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Emissione di minibond e quotazione in Aim Il caso GIGLIO GROUP SPA

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Specialistica in Banca, Borsa e Assicurazione

Tesi di Laurea

Emissione di Minibond e quotazione in AIM

Il caso GIGLIO GROUP S.p.A.

Relatore: Candidato:

Prof. Federico Cartei Alice Lombardi

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INDICE

INTRODUZIONE……….5

CAPITOLO 1: La struttura finanziaria delle imprese italiane………10

1.1 Ripercussione della recente crisi economica sulle dinamiche di impresa…………10

1.2 La debolezza della struttura finanziaria di impresa: sbilanciamento verso il sistema bancario………13

1.3 Definizione comunitaria di PMI e criticità del finanziamento bancario alle PMI………..19

1.4 Indirizzare le PMI verso un sistema maggiormente orientato al mercato………...25

CAPITOLO 2: Mini-bond: strutturazione dell’operazione e processo di emissione…..29

2.1 Riferimenti normativi………29

2.1.1.1.1 Decreti Sviluppo e Sviluppo Bis………...30

2.1.1.1.2 Decreto Destinazione Italia e Decreto Crescita e Competitività…...35

2.1.1.1.3 L’evoluzione della normativa nel 2016 e i PIR……….36

2.2 Il Mini-bond………...39

2.3 Strutturazione dell’operazione e soggetti coinvolti………...42

2.4 L’emittente Target……….45

2.5 Il ruolo dell’Advisor……….50

2.6 Strutturazione dell’emissione e ruolo dell’Arranger………54

2.7 Il rating……….60

2.7.1 Il rating unsolicited e solicited………..65

2.8 Il percorso verso l’emissione e il ruolo dello studio legale……….68

2.8.1 Ammissione dei mini-bond alla negoziazione su ExtraMOT PRO…….70

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2.9 Il costo dell’emissione dei Mini-bond………..75

2.10 Lo stato attuale del mercato ExtraMOT PRO………78

2.10.1 Le imprese emittenti: i dati empirici………83

2.10.2 La procedura OPS su ExtraMOT PRO………90

CAPITOLO 3: La quotazione delle PMI………...93

3.1 Il progetto ELITE……….94

3.1.1 I soggetti coinvolti………..99

3.1.2 Caratteristiche distintive delle società ELITE………..101

3.1.3 La crescita del progetto………102

3.2 AIM Italia – Mercato Alternativo del Capitale……….107

3.3 Il processo di quotazione AIM………..109

3.3.1 Preparazione alla quotazione………...110

3.3.2 Il Nomade la due diligence………..121

3.4 Procedura di ammissione e collocamento……….125

3.5 Il mercato AIM Italia oggi………128

3.6 Vantaggi e svantaggi del processo di quotazione……….133

CAPITOLO 4: Il caso GIGLIO GROUP SPA………...137

4.1 Storia ed evoluzione della società Giglio Group………..137

4.2 Fattori chiave di successo……….146

4.3 Il mercato di riferimento………...147

4.4 Posizionamento concorrenziale di Giglio Group nei mercati in cui opera…...149

4.5 Quotazione su AIM Italia ed espansione………..150

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CONCLUSIONI………160 BIBLIOGRAFIA………...166 SITOGRAFIA………...167

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INTRODUZIONE

La crisi del mondo finanziario prima e dell’economia reale poi, che ha colpito anche l’Italia a partire dal secondo semestre 2008, è stata definita la peggiore dal secondo dopoguerra. Gli effetti negativi della crisi si sono trasferiti sul sistema produttivo nazionale e sono stati amplificati da quella che storicamente è stata la strategia di finanziamento delle imprese italiane, fortemente dipendente dal canale bancario, patrimonialmente debole e tendenzialmente chiusa a investitori esterni. Queste e altre debolezze derivanti dalla stretta interconnessione tra banche italiane e PMI hanno dato origine e incrementato una stretta creditizia che ha indotto e induce le imprese a ricercare fonti di finanziamento alternative e complementari al canale bancario.

Il fenomeno della disintermediazione bancaria diventa perciò uno strumento fisiologico per fronteggiare il fabbisogno finanziario delle imprese, cercando di offrire più opportunità alle PMI domestiche affacciandole al mercato dei capitali, sia capitale di debito sia capitale di rischio. L’elaborato si propone di analizzare le principali alternative introdotte dal Governo e Borsa Italiana; in particolare, lo strumento del mini-bond, per quanto riguarda il reperimento di capitali a titolo di debito, e la quotazione del mercato AIM Italia – Mercato Alternativo del Capitale.

Nel primo capitolo analizzeremo le ripercussioni della recente crisi economica sulle dinamiche di impresa e la debolezza della struttura finanziaria delle imprese italiane, in particolare le PMI, fortemente sbilanciata verso il sistema bancario. Vedremo poi la criticità di concedere finanziamenti da parte degli istituti di credito nei confronti delle PMI e la conseguente urgenza e necessità di orientare le piccole e medie imprese italiane verso un sistema market-oriented.

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Il secondo capitolo è interamente dedicato allo strumento del mini-bond. Inizialmente faremo un focus sulla normativa di riferimento per poi andare ad analizzare quale siano i vantaggi della piena implementazione e divulgazione dei mini-bond per tutti i soggetti coinvolti; in particolare: intermediari (specialmente bancari), investitori e azienda target. Descriveremo poi le fasi che caratterizzano il processo di emissione del mini-bond, dalla scelta tra le alternative di finanziamento al collocamento presso il mercato dei capitali degli investitori istituzionali. Individueremo i ruoli chiave e gli operatori chiamati a svolgere le mansioni richieste definendo step precisi che rendono il mini-bond uno strumento trasparente. Infine faremo un’analisi del mercato ExtraMOT PRO. Nel terzo capitolo descriveremo le iniziative intraprese da Borsa Italiana al fine di avvicinare le PMI al mercato dei capitali. Presenteremo il progetto ELITE, una piattaforma di servizi integrati pensata e creata per aiutare le piccole e le medie imprese italiane a realizzare i loro progetti di crescita con l’obiettivo di supportare e promuovere lo sviluppo organizzativo e manageriale delle PMI più meritevoli; vedremo come si struttura questo percorso di crescita e i risultati del progetto sino ad oggi. In seguito passeremo ad analizzare il mercato AIM Italia, il processo di quotazione e i soggetti coinvolti in esso, ponendo particolare attenzione al ruolo del Nominated Adviser. Evidenzieremo i vantaggi e gli svantaggi insiti nella scelta di quotarsi ed andremo a vedere come si è evoluto il mercato AIM Italia in questi cinque anni di vita.

Nell’ultimo capitolo presenteremo il caso aziendale: GIGLIO GROUP SPA. L’analisi inizia con la presentazione dell’azienda, la storia, il suo business, l’emissione del mini-bond i cui ricavi hanno permesso alla società Giglio il raggiungimento di obiettivi strategici di fondamentale importanza per il Gruppo. Parleremo poi della quotazione sull’AIM Italia, analizzando i risultati dell’ipo e l’utilizzo dei proventi; arrivando,

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infine, a fare un breve cenno sul passaggio di Giglio Group Spa al segmento STAR di Borsa Italiana.

L’elaborato si chiude con considerazioni generali circa gli effettivi vantaggi che il mini-bond può apportare alle imprese, le criticità dei mercati e sulle prospettive di sviluppo del mercato di questi particolari strumenti finanziari.

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Capitolo 1 - La struttura finanziaria delle imprese italiane

1.1 Ripercussioni della recente crisi economica sulle dinamiche di impresa

La recessione economica degli ultimi anni, iniziata negli Stati Uniti (estate 2007) a seguito delle insolvenze sui mutui erogati (subprime lending), si è rapidamente propagata al mercato finanziario globale, interessando prima le istituzioni finanziarie con una spiccata operatività nella finanza “innovativa” per poi colpire i mercati della liquidità bancaria “più tradizionale”. Gli interventi delle banche centrali hanno, in parte, contenuto i danni derivanti dal blocco dei mercati interbancari ma ciò non è stato sufficiente a restituire livelli di fiducia tali da ripristinare normali condizioni di funzionamento del sistema finanziario.

