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Confronto quali-quantitativo della produzione di basilico ottenuta con la tecnica di coltivazione aeroponica e su substrato

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Corso di Laurea Magistrale in Produzioni Alimentari e Gestione degli

Agrosistemi

Confronto quali-quantitativo della produzione di basilico

ottenuta con la tecnica di coltivazione aeroponica e su

substrato

Relatori:

Prof. Fernando Malorgio

Dr. Luca Incrocci

Correlatrice:

Prof.ssa Lucia Guidi

Candidato:

Marco Manzini

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2 Dichiarazione

Con la presente affermo che questa tesi è frutto del mio lavoro e che, per quanto io ne sia a conoscenza, non contiene materiale precedentemente pubblicato o scritto da un'altra persona né materiale utilizzato per l’ottenimento di qualunque altro titolo o diploma dell'università o altro istituto di apprendimento, a eccezione del caso in cui ciò venga riconosciuto nel testo.

Marco Manzini Data:

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Indice

Riassunto ... 5

1 Introduzione ... 6

1.1 Il basilico ... 6

1.2 La coltivazione del basilico in Italia ... 7

1.3 Utilizzo del basilico nella medicina comune e nella cucina ... 11

2 Caratteristiche qualitative commerciali e nutritive del basilico ... 14

2.1 Qualità commerciale ... 14

2.2 Nitrati ... 15

2.3 Proprietà antiossidanti del basilico ... 16

2.4 Carotenoidi ... 17

2.5 I fenoli ... 19

2.6 Acido rosmarinico ... 20

2.7 Olio essenziale ... 22

3 La coltivazione del basilico ... 23

3.1 Principali avversità biotiche e abiotiche nella coltivazione del basilico ... 23

3.1.1 Peronospora (Peronospora belbahrii) ... 24

3.1.2 Fusariosi (Fusarium oxysporum f.sp. basilicum)... 26

3.1.3 Altre patologie e insetti fitofagi ... 26

3.2 Tecnica colturale ... 27

3.2.1 La coltivazione in pieno campo ... 27

3.2.2 La coltivazione in serra ... 28 3.2.3 Idroponica su substrato ... 30 3.2.4 Floating system ... 32 3.2.5 Tecnica aeroponica ... 33 4 Parte sperimentale ... 35 4.1 Obiettivi ... 35 4.2 Materiali e metodi ... 36

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4.3 Risultati e discussione ... 41

4.3.1 Produttività ed efficienza idrico ... 42

4.3.2 Produzione di sostanza secca ... 44

4.3.3 Clorofille totali ... 44

4.3.4 Carotenoidi ... 47

4.3.5 Fenoli totali ... 49

4.3.6 Capacità antiossidante ... 52

4.3.7 Nitrati ... 54

4.3.8 Valutazione dell’integrità di membrana ... 55

4.3.9 Acido rosmarinico ... 56

4.3.10 Analisi degli elementi ... 57

5 Conclusioni ... 58

Ringraziamenti ... 60

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5

Riassunto

Il basilico (Ocimum basilicum L.) è una pianta appartenente alla famiglia delle Lamiaceae, famiglia che comprende anche numerose specie interessanti sia per l’alimentazione sia per la trasformazione nel settore industriale come lavanda, menta, rosmarino, salvia, timo, santoreggia, ecc., per questo spesso chiamate anche officinali. Il basilico, in particolare, risulta essere una pianta di notevole pregio nutrizionale perché importante fonte di oli essenziali, composti fenolici e antiossidanti, ma anche culturale poiché ingrediente principale del famoso pesto alla genovese. Le esigenze da parte del mercato di un prodotto fresco a prezzi sempre più contenuti e la richiesta da parte delle aziende di aumentare la produttività e diminuire i costi di produzione ha spinto la ricerca di nuove tecniche di coltivazione più efficienti, un esempio interessante fra queste è sicuramente costituito dalla tecnica aeroponica.

La tecnica di coltivazione aeroponica è una tecnica di coltivazione che si effettua in ambiente protetto nella quella la pianta cresce in assenza di substrato inerte o terreno per il sostegno delle radici. La parte ipogea della pianta viene mantenuta umida costantemente grazie alla nebulizzazione della soluzione nutritiva ottenuta con appositi ugelli, con intervalli anche inferiori al minuto. A differenza del floating system, dove le radici sono completamente immerse nella soluzione nutritiva, con questa tecnica la concentrazione di ossigeno a livello radicale è sempre molto elevata e questo rende la crescita più rapida.

