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Le assicurazioni LTC nel quadro dei rimedi contro la non autosufficienza

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Economia

Corso di Laurea in Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea Magistrale

Le assicurazioni LTC nel quadro dei rimedi contro la non

autosufficienza

Relatore Candidato

Prof. ssa Maria GAGLIARDI Riccardo INGLETTO

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INDICE

INTRODUZIONE...4

1. IL WELFARE STATE: UNA MISSIONE INCOMPIUTA……….7

1.1 Lo Stato Sociale………..7

1.2 Modelli e prestazioni di Welfare………..10

1.2.1 Welfare: Le classificazioni Titmuss e Esping-Anderson……….10

1.2.2 le prestazioni di Welfare……….16

1.2.2.1 Il sistema sanitario italiano………16

1.2.2.2 Disoccupazione e povertà………..20

1.2.2.3 I sussidi e le indennità di disoccupazione………..22

1.2.2.4 il sistema previdenziale e le sue contraddizioni………27

1.2.2.5 Non-autosufficienza: tra costo e peso sociale………32

1.3 la crisi dello stato sociale………38

2. LA NON AUTOSUFFICIENZA: OBBLIGHI FAMILIARI E CONSEGUENZE PENALI 41 2.1 il capace non autosufficiente………41

2.2 Obblighi verso i genitori non autosufficienti……….43

2.2.1 L’anziano economicamente non autosufficiente………44

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2.4 Mancata assistenza all’anziano: le conseguenze penali……….49

3. IL MERCATO ASSICURATIVO: LE POLIZZE LONG TERM CARE………..…51

3.1 Uno sguardo al mercato………..51

3.2 Long term care: confronto tra accumulazione e ripartizione………54

3.2.1 LTC ad accumulazione e a ripartizione: vantaggi e svantaggi…..57

3.3 i costi delle polizze………..60

3.4 il range di copertura delle polizze ltc……….62

3.5 Le esclusioni nelle polizze………..64

3.6 Elementi di rilievo nelle polizze ltc………..67

3.7 il regime fiscale delle polizze ltc………71

4. I CONTRATTI………74

Premessa……….74

4.1 darta long term care………74

4.1.2 L’oggetto del contratto………..76

4.1.3 Entità del premio……….79

4.1.3.1 rivedibilità del premio………81

4.1.3.2 Mancato pagamento del premio: Estinzione e riattivazione..82

4.1.4 riduzione, risoluzione e ripensamento………..83

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3

4.1.6 la carenza………87

4.1.7 i criteri della non autosufficienza………..88

4.1.8 le dichiarazioni………...90

4.1.9 il collegio medico arbitrale……….92

4.2 lungavita long term care………..93

4.2.2 L’oggetto del contratto……….98

4.2.3 le esclusioni………..100

4.2.4 dichiarazioni e limitazioni………..102

4.2.5 la clausola di rivalutazione………..105

4.2.5.2 regolamento gesav………..108

4.2.6 versamento premi e vicende contrattuali………110

4.3 darta ltc e lungavita ltc a confronto………112

4.3.1 le differenze………..112

4.3.2 le conclusioni………114

5. POLIZZE LTC: LA SOLUZIONE PER LA NON AUTOSUFFICIENZA……….115

5.1 una visione di insieme………..115

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4

INTRODUZIONE

Il seguente studio è volto ad analizzare e verificare l’efficacia delle polizze di assicurazione contenute nel ramo IV. Vita di cui all’articolo 21 del Codice delle

Assicurazioni.

L’analisi sarà condotta su diversi piani con l’intento di ricavarne più chiavi di lettura possibile e valutazioni di carattere sia oggettivo che interpretativo. In primo luogo, pertanto, sarà di indubbia utilità un inquadramento storico del prodotto che ci aiuterà a comprendere meglio la necessità, il bisogno latente che ha spinto la nostra società, e quindi il nostro ordinamento, a domandare e a introdurre questa tipologia di polizze, conosciute come LTC (long term care), all’interno del panorama economico, in forma integrativa e non sostitutiva di formule tecniche con ben più anni di vita, sostenute e finanziate dallo Stato. Ci riferiamo proprio a quell’attività, ormai di durata secolare, che le realtà statali europee hanno posto in essere e che è stata finalizzata alla salvaguardia del benessere collettivo. Attività, la cui efficacia è andata lentamente scemando, ai cui buoni propositi, necessari e imprescindibili, non sono sempre seguite azioni altrettanto valide ed efficaci. L’assenza di misure idonee per la tutela fisica e morale del cittadino in unione a un clima generale di sfiducia verso il sistema pubblico ha favorito lo sviluppo di alternative di natura privata che sopperissero a tale mancanza. Sarebbe tuttavia erroneo e fuorviante individuare nelle sole scelte pubbliche la crisi dello Stato Sociale e d’altronde questa tematica costituisce solo la genesi del mio lavoro ovvero l’individuazione della culla storica in cui è riconducibile la nascita di queste polizze assicurative.

1 Art.2 del Codice delle Assicurazioni inerente la classificazione dei rami vita. Con riferimento al ramo

IV: l'assicurazione malattia e l'assicurazione contro il rischio di non autosufficienza che siano garantite mediante

contratti di lunga durata, non rescindibili, per il rischio di invalidità grave dovuta a malattia o a infortunio o a longevità”.

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In secondo luogo l’analisi sarà di natura contenutistica, prenderemo in visione alcuni prototipi di polizze LTC, concentrandoci sul rischio sottostante gestito dalle compagnie assicurative. Gli elementi caratteristici di queste polizze verranno posti in risalto e saranno, pertanto, definite le dimensioni e individuati i poteri contrattuali dei soggetti coinvolti, assicuratori e assicurati. In riferimento a questi ultimi, polizze assicurative di recente istituzione e regolamentazione come quelle che saranno visionate, potrebbero ancora contenere lacune normative e lo spettro di azione dell’assicuratore potrebbe essere ancora troppo ampio, tale da sconfinare dalla propria legittimità e intaccare i diritti della propria clientela con l’inserimento di clausole vessatorie.2

In questa fase l’analisi giuridica non potrà che essere condotta parallelamente all’analisi tecnico-economica delle polizze.

L’analisi, riguarderà i profili contrattuali ma anche la polizza assicurativa nel suo insieme. Sotto questo profilo emergerà la necessità di utilizzare gli spunti normativi offerti del nostro legislatore per la classificazione di queste polizze, in quanto potrebbero come verificatosi per le unit e index linked, qualificarsi come degli “ibridi” contrattuali, con evidenti contaminazioni finanziarie. Sarà pertanto cruciale individuare la rilevanza di questa contaminazione per potervi applicare la corretta disciplina giuridica.

Le problematicità che risulteranno dall’analisi contrattuale ci spingeranno anche in ultima istanza a formulare quesiti sul percorso evolutivo di queste recenti polizze, sulla loro possibile diffusione territoriale, e sull’effettiva capacità di rispondere, come soluzione plausibile e non temporaneo palliativo, a una

2 Il Codice delle Assicurazioni unitariamente al Codice Civile, in materia contrattuale, disciplinano e delimitano i

poteri contrattuali delle parti. In riferimento a ciò menzione va fatta per la clausole vessatorie come disposto dall’articolo 1341 c.c dedicato alle “condizioni generali del contratto” il quale al secondo comma dispone che: “in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che

stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità , facoltà di recedere dal

contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze , limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi , tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria".

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necessità sociale che anno dopo anno ha assunto un livello di criticità e di rilevanza economica e sociale.

La salute del cittadino deve essere sempre garantita e tutelata nel tempo. Nel caso in cui la strada pubblica dovesse risultare tortuosa e impraticabile, tale diritto dovrà essere comunque garantito da imprese private, come necessità sociale. Le considerazioni finali, importante ricordarlo, saranno di natura deduttiva e frutto di interpretazione personale senza alcuna pretesa di risposta definitiva, ma apriranno solo a possibili scenari ipotetici. D’altronde l’alea evolutiva, caratterizzante ogni ciclo macroeconomico e microeconomico, non potrebbe che condurre ad analisi e conclusioni di questo tipo.

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CAPITOLO 1

IL WELFARE STATE: UNA MISSIONE INCOMPIUTA.