In Europa la crisi finanziaria, diventata quasi virale, si è diffusa al mercato dei titoli di stato. Ne hanno pagato le conseguenze, in particolare, i paesi periferici dell’Eurozona sia per la percezione di un crescente rischio di insolvenza sia per i timori legati alla possibile disgregazione dell’area euro che ne hanno accresciuto i costi di rifinanziamento alimentando, a loro volta, una perversa spirale tra spesa per interessi, disavanzo e debito. Gli elevati debiti e disavanzi pubblici e l’incapacità individuale dei paesi della zona euro di espandere la propria offerta di moneta hanno acuito, ulteriormente, la percezione di un grave rischio di insolvenza. Tutto ciò ha determinato la fuga di capitali dal debito sovrano dei Paesi più a rischio e aumentato drasticamente il loro costo di rifinanziamento. A questo punto la BCE ha avviato un programma di acquisto di titoli pubblici, che, dati i vincoli statutari cui è attualmente soggetta, non poteva che essere temporaneo e limitato. Tale intervento, però, non si è rivelato

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risolutivo. La percezione di una maggiore rischiosità dei titoli pubblici di questi paesi presso gli investitori istituzionali è stata poi accentuata dalle inadeguatezze delle istituzioni europee, soprattutto a causa di una mancata politica fiscale comune e dell’impossibilità per la BCE di garantire il valore dei titoli di stato dei paesi in difficoltà. Tutto ciò ha comunque indebolito la fiducia del mercato e il merito di credito in molti paesi, in particolare Spagna e Italia.

Il progressivo deterioramento del quadro macroeconomico, seguito dalla crisi dei debiti sovrani, ha influenzato profondamente gli assetti organizzativi ed i modelli di comportamento degli intermediari, alterando le stesse relazioni banca-cliente. In Italia gli effetti sono stati accentuati dalle debolezze economiche strutturali (debito pubblico elevato, ritardi del sistema produttivo) che non permettono di affrontare adeguatamente il progresso tecnologico, la globalizzazione dei mercati e la competizione nel contesto europeo ed internazionale. La seconda ondata di crisi, legata quindi al debito sovrano, ha provocato un peggioramento delle condizioni di raccolta e ha riproposto i problemi del sistema finanziario italiano: la bancocentricità (dipendenza dalle banche e inconsistenza dei mercati azionari) e l’incapacità di offrire soluzioni alternative al credito.

Le possibilità di finanziamento per le imprese italiane sono andate progressivamente riducendosi negli ultimi anni anche a causa della profonda crisi economica e finanziaria che ha colpito l’Europa. Fino al 2007 lo stretto legame banca-impresa non aveva pregiudicato la crescita per via del ciclo monetario espansivo; mentre, le analisi relative ai dati degli ultimi anni mostrano i limiti della dipendenza dell’industria nazionale dal sistema bancario. La necessità di fondi non risponde solo alle esigenze di investimento dell’impresa ma anche a una necessità legata alle esigenze di liquidità. Nell’ultimo decennio le imprese hanno presentato livelli di redditività operativa ai minimi storici,

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condizione determinata dal contesto macroeconomico di mancata crescita nonostante la drastica riduzione dei costi.

La stretta relazione tra banche e imprese in Italia riflette le caratteristiche strutturali della nostra economia, in primis la frammentazione del sistema produttivo in numerose piccole e medie aziende che non sono in grado di accedere direttamente al mercato dei capitali. Il modello di finanziamento incentrato sul credito bancario, pur non esente da criticità, ha consentito alle imprese, per larga parte dello scorso decennio, di aumentare il proprio indebitamento, nonostante la debolezza della redditività operativa. Dal 2008 in poi, l’offerta del credito si è ristretta per effetto delle forti tensioni cui sono stati ripetutamente esposti i bilanci bancari. Queste si sono trasmesse al sistema produttivo, principalmente attraverso una più severa selezione della clientela, accrescendo di conseguenza la percentuale di imprese razionate. Le imprese che hanno sofferto in misura maggiore della sopra citata restrizione del credito sono le aziende minori per le quali è meno agevole il ricorso a fonti di finanziamento alternative. La combinazione tra credit crunch e stagnazione della domanda ha infatti avviato un processo di selezione che ha ridotto il numero di PMI di quasi il 10%, da 150 mila unità del 2009 a 136 mila del 2014. L’emorragia di PMI è stata particolarmente violenta nel 2012 e nel 2013 per poi ridursi fino quasi a interrompersi nel 2014 (- 0,7%). Nel 2015 la tendenza si è finalmente invertita con una crescita dello 0,4%. Questa tendenza positiva è proseguita poi anche negli ultimi anni.1

Il ricorso al mercato dei capitali può rappresentare, dunque, un canale alternativo al credito bancario, o quanto meno uno complementare. In questo quadro le imprese hanno, quindi, l’esigenza di ripensare la propria struttura finanziaria, rendendola più

1

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flessibile ed efficiente, mediante la diversificazione di strumenti e fonti di finanziamento.

1.2 La debolezza della struttura finanziaria delle imprese: sbilanciamento

verso il sistema bancario

La struttura finanziaria di un’impresa rappresenta la composizione di mezzi propri e di mezzi di terzi strumentali allo svolgimento di una “attività economica

professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”.2

Il fabbisogno finanziario di un’impresa, oltre che dal capitale sociale apportato in sede di costituzione da parte dei soci proprietari, viene coperto con modalità molteplici. In linea generale, è possibile distinguere otto possibili forme di copertura del fabbisogno finanziario delle imprese: l’autofinanziamento prodotto dalla gestione aziendale, i capitali propri immessi dai soci, la dismissione di assets patrimoniali non strategici, i finanziamenti pubblici, i finanziamenti infragruppo, il ricorso a mercati dei capitali di rischio, a mercati dei capitali di debito, i finanziamenti bancari.

L’autofinanziamento è la modalità naturale di finanziamento, prodotto dagli utili netti generati nell’esercizio e reinvestiti all’interno dell’organizzazione invece di essere distribuiti sotto forma di dividendi. Ovviamente questa è la forma preferita dal management, infatti comporta il massimo controllo dell’organizzazione da parte loro e un segnale positivo per i mercati a dimostrazione della buona capacità dell’impresa di generare reddito.

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Purtroppo, osservando la situazione in ottica nazionale, le ripercussioni della crisi sull’economia reale hanno generato una riduzione dei consumi da parte dei privati e un netto decremento degli investimenti da parte delle imprese; comportando un calo della domanda di beni e servizi e, di conseguenza, anche del volume di affari delle imprese. Alla diffusa riduzione della redditività aziendale si è accompagnata una politica di

austerity contraddistinta da una sostenuta pressione fiscale che ha ulteriormente

esasperato la situazione delle imprese italiane, rendendo così l’autofinanziamento una fonte instabile di copertura.

L’inside equity3 è un’altra modalità di finanziamento, di tipo straordinario, poco adottato nel sistema economico italiano per la preferenza verso modelli di imprese poco capitalizzate rispetto a imprenditori e famiglie abbienti, secondo il modello “famiglia ricca-impresa povera”.4

Un’altra componente straordinaria di reddito consiste nella dismissione di assets non strategici, principalmente partecipazioni finanziarie, pericolosa però per la possibilità di innescare un processo di market liquidity risk, cioè di subire perdite in conseguenza della dismissione forzata degli attivi.

A copertura del fabbisogno finanziario delle imprese, soprattutto internazionali, ci sono anche i finanziamenti infragruppo, anche se sono poco sviluppati in Italia a causa della presenza esigua di holding: solo il 10% delle piccole imprese e il 15% delle medie sono sottoposte a controllo di gruppo. Infine, i finanziamenti pubblici erogati sono sempre più limitati in termini quantitativi.5

3

Finanziamenti a titolo di capitale di rischio apportati da soci amministratori, soggetti che dispongono di informazioni privilegiate rispetto al mercato o a soci non amministratori (c.d. outside equity) che emettono segnali positivi al mercato per la dimostrazione di fiducia nell’azienda che gestiscono.