La tesi si inserisce in un progetto di ricerca sulla coltivazione del basilico nel quale il capofila è l’azienda Parvus Flos di Radicondoli (SI). Lo scopo della tesi è stato quello confrontare la produzione di basilico [Ocimum basilicum cv. Tigullio] durante il periodo estivo e autunnale effettuata nelle serre sperimentali del DISAAA-a (Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa) con tecnica aeroponica e substrato con quella ottenuta su substrato nella serra di Radiconcoli (SI) della azienda Parvus Flos dal punto di vista qualitativo e quantitativo. Per quanto riguarda l’aspetto quantitativo il basilico coltivato con tecnica aeroponica è risultato essere due volte più produttivo del basilico coltivato su substrato con la stessa efficienza di utilizzo dell’acqua e stesso contenuto in sostanza secca. Per l’aspetto qualitativo della prova non si sono evidenziate particolari differenze nel contenuto di antiossidanti e pigmenti fotosintetici fra le due tecniche né fra il basilico coltivato a Pisa e il basilico coltivato a Radicondoli (PI) presso l’azienda Parvus Flos.

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1 Introduzione

1.1 Il basilico

Il basilico (Ocimum Basilicum L.) è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Lamiaceae il cui nome deriva dal latino medievale basilicum. A sua volta questo termine deriva dal greco basilikon (phyton) che significa pianta “regale” o “maestosa” da “basileus” “re” (wikipedia.org).

Per la presenza di sostanze aromatiche, rilasciate da peli secretori epidermici molte specie appartenenti alla famiglia delle Lamiaceae sono utilizzate in cucina come condimento, in profumeria, liquoreria e farmacia. Fanno infatti parte della famiglia quasi 200 generi e circa 3000 specie. All’interno della famiglia troviamo molte specie note come

Rosmarinus officinalis, Salvia officinalis e i generi Menta, Thymus, Origanum e Lavandualeae (Senatore, 2012).

Il basilico è una pianta erbacea a coltivazione annuale la cui altezza può variare fra i 20 e i 60 centimetri, le foglie sono lanceolate e ovali e possono raggiungere anche i 5 centimetri di lunghezza. Il colore delle foglie varia dal verde pallido al verde intenso; in alcune varietà è viola o porpora, ad esempio Ocimum basilicum var. «Purple Ruffles (Figura

1). I fusti sono eretti, ramificati, hanno una sezione quadrata come altre Lamiaceae ed hanno la tendenza a divenire legnosi e frondosi (Basso, 2009).

Figura 1- Ocimum basilicum var. «Purple Ruffles» (fonte: wikipedia.org)

Il genere Ocimum comprende circa 64 specie native dell’area tropicale, subtropicale del Vecchio e Nuovo Mondo, specialmente dall’Africa (Debaggio et al., 2009). Anche il

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7 numero di varietà diffuse in tutto il mondo è elevato. Tra queste, O. basilicum var. «Cinnamon» (Figura 2), originaria del Messico, presenta fiori rosa-malva e steli porpora-bruni, con foglie di colore variabile da oliva a verde-marrone, con superficie lucente, di forma ovale, appuntite, leggermente dentate e con un sapore molto speziato. Le foglie hanno un profumo simile alla cannella (Basso, 2009).

Figura 2- Ocimum basilicum var. «Cinnamon» (fonte: kerneliv.dk).

La varietà «Cinnamon» è detta anche basilico greco, con cespuglio compatto provvisto di foglie piccole, verdi, ovali e appuntite. I fiorellini sono bianchi e l’aroma è di media intensità. Tollera climi più freddi rispetto al basilico usuale (Basso, 2009). In Italia la varietà più conosciuta è sicuramente più conosciuta è O. basilicum var. «Tigullio», meglio conosciuta come “Basilico Genovese”, una cultivar di basilico che dà il nome al celebro prodotto italiano Basilico Genovese (D.O.P.) (Figura 3).

La pianta, fortemente aromatica, è utilizzata nelle cucine italiana e asiatica. Viene inoltre impiegata tradizionalmente in alcune medicine popolari per le sue capacità fungicide e repellenti per gli insetti (Dube, 1989), mentre un altro studio più recente conferma che gli estratti dalla pianta risultano anche un ottimo repellente contro le zanzare (Prejwltta, 2009).