1.1 LO STATO SOCIALE.

È ormai noto che i mercati finanziari risultano solitamente instabili. Studi sulla finanza comportamentale hanno evidenziato come l’elemento emotivo e psicologico costituisca un driver determinante sull’andamento dei titoli provocandone tumultuose e repentine variazioni nei prezzi negoziati. I soggetti che intervengono nella determinazione del prezzo sono gli investitori, di solito privati, che optano per una scelta di risparmio e le imprese che, da essi finanziate, domandano risorse per fini solitamente imprenditoriali; la domanda e l’offerta che ne derivano, quindi, determinano i valori dei prezzi negoziati3.I

soggetti che impiegano risorse nei Mercati possono avere molteplici scopi di investimento. La natura, alla base di questo comportamento, può riassumersi nella volontà di privarsi di denaro oggi, per poi vedersi corrispondere alla scadenza dell’investimento il capitale versato maggiorato dell’interesse, oppure, l’accantonamento iniziale ha uno scopo di origine previdenziale, privarsi di una quantità oggi per averne disponibilità in futuro per sopperire a una situazione di bisogno. L’arricchimento, quindi, non è il motivo che spinge le persone a domandare strumenti quali le polizze assicurative del ramo vita. Le polizze di assistenza di lungo periodo, rintracciabili all’interno del ramo vita, possono fornire una soluzione per tutte quelle persone che temono che in futuro eventi accidentali occorsi nella loro vita ne compromettano l’autosufficienza. La polizza

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8

in questione interverrebbe a ristorare economicamente il beneficiario 4

contrattuale che ha subito un danno fisico o psichico tale da impedirgli anche il compimento delle azioni più semplici nella sua quotidianità.

La tutela della salute dei cittadini, in passato, era totalmente a carico dello Stato che garantiva alle classi sociali più povere i servizi essenziali.

La nascita dello Stato Sociale ha le sue origini in epoca moderna e più precisamente nel XVIII secolo in Inghilterra, quando la Poor Law5 guardando alle

classi sociali meno abbienti, ne sosteneva la necessità di sostegno economico, nel momento in cui la famiglia non riuscisse a provvedervi direttamente.

Il processo evolutivo dello Stato Sociale era d’altronde ancora ai suoi albori. La rivoluzione industriale mise in luce tutte le criticità inerenti alla sicurezza sul lavoro. Possiamo introdurre il primo concetto di “assicurazione sociale” con gli interventi legislativi del 1883, in Germania, durante il cancellierato di Otto Von Bismark. La ratio normativa prevedeva la tutela, in forma previdenziale, degli operai per eventuali infortuni che si sarebbero verificati sul posto di lavoro. Il secondo intento, per consecutio logica, era quello di ridurre il tasso di mortalità precoce della popolazione.

L’ultimo passo, forse quello più importante, è stato compiuto nel secondo dopo guerra. La nascita del Welfare State, grazie al rapporto Beveridge6, definì i

concetti di pensione sociale e di sanità pubblica. Una menzione speciale, in questa terza e cruciale fase, va riservata alla Svezia, Stato che ha avuto il merito di attribuire, ai concetti citati sopra, dimensione di universalità, e quindi di

4 “Beneficiario” non è equivalente a “contraente”. Il contraente è colui che stipula il Contratto, il beneficiario è

colui invece che ha diritto alla prestazione della controparte.

5 English Poor Law, secondo Wikipidia era il sistema assistenziale per le classi più povere. La Poor Law attraversò

diverse fasi dalla sua prima attuazione nel 1349 con l’Ordinance of Labourers fino allo Statute of Cambridge del 1388.

6 Social Insurance and Allied Services il rapporto di William Beveridge. Tale rapporto sulla sicurezza globale e i

servizi connessi è servito da base per la riforma dello stato sociale britannico messo in atto dal governo laburista eletto nelle elezioni generali del 1945.

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applicabilità non solo alle classi sociali meno abbienti, ma a tutti i cittadini. L’assistenza sociale come diritto riconosciuto alla nascita.

Il modello Welfare State ha assicurato in tutti gli ordinamenti che lo hanno adottato, fino alla fine degli anni 70, un'espansione lineare, crescente, di impegni e di spese pubbliche. In seguito, si è cominciato a parlare di crisi del modello e solo negli anni 90’ l'Europa occidentale ha iniziato a sperimentare correzioni al modello in crisi.

Tra i Paesi che sono arrivati tardi all'attuazione del modello, vi è stato anche il nostro in cui il Welfare State sanitario vero e proprio risale al 1978.

La prima critica al modello post-bellico si è concentrata sulla denuncia del centralismo burocratico gestionale pubblico, sulla persistente asimmetria dei rapporti fra chi dà e chi riceve, sulla non applicazione del principio di sussidiarietà e tali disfunzioni sono apparse come carenze di qualità delle cure.

L'emergere del problema della qualità delle cure, dalla metà degli anni ‘80 in tutto l’Occidente, ha avuto come primo esito quello di spingere a bilanciare i diritti sociali con la tutela e auto-tutela dei diritti civili e politici dei cittadini utenti.

L'enfasi sulla libertà di scelta e di controllo sulle cure ricevute, ha prodotto propensioni eccessive in senso opposto allo statalismo7, con tendenza ad una

completa apertura al mercato.

7 Con questo termine si indica il controllo esercitato dallo Stato nelle attività economiche del Paese. Tale

controllo si esercita con una larga partecipazione dello Stato nei settori dell’Economia. Cfr.Enciclopedia Treccani.

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1.2 MODELLI E PRESTAZIONI DI WELFARE.

1.2.1 WELFARE: LE CLASSIFICAZIONI TITMUSS E ESPING-ANDERSON.

Come abbiamo avuto modo di evidenziare, tramite un breve excursus storico, lo Stato Sociale ha ormai vita secolare, quindi se sul piano teorico, obiettivi e finalità sono rimasti pressoché inalterati nel tempo, alla stessa conclusione non si può giungere sul piano operativo. Le politiche sociali, nella loro operatività hanno ripercussioni del tutto differenti sull’economia del Paese e sul tenore di vita delle persone. Per rendere l’idea quindi dello sviluppo reale del Welfare, utilizziamo due modelli differenti.

Col modello Titmuss8 possiamo fornire una prima classificazione, individuando

tre diverse funzioni delle politiche sociali:

1) Il modello residuale

• L’impegno dello Stato è veramente minimo. È residuale in quanto gli interventi sono diretti e finalizzati al soddisfacimento di bisogni individuali.

• Lo Stato interviene non appena è appurato il fallimento dei “canali di aiuto principali”, ovvero famiglia e Mercato.

Lo Stato si impegna, quindi, al minimo, limitandosi a fornire interventi di tipo temporaneo in risposta a bisogni individuali e solo quando gli altri canali di intervento (famiglia e mercato) non riescono ad attivarsi nell’ assistenza.

2) Il modello remunerativo

• Lo Stato come figura “protettiva”.

8 Dal Manuale di politiche sociali di Enrica Morlicchio. Modello classificabile per scopi, sono centrali le funzioni

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• Politiche sociali complementari a quelle fornite dal sistema economico generale.

• Funzione “assicurativa” dello Stato.

Lo stato fornisce protezione “completando” quella fornita dal sistema economico generale. La funzione di Welfare State è di tipo assicurativo e protettivo indirizzata prevalentemente alla classe lavoratrice.

3) Il modello istituzionale redistributivo

• La protezione sociale pubblica è l’elemento cardine di questo modello. • Condizione di universalità delle politiche sociali.

• Obiettivo: sicurezza sociale.

La tabella sopra presentata riassume in maniera essenziale concetti di politica sociale. Nel Welfare State è erroneo pensare che le politiche sociali siano sempre orientate alla tutela di TUTTI i cittadini. Alcuni modelli, come si può vedere,

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hanno una componente di intervento talmente esigua che difficilmente può essere apprezzata. Per esempio, che la formula residuale difficilmente riesce a risolvere tutti i problemi a carattere assistenziale di un Paese. Analizzando l’altro estremo, ovvero la redistribuzione sociale, caratterizzata da interventi totali e universali, è plausibile che nel lungo periodo costituisca un modello non economicamente sostenibile, o non capace di soddisfare i bisogni cittadini senza legarsi in pericolosi deficit9 di bilancio. Sembra evidente il trade off tra elemento

sociale ed elemento economico. Forse la soluzione “mediana”, ovvero la scelta di compromesso, potrebbe risultare di miglior efficacia. D’altronde le politiche sociali nei Paesi Occidentali non sono attribuite alla generalità degli individui ma solo a determinate classi sociali. Il driver per l’identificazione di tali classi può essere il livello remunerativo settoriale nel lavoro e il tasso di disoccupazione generale. Tali elementi potrebbero risultare molto utili nell’identificazione concreta del bisogno assistenziale generale della popolazione. Il modello occupazionale potrebbe essere quindi, la risposta più efficace, considerando la complementarietà con le scelte di mercato.

