linfatico, che generalmente si manifestano con un quadro clinico ben differente da quello di un tumore della mammella (febbre, dimagrimento, sudorazione, astenia, ulteriori adenopatie presso altre stazioni linfonodali).

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Esami strumentali

Mammografia bilaterale

La mammografia, la quale impiega radiazioni ionizzanti, identifica tutte le componenti della ghiandola mammaria con aumentata densità. Le lesioni neoplastiche hanno aspetto

spiculato,iperdenso, deformano il parenchima

mammario circostante e frequentemente contengono microcalcificazioni. Altre volte la Mx può presentare aree a contorni sfumati, talora anche irregolarmente tondeggianti ma sempre ad elevata densità36.

Mammofrafia. Nodulo a proiezione craniocaudale (a) e laterale (b)

Invece una lesione in situ della mammella si presenta con microcalcificazioni caratteristiche(granulari,lineari,pulvirulente,ramificate)

Figura. Microcalcificazioni in proiezione laterale e cranio-caudale

La mammografia viene refertata assegnando un punteggio secondo la classificazione BI-RADS

(Breast Imaging Reporting and Data System)37. La classificazione BI-RADS

proposta dall'American College of Radiology (ACR) è un significativo ausilio alla

pianificazione diangnostico-terapeutica, presentandosi come modello valutazione del rischio e di garanzia della qualità per la mammografia e nel fornire uniformità nei reports. La

classificazione BI-RADS38 presenta:

o BI-RADS 0: esame non conclusivo per il quale sono richiesti ulteriori approfondimenti. o BI-RADS 1: valutazione complessiva completa, la componente ghiandolare è

simmetrica con assenza di distorsioni architetturali o calcificazioni sospette o BI-RADS 2: si tratta anche in questo caso di assenza di malattia o lesioni sospette,

tuttavia è presente una lesione benigna come fibroadenomi involutivi e calcificati, lipomi galattoceli,cisti.

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o BI-RADS 3: una lesione rilevata in questa categoria è associata ad un rischio di malignità inferiore al 2%. Non sono attesi cambiamenti durante un periodo di follow up, tuttavia è opportuno verificarne la stabilità. Tre condizioni specifiche sono descritte come probabilmente benigne: masse non calcifiche, asimmetrie focali e aspetto di microcalcificazioni puntate. La gran parte delle lesioni viene seguita con follow up iniziale a 6 mesi e da successivi controlli fino a quando la stabilità della lesione non sia comprovata.

o BI-RADS 4: anormalità mammografica sospetta. In questa classe sono contenute anche le lesioni che seppur non avendo il classico aspetto maligno, hanno un’alta probabilità di esserlo. Per questo motivo è suggerito un successivo accertamento. Dopo

l’esecuzione della biopsia, in caso di concordanza tra imaging e l’esito istopatologico, in presenza di benignità comprovata si richiede la ripetizione di una mammografia a 6-12 mesi per 1 o 2 anni, fino alla dimostrazione della stabilità della lesione. In caso invece di diagnosi di iperplasia lobulare atipica o di CLIS si procede di norma all’exeresi chirurgica39. Se si ottiene una prova della malignità della lesione si procede con la terapia del carcinoma mammario. In caso di discordanza tra imaging ed esame patologico si consiglia di ripetere l’accertamento.

o BI-RADS 5: lesione fortemente indicativa di malignità. In questa classe rientrano tutte quelle lesioni con una tasso di probabilità di malignità > 95%. In questa categoria rientrano lesioni che potrebbero essere trattate chirurgicamente anche senza riscontro istopatologico, anche se in realtà l’esecuzione dell’accertamento bioptico viene sempre richiesto.

o BI-RADS 6: in questa categoria rientrano le lesioni la cui malignità è comprovata.