1.2 La coltivazione del basilico in Italia

La coltivazione del basilico in passato era prettamente circoscritta alla Liguria, nel tratto costiero tra Albenga e Imperia, dove rappresentava la specie orticola più coltivata in

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8 ambiente protetto e vantava il primato del miglior basilico italiano con una produzione totale di 170 tonnellate delle quali 120 in serra. Nell’ultimo ventennio, tuttavia, si è assistito alla diffusione di questa coltura a pieno campo anche in alcune zone dell’Italia meridionale e nord- orientale sia per il consumo fresco che per trasformazione. La diffusione a pieno campo della coltura, datata 1990, risponde all’interesse crescente dimostrato dall’industria alimentare nei confronti di questa pianta aromatica. Attualmente vengono coltivati oltre 270 ettari (ISTAT, 2017), indicativamente suddivisi fra diverse regioni (Tabella 1) e non più localizzati solo in Liguria (Enzo et al., 1998).

Figura 3- Ocimum basilicum var. «Tigullio» fonte: wikipedia.org.

Il basilico è una specie assai esigente nei riguardi del terreno e del clima. Preferisce terreni leggeri e ben dotati di sostanza organica con pH = 7; è importante anche una buona porosità per favorire il drenaggio, poiché è una specie che rifugge i ristagni di umidità pur presentando elevati fabbisogni idrici (Bianco, 1990).

La produzione del seme avviene prevalentemente nelle Marche, in Emilia-Romagna e nel sud Italia (Salerno) su appezzamenti appositamente destinati. La coltivazione destinata alla produzione del seme viene falciata solamente una volta per facilitare il ricaccio e la ramificazione della pianta così da ottenere più infiorescenze. Quando le spighe sono per 3/4 mature, per facilitare le operazioni di raccolta, viene generalmente effettuato un trattamento con prodotto disseccante (Enzo et al., 98).

Le temperature ottimali di coltivazione sono tra i 20-25 °C ma tollera anche temperature più elevate, anche se la crescita si arresta con temperature al di sotto di 10 °C. Si può coltivare sia a terra sia in vaso, piante vanno regolarmente cimate agli apici vegetativi per consentire il ricaccio delle gemme ascellari. Se tutto ciò viene effettuato con regolarità e

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9 il clima rimane mite, le piantine possono continuare a vegetare fino al mese di dicembre (Basso, 2009).

Tabella 1- Superficie (ettari) e produzione (tonnellate) di basilico in Italia anno 2017 (fonte: agri.istat.it)

Regione Superficie Produzione totale Produzione raccolta

Piemonte 6,25 107,1 103,6 Valle d'Aosta - - - Lombardia 20,93 436 435 Liguria 36,7 630,5 629,5 Trentino-Alto Adige - - - Bolzano/Bozen - - - Trento - - - Veneto 120,7 6035 5944,6 Friuli-Venezia Giulia 2,58 59,3 59,3 Emilia-Romagna 5,86 112,4 112,4 Toscana 7,45 152,5 150,9 Umbria - - - Marche 0,1 1,7 1,6 Lazio 17,9 228 221,5 Abruzzo - - - Molise - - - Campania 38,6 608 579 Puglia 3,75 352 350,5 Basilicata - - - Calabria 1,72 67,6 67,6 Sicilia 4 24 24 Sardegna 4,78 94,8 94,8 Totale 271,32 8908,9 8774,3

Come accennato in precedenza, in Italia si coltivano quindi circa 270 ha di basilico per una produzione di quasi 9000 tonnellate (ISTAT, 2017) (Figura 4) la cui maggior parte sono destinati alla trasformazione in pesto. Solo una piccola quota del totale viene destinata invece alla vendita diretta in mazzetti con un peso variabile dai 60 ai 90 grammi. Il prezzo medio di vendita è fortemente influenzato dalla stagionalità e varia per l’agricoltore da circa 0,60 €/mazzetto durante il periodo estivo a circa 1,50 €/mazzetto durante il periodo invernale così come i prezzi all’ingrosso che passano da più di 3 euro mazzetto durante i mesi più freddi ad essere compresi fra 1,50 € e 2,50 € al mazzetto durante il resto dell’anno (Figura 5).Questi valori sono stati ottenuti rielaborando i valori medi di ciascun mese dell’anno 2017 del mercato di Biella.