Un modello di classificazione differente è stato realizzato proprio nel periodo storico in cui espansione e sviluppo economico, situazione caratterizzata da una crescita dei consumi quindi dell’offerta di lavoro e della produzione generale, hanno fatto da traino per l’economia nazionale dei Paesi Europei. Uno Stato, con più risorse a disposizione, è chiamato a utilizzare parte delle stesse per rifornire la società di servizi e, tra questi, di prestazioni di Welfare. Pertanto, la classificazione Esping-Anderson10, quindi, ha avuto rilievo nel momento in cui è

stata portata avanti un’analisi approfondita delle scelte di Welfare dei singoli

9 Cfr. Wikipedia. Riferimento al deficit pubblico. Condizione di bilancio negativa che registra una preminenza delle

uscite sulle entrate statali nell’anno corrente. Il disavanzo di bilancio comporta un aumento del debito pubblico.

10Dal Manuale di politiche sociali di Enrica Morlicchio. Modello in cui si evince la posizione politica dello Stato

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Paesi, grazie alle quali sono emersi 3 sistemi diversi di intervento statale. I modelli emergenti pertanto sono:

• Liberale. Quello liberale (USA, UK) è considerato scarsamente meritocratico. Le prestazioni sono minime, rivolte solo alle classi sociali più bisognose, il cittadino è affidato ai circuiti di mercato, offerenti soluzioni alternative ma sempre costose per l’individuo. Tale scelta di Welfare è economicamente conservativa e il conseguente scarso utilizzo di fondi può essere causa di tensioni sociali.

• Socialdemocratico. In contrasto con quello liberale si propone questo modello che offre un Welfare totale e universale nelle sue prestazioni. I Paesi scandinavi infatti riconoscono a ogni cittadino la capacità di accedervi e tale diritto, come analizzato nello sviluppo storico dello Stato Sociale, è riconosciuto al momento della nascita dell’individuo. Le prestazioni risultano di portata veramente ampia e, pur con qualche distinzione sociale, l’accesso risulta immediato e automatico. Tale soluzione, dai tratti totali e onnicomprensivi, è pienamente garantita dallo Stato, il quale con visione lungimirante garantisce un alto tenore di vita, per sostenere un massimo livello occupazionale. La chiave della sostenibilità di tale modello risiede nella capacità dei cittadini di essere a loro volta socialmente attivi, restituendo allo Stato quanto generosamente ricevuto, in termini di produttività e serietà lavorativa. • Conservatore-Corporativo. Ecco presentata la formula di “compromesso

sociale”, funzionante in Stati come la Germania e la Francia, veramente di efficacia discutibile nella sua variante mediterranea per Paesi come Spagna, Italia e Grecia. Tale modello, che propone sostanzialmente un ruolo sussidiario dello Stato nel fornire assistenza e garanzie ai propri cittadini, può condurre a risultati di rilievo solo se la commistione tra

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Mercato e Stato produce gli effetti desiderati sui lavoratori verso cui tali azioni sono rivolte. Questo sistema, incentrato sulla classe lavorativa, pone il proprio credo sull’impatto positivo che potrebbero avere i cittadini sulla società, se messi in condizione di raggiungere in maniera rapida e socialmente funzionale la posizione lavorativa desiderata.

Nell’esposizione del modello Titmuss, ci siamo posti delle domande sulla semplice ipotesi che, già nella sua espressione astratta, ogni modello presenta elementi di criticità, che in assenza di politiche di welfare economicamente e socialmente sostenibili, potrebbero condurre a problemi economici fino all’adozione di misure drastiche, socialmente ridimensionanti, che condurrebbero alla limitazione e persino alla rinuncia della tutela statale. La classificazione Esping-Anderson può invece fornire indicazioni più precise. Non è solo la tipologia di Welfare adottata a essere messa sotto la lente di ingrandimento, ma l’attuazione concreta delle politiche che dovrebbero condurre alla realizzazione di tale modello. Inoltre, la scelta in alcuni casi risulta“forzata”. Non sempre i Paesi adottanti tali misure hanno piena libertà di manovra. Paesi più piccoli o meno popolosi, sono generalmente più facili da gestire. È più facile adottare la soluzione di diritto universale per i paesi scandinavi, dai tratti burocratici e amministrativi snelli e funzionali. L’elemento culturale, in aggiunta, svolge un ruolo cardine all’interno del Welfare. Paesi virtuosi, con bassi livelli di corruzione e evasione, riescono facilmente a tutelare e garantire la salute dei propri cittadini. Il tenore di vita è talmente alto da consentire, ad esempio, in Svezia di trasformare le stesse carceri in appartamenti che vanno ben al di là del concetto di decoro.

I tratti freddi e distaccati del Welfare liberale, invece, costringono il cittadino a un’auto-assistenza che a volte si scontra con limiti economici oggettivi.

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Ricordiamo come sia difficile ricorrere alla sanità pubblica negli U.S.A, e come non tutti i cittadini possono accedervi gratuitamente. Si spiega così il maggiore ricorso a formule di assistenza privata e, ritornando al nostro oggetto di analisi, la ragione per cui le polizze LTC siano largamente diffuse nei Paesi Anglosassoni. Concludendo l’analisi, i modelli conservativi di Welfare sono sostenibili se vi è convergenza di intenti. Lo Stato dovrebbe garantire assistenza alle classi sociali più povere, ma il dovere è anche in capo al cittadino, che dovrebbe restituire quanto ricevuto nel momento in cui ne ha effettivamente possibilità. Questo do

ut des si fonda sull’onestà delle parti perché lo Stato è fatto da cittadini ed è

compito di questi ultimi creare e sostenere una formula ad hoc. Un buon Welfare statale comincia dalla coscienza civica dei suoi cittadini.

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1.2.2 LE PRESTAZIONI DI WELFARE. 1.2.2.1 IL SISTEMA SANITARIO ITALIANO.

Abbiamo precedentemente sottolineato come la gestione di uno Stato sia tanto difficoltosa quanto più esso sia densamente popolato. In capo allo Stato è il compito di provvedere alla salute dei suoi cittadini, ma è di questi ultimi il compito di fornire, lavorando e pagando tasse e contributi, quelle risorse sufficienti da poter essere redistribuite, in base alle concrete necessità, alla collettività. Il flusso di risorse dallo Stato ai cittadini prende il nome di spesa pubblica. Non tutta la spesa pubblica è destinata al Welfare, ma è sicuramente la parte rivolta a quest’ultimo a risultare di nostro maggiore interesse.

Nello Stato Sociale italiano l’accesso pubblico per spese sanitarie è sempre stato motivo di dibattito politico. Non a caso il sistema sanitario italiano ha subito tumultuosi cambiamenti soprattutto durante il secolo scorso. Riassumiamo, quindi le principali tappe evolutive:

1) Assicurazione volontaria fino al 1943.

2) L’assicurazione sociale di malattia dal 1943-1978. 3) Il sistema universalistico dal 1978 a oggi11.