Ecografia

Lo studio della mammella con gli ultrasuoni consente di distinguere lesioni solide da quelle liquide(cisti). Nelle donne con elevata densità mammografica è indicata come esame

complementare alla mammografia. Non è dimostrata l’utilità della ecografia nello screening, anche se recenti studi ne mettono in risalto la sua efficacia soprattutto nella valutazione della chemioterapia neoadiuvante. L’eco valuta le dimensioni e la regolarità dei margini della

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mammella, mentre con lo studio color Doppler si può evidenziare la vascolarizzazione del nodulo.

ecografia. Nodulo sospetto ecocolor doppler. Nodulo sospetto vascolarizzato

Anche per l’ecografia vale la classificazione BI-RADS:

o BI-RADS 0: in questa categoria rientrano esami non conclusivi per i quali è richiesta l’integrazione con ulteriori indagini diagnostiche. Di solito viene richiesta una mammografia nella donna con massa palpabile ed ecografia BI-RADS 0.

o BI-RADS 1: l’esito è negativo per la presenza di masse, distorsioni architetturali, ispessimento della cute o calcificazioni.

o BI-RADS 2: le cisti rientrano in questa classe, nella quale vanno inclusi anche i cambiamenti postchirurgici, gli impianti protesici che non hanno mostrato modificazioni nei controlli successivi.

o BI-RADS 3: rilievo di probabile benignità (le lesioni presentano un rischio di

malignità< 2%). Include masse solide ovalari con margini regolari. Una biopsia può essere utile per andare a confermare la benignità.

o BI-RADS 4: le lesioni di questa classe presentano un rischio di malignità fra 3-94%. Richiedono un accertamento istopatologico.

o BI-RADS 5: in questa classe vengono comprese lesioni associate ad un rischio di malignità ≥95%. Possono essere inclusi anche i linfonodi sospetti del cavo ascellare. o BI-RADS 6: lesioni con provata malignità prima dell’esame.

Risonanza magnetica

Si tratta di una metodica strumentale di 2° livello che viene impiegata come esame

complementare quando la mammografia e l’ecografia non sono in grado di risolvere i dubbi diagnostici e in tutti quei casi in cui la sua esecuzione può modificare il percorso diagnostico terapeutico. Le indicazioni principali riguardano lo studio del carcinoma mammario

ereditario e familiare e delle pazienti con cicatrici chirurgiche. Altre indicazioni comprendono la valutazione delle pazienti giovani sotto i 35 anni d’età che presentano un sospetto di neoplasia mammaria e le pazienti con imaging di 1° non conclusivo o con sospetto di

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in cui è strettamente indicata, è opportuno disporre di un sistema di biopsie RM-guidato; nel caso non sia possibile si può ovviare con un second look ecografico e con una successiva biopsia percutanea ecoguidata.

Al sospetto diagnostico-clinico deve seguire una conferma scinto-istopatologica della diagnosi.

Istopatologia

Oltre il 95% dei tumori maligni della mammella sono adenocarcinomi, che si dividono in carcinomi in situ e carcinomi invasivi. Il carcinoma in situ è una proliferazione di cellule neoplastiche limitata ai dotti o ai lobuli della membrana basale. Mentre il carcinoma invasivo infiltra la membrana portandosi nello stroma. Le cellule neoplastiche a questo punto possono diffondere verso i vasi linfatici e diffondersi ai linfonodi regionali. (BIBLIOGRAFIA ROBBINS)

Il CM viene classificato in: Forme invasive

- Carcinoma infiltrante di tipo non specifico NST (60-80%), è la forma più frequente - Carcinoma lobulare infiltrante (10-15%)

- Carcinoma midollare (2.5%) - Carcinoma tubulare (2%) - Carcinoma mucinoso (2-3%) - Carcinoma apocrino (1-4%) - Carcinoma neuroendocrino (2%) - Carcinoma cribriforme - Carcinoma micropapillare

Forme non invasive

- Carcinoma duttale in situ. Il numero dei casi di CDIS è drasticamente aumentato dopo l’introduzione della mammografia, in quanto sono identificabili grazie alle calcificazioni - Carcinoma lobulare in situ. Viene riscontrato sempre incidentalmente nelle biopsie in

quanto non dà calcificazione alle mx né addensamenti. Pe questo motivo la sua incidenza non si è modificata dopo l’introduzione dei programmi di screening.