4

Flavio Guidi “Figli, capitale in azienda”, Franco Angeli 2005. 5

Il decreto legge Destinazione Italia detta i principi sul punto dedicato all’autoimprenditorialità riducendo il tetto massimo degli investimenti ammissibili, alla richiesta di mutuo a tasso zero, che passa da 2,5 milioni di euro a 1,5 milioni di euro; inoltre, è prevista l’abolizione del contributo a fondo perduto. La legge però espande l’ambito operativo e geografico di competenza e per le donne viene eliminato il limite di età per l’accesso a tali contributi

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È inoltre di particolare rilievo l’analisi degli assetti proprietari: “La governance delle

nostre imprese è molto semplificata e le fonti di finanziamento limitate. Gli assetti proprietari delle imprese italiane (con almeno tre addetti) sono caratterizzati da un’elevata concentrazione delle quote di proprietà e da un controllo a prevalente carattere familiare. In media, i primi tre azionisti detengono oltre il 90 per cento del capitale sociale dell’impresa, con una quota superiore al 55 per cento attribuibile al primo socio; il controllo dell’azienda è esercitato direttamente o indirettamente da una persona fisica o da una famiglia in più del 70 per cento dei casi. Le imprese con almeno tre addetti adottano un modello di finanziamento tradizionale, basato principalmente su credito bancario e risorse proprie, in associazione a uno scarso sviluppo dei mercati finanziari”6.

Questa peculiarità del tessuto economico italiano però rappresenta una delle motivazioni principali per la quale le imprese nazionali soffrono di un eccessivo “banco-centrismo”, che porta a una sovraesposizione verso il sistema bancario e, di conseguenza, a una forte dipendenza in termini di crescita e sviluppo delle stesse nei confronti degli intermediari tipicamente bancari. Tutto ciò risente di un effetto pro ciclico: la banca amplifica “più velocemente” l’offerta nelle fasi cicliche positive e le raziona (oltremodo velocemente) nelle fasi recessive, aumentandone il costo.

È caratteristica propria della cultura aziendale italiana la mancanza di apertura al mercato del capitale di rischio e al reperimento di un management terzo, estraneo alla componente familiare dell’assetto proprietario.7

Prevale la paura della perdita del controllo patrimoniale e amministrativo dell’impresa a scapito proprio dell’efficienza ed efficacia dell’operatività aziendale stessa; assistiamo,

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Istat, Rapporto annuale 2015. 7

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quindi, a un sottodimensionamento del mercato azionario in Italia rispetto agli altri paesi europei.

L’Italia è il paese con il più basso livello di capitalizzazione sul totale delle passività, collocandosi al di sotto del 45%, contro una media di circa il 53% nella zona Euro e contro il 61% della Francia. Bisogna però sottolineare che nel corso degli anni la situazione sta gradualmente migliorando sia per la necessità di trovare soluzioni complementari al credito italiano sia per la maggior apertura delle nuove generazioni di imprenditori verso il mercato dei capitali e verso gli strumenti di finanziamento offerti dai mercati regolamentati.

Nel 2016 la redditività delle imprese ha accelerato: il margine operativo lordo (MOL) è aumentato di oltre il 6 per cento, superando il livello del 2008. La quota di imprese in utile è cresciuta dal 69 al 73 per cento.

Figura 1.1

Fonte: Banca d’Italia – Relazione annuale 2016

L’ulteriore diminuzione degli oneri finanziari netti ha determinato un miglioramento della capacità di autofinanziamento. La spesa per investimenti in rapporto al valore

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aggiunto si è ridotta marginalmente, mentre è proseguito il calo del fabbisogno finanziario. Nel 2016 i debiti finanziari delle imprese in rapporto al PIL si sono leggermente ridotti, al 75%.

È proseguito il processo di riequilibrio della struttura finanziaria avviato nella prima parte del decennio: rispetto al 2011 la leva finanziaria è scesa di oltre sette punti percentuali, al 42,3%. Il miglioramento è riconducibile per il 5,7% alla crescita del patrimonio netto.

Tra il 2011 e il 2015 il contributo degli incrementi patrimoniali alla riduzione della leva finanziaria è stato rilevante soprattutto per le grandi imprese; tra quelle di minori dimensioni è stato invece preponderante l’effetto derivante dall’uscita dal mercato delle aziende più indebolite.

Figura 1.2

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Figura 1.3

Fonte: Banca d’Italia – Relazione annuale 2016

Dalla fine del 2015 i prestiti concessi dagli intermediari finanziari alle imprese sono stati sostanzialmente stabili, soprattutto a causa della contenuta domanda di finanziamenti. Nel secondo semestre del 2016 il saldo fra le aziende che hanno aumentato la domanda di prestiti e quelle che l’hanno ridotta si è collocato su uno dei livelli più bassi dall’inizio della crisi finanziaria; la quota media di imprese che ha dichiarato di non avere ottenuto i finanziamenti richiesti è tornata prossima ai valori del 2007, intorno al 4%.

I prestiti bancari alle imprese di minori dimensioni continuano a ridursi a ritmi sostenuti. Una larga parte del divario con le società più grandi è riconducibile alla maggiore vulnerabilità dei bilanci e alla loro più elevata presenza in settori in cui la ripresa economica non si è ancora pienamente manifestata. Il differenziale risente anche di altri fattori, come ad esempio la minore propensione delle banche a finanziare piccole imprese per via delle maggiori asimmetrie informative che le caratterizzano. Il minor flusso di credito dal sistema bancario verso le imprese italiane è dovuto, in parte, ad una

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minore propensione all’investimento da parte di quest’ultime, che si riflette nella contrazione della domanda di credito a lungo termine.

È doveroso puntualizzare che tale riduzione della domanda di credito proveniente dalle imprese, soprattutto medio-grandi, è dipesa anche dalle loro strategie di finanziamento che hanno fatto registrare una preferenza per il canale obbligazionario. L’elevato importo delle tradizionali emissioni obbligazionarie, i costi da sostenere e una normativa fiscale penalizzante per le imprese non quotate hanno sempre tagliato fuori da questo canale di finanziamento le piccole-medie imprese. Proprio allo scopo di favorire lo sviluppo e diffusione di questo strumento di finanziamento, vedremo nei capitoli successivi che il governo ha adottato nel corso degli ultimi anni una serie di provvedimenti che hanno rimosso tali limiti, con l’obiettivo di facilitare ed estendere l’accesso alle imprese non quotate e alle piccole e medie imprese.

1.3 Definizione comunitaria di PMI e criticità del finanziamento bancario

alle PMI

Il legislatore si è occupato di individuare in modo formale le organizzazioni che costituiscono “impresa” e di dettare precise regole comuni a livello europeo di classificazione delle stesse nell’ottica di un mercato unico senza frontiere interne. La conferma di tale approccio è tanto più necessaria se si tiene conto delle numerose interazioni tra provvedimenti nazionali e comunitari a sostegno delle microimprese, piccole e medie imprese (PMI), come in materia di fondi strutturali e di ricerca, e per evitare che la Comunità indirizzi le sue azioni a un certo tipo di PMI e gli Stati membri a un altro.

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Per definire un’organizzazione come impresa, il legislatore comunitario considera ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica. In particolare, sono considerate tali le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitano un’attività economica.8 Inoltre, specifica che le aziende sono classificabili per dimensioni, considerando come indicatori di riferimento limiti occupazionali e finanziari.9

Con riferimento a tale classificazione, possiamo distinguere tra:

• Microimprese: organizzazioni che occupano meno di 10 addetti e realizzano un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro. • Piccole imprese: realtà che occupano tra i 10 e i 49 addetti e con fatturato annuo o

un attivo dello stato patrimoniale annuo inferiore ai 10 milioni di euro.

• Medie imprese: imprese con meno di 250 dipendenti e un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro o un totale dell’attivo dello stato patrimoniale inferiore a 43 milioni di euro.