Nella prima fase, avevano accesso a coperture sanitarie solo coloro che aderivano in maniera volontaria all’assicurazione sulla salute. L’assicurazione sociale di malattia invece, veniva sottoscritta da tutti coloro che, lavorando, pagavano i contributi salariali. In questo caso, la prestazione statale seguiva schemi diversi in funzione dello status lavorativo del richiedente. Il sistema universalistico, vigente dal 78’ a oggi, è la formula socialmente più apprezzabile. L’universalità della prestazione sanitaria, infatti, consente la massima copertura

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sulla popolazione, garantendone assistenza in forma continuativa, eguaglianza di trattamento a parità di bisogno, totalità dei servizi gestiti con trasparenza e unicità gestionale dell’ASL. La democraticità è quindi pienamente soddisfatta. Questo quadro sanitario, apparentemente idilliaco, presenta tuttavia coni d’ombra e aree di aperta criticità. L’elemento “spesa”, nel settore pubblico non può e non deve passare in secondo rilievo. L’eccessiva spesa sanitaria derivante da questo sistema, potrebbe rompere il sottile equilibrio tra la sanità e gli altri sistemi di Welfare pubblico. Infatti, un’azione12 di spesa sanitaria eccessiva

potrebbe portare a drastici tagli negli altri settori di pubblica competenza, fino alla paradossale azione limitativa nello stesso settore in cui inizialmente, con intento di favore, lo Stato era intervenuto. Per fornire un’evidenza a questo processo, il Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi ha presentato un quadro preoccupante circa la stessa rinuncia, in percentuale della popolazione, a farmaci e strutture messe a disposizione dalla sanità pubblica in quanto ritenute oggi dal privato cittadino non accessibili, in quanto molti farmaci ad uso quotidiano risultano per le famiglie costosi mentre le strutture sanitarie pubbliche non garantiscono un servizio celere. Pertanto, La percentuale di rinuncia oscilla da pochi decimali nelle regioni del Nord d’Italia, fino ad un’allarmante 13% in alcune regioni del Sud.

Un altro problema rilevante è l’eterogeneità nell’accesso ai servizi nelle regioni Italiane. Vi sono, infatti, profonde differenze interregionali nel costo dei servizi sanitari a causa del quale le amministrazioni regionali hanno cercato di porre rimedio attraverso il “super ticket”13 introdotto nel 2007. L’introduzione di

12 Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30

novembre 1998, n. 419 - Decreto 31 marzo 2008.

13 Economia e Politica, Rivista on-line di critica della politica economica. “Servizio Sanitario Nazionale a prezzo

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questo oneroso ticket, che aveva l’obiettivo dichiarato di migliorare l’equilibrio economico finanziario delle regioni, ha tuttavia prodotto tre gravi conseguenze:

1. La fuoriuscita di alcuni servizi dal sistema pubblico;

2. La rinuncia alle cure costose per una parte della popolazione; 3. Una paradossale diminuzione delle entrate pubbliche.

Con riferimento all’ultimo punto, il “super ticket” aumenta il costo di alcune prestazioni oltre il loro valore, creando effetti distorsivi sulle scelte dei consumatori che potrebbero addirittura preferire pagare il prezzo pieno nel settore privato, perché più economico rispetto al ticket.

L’investimento dello Stato sulla Sanità finisce per diventare una vittoria pirrica se poi, i successivi tagli da mala gestio, conducono a strutture fatiscenti e non funzionali. Pertanto il Welfare pubblico sanitario rischia di diventare inconcludente e molto deficitario se non vengono apportate soluzioni di natura integrativa. Le soluzioni, private, per fortuna ci sono.

Il welfare sanitario privato costituisce il cosiddetto Secondo Pilastro14 del

sistema sanitario italiano. Quando il Welfare sanitario privato è messo a disposizione dal datore di lavoro rientra nella categoria del welfare aziendale e viene denominato welfare sanitario aziendale. Il welfare sanitario aziendale comprende l’assistenza sanitaria integrativa e le assicurazioni sanitarie aziendali. Può essere erogato attraverso diversi enti: fondi sanitari, le casse di assistenza sanitaria, le società di mutuo soccorso e le compagnie assicurative.

Il legislatore ha introdotto una serie di agevolazioni fiscali per favorire l’utilizzo del welfare sanitario aziendale. Si prevede la deduzione dei contributi versati agli enti del welfare sanitario aziendale che non costituiscono reddito da lavoro

14 Art. 38, comma. 5 Cost. “L’assistenza privata è libera”. Tra le forme previdenziali private che sono state

introdotte vi sono associazioni di volontariato, cooperative ed istituti di patronato ed assistenza. Negli ultimi anni, a causa della scarsità delle risorse dello Stato, l'importanza dell'assistenza privata è aumentata.

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perché considerati di utilità sociale. Tuttavia, le agevolazioni non risultano applicabili a tutti i soggetti erogatori ma soltanto ai fondi sanitari15, alle casse di

assistenza sanitaria e alle società di mutuo soccorso. Nel caso delle polizze sanitarie stipulate dal datore di lavoro con una compagnia assicuratrice, in generale, fatte salve alcune eccezioni previste dalla normativa, esse non godono di deducibilità, ma sono soggette a detraibilità.Dall’analisi dalla contrattazione collettiva nazionale e aziendale degli ultimi anni si riscontra un crescente interesse verso le misure di welfare sanitario aziendale. I fondi sanitari integrativi del sistema sanitario nazionale sono la forma di welfare sanitario più presente nella contrattazione collettiva. In alcuni casi, come nel rinnovo del CCNL per l’industria metalmeccanica del 26 novembre 2016, si prevede l’iscrizione automatica dei lavoratori ai fondi sanitari integrativi da parte dei datori di lavoro. Il riferimento alle polizze sanitarie all’interno dei contratti collettivi è inferiore rispetto ai fondi sanitari integrativi, tuttavia si riscontra che negli ultimi anni la loro diffusione sia aumentata e alcuni contratti prevedono l’introduzione di nuove coperture, quali la medicina preventiva e le cure odontoiatriche e riabilitative.

15 Decreto 27 ottobre 2009. Modifica al decreto 31 marzo 2008, riguardante «Fondi sanitari integrativi del

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1.2.2.2 DISOCCUPAZIONE E POVERTÀ.

Nonostante disoccupazione e povertà implichino la trattazione di tematiche ampie e importanti, credo che risulterebbe poco corretta un’analisi condotta separatamente, in quanto è ormai riconosciuta la loro stretta correlazione. Solitamente, lo Stato introduce “misure tampone “, con lo scopo di limitare e contenere il livello di povertà generale, ma i disegni di Legge importanti sono finalizzati alla soluzione del problema alla radice. La disoccupazione è una vera e propria piaga sociale il cui peso è massiccio e si ripercuote su ogni settore dell’economia italiana. Secondo le stime ISTAT16 sul territorio, risulta che, il tasso

di disoccupazione sulla popolazione di riferimento è all’ 11,0%. Dato il tasso allarmante, soprattutto a confronto con altri Stati europei, nel corso dell’ultimo ventennio, si sono susseguite diverse manovre politiche l’ultima delle quali è la riforma attuale, il Jobs Act. Non è questa la sede per analizzare gli aspetti economico-politici di questa riforma, ma qui ci limitiamo a porre in risalto il problema occupazionale e analizzare le misure di Welfare adottate per cercare di correggere il fenomeno, in attesa che le politiche di lavoro producano concreti effetti economici. Prima di analizzare nel dettaglio le politiche sociali vediamo, con le tabelle che seguiranno, di fotografare la situazione occupazionale italiana.

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21 Ad agosto gli occupati crescono del 4,2% tra i 15-34enni

In percentuale

Variazione tendenziale percentuale osservata

Variazione tendenziale percentuale al netto della componente demografica

Occupati Disoccupati Inattivi Occupati Disoccupati Inattivi

15-34 anni 3,3 -4,8 -1,7 4,2 -3,9 -0,9 35-49 anni -1,5 -3,6 -4,4 0,6 -1,6 -2,4 50-64 anni 3,8 17,4 -2,3 1,9 15,2 -4,2 15-64 anni 1,3 -0,9 -2,5 1,8 -0,1 -2,3 Fonte: Istat

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1.2.2.3 I SUSSIDI E LE INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE.

La NASpI 2018 INPS17 è una prestazione a sostegno del reddito dei lavoratori che

hanno perso involontariamente il lavoro. Nel caso in cui un lavoratore subordinato perda in modo involontario la propria occupazione, a partire dal 1^ maggio 2015, può contare sul sostegno al reddito dell’indennità di disoccupazione Naspi (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego).

I destinatari della NASPI sono lavoratori dipendenti, ricomprendendo in questa categoria anche gli apprendisti e i soci di cooperativa. Questi ultimi, accanto al rapporto associativo devono aver instaurato un rapporto subordinato. Rimangono invece esclusi da questa copertura i dipendenti a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni e gli operai agricoli.