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10 Per quanto riguarda invece l’andamento dei prezzi negli ultimi anni gli agricoltori lamentano una lenta ma costante decrescita, tanto da mettere in discussione la redditività della coltura.

Figura 4- Produzione totale e superficie di basilico coltivata in Italia durante l'intervallo di tempo 2007-2017 (fonte: agri.istat.it)

Questa situazione non sembra però dovuta all’aumento delle superfici coltivate bensì alle abitudini dei consumatori che sono cambiate come affermato dalla Confagricoltura Liguria (liguria.confagricoltura.it). Nonostante il prezzo al chilo per il basilico fresco sia in ribasso, i consumatori preferiscono comunque sempre di più acquistare il pesto pronto piuttosto che farlo in casa con mortaio di marmo e pestello di legno, risparmiando così tempo. Di altro avviso risulta invece un articolo del sito freshplaza.it del 2016 a cura di Fontana e basato sull’intervista a Mario Anfossi, Presidente del Consorzio di tutela del Basilico Genovese DOP e titolare della maggiore azienda agricola produttrice Basilico Genovese, che invece sostiene che il pesto e il Basilico Genovese DOP stanno vivendo un periodo di grande attenzione, con consumi destinati a superare le capacità produttive della Liguria. Anche l'export verso gli USA secondo il sito web è in aumento al punto che, in Italia, il basilico genovese DOP sta diventando merce sempre più rara (freshplaza.it). Tutto ciò nonostante l’aumento dell’aliquota iva dal 4% al 5% scattato dal 23 luglio 2017 sul basilico e su altre piante aromatiche previsto dall’articolo 21 della legge 7 luglio 2016, n. 122 e lo studio pubblicato dalla Consensus Action on Salt & Health (Cash) nel quale un gruppo di 25 esperti che analizzano la quantità di sale presente negli

0 50 100 150 200 250 300 0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000 2007 2010 2012 2014 2016 2017 Su p erf ici e colt iv at a (h a) Prod u zion e (t)

Produzione (t) e superficie nazionale (ha) di basilico

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11 alimenti ha definito il condimento ligure "dannoso per la salute" a causa dell'elevata quantità di sodio in esso contenuta (actiononsalt.org).

Figura 5- Andamento dei prezzi all’ingrosso di Biella di basilico per mazzetto di 90 grammi durante l’anno 2017 (fonte: bi.camcom.gov.it).

1.3 Utilizzo del basilico nella medicina comune e nella cucina

La famiglia delle Lamiaceae, alla quale appartiene anche il basilico, in generale annovera moltissime specie di interesse agronomico e culinario grazie al loro elevato contenuto in importanti metaboliti secondari motivo per cui rientrano anche fra le piante officinali. Piante aromatiche come timo, rosmarino, coriandolo e lo stesso basilico sono importanti fonti di metaboliti secondari e in particolare composti fenolici che sono associati ad attività antiossidanti e antimicrobiche in tutti i sistemi biologici (Umano et al., 2005; Huang et al., 1996; Kikuzaki et al., 2002). L’utilizzo di spezie in cucina viene praticato dall’uomo fin dai tempi più antichi per migliorare il sapore di questi e per le loro proprietà antibatteriche e antifungine (Hinneburg et al. 2006).

La denominazione “pesto genovese” è soggetta a un rigoroso disciplinare di produzione che ne indica le modalità di preparazione e le caratteristiche degli ingredienti che si utilizzano per rispettare la ricetta tradizionale, iniziando proprio dalla sua denominazione: «La denominazione "Pesto Genovese", è riservata al prodotto ottenuto dal processo di trasformazione del basilico (Ocimum basilicum) a DOP "Basilico genovese" o in subordine del Basilico ligure».

4 n.q. 1,8 n.q. 1,2 1,7 1,5 2,2 2,6 2,6 2,6 3 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5 4 4,5

gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic

eu ro maz zett o ^-1 mese

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12 Il pesto genovese è essenzialmente una salsa fredda dal caratteristico colore verde basata su pochi ma ben precisi ingredienti come riportato dal disciplinare:

• Basilico genovese DOP: non inferiore al 25% • olio extravergine di oliva nazionale

• formaggio DOP "Parmigiano Reggiano" o "Grana padano" grattugiato • formaggio pecorino DOP

• aglio • pinoli

• noci (facoltative) • sale marino

In seguito vengono invece riportate le modalità di conservazione e le caratteristiche organolettiche del prodotto. (agriligurianet.it).