• Grandi imprese: organizzazioni con più di 250 dipendenti e un fatturato annuo uguale o superiore a 50 milioni di euro o un totale dell’attivo dello stato patrimoniale superiore a 43 milioni di euro.

Una ricerca condotta dal Centro Europa Ricerche (CER) per conto del MISE conferma il ruolo dominante della micro-PMI in Italia anche rispetto al confronto europeo.

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Come si evince dall’articolo 1 della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea, del 6 maggio 2003.

9

Come si evince dall’articolo 2 della raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea, del 6 maggio 2003.

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Figura 1.4 - Dimensione media imprese

Fonte: Small Business Act – Rapporto 2016

Come si può notare dalla tabella sopra riportata, la quota di imprese al di sotto di dieci addetti è sostanzialmente identica in Italia, Francia e Spagna, con un valore collocato intorno al 95%. La quota di piccole imprese si colloca invece sotto il 90% nel Regno Unito ed è pari all’82% in Germania. A partire dai venti addetti la quota italiana risulta sempre la più bassa mentre spicca la differenza di Regno Unito e Germania.10

Abbiamo già sottolineato come le imprese italiane siano caratterizzate da una fragilità rilevante nella struttura finanziaria se paragonate alla situazione delle peers europee, mostrando una forte sottocapitalizzazione.

Tale fattore, come noto, ha creato una forte dipendenza dal canale bancario ed evidenza una debolezza che rende difficile per le imprese italiane la competizione verso un mercato sempre più concorrenziale e a forte carattere internazionale. Inoltre, tanto più l’indebitamento è alto quanto più sarà rigida la struttura dei costi a causa degli oneri finanziari. Questi ultimi difficilmente potranno essere scaricati sul prezzo finale a causa di un mercato altamente competitivo. Infine, l’elevato indebitamento incrementa il rischio finanziario delle imprese, cioè l’imperversare di situazioni di insolvenza o difficoltà.

10 Fonte:

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Come abbiamo accennato in precedenza, vige una stretta collaborazione e correlazione tra banche e imprese italiane e il rapporto si intensifica per le PMI. La relazione simbiotica porta a due risultati simultanei: le PMI possono dare una spinta decisiva alla qualità degli assets bancari; viceversa, agendo sul fronte del credito, si può dare una spinta altrettanto decisiva all’economia reale, che in Italia poggia prevalentemente sulle PMI.

I punti di debolezza del rapporto tra banche italiane e PMI, oltre a quelli precedentemente illustrati, considerando anche le imprese di maggiori dimensioni, sono molteplici e hanno come comun denominatore la “miopia” del settore bancario nella gestione dei rapporti con le stesse. Tra le debolezze del rapporto tra i due operatori è giusto sottolineare, in prima istanza, l’assenza di banche di riferimento nella relazione banca-impresa. Spesso, infatti, prevale la logica del “pluri-affidamento”11 e della non corretta e dettagliata pianificazione finanziaria; l’assenza di una o due banche di riferimento comporta, di per sé, l’impossibilità di ottenere una responsabilità congiunta nelle operazioni di ristrutturazione e rilancio aziendale. Dall’altra parte, le PMI dovrebbero pianificare il rapporto con le banche finanziatrici con la stessa attenzione che dedicano ai fornitori industriali strategici. Un secondo aspetto è generato dalla trasmissione di set-informativi poveri e, spesso, senza alcun dettaglio in riferimento a strategie, prodotti, mercati o business plan. La poca trasparenza e opacità dei principali

decision maker comporta ritardi molto pericolosi nella verifica delle politiche creditizie

e del supporto ottenibile da parte delle banche, che spesso sospendono o addirittura interrompono le linee di credito a breve termine in caso di crisi aziendali. La forte asimmetria informativa che si viene a generare impedisce l’instaurarsi di un clima di

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Il pluri-affidamento è la tecnica finanziaria con la quale un’impresa mantiene contemporaneamente più relazioni con differenti istituti di credito. Si tratta di una caratteristica peculiare del mercato bancario italiano, che risponde alle esigenze sia delle aziende sia delle banche: le prime possono evitare che le banche impongano condizioni contrattuali più onerose; le seconde, in un contesto in cui la trasparenza informativa non è l’obiettivo prioritario, sono in grado di ripartire i rischi con altri istituti di credito, secondo una logica co-assicurativa.

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fiducia reciproca che, al contrario, dovrebbe essere alla base della relazione banca-impresa. Le PMI, quindi, dovrebbero conoscere il rating loro attribuito dalle banche e rendersi disponibili per confronti periodici e, in qualunque caso, durante la revisione annuale degli affidamenti.

Un terzo elemento di non poca rilevanza è rappresentato anche dalla modesta conoscenza da parte delle PMI delle misure prese dal governo a loro favore, delle forme tecniche, dei finanziamenti innovativi e degli strumenti del settore parabancario.

A tal proposito è interessante un’indagine svolta nel marzo 2014 dal Ministero dello Sviluppo Economico su un campione rappresentativo di 1.000 micro, piccole e medie imprese con la principale finalità di “esplorare” ed approfondire, tra diverse tematiche, il grado di conoscenza e di utilizzo da parte delle PMI delle recenti misure adottate dal Governo a loro favore nell’ambito dell’attuazione dello Small Business Act.12

I risultati mostrano come sia molto elevata la percentuale di imprese che dichiara di non conoscere le recenti misure di politica industriale adottate negli ultimi anni a favore delle micro, piccole e medie imprese (Figura 1.5). In particolar modo, il 76,5% e il 75,2% del campione segnalano, rispettivamente di non conoscere l’ACE13 (Aiuto alla crescita economica) e le misure volte allo smobilizzo dei debiti della P.A. nei confronti

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Con la pubblicazione nel giugno del 2008 dello Small Business Act (SBA) da parte della Commissione Europea, si sono gettate le basi per l’inizio di un percorso volto alla creazione di un ambiente economico focalizzato sulle piccole e medie imprese, secondo lo slogan “Think small first”. Si riconosce il ruolo centrale delle PMI nell’economia europea con la volontà, per la prima volta, di attivare un quadro di interventi per le imprese molto articolato, grazie a dieci principi guida per la formulazione e l’attuazione delle politiche sia a livello dell’Unione europea che dei singoli Stati membri. Tali principi sono essenziali per valorizzare le iniziative a livello dell’Unione, per creare condizioni di concorrenza paritarie per le PMI e per migliorare il contesto giuridico e amministrativo nell’intera UE. I dieci principi sono: 1) dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito individuale; 2) far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l’insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità; 3) formulare regole conformi al principio “Pensare anzitutto in piccolo”; 4) rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle PMI; 5) adeguare l’intervento pubblico alle esigenze delle PMI, facilitare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per PMI; 6) agevolare l’accesso delle PMI al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transizioni commerciali; 7) aiutare le PMI a beneficiari delle opportunità offerte dal mercato unico; 8) promuovere l’aggiornamento delle competenze nelle PMI e ogni forma di innovazione; 9) permettere alle PMI di trasformare le sfide ambientali in opportunità; 10) incoraggiare e sostenere le PMI perché beneficino della crescita dei mercati.

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L’ACE è un incentivo introdotto dal Decreto Salva Italia 2011 che prevede l’aliquota degli utili da portare in deduzione.

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delle imprese; più basse (ma sempre di un certo rilievo) le quote di imprese che non conoscono altre misure (tra cui l’accesso al Fondo di Garanzia per le PMI14 e i Contratti di rete15).

Figura 1.5: imprese che dichiarano di non conoscere le misure di politica industriale (valori%)

Fonte: indagine MISE, marzo 2014

In sostanza, al giorno d’oggi, a causa della mancanza di cultura finanziaria da parte delle PMI e della diffidenza degli intermediari bancari, queste sono spesso costrette in caso di fabbisogno finanziario a far apportare ai soci nuovo capitale di rischio, nel momento in cui la leva finanziaria abbia già raggiunto multipli insostenibili rispetto alla generazione di cassa e alle aspettative dei creditori.