- Iperplasia lobulare atipica

Le lesioni proliferative intraduttali sono un gruppo eterogeneo di difficile distinzione istopatologica in cui si ritrova: il carcinoma duttali in situ, l’iperplasia duttale atipica,l’atipia epiteliale piatta, l’iperplasia duttale usuale. I livelli di rischio di sviluppo di carcinoma infiltrante NST vanno da 1,5 rispetto a quello della popolazione di riferimento per UDH, a 3-5volte per ADH, ad 8-10 volte per CDIS. È stato proposto pertanto di sostituire la terminologia delle lesioni proliferative intraduttali con quella di neoplasia duttale intraepiteliale DIN, lasciando il termine carcinoma ai soli tumori infiltranti.

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Le lesioni proliferative lobulari comprendono tutte le lesioni epiteliali atipiche che originano nell’unità terminale duttulo-lobulare e che sono caratterizzate da una proliferazione di piccole cellule non coese con nuclei piccoli. La distinzione tra iperplasia lobulare atipica e carcinoma lobulare in situ si basa sull’estensione delle lesioni proliferative: infatti il carcinoma lobulare in situ è diagnosticato quando più della metà degli acini di una unità lobulare si presentano distesi e distorti dalla proliferazione di cellule neoplastiche.

Risulta importante sottolineare come la neoplasia lobulare rappresenta un fattore di rischio e non un precursore obbligatorio per lo sviluppo successivo del carcinoma lobulare o duttale, che avviene solo in una minoranza di donne e dopo lungo follow up.

La WHO ha proposto l’introduzione della terminologia di neoplasia lobulare intraepiteliale per marcare la natura non infiltrativa. In base ai criteri morfologici vengono suddivise in tre gradi:

LIN1: iperplasia lobulare atipica LIN2: carcinoma lobulare in situ

LIN3: carcinoma lobulare in situ con necrosi centrale, o pleomorfo, o con cellule ad anello con castone

Sottotipi molecolari

La neoplasia della mammella è una malattia eterogenea con diversi sottotipi di carcinoma che differiscono per il profilo di espressione genica e che sono biologicamente diversi. Nell’ambito del CM riconosciamo almeno 4 sottotipi di tumore, in base al tipo di espressione genica40. Tali sottotipi sono distinti in base ai marcatori immunoistochimici, cioè le proteine espresse. Ciò ha una valenza terapeutica in quanto in base al sottotipo si modifica l’opzione terapeutica. - BASAL LIKE (TNBC)

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Rappresenta il 10-15% di tutti i tumori mammari, presenta negatività per i recettori degli estrogeni, progesterone ed HER2 (ER-/PgR-/HER2-). La prognosi è tendenzialmente peggiore rispetto agli altri sottotipi

- HER2+

Rappresenta il 15% di tutti i tumori mammari ed ha HER2+ ma negatività per i recettori ormonali (HER2+/ ER- PgR-). Sono tumori molto aggressivi ma la prognosi viene

modificata dai trattamenti con i farmaci antiHER2. L’iperespressione di HER2 è un fattore prognostico negativo

- LUMINAL A

Presenta una positività per i recettore degli estrogeni oppure per i recettori del progesterone e negatività per HER2 (ER+ o Pgr+/ HER2-). Frequente nella donna in menopausa, indolente, presenta bassa attività proliferativa e buona prognosi

- LUMINAL B

Presenta due pattern di espressione differenti: • HER2-/ER+ con elevata attività proliferativa • HER2+/ ER+ oppure PgR+

Presentano maggiore aggressività rispetto ai LUMINAL A ma sono tumori ormono sensibili. I luminal A e luminal B rappresentano insieme il 70% dei tumori,gli HER2+ il 15%, i Basal-like il 10/15%.Ulteriore differenza sta nella metastatizzazione, i basal-like e gli HER2+ hanno tendenza maggiore alla diffusione viscerale, mentre i Luminal A ed in parte i Luminal B (ER+) hanno una maggiore diffusione a livello scheletrico.