Gli unici requisiti richiesti per poter accedere alla domanda sono di carattere oggettivo:

• Stato di disoccupazione intendendo la perdita del lavoro per cause indipendenti dalla volontà del lavoratore;

• Tredici settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione;

• Trenta giorni di effettivo lavoro nei dodici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione.

Occorre precisare che devono essere soddisfatte due condizioni:

• Una è quella di essere privi di occupazione (ovvero aver perso involontariamente la propria occupazione);

(25)

23

• L’altra è quella di aver dichiarato al centro per l’impiego18 la propria

immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e/o partecipare a misure di politica attiva del lavoro.

Nonostante la perdita del lavoro debba essere indipendente dalla volontà del lavoratore vi sono alcune eccezioni. E’ infatti possibile accedere al trattamento a seguito di dimissioni, evento dipendente dalla volontà del lavoratore nei seguenti casi:

• Durante il periodo tutelato di maternità;

• Dimissioni per giusta causa, cioè quando si sia verificata una causa che non consente la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro. A titolo esemplificativo il non pagamento delle retribuzioni da parte del datore di lavoro.

L’ulteriore eccezione è il caso della risoluzione consensuale quando questa è intervenuta nell’ambito della procedura conciliativa presso la Direzione Territoriale del Lavoro. Oppure nell’ipotesi di licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione proposta dal datore di lavoro entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento.

Infine se interviene a seguito del rifiuto del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore. Lo stesso vale se la sede è mediamente raggiungibile in 80 minuti con mezzi di trasporto pubblici.

Anche per la Naspi 2018 il requisito contributivo rimane invariato, le settimane di contribuzione utili sono tredici nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.

18I centri per l’impiego sono uffici pubblici gestiti dalle Amministrazioni Provinciali che offrono servizi ai cittadini

e alle imprese. Sostituiscono i vecchi uffici di collocamento e agevolano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

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24

Per “utili” si intendono, a titolo esemplificativo, anche i contributi figurativi accreditati per maternità obbligatoria. Questo vale se all’inizio del periodo di astensione risulta già versata la contribuzione. Stesso discorso per i periodi di congedo parentale, purché regolarmente indennizzati e intervenuti in costanza di rapporto di lavoro. Oppure i periodi di astensione dal lavoro per malattia dei figli fino agli 8 anni di età, nel limite di cinque giorni lavorativi nell’anno solare. Al contrario non sono considerati utili, anche se coperti da contribuzione figurativa i periodi di cassa integrazione 19 straordinaria e ordinaria con

sospensione dell’attività a zero ore. Oppure i periodi di assenza per permessi e congedi fruiti dal lavoratore per assistere un soggetto con handicap in situazione di gravità, che sia coniuge, genitore, figlio, fratello o sorella in regime di convivenza.

Essendo periodi non utili al conteggio questi vengono “neutralizzati” ampliando il quadriennio di riferimento (ovvero gli ultimi 4 anni).

Anche per la disoccupazione Naspi INPS 2018 le trenta giornate di lavoro nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione si intendono di effettiva presenza al lavoro, a prescindere dalla loro durata oraria.

Come nel caso del requisito contributivo vi sono alcuni eventi che possono ampliare l’arco dei dodici mesi all’interno del quale ricercare il requisito.

Ecco un breve elenco indicativo: • Malattia e infortunio sul lavoro;

• Cassa integrazione straordinaria e ordinaria con sospensione dell’attività a zero ore;

19 La cassa integrazione guadagni è un ammortizzatore sociale erogato dall’Inps in costanza di rapporto di

lavoro.

Ne hanno diritto i lavoratori a seguito di una riduzione o sospensione dell’attività lavorativa per motivi di crisi aziendale o di riorganizzazione interna.

(27)

25

• Assenza per congedi e/o permessi fruiti dal lavoratore per assistere un soggetto con handicap in situazione di gravità, purché autorizzato;

• Congedo obbligatorio di maternità, purché all’inizio dell’astensione risulti già versata contribuzione;

• Congedo parentale, purché regolarmente indennizzati ed intervenuti in costanza di rapporto di lavoro.

Dopo aver calcolato il valore20 della NASpI è importante aggiungere che, la

prestazione mira a fornire un primo, limitato aiuto in attesa che il soggetto trovi una nuova occupazione.

La NASpI, bisogna ricordare, non è l’unico ammortizzatore sociale che il lavoratore ha a disposizione. Lo Stato ha messo a disposizione del lavoratore in stato di disoccupazione altre opzioni altrettanto valide che mi limiterò semplicemente ad elencare:

• Trattamenti di integrazione salariale;

• Assegno ordinario e dell’assegno emergenziale per il Fondo del Credito; • Assegno emergenziale per il Fondo del Credito Cooperativo;

• Indennità di mobilità;

• Trattamenti speciali di disoccupazione per l’edilizia; • Indennità di disoccupazione DIS-COLL;

• Assegno per le attività socialmente utili.

20 Per calcolare l’importo dell’indennità Naspi 2018 spettante è necessario munirsi di estratto conto

previdenziale (reperibile anche tramite procedura telematica attraverso il sito INPS) e calcolatrice. A questo punto occorre sommare tutte le retribuzioni imponibili ai fini previdenziali, ricevute negli ultimi 4 anni, e dividere il risultato per il numero di settimane di contribuzione, infine il quoziente ottenuto deve essere moltiplicato per il coefficiente 4,33.

Se dal risultato di tale calcolo la retribuzione mensile è pari o inferiore a 1.195 euro, l’importo della NASPI è pari al 75% della suddetta retribuzione. Se è oltre a tale soglia, viene aggiunto al 75% un importo pari al 25% del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo. L’importo massimo dell’indennità non può superare i 1.300 euro al mese.

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26

Queste formule sono si presentano in forma di surrogato del flusso di reddito lavorativo, tuttavia ad impatto notevolmente ridotto e con talune limitazioni d’accesso.

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27

1.2.2.4 IL SISTEMA PREVIDENZIALE E LE SUE CONTRADDIZIONI.

Il concetto di previdenza sociale è strettamente correlato a quello di assicurazione sociale. Il cittadino è chiamato, nel corso del suo periodo lavorativo ad accantonare delle quantità di denaro, ovvero i contributi, che saranno restituiti come flusso di reddito costante durante il periodo di pensionamento. Questo processo è sostenibile se lo Stato impone ai lavoratori di versare i contributi, come obbligo. Obbligo che tuttavia solo recentemente è stato istituito.

Negli anni ’80 a causa di un forte sviluppo economico, l’occupazione è cresciuta ma purtroppo lo Stato non ha assunto un comportamento lungimirante in quanto il sistema previdenziale era retributivo. I lavoratori andavano in pensione relativamente presto, e il reddito che successivamente percepivano era alto e conteggiato in percentuale sul livello dell’ultimo stipendio ricevuto. Lo Stato elargiva più di quanto nel concreto riceveva. La situazione è precipitata quando nell’ultimo ventennio la crescita economica del Paese si è bloccata, la ricchezza è diminuita e il debito pubblico è aumentato. Oggi il peso delle scelte del sistema retributivo adottato in passato ha un impatto enorme sui conti pubblici. In sintesi estrema il sistema previdenziale italiano è oggi condizionato da 3 elementi:

• Inserimento tardivo nel mondo del lavoro; • Età di pensionamento elevata;

• Pensioni basse.

Tra questi elementi sopraelencati c’è una stretta relazione. La recessione, di cui ormai da un decennio soffriamo le conseguenze e che solo adesso pare stia finendo, ha portato a un livello eccessivo di disoccupazione. Bassi livelli occupazionali del Paese sono causati da una basso livello di domanda delle

(30)

28

imprese rispetto all’offerta lavorativa. Il sistema contributivo21 è pienamente

sostenibile se le persone, lavorando, pagano i contributi che sono di fatto essenziali per pagare le pensioni. Tuttavia, le tabelle demografiche dell’ISTAT mostrano come la vita media stia continuamente crescendo, quindi per evitare un deficit di bilancio certo, il livello delle pensioni deve essere abbassato e chi lavora vede la soglia dell’età pensionabile alzarsi sempre di più.