In base a quanto analizzato precedentemente, è pacifico concludere quindi che le nostre imprese, che da sempre soffrono di bassi tassi di patrimonializzazione e dipendono

14

Il Fondo di Garanzia per le PMI è uno strumento istituito con Legge n. 662/96 (art. 2, comma 100, lettera a)e operativo dal 2000. Con il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, l’Unione europea e lo Stato italiano affiancano le imprese che hanno difficoltà ad accedere al credito bancario perché non hanno a disposizione sufficienti garanzie. La garanzia pubblica, in pratica, sostituisce le costose garanzie normalmente richieste per ottenere un finanziamento. La garanzia prestata dal fondo si sostanzia in un’agevolazione del Ministero dello sviluppo economico, finanziata anche con le risorse europee dei Programmi Operativi nazionali e interregionali 2007-2013, che può essere attivata solo a fronte di finanziamenti concessi da banche, società di leasing e altri intermediari finanziari a favore delle PMI. Il Fondo non interviene direttamente nel rapporto tra banca e impresa: tassi di interesse, condizioni di rimborso, ecc., sono lasciati alla contrattazione tra le parti. Ma sulla parte garantita dal Fondo non possono essere acquisite garanzie reali, assicurative o bancarie.

15

Il contratto di rete tra imprese è uno strumento è uno strumento giuridico relativamente recente, è stato infatti introdotto nell’ordinamento italiano solo nel 2009 con l’obiettivo di permettere a tutti i soggetti coinvolti di accrescere la reciproca capacità innovativa nonché la competitività sul mercato.

(25)

25

eccessivamente dal credito bancario per il reperimento di fonti di finanziamento, si trovano ad operare in un modello di business in cui si evidenziano due rilevanti criticità. La prima è rappresentata dal fatto che le imprese sono rese vulnerabili da fasi negative dei cicli economici e da crisi bancarie o shocks congiunturali che si ripercuotono necessariamente sulle politiche creditizie degli stessi intermediari, i quali all’aumentare dei rischi adottano maggior prudenza nella valutazione del merito creditizio delle controparti.

La seconda criticità, invece, è identificata dal fatto che tale modello limita la capacità del sistema finanziario di destinare risorse alle imprese dal potenziale più elevato, in particolare a quelle che si occupano di innovazione (R&S), alle start up e alle imprese di piccole e medie dimensioni che hanno importanti opportunità di crescita anche in ambito internazionale.

1.4 Indirizzare le PMI verso un sistema maggiormente orientato al mercato

Crisi finanziarie, bancarie, mutamenti e sbilanciamenti nella struttura patrimoniale e finanziaria delle imprese e tutte le altre debolezze derivanti dalla stretta interconnessione tra banche italiane e PMI hanno dato origine e incrementato una stretta creditizia che ha indotto le imprese a ricercare fonti di finanziamento alternative e complementari al canale bancario sia per la gestione ordinaria delle proprie attività sia per investire in sviluppo e recupero della competitività a livello internazionale.

Il fenomeno della disintermediazione bancaria diventa perciò uno strumento fisiologico per fronteggiare il fabbisogno finanziario delle imprese.

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26

Spesso alle imprese di minori dimensioni manca del tutto una struttura decentrata del governo societario e perciò dello sviluppo delle diverse funzioni aziendali. In particolare, il caso della funzione finanziaria, spesso pressoché assente, si identifica con la sola gestione dei rapporti con i finanziatori, in particolar modo banche, quindi nell’attività amministrativa aziendale in senso lato. L’imprenditore preferisce focalizzarsi sull’aspetto tecnico, produttivo e commerciale, considerando la finanza aziendale una funzione residuale. Gli imprenditori italiani devono invece prendere coscienza di come quest’ultima sia una funzione fondamentale e non accessoria per l’efficienza complessiva dell’impresa e, pertanto, ad essa vanno dedicati gli stessi sforzi e le stesse risorse impiegate per le funzioni primarie. Per tale fatto è necessario ridurre l’asimmetria informativa migliorando la trasparenza delle informazioni e presentando bilanci attendibili e non opachi, e analizzare e indurre le criticità inerenti alla gestione finanziaria delle PMI.

Il rischio di default delle PMI è associato, in parte, alla scarsa diversificazione delle fonti di finanziamento per l’eccessiva propensione e dipendenza rispetto al canale bancario e, in parte, al ridotto livello di capitalizzazione per lo scarso ricorso al mercato del capitale di rischio.

Per risolvere tali criticità, pertanto, occorre diversificare le fonti di finanziamento sia stimolando la quotazione diretta sul mercato dei capitali sia mediante il ricorso all’emissione di obbligazioni e di strumenti finanziari partecipativi, ovvero strumenti misti che uniscano le caratteristiche delle azioni e delle obbligazioni. A loro volta, i proventi derivanti da tali strumenti dovrebbero essere garantiti da vantaggi fiscali ed essere indirizzati all’aumento della patrimonializzazione, anche mediante l’intervento dei fondi private equity nelle partecipazioni azionarie delle imprese.

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27

Durante il periodo di crisi economica le imprese italiane hanno accresciuto il ricorso al mercato obbligazionario. La positiva evoluzione delle emissioni complessive nasconde però andamenti difformi per le diverse categorie dimensionali delle imprese. All’aumento dei collocamenti per le grandi aziende non corrisponde un altrettanto incremento delle emissioni per le piccole e medie imprese. Il drastico calo si è manifestato non soltanto negli importi ma anche nel numero delle imprese minori che si sono affacciate al mercato dei capitali di debito (Figura 1.6). Sul Rapporto di Stabilità Finanziaria pubblicato nel 2014 da Banca d’Italia si legge: “Tra il 2009 e il 2013 le emissioni lorde di titoli da parte delle società non finanziaria italiane sono cresciute in misura cospicua (in media 32 miliardi di euro l’anno, rispetto ai 23 miliardi tra il 2002 e il 2007). I collocamenti sono stati particolarmente elevati (superiori a 35 miliardi) negli anni in cui si sono acuite le difficoltà di accesso al credito bancario (2009, 2012 e 2013). La crescita ha interessato esclusivamente le imprese di grandi dimensioni che hanno accesso ai mercati internazionali. Tra le PMI, i cui collocamenti sono in massima parte rivolti al mercato interno, si sono invece ridotti sia il valore dei titoli emessi sia il numero di emittenti.”

Figura 1.6: Numero di obbligazioni per dimensione di impresa

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Le emissioni di titoli da parte di società non quotate sono state stimolate dagli incentivi previsti dal Decreto Sviluppo del giugno 2012, che ha introdotto i cosiddetti mini-bond oltre ad altri strumenti finanziari che si rivolgono al mercato dei capitali.

Per favorire il superamento della crisi, il Governo ha quindi ridisegnato la disciplina relativa agli strumenti finanziari a disposizione delle PMI, apportando delle innovazioni specialmente per le cambiali finanziarie e per le obbligazioni a medio-lungo temine (mini-bond). Il potenziale impiego di questi strumenti finanziari interessa decine di migliaia di PMI nazionali che hanno sempre accesso ai tradizionali canali di finanziamento bancario ma non a quelli dei mercati regolamentati e dei MTF. A livello globale il mercato obbligazionario rimane, ad oggi, il mercato a valori mobiliari più rilevante, vantando un importo complessivo stimato di 90.000 milioni di dollari di titoli.16

Parallelamente, il 12 marzo 2012 nasce ufficialmente AIM Italia: il mercato di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese italiane ad alto potenziale di crescita. Nasce dall’accorpamento dei mercati AIM Italia e MAC, al fine di razionalizzare l’offerta dei mercati dedicati alle PMI e proporre un unico mercato pensato per le PMI più dinamiche e competitive del nostro Paese, offrendo a queste la possibilità di accedere in modo efficiente ad una platea selezionata di investitori focalizzati sulle Small Cap17.