Stadiazione

Dopo la diagnosi istologica bisogna stadiare la paziente. Gli obiettivi della stadiazione sono la corretta pianificazione del trattamento personalizzato ed avere una prima la valutazione prognostica.

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- Esame clinico

- Esami ematochimici e rilievo di alcuni marcatori quali CEA e CA15.3 (un suo aumento è indice di malattia metastatica)

- Esami strumentali: mammografia, rx torace e ecografia addominale

- Scintigrafia ossea in pazienti ad alto rischio. Una scintigrafia ossea positiva è però poco specifica in quanto trovare un’area di ipercaptazione in una donna anziana può essere irrilevante

- TC, RMN, PET in caso di indicazione clinica

- Esame istologico postchirurgico: importante per pianificare la successiva terapia adiuvante

Classificazione secondo il sistema TNM

Dal 2010 è in uso il sistema di classificazione TNM rivisto dall’ American Joint Commitee on Cancer ( AJCC-settima edizione). La novità è stata l’introduzione di una più chiara definizione di “cellule tumorali isolate” a livello dei linfonodi , la suddivisione dello stadio 1 in 1A ed 1B, la creazione di una nuova categoria di malattia CM0 riferita alla presenza di cellule tumorali nel midollo osseo o di cellule tumorali accidentalmente trovate in altri tessuti. Inoltre viene raccomandata la raccolta di informazioni prognostiche quali il grading istologico, la presenza dei recettori ormonali (ER o PgR) e lo stato HER2, anche se queste caratteristiche non

modificano lo stadio di malattia.

I parametri principali di aggressività della malattia sono: la dimensione del tumore ( risulta importante il cut-off di 2 cm), l’infiltrazione della cute, l’infiltrazione dei piani profondi (in special modo l’infiltrazione della fascia del muscolo grande pettorale, obiettivabile dalla fissità del nodulo rispetto i piani sottostanti), la presenza di linfonodi metastatici e la presenza di metastasi a distanza.

Parametro T

I tumori Tis e T1 (tumore della dimensione massima di 2cm) non sono palpabili e quindi possono essere identificati solo dalla mammografia.

Un tumore viene classificato come T3 quando: è esteso per più di 5cm oppure quando è di dimensione fra i 2-5cm ma provoca retrazione cutanea

Particolarmente importanti sono i criteri dei T4: o il tumore infiltrai muscoli pettorali

o determina ulcerazione cutanea o presenta noduli satelliti

o mastite carcinomatosa (carcinoma infiammatorio, rappresenta la forma tumorale più aggressiva. Viene considerato metastatico indipendentemente dallo status linfonodale o degli organi bersaglio)

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Parametro N

Il parametro N rileva la presenza di metastasi linfonodali. Possiamo avere un N clinico quando si è in presenza di linfonodi palpabili che comunque andranno valutati dall’esame istologico. Ovviamente con la tecnica del linfonodo sentinella andremo a valutare i tumori N0 clinici. L’85% della linfa di tutti i quadranti è drenata dai linfonodi ascellari, l’altra quota è drenata dai linfonodi mammari interni che seguono il decorso dell’arteria omonima. I linfonodi sovraclaveari rappresentano una stazione linfonodale di secondo livello non rappresentando mai sede della prima metastasi linfonodale.