Il disciplinare è suddiviso in 10 articoli che trattano: 1. Denominazione

2. Zona di produzione 3. Materie prime

4. Metodo di lavorazione 5. Metodo di conservazione 6. Caratteristiche del prodotto 7. Controlli

8. Designazione del prodotto 9. Commercializzazione 10. Norme finali

Vengono quindi trattati anche argomenti come l’obbligo di utilizzare materie prime prevalentemente italiane, fatta eccezione per pinoli e noci che possono provenire anche da altri paesi dell’Unione Europea, e il metodo di lavorazione che prevede il lavaggio, l’asciugatura delle foglie e una macinazione rapida, così da evitare fenomeni ossidativi. Secondo numerosi esperti il primo esempio di pesto risale all’epoca romana e si tratta del

moretum. Il composto si otteneva pestando gli ingredienti (erbe, formaggio fresco, sale,

olio di oliva e aceto)in un mortaio il cui nome deriva proprio dal latino moretarium cioè attrezzo per fabbricare il moretum. Questo procedimento viene descritto da Virgilio nel poema “Appendix Vergiliana” o nel “De rustica” di Columella Libro XII (https://it.wikipedia.org/wiki/Moretum). La prima ricetta del pesto, comunque, risale all'Ottocento, in particolare al 1852 e la si trova in “Vera cucina genovese” di Emanuele Rossi, denominata come Pesto d'Aglio e Basilico (wikipedia.org/wiki/Pesto). Si ritiene che, comunque, sia importante anche l’influenza di altre salse pestate più antiche come l'agliata, a base d'aglio e noci, diffusa in Liguria durante la repubblica marinara genovese e il pistou, una salsa originaria della Provenza base di basilico pestato, aglio e olio d'oliva.

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13 Questa salsa risulta essere molto simile al pesto ligure, e si differenzia da questo per l'assenza di pinoli e per la facoltatività del formaggio grattugiato come ingrediente, oltre che all’utilizzo che ne viene fatto, in quanto costituisce l’ingrediente essenziale di una minestra di verdure estive e difficilmente è accompagnato alla pasta.

Oltre al classico utilizzo in cucina al basilico è inoltre riconosciuta anche un’importante valenza di alimento funzionale e salutare grazie alla presenza di composti ad attività antiossidante tra cui numerosi polifenoli appartenenti essenzialmente a due classi di composti: i derivati dell’acido idrossicinnamico ed i flavonoidi (Basso, 2009). Nonostante in Italia si consumino quasi esclusivamente le foglie del basilico anche i boccioli fiorali sono commestibili e ricchi di proprietà nutrizionali. Anche i semi di basilico vengono utilizzati in cucina: mescolati all’acqua, ad esempio, creano un composto gelatinoso impiegato per la preparazione di bevande dolci come il falooda, tipica indiana, la quale viene preparata con sciroppo di rose e altri aromi tradizionali.

Nella medicina tradizionale indiana invece, il basilico viene utilizzato usato per le sue proprietà medicinali e curative nel promuovere la salute delle vie respiratorie. È utilizzato anche per alleviare l’emicrania dovuta, o associata, a una cattiva digestione. Come tonificante del sistema nervoso e cardiovascolare si consiglia in caso di astenia, di esaurimento, di fatica e di ipotensione arteriosa. Come galattogeno aumenta la produzione del latte durante l’allattamento e come emmenagogo, facilita le mestruazioni e diminuisce i dolori derivati da spasmi o da congestioni uterine (Basso, 2009). La droga del basilico è costituita dalle sommità fiorite e dalle foglie che contengono l’olio essenziale. L’essenza si estrae dalle piante raccolte all’inizio della fioritura, essiccate e conservate in un luogo asciutto all’ombra. La resa in olio essenziale è di circa 2-4 kg per tonnellata di prodotto fresco, i componenti principali di questo olio sono 24% cineolo, il linalolo e la canfora di basilico, oltre a tracce di glucosidi e di sostante tanniche (Bianco, 1990). L’olio stimola l’attività gastrointestinale, è utile in casi di flatulenza e meteorismo. Il decotto di basilico ottenuto da 50 grammi di foglie decotte in 1 litro d’acqua per 3 minuti è un buon collutorio nei processi infiammatori della mucosa orale mentre il decotto ottenuto da 30 grammi di foglie è stimolante ed utile nelle infiammazioni intestinale ed in casi di spasmi e vomito (Senatore, 2012). Molti studi epidemiologici hanno infatti mostrato che i composti antiossidanti provenienti dal cibo hanno un ruolo importante nella prevenzione di molte patologie inclusi vari tipi di cancro, disfunzioni cardiache, malattie neurologiche e altri disordini correlati all’invecchiamento (Laranjinha et al., 2000). Poche gocce di olio