Un ulteriore stimolo all’orientamento verso il mercato dei capitali è dato il 12 aprile 2012 con l’avvio del progetto ELITE: iniziativa di Borsa Italiana che si propone di sostenere in modo concreto la crescita delle PMI italiane attraverso un innovativo percorso di sviluppo organizzativo e manageriale volto a rendere le imprese, già

16

PIMCO, Tutto ciò che bisogna sapere sulle obbligazioni, 2013. 17

Le Small Cap sono le società quotate con una piccola capitalizzazione. I mercati gestiti da Borsa Italiana e destinati a queste società sono: l’Alternative Investment Market Italia, il segmento STAR e l’MTA (Mercato Telematico Azionario).

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meritevoli e orientate alla crescita, ancora più competitive, più visibili e più attraenti nei confronti degli investitori. ELITE offre infatti alle aziende selezionate una piattaforma di strumenti e servizi pensata per reperire capitali e cogliere nuove opportunità di visibilità e networking facilitando così la crescita e l’avvicinamento culturale delle imprese ai mercati finanziari.

Capitolo 2 – Mini-Bond: strutturazione dell’operazione e

processo di emissione

2.1 Riferimenti normativi

Come abbiamo accennato in precedenza, per cercare di fronteggiare la crisi economica italiana i governi che si sono succeduti dal 2012 hanno messo in campo interventi normativi che focalizzano l'attenzione su una serie di strumenti finanziari. L’obiettivo è quello di aiutare le imprese nella ricerca di nuove fonti di finanziamento alternative al credito bancario, cercando così di indirizzare la struttura finanziaria delle stesse verso il mercato. Tra gli interventi sopra citati troviamo: il Decreto Sviluppo, approvato il 22 giugno 2012, in seguito modificato e integrato con il cosiddetto Decreto Sviluppo Bis nell’ottobre 2012 e ulteriormente revisionato dal piano di crescita Destinazione Italia nel settembre 2013, trasformato in legge il 19 febbraio 201418.

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30

I decreti hanno così cercato di rispondere anche alle necessità di approvvigionamento finanziario delle PMI italiane, che sono quelle organizzazioni che hanno sofferto e tuttora soffrono la congiuntura economica che ha colpito il paese. Nella consapevolezza che la transizione verso un sistema finanziario meno banco-centrico richiede sicuramente tempi molto lunghi, è fondamentale ampliare il bacino delle fonti di approvvigionamento delle imprese. Tra le misure in questo senso più significative rientrano i cosiddetti “mini-bond”, introdotti dalla suddetta normativa. Volendo darne una definizione, è possibile dire che i mini-bond sono prestiti obbligazionari emessi da società non quotate.

I decreti sopra indicati non costituiscono interventi normativi del tutto nuovi; infatti, tali strumenti godevano già di una disciplina propria19 ma non avevano riscosso il successo sperato e questo a causa delle importanti limitazioni all’indebitamento e degli sforzi amministrativi previsti.

2.1.1 Decreti Sviluppo e Sviluppo-bis

Il testo originario del Decreto Sviluppo differenziava le cambiali finanziarie dai mini-bond esclusivamente sulla base della durata del titolo20. Prima della conversione in legge, l’art. 32 del Decreto Legge 83/2012 dettava una serie di requisiti per l’emissione di cambiali finanziarie ed obbligazioni; in particolare:

“L'emissione deve essere assistita, in qualità di sponsor, da una banca o da

19

Si vedano la Legge 43 del 13 gennaio 1994 e il successivo progetto di riforma contenuto nel Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n.6.

20

Si vedano la Legge n. 43 del 13 gennaio 1994 e il successivo progetto di riforma contenuto nel Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n.6.

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31

un'impresa di investimento, da una società di gestione del risparmio (SGR), da una società di gestione armonizzata, da una società di investimento a capitale variabile (SICAV), purché con succursale costituita nel territorio della Repubblica, che assiste l'emittente nella procedura di emissione dei titoli e lo supporta nella fase di collocamento dei titoli stessi”

“Lo sponsor mantiene nel proprio portafoglio, fino alla naturale scadenza, una

quota di titoli non inferiore: al 5% del valore dell’emissione dei titoli, per le emissioni fino a 5 milioni di euro; al 3% del valore dell’emissione dei titoli eccedente 5 milioni di euro, fino a 10 milioni di euro, in aggiunta alla quota risultante dall’applicazione della percentuale di cui al punto1; al 2% del valore dell’emissione dei titoli eccedente 10 milioni di euro, in aggiunta alla quota risultante dall’applicazione delle percentuali di cui ai punti 1 e 2”;

L’ultimo bilancio deve essere certificato da una società di revisione iscritta nel

registro dei revisori contabili.”

“Le cambiali finanziarie devono essere emesse e girate esclusivamente a favore di

investitori professionali che non siano, direttamente o indirettamente, soci della società emittente; il collocamento presso investitori professionali in rapporto di controllo con il soggetto che assume il ruolo di sponsor è disciplinato dalle norme vigenti in materia di conflitto di interesse”.

Con la conversione in Legge sono stati eliminati, con riferimento all’emissione dei mini-bond, i requisiti della presenza dello sponsor, della certificazione del bilancio e della collocazione esclusiva presso investitori istituzionali. Tuttavia, almeno il secondo e il terzo dei precedenti adempimenti sono tuttora previsti da Borsa Italiana per poter accedere alla quotazione, come si avrà modo di approfondire successivamente.

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del comma 5 dell’art. 2412 del Codice Civile, che stabiliva i limiti all’emissione di obbligazioni. Le emissioni, infatti, erano consentite per un importo che complessivamente non superasse il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato (comma 1).

Tale limite era derogabile solo se le obbligazioni:

1.

fossero destinate ad essere sottoscritte da investitori professionali (comma 2);

2.

fossero garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore degli immobili medesimi e quindi non computate nel calcolo di cui al comma 1 (comma 3);

3.

fossero emesse da società per azioni quotate in mercati regolamentati, limitatamente alle obbligazioni destinate ad essere quotate negli stessi o in altri mercati regolamentati (comma 5).

Tale disposizione escludeva, pertanto, la possibilità di emettere obbligazioni eccedenti i limiti previsti per tutte le società non quotate, anche nel caso in cui i loro titoli fossero destinati alla quotazione. Con l’intervento dei Decreti Sviluppo la deroga è stata estesa anche “alle emissioni di obbligazioni destinate a essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione ovvero di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni”.21 Inoltre, l’estensione della deroga viene applicata anche alle società a responsabilità limitata22, previa modifica dello statuto nell’eventualità che questo non preveda la possibilità di emettere titoli di debito, e con il limite della possibilità di sottoscrizione esclusivamente da parte di investitori professionali.

Il Decreto in oggetto, all’art. 32, comma 19, prevede inoltre la possibilità di emettere

21

Si vede decreto Legge 83/2012, art 32, comma 26. 22

L’art. 2412 del Codice Civile è applicabile solo alle società per azioni e alle società in accomandita per azioni. Per tale motivo, l’estensione della deroga ai limiti alle emissioni non era applicata alle S.R.L.

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obbligazioni (o titoli similari) che contengano clausole di partecipazione23 (c.d. mini-bond partecipativi) o di subordinazione24, o entrambe.

Il Decreto Sviluppo ha rimosso anche dei vincoli contenuti nella normativa fiscale previgente che confermavano l’intento del legislatore di indirizzare il risparmio e la raccolta dei capitali solo verso emittenti quotati, impedendo di fatto, alle società per azioni non quotate di emettere obbligazioni se non in casi eccezionali. Le modifiche riguardano sia la disciplina applicabile al sottoscrittore degli strumenti sia quella applicabile all’emittente. In sostanza, il Legislatore ha agevolato il regime fiscale applicabile alle obbligazioni emesse da società per azioni non quotate, equiparandolo a quello più favorevole previsto per le banche e le società quotate, a condizione però, che tali obbligazioni siano quotate su un mercato regolamentato o su una piattaforma di negoziazione. Per quanto riguarda il regime fiscale dell’emittente in merito agli interessi passivi pagati sulle obbligazioni, al pari delle società quotate, questi sono integralmente deducibili dal reddito d’impresa25. Il beneficio è quindi da considerarsi la piena rilevanza degli oneri finanziari con l’abolizione dei limiti di deducibilità, fermo restando però che la deduzione degli interessi rimane comunque consentita, per ciascun esercizio, nei limiti del 30% del ROL.26

23

La clausola di partecipazione regola la parte di corrispettivo che spetta al portatore del titolo, commisurandola al risultato economico dell’esercizio. Il tasso d’interesse riconosciuto all’investitore si compone di una parte fissa, che non può essere inferiore al Tasso Ufficiale di Riferimento pro tempore vigente, e di una parte variabile, determinata sulla base del risultato di esercizio e la cui percentuale deve essere indicata nell’atto di emissione del titolo secondo regole che non possono essere modificate per tutta la durata dell’emissione. Si veda Decreto Legge 83/2012, art. 32, commi 21 e 22.