Un tumore N1 presenta metastasi mobili nei linfonodi ascellari omolaterali. L’ N2 è un tumore con metastasi ai linfonodi ascellari omolaterali che risultano fissi oppure la presenza di mts nei linfonodi mammari interni

N3 sono classificati i tumori con metastasi nei linfonodi sovraclaveari omolaterali oppure mts in linfonodi ascellari e mammari interni.

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Parametro M

L’m dà indicazione sulla presenza o meno di metastasi a distanza. Mx le metastasi non sono identificabili, M0 non sono presenti metastasi, M1 metastasi a distanza.

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Tecnica del linfonodo sentinella

Il carcinoma mammario è una malattia sistemica ab initio. La tecnica del linfonodo sentinella rappresenta l’unica tecnica, a bassa invasività, che esprime con certezza lo stato della

diffusione metastatica linfonodale nella paziente (N0 con tecnica del LNS è paragonabile a N0 postchirurgico). Il vantaggio della tecnica LNS è la capacità di effettuare un campionamento adeguato della regione linfonodale ascellare con una minima morbilità per la paziente, fornendo una valutazione accurata ed attendibile dello stato linfonodale con un tasso di falsi negativi estremamente basso (falsi negativi< 5%). La biopsia del linfonodo sentinella è da considerare uno standard terapeutico per le pazienti con carcinoma mammario stadio clinico I-II e linfonodi clinicamente negativi o con linfonodi clinicamente sospetti ma con successivo agoaspirato negativo.

Indicazione: - N0 clinico - Tumori T1-T2

Criteri d’esclusione:

- Tumori multifocali (è richiesta valutazione MR) - Noduli palpabili

Razionale

Per linfonodo sentinella (LNS) si intende il primo linfonodo ad essere raggiunto da eventuali metastasi a partenza dai tumori maligni che diffondono per via linfatica. La diffusione delle metastasi per via linfatica presenta alcuni aspetti peculiari rispetto a quella per via ematica. La diffusione metastatica per via linfatica:

o È più lenta, in quanto deve seguire l’intero percorso linfatico (venendo anche frenata dai linfonodi) prima di arrivare al circolo e di diventare quindi sistemica.

o Procede in modo sequenziale, le cellule neoplastiche avanzano lungo la catena linfatica invadendo per primo il linfonodo più vicino al tumore primitivo e proseguendo via via con gli altri fino a metastatizzare tutto il linfocentro

o La diffusione linfatica è prevedibile in quanto segue le catene linfatiche e raggiunge le stazioni linfatiche tributarie dell’organo colpito dalla neoplasia.

Per questo motivo è importante conoscere la topografia delle vie di drenaggio, per poter prelevare il linfonodo sentinella o più linfonodi in sequenza, da sottoporre all’esame istologico estemporaneo. Il numero ed il grado del coinvolgimento linfonodale, nei linfonodi esaminati, fornirà informazioni sull’aggressività del tumore, sull’ entità della sua diffusione locoregionale e consentirà di effettuare sia la stadiazione della malattia (parametro N) che la prognosi.

Metodologia

La tecnica convenzionale di individuazione del LNS si attua iniettando nel derma della regione cutanea sovrastante al tumore, un tracciante radioattivo (albumina radiomarcata con Tc99 in soluzione fisiologica oppure il blu di metilene). L’iniezione viene praticata il giorno

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tumore. Sfruttando il principio che questa regione cutanea viene drenata dagli stessi linfonodi che drenano il tumore, il giorno dell’intervento avremo che il tracciante si localizza nel

linfonodo sentinella (generalmente 1, max 2-3) che risulta radiomarcato. Il linfonodo verrà asportato mediante chirurgia radioguidata che mediante particolari sonde, rileva il segnale gamma emesso dal Tc99. L’anatomopatologo effettuerà l’analisi estemporanea del linfonodo, riferendo la positività o negatività e fornendo l’indicazione chirurgica corretta per

l’intervento.