Nei prossimi decenni, quindi, una porzione crescente di anziani dovrà essere mantenuta da una quota di lavoratori sempre più esigua: l’invecchiamento continuerà quindi ad avere un forte impatto sul nostro sistema pensionistico. La diffusione di lavori discontinui e atipici e di carriere piatte, insieme ad un PIL in continua contrazione (al PIL è legata la rivalutazione annuale dei montanti contributivi), fanno prevedere pensioni di livello inadeguato. Oltre al rischio povertà si aggraveranno poi i problemi connessi al rischio salute e autosufficienza e quelli legati alla perdita del lavoro (o alla necessità di ridurre l’attività lavorativa) in età avanzate ma non ancora coperte dalla pensione. In uno scenario del genere la presenza di una popolazione la cui aspettativa di vita è crescente, il problema della sostenibilità e dell’adeguatezza del sistema previdenziale richiede interventi specifici e condivisi, da inserirsi in un quadro di misure di policy riguardanti altri settori come sanità, housing, trasporti, infrastrutture di supporto ai singoli e alle loro famiglie, finalizzate a garantire migliori condizioni di vita dalla “quarta età” in avanti. La longevità è un problema serio, che non riguarda solo gli attuali anziani ma, anche e soprattutto quelli che lo diventeranno in futuro e che dovrebbero preoccuparsene oggi.

La consapevolezza di una pensione incerta, soprattutto con riferimento all’importo, dovrebbe spingere i giovani verso la previdenza complementare.

21 Riforma “Dini”, la Legge dell’8 agosto 1995 n.335“Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e

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29

Proprio i giovani dovrebbero destinare parte del loro reddito a un accantonamento volontario capace di garantire, al momento del pensionamento, una rendita aggiuntiva. Ma questo oggi non succede e dovrebbe invece essere incentivato. Sono circa 5,5 milioni gli italiani che, accantonando circa 86 miliardi di euro, sottoscrivono qualche tipo di fondo integrativo. Rimangono, però, ancora ampiamente sotto-rappresentate donne, giovani, lavoratori autonomi, dipendenti pubblici, e lavoratori delle piccole e medie imprese. Le adesioni si distribuiscono in modo frammentato sul territorio e presentano forti differenziazioni categoriali.

In questo contesto, accanto ad interventi specifici per il settore previdenziale, va emergendo l’esigenza di un reale rinnovamento del modello di welfare. Un welfare nel quale il concetto di “investimento sociale” - finalizzato ad assicurare il massimo possibile di protezione al maggior numero possibile di individui all’interno di un ciclo di vita che va sempre più allungandosi22 – è chiamato a

diventare il perno del sistema. Un welfare state universale e pubblico, che però si apra e sappia dialogare in modo costruttivo con il settore privato riconoscendo che al suo interno vi sono numerosi stakeholder23 che perseguono finalità sociali.

Conferme in questo senso sembrano venire dal secondo welfare che si caratterizza per la presenza di soggetti non pubblici, come fondazioni bancarie e di comunità, aziende, sindacati, associazioni datoriali, enti bilaterali, imprese sociali, assicurazioni, rappresentanti del Terzo settore e del volontariato. Nel “secondo welfare” confluiscono quindi programmi di protezione e misure di investimento sociale, da finanziarsi con risorse non pubbliche, messe a disposizione da attori economici e sociali fortemente ancorati sul territorio e disponibili alla creazione di reti multi-stakeholder e multi-livello. Soggetti che

22 Si veda Aa.Vv: Investire nel sociale. La difficile innovazione del welfare italiano, a cura di Ugo Ascoli, Costanzo

Ranci, Giovanni B. Sgritta, Mulino, 2015.

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30

insieme potrebbero, grazie al loro forte radicamento territoriale e in partnership con gli enti locali, contribuire ad ampliare il ventaglio di risposte e soluzioni di fronte ai nuovi bisogni e che potrebbero nel settore previdenziale favorire il rafforzamento del secondo pilastro. Forme collettive di previdenza e di assistenza complementare vanno oggi annoverate tra gli strumenti più idonei per rispondere alle esigenze di assistenza di lungo periodo degli anziani e per assicurare la sostenibilità del sistema.

Risulta chiaro che il solo sistema contributivo italiano non sia sufficiente a garantire una serena vecchiaia ai cittadini in pensione. L’alternativa, di natura integrativa, a cui ho fatto sinora costante riferimento, è ormai d’obbligo. La previdenza complementare è una forma di previdenza che si aggiunge a quella obbligatoria, ma non la sostituisce. È fondata su un sistema di finanziamento a capitalizzazione. Per ogni iscritto viene creato un conto individuale nel quale affluiscono i versamenti, che vengono poi investiti nel mercato finanziario da gestori specializzati e che producono, nel tempo, rendimenti variabili in funzione dell’andamento dei mercati e delle scelte di gestione. La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) ha il compito di vigilare e garantire trasparenza e correttezza dei comportamenti dei gestori delle forme pensionistiche complementari.

Al momento del pensionamento, all’iscritto sarà liquidata una rendita, aggiuntiva alla pensione, costituita dai contributi versati, comprensiva dei risultati di gestione.

È possibile, a determinate condizioni, percepire in capitale -in tutto o in parte- la prestazione maturata.

È, inoltre, possibile percepire la prestazione anche in assenza di pensione derivante dalla previdenza pubblica.

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31

Quindi mentre la previdenza obbligatoria si basa sul principio di “imprescindibilità” dei contributi versato in età lavorativa per poter avere la garanzia della prestazione futura dello Stato, la previdenza complementare è regolata da un sistema a “capitalizzazione” dove i versamenti di ciascun lavoratore vengono autonomamente investiti dal fondo di previdenza al fine di creare la rendita.

La previdenza complementare a differenza di quella obbligatoria è:

• Volontaria: il lavoratore può scegliere se aderire a una forma pensionistica complementare;

• A capitalizzazione individuale: i versamenti confluiscono in conti individuali intestati ai singoli iscritti e vengono investiti. Al momento del pensionamento sono restituiti, con i rendimenti maturati con gli investimenti, in forma di prestazione pensionistica aggiuntiva;

• A contribuzione definita: si sa quanto si versa e la prestazione finale dipende dalle somme versate e da quanto ha reso il loro investimento; • Gestita da soggetti ed enti di diritto privato.

(34)

32

1.2.2.5 NON-AUTOSUFFICIENZA: TRA COSTO E PESO SOCIALE.

Le analisi condotte nei paragrafi precedenti sono state realizzate con l’intento di evidenziare il carico economico che l’assistenza sociale per le classi sociali più bisognose della popolazione si porta dietro. Lo Stato con tutti i suoi ammortizzatori sociali riesce in parte ad arginare le conseguenze di questi fenomeni incalzanti del terzo millennio, a volte con risultati soddisfacenti, a volte meno. La condizione di bisogno che accomuna le situazioni appena trattate, porta a riflettere sul fatto che povertà, disoccupazione, crisi del sistema di previdenza sociale sono condizioni socialmente “invalidanti”, ma dalle quali il cittadino, se concretamente aiutato dallo Stato o da un’impresa privata, può risollevarsi e non rappresentare più un costo, ma una risorsa, lavorando e producendo ricchezza.

Questa premessa è essenziale per introdurre una condizione di bisogno che, purtroppo, riveste una dimensione a parte, la non autosufficienza. La non autosufficienza24 è una situazione patologica diagnosticata che interferisce

sull'individuo, compromettendone la vita relazionale, sociale e lavorativa. Infatti, la non autosufficienza è l'incapacità di mantenere una vita indipendente e di svolgere le comuni attività quotidiane, a causa dell’assenza di quei mezzi imprescindibili per soddisfare le proprie esigenze. La valutazione della non autosufficienza è riferibile a molteplici aspetti della vita della persona tra i quali la salute fisica, la salute mentale, la condizione socio-economica e la situazione ambientale. La non autosufficienza implica una modificazione

24 Si rimanda alla trattazione di Ranci Costanzo,La sfida dell’Indennità di accompagnamento, Le politiche di tutela

della disabilità e della non autosufficienza in Italia, Laboratorio di politiche sociali/Politecnico di Milano.