24

Sono obbligazioni che prevedono una clausola di subordinazione, in forza della quale sono definiti “i termini di postergazione del portatore del titolo ai diritti degli altri creditori della società e ad eccezione dei sottoscrittori del solo capitale sociale” che comporta quindi per il detentore un maggior tasso di interesse percepito a fronte del maggior rischio sopportato. Decreto Legge 83/2012, art. 32, comma 20.

25

L’articolo 21, comma 1, del Decreto 91/2014 modifica l’art. 1, comma 1 del decreto legislativo 239/1996 ed estende l’esenzione dall’applicazione della ritenuta agli interessi e agli altri proventi di obbligazioni e titoli similari e cambiali finanziarie che non sono negoziati in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione ma sono detenuti da uno o più investitori qualificati.

26

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Un’ulteriore novità introdotta dal Decreto Sviluppo è contenuta nel comma 927 dell’articolo 32. Tale disposizione va a modificare l’art. 1 del Decreto Legislativo 1 aprile 1996, n. 239, estendendo il beneficio dell’esenzione della ritenuta alle società che non hanno azioni quotate, diverse da banche o da enti pubblici economici trasformati in società per azioni a condizione che le obbligazioni e/o cambiali finanziarie emesse da queste società siano quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione28.

Un’ulteriore agevolazione riguarda la deducibilità dei costi di emissione29 secondo quanto stabilisce il comma 13 dell’articolo 32 del D.L. 83/2012: “le spese di emissione delle cambiali finanziarie, delle obbligazioni e dei titoli similari sono deducibili nell'esercizio in cui sono sostenute indipendentemente dal criterio di imputazione a bilancio”.

L’intervento del legislatore ha suscitato un grande interesse da parte del mercato; poiché, eliminando i notevoli vincoli fiscali per le piccole e medie imprese, ha permesso loro di considerare questa forma alternativa di finanziamento e ha reso i loro strumenti emessi sul mercato più appetibili per gli investitori esteri.

27

Il comma 9 dell’art. 32 DL 83/2012 dispone: “La ritenuta del 26 per cento […] non si applica sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari, e delle cambiali finanziarie, emesse da banche, da società per azioni con azioni negoziate in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione degli Stati Membri dell’Unione Europea e degli Stati aderenti all’ accordo sullo Spazio Economico Europeo inclusi nella lista64 […] e da enti pubblici economici trasformati in società per azioni in base a disposizioni di legge, nonché sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari, e delle cambiali finanziarie, negoziate nei medesimi mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione emessi da società diverse dalle prime”.

28

l’articolo 21, comma 1, del Decreto 91/2014 modifica l’art. 1, comma 1 del decreto legislativo 239/1996 ed estende l’esenzione dall’applicazione della ritenuta agli interessi e agli altri proventi di obbligazioni e titoli similari e cambiali finanziarie che non sono negoziati in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione ma sono detenuti da uno o più investitori qualificati.

29

I costi di emissione indicano tutte le spese relative all’emissione stessa delle obbligazioni come ad esempio commissioni bancarie o per le agenzie di rating, costi relativi al collocamento dei titoli e compensi dovuti ai diversi professionisti che affiancano l’emittente durante questo processo.

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35

2.1.2 Decreto Destinazione Italia e Decreto Crescita e Competitività

Perseguendo l’obiettivo volto ad accrescere la diffusione del mercato, il percorso normativo dei mini-bond è proseguito con il Decreto Destinazione Italia30 e il Decreto Crescita e Competitività31. Nello specifico, si rilevano le seguenti principali novità:

semplificazione delle procedure di cartolarizzazione ed estensione dell’ambito di applicazione della disciplina specifica anche alle operazioni aventi ad oggetto le obbligazioni e titoli similari;

ampliamento della platea dei possibili investitori in mini-bond: possono investire in titoli emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione, anche non destinati ad essere negoziati in un mercato regolamentare o in sistemi multilaterali di negoziazione e anche privi di valutazione del merito di credito, sia le imprese di assicurazione, andando a costituire attivi ammessi a copertura delle riserve tecniche, sia i fondi pensione;

agevolazioni fiscali: è prevista l’esenzione dalla ritenuta d’acconto del 26% sugli interessi e proventi relativi a obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie corrisposti a organismi di investimento collettivo partecipati esclusivamente da investitori qualificati e il cui patrimonio sia investito prevalentemente in tali titoli, e ad organismi di investimento collettivo del risparmio e società per la cartolarizzazione dei crediti.

30

Decreto legge del 23 dicembre 2013, n. 145, come modificato dalla legge di conversione del 21 febbraio 2014, n. 9.

31

Decreto legge del 24 giugno 2014, n. 91, come modificato dalla legge di conversione del 11 agosto 2014, n. 116.

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Figura 2.1: Tabella riassuntiva delle principali innovazioni legislative sui mini-bond introdotte dal 2012 al 2014

2.1.3 L’evoluzione della normativa nel 2016 e l’introduzione PIR

Nel 2016 non si sono registrati nuovi interventi normativi di rilievo specifico per il mondo del mini-bond. Nel corso dell’anno è stata prospettata la possibilità di elevare da € 1,5 milioni a € 2,5 milioni l’importo massimo garantibile per singola azienda emittente mini-bond da parte dello Stato, attraverso l’intervento del Fondo Centrale di garanzia per le piccole e medie imprese (ma per il momento rimane solo un’ipotesi). La novità forse più interessante del 2016 è stata l’introduzione, con l’ultima legge di bilancio (L. 232/2016), dei PIR (piani individuali di risparmio).

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termine capace di veicolare i risparmi verso le imprese italiane, e in particolare verso le PMI.

Si tratta di una forma di risparmio fiscalmente incentivato, già presente in alcuni Paesi all’estero (in nazioni come Gran Bretagna e Francia), e dedicato in particolare ai piccoli investitori. Per godere dell’esenzione del carico fiscale su capital gain e imposte di successione è necessario che:

• Il portafoglio di investimento sia mantenuto per cinque anni;

• l’importo massimo investito non deve superare i 30.000€ all’anno e il singolo investitore non può superare i 150.000 € di investimento in PIR;

• l’investimento deve essere composto per almeno il 70% da titoli emessi da imprese italiane o anche imprese europee purché abbiano una stabile organizzazione in Italia (il restante 30% può essere destinato ad altri strumenti finanziari, anche ai conti correnti o a i conti deposito);

• il 30% del precedente 70% deve essere investito in strumenti emessi da imprese non quotate nell’indice FTSE MIB, cioè verso società di dimensioni minori (PMI) come quelle quotate nei segmenti MidCap, Star, Standard o sul mercato AIM; non più del 10% del portafoglio può essere destinato a strumenti emessi dallo stesso emittente. È dunque prevedibile che l’industria dei mini-bond venga favorita da questa nuova opportunità; i mini-bond non possono essere oggetto di offerta al pubblico, trovano però spazio adeguato negli OICR (Organismi di Investimento Collettivo nel Risparmio) e non a caso sono molteplici le società che hanno annunciato l’istituzione di fondi dedicati ai PIR (fra gli altri Intermonte, Anima, Pioneer, BNP Paribas, Eurizon).