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14 essenziale di basilico, diluite in un cucchiaio di olio di mandorle dolci o olio d’oliva, possono dare vita a un unguento stimolante utile per contrastare la ritenzione idrica. Lo stesso rimedio, impiegato come impacco, può essere usato per alleviare i crampi muscolari e i reumatismi. Il basilico è considerato un antico rimedio naturale per contrastare raffreddore e lenire il bruciore dato dalle punture di insetti.

Da saggi in vitro eseguiti su microrganismi fitopatogeni si è visto che gli oli essenziali estratti dalla parte aerea del basilico, alla concentrazione dell’1%, hanno una elevata attività fungistatica, sono infatti in grado di inibire completamente la crescita dei batteri

Xanthomonas campestris pv. Campestris, X. Axonopodis pv. Alfalfa, Psudomonas syringeae pv. Tomato e Pectobacterium carotovorum subsp. Carotovorum e inoltre, dei

funghi Fusarium oxysporum e Rhizoctonia solani mentre i funghi Botrytis sp e F.

semitectum sono stati parzialmente inibiti (Zaccardelli et al., 2006).

2 Caratteristiche qualitative commerciali e nutritive del basilico

L’interesse sempre crescente dimostrato dall’industria alimentare nei confronti di questa pianta aromatica, ha provocato a partire dal 1990, la diffusione di questa coltura anche a pieno campo mentre in origine questa era destinata quasi nella totalità alla vendita del prodotto fresco in mazzetti. Allo stesso tempo l’utilizzo di composti naturali provenienti dalle piante ha creato un interesse sempre maggiore da parte della ricerca, della industria e dei consumatori. Questi composti sono sempre più utilizzati nel settore della cosmesi, del cibo e dell’industria farmaceutica poiché possono rappresentare un importante alternativa alla sintesi chimica. La qualità e il tipo di prodotto che esce da una azienda agricola possono quindi essere diversi in base alla fase successiva della filiera.

2.1 Qualità commerciale

Il concetto di qualità assume caratteristiche diverse in base alla posizione nella filiera che parte dalla produzione al consumo. Un rivenditore definisce un prodotto di qualità elevata quando questo si presenta durevole nel tempo, con una maggiore resistenza al trasporto ed una shelf-life superiore. Il consumatore giudica, invece, lo stesso basilico prevalentemente in base al colore, al profumo e agli aspetti nutrizionali e di sicurezza del prodotto. La scelta, in questo caso, predilige un prodotto più fresco con foglie ancora turgide e di colore verde intenso. Oltre alle caratteristiche estetiche e organolettiche, in

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15 questi anni si sta assistendo ad un costante aumento d’interesse per altri parametri qualitativi come nel caso dei prodotti di origine biologica. È possibile individuare anche dei parametri qualitativi che influenzano il prezzo della produzione, ma anche in questo caso occorre fare delle precisazioni. Per il basilico da consumarsi fresco l’aspetto estetico è decisamente quello più importante, risulta infatti difficile valutare le proprietà nutraceutiche di un mazzetto al supermercato. Per un prodotto omogeneo derivante da grandi estensioni e destinato alla trasformazione, invece, vengono effettuate prima dello sfalcio, analisi preventive proprio per determinare la validità del prodotto per una lavorazione industriale.

2.2 Nitrati

Fra i fattori anti nutrizionali o tossici contenuti all’interno dei tessuti vegetali si considerano sia i residui di trattamenti agrofarmaci, eventuali metalli pesanti e la concentrazione di nitrati.