Dapprima viene analizzato l’iter di invecchiamento della popolazione, con il suo costo sociale sempre più a carico della famiglie, per poi proporre una possibili soluzioni con riforme migliorative dell’indennità di accompagnamento.

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33

nell'organizzazione della vita ed il sopraggiungere di nuove necessità, sia per chi sta male che per chi si prende cura di lui.

Il CNEL fornisce una definizione sullo stato25 di non autosufficienza di una

persona in base alla necessità o meno di ricevere aiuto per svolgere le operazioni quotidiane ricorrenti, distinte in quattro categorie: igiene personale, alimentazione, mobilità, faccende domestiche. Sono stati anche qui definiti tre livelli di necessità: rilevante, grave e gravissima. Sono inserite nella descrizione anche le persone bisognose di assistenza per effetto di patologie mentali e psichiche, per le quali vi è necessità di istruzioni e vigilanza nell'espletamento delle operazioni quotidiane ricorrenti.

L’ISTAT invece suddivide i non autosufficienti in tre categorie a seconda del livello di gravità della disabilità che ne fa da discriminante: al livello meno grave appartengono i soggetti che necessitano di assistenza esterna per almeno una volta al giorno per incapacità riferita ad almeno due delle quattro funzioni base della vita quotidiana; al livello intermedio appartengono quei soggetti che necessitano di notevole assistenza per almeno tre volte al giorno, per impraticabilità di due funzioni base della vita quotidiana; al livello più grave si trovano quei soggetti che necessitano di assistenza ininterrotta nell'arco dell'intera giornata.

L’ISTAT26 rileva che le funzioni essenziali possono così essere elencate: le Attività

della Vita Quotidiana (autonomia nel camminare, nel salire le scale, nel chinarsi, nel coricarsi, nel sedersi, vestirsi, lavarsi, fare il bagno, mangiare), il confinamento a letto, su una sedia (non a rotelle), in casa, e le difficoltà sensoriali (sentire, vedere, parlare). La stima di persone con disabilità ottenuta utilizzando

25 Vedasi la definizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro(CNEL) nel documento redatto su “La

non autosufficienza in Italia: realtà esistente e prospettive di soluzione” del 2003.

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34

questa definizione è uguale a 6.980.000 persone, pari al 13% della popolazione di sei anni e più che vive in famiglia.

La stima non comprende né i bambini con un’età inferiore ai 6 anni, né le persone che, soffrendo di una qualche forma di disabilità non fisica ma mentale, anche grave, sono tuttavia in grado di svolgere tali attività essenziali. La stima inoltre non include le persone con disabilità residenti in istituto.

Le persone con difficoltà di movimento hanno problemi nel camminare (riescono soltanto a fare qualche passo senza aver bisogno di fare soste), non sono in grado di salire e scendere da sole una rampa di scale senza fermarsi, non riescono a chinarsi per raccogliere oggetti da terra.

Le difficoltà nelle funzioni della vita quotidiana (che sono una parte delle ADL27)

riguardano la completa assenza di autonomia nello svolgimento delle essenziali attività quotidiane o di cura della persona, quali mettersi a letto o sedersi, vestirsi, lavarsi, mangiare autonomamente.

Nelle difficoltà della comunicazione sono, infine, comprese le limitazioni nel sentire (non riuscire a seguire una trasmissione televisiva anche alzando il volume e nonostante l’uso di apparecchi acustici), le limitazioni nel vedere (non riconoscere un amico ad un metro di distanza) e le difficoltà nella parola (non essere in grado di parlare senza difficoltà).

Questa presentazione clinica è importante per chiarire in che misura lo Stato interviene per far fronte a una situazione drammatica e spesso irreversibile. Da un’analisi crono-storica del quadro normativo in materia si evince come lo Stato si sia occupato solo di recente di questo imponente problema sociale. Risale infatti al 27 dicembre 2006 la Legge n°296 che istituisce un Fondo Nazionale per

27 ADL ( activities of daily living) e IADL (instrumental activities of daily living), come espresso nel manuale di

Fondamenti di Assistenza Geriatrica, MSD Investing for life, sono le attività non strumentali e strumentali

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35

Non Autosufficienti28. Tale fondo non rappresenta altro che un quantum

stanziato per le famiglie in cui sono presenti elementi con gravissima disabilità tale da compromettere in maniera totale le attività della vita quotidiana, con un duplice intento: in primis, quello di fornire un concreto sostegno economico per queste persone e consentire loro una degna permanenza presso il proprio domicilio, in secondo luogo quello di evitare il rischio di istituzionalizzazione. Questo fondo29, purtroppo, non tutela gli individui affetti da non autosufficienza

lieve o moderata. In aggiunta, i richiedenti che ottengono il sostegno pubblico sono garantiti solo per livelli essenziali delle prestazioni assistenziali. Tale Fondo, per quanto riguarda i requisiti di accesso e per le quantità stanziate dallo Stato, è di volta in volta modificato dai Decreti interministeriali emanati a cadenza annuale.

La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 2006 ha introdotto un vero e proprio cambio di direzione nell’approccio al tema della disabilità, fornendone una lettura improntata ad una nuova visione culturale, scientifica e giuridica anche alla luce della riflessione internazionale in materia di Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF)30, imponendo agli Stati membri di ideare ed implementare interventi che

da una modalità settoriale e speciale approdino ad un approccio globale per la costruzione di una società pienamente inclusiva e di un ambiente a misura di tutti. In questo senso, la Convenzione Onu mira a garantire il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità

28 Il richiamo normativo è per l’articolo 1 comma 1264-65. Tali commi presentano l’esigenza di istituzione di un

Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze. Garanzia estesa a tutto il territorio italiano con somme crescenti stanziate per il fondo nel triennio 2007-09 (100 milioni nel 2007 e 200 milioni sia per il 2008 che per il 2009). Il comma 1265 individua i soggetti che possono disporre di tale fondo. I provvedimenti attuativi sono infatti presi in concerto dal Ministro della solidarietà sociale, dal Ministro della salute, dal Ministro delle politiche della famiglia e dal Ministro dell’economia e delle finanze.

29 Si invita alla lettura del sito on-line del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

30 ICF: una nuova definizione per la disabilità. Nel 1999 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha elaborato un

nuovo strumento, l'ICF (International Classification of Functioning, Disability and Healthper descrivere e misurare la salute e le disabilità della popolazione.

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36

in situazione di eguaglianza con gli altri per garantirne la piena inclusione all’interno della società.

In tale contesto, il primo valore di cui occorre tener conto è quello relativo alla centralità della persona. Le persone con disabilità e coloro che versano in stato di fragilità rappresentano il paradigma della molteplicità dei bisogni affettivi, relazionali, lavorativi, terapeutici, di piena inclusione sociale.E’ per tale ragione che il tema della vita indipendente è stato considerato una delle priorità del primo Programma d’Azione biennale 31 per la promozione dei diritti e

l'integrazione delle persone con disabilità, documento predisposto dall’Osservatorio sulla condizione delle persone con disabilità, presentato e discusso in occasione della IV Conferenza nazionale sulle politiche per la disabilità tenutasi il 12 e il 13 luglio del 2013 a Bologna e approvato dal Consiglio dei ministri del 27 settembre 2013. Il Programma, adottato con decreto del Presidente della Repubblica del 4 ottobre 2013 ed in corso di registrazione presso la Corte dei Conti, rappresenta uno degli strumenti fondamentali con cui il legislatore ha previsto l’attuazione della Convenzione ONU. In esso una delle sette linee di azione (la linea di intervento 3) è in gran parte riferita proprio alle politiche, servizi e modelli organizzativi per la vita indipendente e l’inclusione nella società per le persone con disabilità.

L’inclusione sociale non è la sola prerogativa di questo Programma d’Azione biennale ma anche la valorizzazione della libera scelta individuale dei soggetti affetti da disabilità. Partendo dalle conclusioni raggiunte dal Programma d’Azione e dalla Conferenza nazionale, che rimandano quale tema trasversale alla questione dei servizi sociali nel nostro Paese ed al ruolo delle Regioni, si

31 Il Consiglio dei Ministri N.47, il 2 ottobre 2017, ha approvato, in esame definitivo, “il programma di azione

biennale per la promozione dei diritti e l’integrazione delle persone con disabilità” predisposto dall'Osservatorio

nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, che ha ricevuto il parere favorevole della Conferenza unificata.