I potenziali effetti positivi derivanti dall’introduzione dei PIR nel sistema finanziario italiano sono:

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nuovi capitali provenienti dai PIR potrebbero alimentare l’interesse verso una porzione di mercato azionario storicamente caratterizzata da un minor numero di investitori rispetto alle società MIB;

b) aumentare il numero di investitori retail su AIM Italia: il beneficio fiscale del PIR potrà stimolare l’interesse degli Investitori Professionali e Retail sul mercato AIM Italia;

c) incrementare la liquidità e ridurre il gap tra performance azionarie e fondamentali: l’introduzione di numerosi Fondi PIR Compliant, sui quali non sussiste l’obbligo di lock up di cinque anni sui singoli titoli, incrementerà la liquidità delle MID/Small Cap, migliorando gli scambi in termini di volumi e controvalore e riducendo il gap tra performance azionarie e performance dei fondamentali delle aziende;

d) favorire l’ingresso di nuove tipologie di investitori a lungo termine: incrementare l’interesse verso l’investimento azionario Small-Mid Cap da parte di investitori a lungo termine come Fondi Pensione, Casse di Previdenza e assicurazioni;

e) sviluppare il mercato primario con nuove IPO e il mercato secondario attraverso ulteriori aumenti di capitale: i PIR potranno generare una nuova domanda di IPO, ampliando in questo modo l’universo investibile. Con un mercato più efficiente la quotazione di Borsa diventa per le PMI italiane una valida alternativa al credito bancario. Nuovi investitori saranno interessati a indirizzare i capitali sul mercato primario e su quello secondario, attraverso aumenti di capitale; oltre ad ampliare la base azionaria, aumenterà il flottante delle MID/Small Cap quotate, con effetti positivi sulla liquidità del titolo e del mercato;

f) attrarre gli investitori istituzionali esteri: l’incremento della liquidità delle MID/Small Cap italiane potrà generare un rinnovato interesse degli investitori

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esteri verso il nostro Paese;

g) stimolare l’economia: l’accesso a nuovi capitali da parte di un elevato numero di PMI che opteranno per la quotazione in Borsa contribuirà a creare ricchezza per l’economia, stimolando la nascita di nuovi posti di lavoro, con effetti positivi sulla crescita del PIL;

h) contribuire alla diffusione della cultura della quotazione e dell’investimento a medio-lungo termine: l’accesso al mercato da parte di nuove PMI contribuirà alla diffusione della cultura dell’equity capital market tra gli imprenditori italiani e della cultura dell’investimento a lungo termine tra i risparmiatori italiani.

2.2 Il Mini-Bond

I mini-bond sono definiti come strumenti di finanziamento a medio-lungo termine (di durata non inferiore a trentasei mesi) messi a disposizione delle PMI italiane al fine di consentire loro il finanziamento dei propri progetti di sviluppo o d’investimento straordinario, fornendo in tal modo un canale alternativo a quello bancario. Tali strumenti rappresentano non soltanto un’alternativa alle altre forme di finanziamento bancario e non, ma anche una possibile exit strategy delle imprese dal ristagnamento, in termini di crescita e sviluppo, nelle quali le stesse imperversano a causa dell’impossibilità di reperire e produrre risorse.

Al fine di individuare quale posizione assume lo strumento dei mini-bond sul mercato è necessario ricordare le caratteristiche che contraddistinguono queste particolari

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obbligazioni. Il mini-bond, innanzitutto, è uno strumento pensato ad hoc per la ricerca di finanziamenti da parte delle PMI; infatti, la normativa stabilisce che questi possono essere emessi da società italiane non quotate, società cooperative e mutue assicuratrici diverse dalle banche e dalle micro imprese. Non sono destinati al pubblico ma a investitori professionali di diritto o su richiesta, cioè quei soggetti che hanno l’esperienza, la conoscenza e la competenza necessaria per prendere le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi connessi. Il tasso e l’importo sono fissati all’atto dell’emissione, tenendo in considerazione esigenze e caratteristiche dell’emittente e le richieste del mercato.

Per lo scambio di strumenti finanziari da parte delle imprese, l’11 febbraio 2013 è stato attivato l’ExtraMOT PRO, un segmento professionale di mercato dedicato alla quotazione di obbligazioni, cambiali finanziarie, project bond32e strumenti partecipativi. Il segmento nasce per mettere a disposizione delle piccole e medie imprese un mercato nazionale flessibile, economico ed efficiente in cui cogliere le opportunità e i benefici fiscali derivanti dal nuovo quadro normativo dettato dai Decreti Sviluppo del 2012 e Destinazione Italia del 2013.

Lo strumento dei mini-bond ha un enorme potenziale capace di apportare vantaggi sistemici a tutti gli operatori coinvolti in tale mercato: dall’emittente, cioè le PMI, alle banche e agli investitori.

Per i primi soggetti citati, i benefici apportati sulla struttura e gestione finanziaria sono molteplici: in primis, garantiscono un accesso diretto al mercato di capitali nazionale e internazionale e permettono alle imprese di beneficiare di un percorso formativo propedeutico a step successivi di crescita attraverso gli stessi mercati. In secondo luogo, rappresentano un’importante vetrina per le imprese italiane, poiché danno la possibilità

32

I project bond sono obbligazioni legate ad un progetto, il cui rendimento per chi li acquista, è legato al volume finanziario che il progetto stesso riesce a generare. L'obiettivo è quello di finanziare i grandi progetti infrastrutturali.

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di accrescere la propria visibilità sia sul mercato che sui media, con un evidente rafforzamento delle proprie credenziali presso clienti, fornitori e sistema finanziario. Come già visto in precedenza, un altro vantaggio è il regime fiscale agevolato previsto per tale strumento. Infatti il Decreto Sviluppo, con riferimento alla deducibilità dei costi per gli emittenti, ha omologato le obbligazioni emesse dalle PMI non quotate alle obbligazioni emesse da società quotate.

Infine i mini-bond incidono positivamente sulla ristrutturazione del debito, poiché danno la possibilità all’impresa di allungare la scadenza delle fonti di finanziamento ristabilendo così un certo equilibrio nella struttura patrimoniale dell’impresa. Ciò produce il rafforzamento degli indici della struttura finanziaria e del capitale circolante che comportano all’impresa una valutazione favorevole del merito creditizio e, quindi, una maggiore affidabilità facilitando in tal senso l’accesso ai finanziamenti bancari a costi meno onerosi.

Per quanto riguarda, invece, le criticità possiamo evidenziare che: è necessario che vi sia un’adeguata disclosure nei confronti degli investitori sia sui bilanci sia sui progetti di investimento, proprio in relazione alle caratteristiche delle imprese ammesse all’emissione degli strumenti; i costi dell’operazione non sono esigui: emissione, collocamento, tassi d’interesse e costo finanziario del tempo33sono tutti elementi da mettere a confronto nella valutazione di un finanziamento reperito sul mercato di capitali rispetto ad uno bancario.

33

L’impresa deve valutare i tempi di attivazione delle diverse operazioni che intende porre in atto. Il ricorso ai mercati finanziari comporta generalmente un allungamento dei tempi necessari alla raccolta dei capitali, rispetto a quelli richiesti per l’erogazione dei finanziamenti bancari.

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2.3 Strutturazione dell’operazione e soggetti coinvolti

L’emissione dei mini-bond è la scelta risultante da un processo decisionale a tutti gli effetti, infatti, ritroviamo i classici step di: identificazione di un problema, caratterizzato dal fabbisogno finanziario dell’impresa; determinazione e valutazione delle alternative disponibili, e quindi un’analisi delle possibili forme di finanziamento; infine, scelta di finanziamento tramite emissione obbligazionaria di mini-bond.

In riferimento all’operazione in oggetto, vengono così a delinearsi delle fasi con una propria schedulazione temporale (Figura 2.2):

1.

Studio della fattibilità;

2.

Strutturazione del prestito obbligazionario;

3.

Regolamento del prestito;

4.

Rating;

5.

Pre-marketing;

6.

Delibere societarie;

7.

Prospetto/istruttoria per la quotazione;

8.

Ricerca investitori;

Riferimenti

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