Evoluzione delle scelte terapeutiche in base al LNS

Nell’ ambito del tumore mammario il linfonodo sentinella viene asportato in sede operatoria ed analizzato in estemporanea. Quindi:

- se il LNS è coinvolto da metastasi si asportano anche il linfonodi successivi (linfadenectomia radicale del cavo ascellare)

- se invece il LNS non è coinvolto, allora saremo ragionevolmente sicuri che anche i linfonodi seguenti non saranno coinvolti

Stadiazione

In base alla classificazione TNM si elabora la classificazione in stadi a cui si fa riferimento per la classe di appartenenza tumorale.

- Lo stadio 0 è caratterizzato da cellule neoplastiche in situ ed assenza di metastatizzazione linfonodale e a distanza

- Stadio I (a,b) sono tumori T1 oppure con micrometastasi linfonodali - Stadio II caratterizzato generalmente da interessamento linfonodale

- Stadio III caratterizzato da tumori localmente avanzati con pacchetto linfonodale metastatico

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Sedi di metastatizzazione

Le sedi di metastatizzazione più frequenti sono la recidiva locale e la mts linfonodale, a distanza invece sono più frequenti la metastatizzazione polmonare, epatica, ossea. Alcuni tumori HER2+ hanno maggior diffusione a livello encefalico.

Storia naturale

Il tumore alla mammella ha la peculiarità di avere una aggressività estremamente variabile, ci sono alcuni CM che sono molto indolenti, non progredendo per anni oppure, soprattutto nelle pazienti giovani, tumori a rapida evoluzione. Inoltre il carcinoma della mammella ha una fase subclinica lunga ed è un tumore caratterizzato da una precoce diffusione sistemica, è spesso una malattia sistemica “ab initio”, motivo per cui anche nei tumori di piccole dimensioni spesso viene iniziata precocemente la terapia adiuvante. Proprio per questo motivo il

carcinoma della mammella viene considerato come una malattia sistemica e non locale;ciò ha portato a rivedere il ruolo della chirurgia nel trattamento dei tumori al seno passando da interventi complessi ad una chirurgia sempre più meno invasiva e conservativa

(nodulectomia). Ad oggi quindi, per un centro di senologia, non sarà più importante l’abilità tencnico-chirurgica, quanto il coordinamento multidisciplinare (radiologo,oncologo,chirurgo ,chirurgo plastico,psicologo).

Fattori prognostici e predittivi

I fattori prognostici sono importanti per informare la paziente e per decidere se eseguire eventualmente un trattamento adiuvante. Questi fattori son:

- Lo stadio: valutando l’estensione del tumore (T). Risulta difficile individuare un valore soglia al di sopra del quale si possa considerare un tumore a cattiva prognosi anche nei piccoli tumori pT1, pT2 la valutazione del rischio non può prescindere dagli altri parametri. La presenza di metastasi nei linfonodi ascellari (N). La presenza di

micrometastasi o di cellule tumorali isolate41 nel linfonodo sentinella non sembra essere rilevante sulla prognosi della paziente42

(35)

- Il grading istologico (G1,G2,G3): valuta il grado di differenziazione del tumore. Un G3 è considerato un fattore prognostico sfavorevole. Di difficile valutazione invece è il G2, in quanto analizzando le firme di espressione genica si è rilevato che i G2 spesso viene riclassificato come G3 oppure G143

- La presenza di recettori ormonali (ER, PgR). Importante è definire lo stato dei recettori estrogenici e progestinici e riportate la quantità di cellule positive. Le nuove

raccomandazioni ASCO considerano positivi quei tumori con almeno 1% di cellule positive44. I tumori con elevati livelli di recettori sono quelli più responsivi alla terapia ormonale anche se è sempre da valutare lo stato di HER2, il KI67 ed il grading istologico. - La presenza del recettore HER2 sovraespresso. L’iperespressione di HER2, presente nel