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37

propone l’adesione alla sperimentazione di un modello di intervento unitario a favore del tema della vita indipendente nei diversi territori regionali quale requisito essenziale per la piena inclusione nella società delle persone con disabilità.

A tale proposito, quale elemento di sfondo per la comprensione delle dinamiche proprie del panorama italiano, occorre ricordare come nel nostro Paese si è in presenza di una estrema eterogeneità nella diffusione dei servizi sul territorio cui corrisponde una elevata sperequazione della spesa sociale, che va da 4.304 euro pro-capite nella Provincia autonoma di Trento a 26 euro nella Regione Calabria, con il Sud – l’area territoriale più povera e quindi con bisogni maggiori – che spende in media circa un terzo del Nord. In questo contesto appare urgente e necessario rafforzare i meccanismi e gli strumenti di governance che possono accompagnare un processo di convergenza o, perlomeno, di riduzione dell’eterogeneità non solo nella spesa, ma anche nei modelli di intervento. Rimane il dato, non positivo dell’eterogeneità dei servizi assistenziali offerti nel territorio italiano. Un sistema per certi versi fallace e non onnicomprensivo delle esigenze dei cittadini portatori. Ancora una volta le politiche sociali non riescono a trasformare problemi sociali di dimensioni globali in soluzioni concrete.

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38

1.3 LA CRISI DELLO STATO SOCIALE.

Provando a tracciare una sintesi delle problematiche sin qui esaminate si possono individuare le caratteristiche principali di quella spesa pubblica rivolta ai soggetti bisognosi all’interno della nostra Società. Partendo da un’analisi del modello Welfare di appartenenza si è avuto modo di evidenziare come lo stanziamento delle risorse pubbliche risponda a una logica quantomeno criticabile sotto molti punti di vista. La principale critica è rivolta proprio al modus

operandi dello Stato italiano, le cui riforme di natura assistenziale non hanno

risolto alcun bisogno sociale, ma piuttosto messo in luce una struttura appesantita, obsoleta e a tratti inadempiente.

Lo Stato sociale è entrato in crisi già a partire dagli anni ’70.Eppure negli anni ’80 si è assistito ad uno dei massimi picchi di sviluppo economico. È bene ricordare che lo sviluppo economico è caratterizzato da una serie di fattori che fungono da traino per l’economia di un Paese. Basti pensare agli effetti benefici dello sviluppo industriale nel dopo guerra, tra i quali è bene evidenziare l’aumento della ricchezza nazionale, del lavoro e del tenore di vita complessivo della popolazione. Ma è proprio nel momento di massimo sviluppo economico che sarebbe stato opportuno adottare politiche più idonee al mantenimento del benessere collettivo. Tuttavia, come evidenziato con l’analisi della spesa sociale, soprattutto in sanità e pensioni, ciò non è stato attivato. L’Italia ha convissuto per decenni con il peso di scelte sbagliate come la cattiva gestione sanitaria e un sistema retributivo che ha ingigantito i problemi di bilancio statali. Un Paese in crescita economica, quindi con maggiori entrate avrebbe dovuto offrire più servizi, ma anche un’omogenea distribuzione delle stesse e di una sensata attribuzione delle risorse, non verso tutti ma solo verso chi ne ha più bisogno.

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Nel dettaglio le cause della crisi del welfare state possono così essere sintetizzate:

1. La recessione economica. La natura ciclica dell’economia prevede strutturalmente periodi di natura recessiva. Un’economia con basi solide consente tuttavia di limitare il fenomeno per durata e intensità. Se la produzione di un Paese diminuisce e la curva di domanda di lavoro è in contrazione le entrate statali diminuiscono in quanto un numero minore di persone versa i contributi. Superare una fase recessiva è a tutti gli effetti

una conditio sine qua non per un Welfare State funzionante.

2. L’aumento dell’aspettativa di vita. Se da un lato è condizione auspicabile vivere di più e meglio, dall’altro non vi è altra alternativa che allungare l’età pensionabile. In un Paese dove i posti di lavoro faticano ad aumentare l’unica alternativa possibile è per chi lavora andare in pensione tardi e pagare così più contributi. La drammaticità di tale situazione risiede proprio nel fatto che la produttività di una persona anziana sul posto di lavoro è per nulla paragonabile a quella di un giovane che per ragioni di forza non trova spazio per inserirsi in questo contesto.

3. L’aspetto culturale. Difficile non parlare di piaghe sociali come evasione e corruzione che hanno rallentato il trend di crescita della nostra economia. Un Paese con un alto tasso di corruzione e evasione fiscale a rispondere è la collettività con particolare rilievo per il ceto medio.

Sarebbe sbagliato esaminare questi tre elementi a compartimenti stagni in quanto è evidente la loro stretta correlazione. Questa situazione economica provoca una contrazione del nostro sistema Welfare ed è impossibile investire in

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40

un settore senza dover ricorrere a tagli in un altro. Sicuramente se si riuscisse a contrastare efficacemente il fenomeno dell’evasione fiscale evitando sprechi di risorse, si avrebbero a disposizione decisamente più risorse da poter offrire in termini di servizi.

Quanto illustrato permetterà nelle pagine successive trattare la tematica della non autosufficienza sia per come viene vissuta e percepita all’interno del nucleo familiare, con obblighi e doveri derivanti, sia per le soluzioni che il Mercato a riguardo offre.

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CAPITOLO 2

LA NON AUTOSUFFICIENZA: OBBLIGHI FAMILIARI E

CONSEGUENZE PENALI.

2.1 IL CAPACE NON AUTOSUFFICIENTE.

Nell’analisi condotta fino ad ora la figura del non autosufficiente è stata inquadrata solo dal punto di vista clinico ed è stata inserita in un contesto decisamente più ampio ovvero il Welfare State. Tuttavia, quanto fin qui detto si riferiva solo agli individui che, avendo gravi patologie fisiche oppure mentali (Alzheimer, Parkinson…), necessitano non solo di cure, ma anche di un supporto materiale ed economico. Tuttavia, nel grande insieme dei non autosufficienti non ci sono solo gli incapaci o gli inabili, ma anche i bambini e i giovani che, per ragioni anagrafiche i primi e per ragioni economiche i secondi, richiedono tutto il sostegno familiare.

Sarebbe sbagliato a parere di chi scrive imputare allo Stato obblighi morali e di diritto che andrebbero attribuiti invece alle singole famiglie. Il Diritto prevede infatti obblighi vincolanti sia tra genitori e figli che tra figli e genitori. Non sono unilaterali i doveri familiari, come saremmo portati a pensare, bensì bilaterali32.

32 La responsabilità genitoriale è stata introdotta in quanto tale dal d.lgs. 154\2013 che ha riscritto gli articoli

art. 315 e ss. del codice civile. Da un lato ha meglio individuato i doveri dei genitori verso i figli, e dall’altro ha puntualizzato i doveri dei figli verso i loro genitori.

Notiamo che la responsabilità genitoriale si ha in tutti i casi in cui vi siano dei figli, prescindendo dal fatto che questi siano nati all’interno o al di fuori del matrimonio.

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La chiarezza della normativa statale non ha impedito che le regioni, a cui è in concreto affidata l’attuazione del diritto alla salute, ostacolassero l’effettiva cura dei malati

“abbastanza” sicuro. Se infatti l’ambiente domestico fosse incapace di sostenere appieno il bisogno primario della sicurezza, potrebbe subentrare uno stress di origine ambientale

Attenzione dedicata dalla politica agli anziani non autosufficienti e assenza di una riforma del sistema Nonostante la presenza di un diffuso bisogno di cura degli anziani

Sono  stati  raggiunti  risultati  importanti  con  l’inclusione  nell’ambito  della  tutela  sociale 

Il welfare italiano non ha saputo ancora organizzarsi di fronte alle trasformazioni della domanda sociale e di salute dovute ai cambiamenti demografici,

Commento sull’ Intesa Stato Regioni del 3 agosto 2016 per il Decreto interministeriale NA: nuovi criteri di riparto della quota del fondo Non Autosufficienza

Le Organizzazioni Sindacali valutano positivamente i lavori del Tavolo nazionale se lo stesso viene orientato al raggiungimento di tale obiettivo; per tale motivo, e per