13% dei carcinomi mammari, rappresenta un sicuro fattore prognostico e predittivo di risposta ai farmaci anti-HER2 (trastuzumab) e verosimilmente di resistenza al farmaco antiestrogeno tamoxifene45

- L’invasione vascolare o linfatica. L’invasione vascolare non è universalmente accettata come fattore prognostico ma in numerosi studi è stato evidenziato come fosse predittivo di una peggiore sopravvivenza libera da malattia invasiva e di sopravvivenza globale46. - L’ indice di proliferazione (ki67) è sia un fattore prognostico che predittivo47. Ad oggi non

è ancora riconosciuto un cut-off al di sopra del quale il tumore possa essere riconosciuto come ad alta attività proliferativa al fine di predire l’efficacia della chemioterapia.

- Le firme di espressione genica (oncotypeDX, mammaprint): ancora non utilizzate nella pratica clinica ma importanti per catalogare il tumore della mammella in sottogruppi diagnostici differenti. Il test oncotype Dx analizza l’espressione di 21 geni sul tessuto paraffinato e classifica i tumori con i recettori ormonali positvi in base allo score di ricorrenza. Il test mammaprint analizza 70 geni su tessuto fresco congelato (DNA microarray) e permette di classificare i tumori in basso ed alto rischio di ripresa.

I fattori predittivi predicono l’efficacia di un trattamento antitumorale. Esistono dei fattori predittivi che sono però anche fattori prognostici48 quali la presenza dei recettori ormonali (ER o PgR), HER2 sovraespresso, l’indice di proliferazione ki67 (garantisce una buona risposta alla chemioterapia).

La risonanza magnetica della mammella

La risonanza magnetica mammaria è un esame radiologico complementare e non sostitutivo dell’imaging convenzionale rappresentato dalla mammografia e dalla ecografia. L’esame richiede nella maggioranza dei casi la somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico (solitamente chelati del Gadolino) che evidenzia la neoangiogenesi del carcinoma mammario come una struttura iperintensa data dall’accumulo del mdc (enanchement).Oltretutto grazie alla capacità di valutare la mammella secondo molteplici piani di studio e direzioni, l’RM offre un’elevata panoramicità della ghiandola e la possibilità di visione bilaterale delle mammelle.

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La risonanza magnetica mammaria è in grado di identificare la totalità delle neoplasie mammarie maligne (elevata sensibilità) grazie alla capacità di rilevare i fenomeni neoangiogenici alla base del carcinoma49. Tuttavia presenta una bassa specifictà in quanto non riesce a discriminare le lesioni benigne da quelle maligne, aumentando di conseguenza il numero di falsi positivi.

La RM consente di ottenere sezioni sottili bidimensionali e ricostruzioni volumetriche tridimensionali dell’organo esaminato. Come la mammografia, la RM è una tecnica

panoramica, riproducibile ed operatore - indipendente. Come l’ecografia non è

limitata dalla presenza di tessuto ghiandolare mammario denso36.

Le più recenti apparecchiature di RM hanno bobine dedicate, con due nicchie cave ove

alloggiare le mammelle; la paziente è fatta sdraiare in posizione prona, previo posizionamento di un accesso venoso periferico per la somministrazione di mezzo di contrasto (mdc) in fase dinamica. La posizione prona, oltre a garantire un migliore studio dei seni (ottimizzazione del rapporto segnale-rumore), riduce gli artefatti da movimento provocati dal respiro. Con la nascita delle breast unit (20016) e l’apporto di apparecchiatura rm esclusivamente dedicata allo studio della ghiandola mammaria, la risonanza della mammella avrà un maggior utilizzo anche grazie alla possibilità di eseguire biopsie tramite guida Rm.

Vantaggi

I vantaggi dell’utilizzo della risonanza magnetica mammaria sono una elevata sensibilità, capace di rilevare sia lesioni benigne che maligne. L’elaborazione di immagini multiplanari, la

Riferimenti

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