Rispetto agli altri due fattori che possono essere controllati semplicemente attenendosi all’etichetta dei prodotti che si utilizzano in agricoltura, i nitrati sono invece un problema che può presentarsi anche in aziende che seguono le direttive regionali sulla concimazione per quanto riguarda gli apporti consigliati per ciascuna coltura. La loro tossicità deriva, infatti, dalla loro capacità di accumulo nel momento in cui una consistente frazione di nitrato assorbito dalle radici non viene utilizzata nell’immediato, ma va ad accumularsi nei vacuoli delle cellule per svolgere funzione osmoregolatrice all’interno della pianta. Numerosi fattori genetici, ambientali e colturali influenzano l’assorbimento e l’accumulo di nitrati negli ortaggi (Chung et al., 2004): la specie di appartenenza (Gonnella et al.,2002), il tipo di fertilizzante utilizzato e le condizioni climatiche (Crawford, 1998) quali la temperatura, l’intensità e durata di esposizione alla luce, la presenza di acqua e la natura chimico-fisica del suolo o della soluzione nutritiva nelle coltivazioni in idroponica. Le specie che accumulano maggiormente nitrato (Cappelli, 2000) appartengono alle famiglie delle Brassicaceae (rucola), Chenopodiaceae (spinacio), Asteraceae (lattuga, indivia) e Apiaceae (sedano, prezzemolo). Le famiglie delle Convolvulaceae (patata dolce), Solanaceae (patata) e Liliaceae (aglio, cipolla) accumulano, generalmente, contenuti di nitrati più modesti.

La dose giornaliera ammissibile (DGA) definita dal Joint of Experts of Committe of Food Additives and Contaminants (JECFA) è 3,7 mg/die per unità di peso corporeo per i nitrati e 0,07 mg/die per i nitriti (Kroes, 2002). Il Regolamento CE 1881/2006 (Reg. CE 1881

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16 2006) ha definito per i nitrati dei limiti variabili in funzione della specie vegetale considerata ed il periodo di raccolta e sono compresi tra 2000 e 3000 mg kg−1.

L’interesse della tossicologia alimentare è legato fatto che ci sia una possibilità di una reazione di riduzione dei nitrati a nitriti (McKnight, 1999) ed alla successiva conversione in ambiente acido di questi, in acido nitroso. L’acido nitroso legandosi alle ammine può dare origine alle nitrosammine (Gangolli Sharat et al., 1994), molte delle quali ritenute sostanze cancerogene (Tjeert, 2003). Anche il basilico è una specie soggetta ad accumulo di nitrati, ed è quindi necessario prestare alcune attenzioni durante la coltivazione per ridurne il contenuto al momento della raccolta. In particolare, risulta molto efficace l’interruzione della somministrazione di azoto durante il periodo di preraccolta. Nel caso dell’idroponica si riesce ad abbattere notevolmente la concentrazione di nitrati nei tessuti vegetali sospendendo l’azoto anche qualche giorno prima della raccolta.

2.3 Proprietà antiossidanti del basilico

La presenza di fitochimici in frutta e ortaggi ha richiamato l’attenzione del mondo della ricerca, proprio in virtù del ruolo che essi svolgono nei confronti di malattie indotte dallo stress ossidativo. Quest’ultimo viene indotto dalla presenza, negli organismi aerobi, dei radicali liberi dell’ossigeno, le cosiddette ROS (Reactive Oxygen Substances). Diversi studi hanno dimostrato che i radicali liberi presenti nell’organismo umano causano un danno ossidativo a molecole quali lipidi, proteine e acidi nucleici (Garcia-Alonso et al., 2004), così come il deterioramento del cibo nel quale le ROS causano la perossidazione lipidica associata a carcinogenesi, mutagenesi, infiammazioni, invecchiamento e malattie cardiovascolari (Zelasko et al.,1997; Box et al., 1997). Gli organismi aerobi vivono, infatti, nei confronti dell’ossigeno una condizione particolare, definita «paradosso dell’ossigeno», nel senso che devono necessariamente utilizzarlo per la respirazione, ma al tempo stesso devono attrezzarsi per evitare gli effetti dannosi dell’ossigeno e di tutti i radicali che il metabolismo aerobio produce (Rice-Evans et al., 1995). L’induzione dello stress ossidativo ha messo in evidenza il ruolo chiave di diverse sostanze organiche note con il nome di antiossidanti, in grado di prevenire i danni cellulari connessi all’aumento dei radicali liberi. Gli antiossidanti sono a tutti gli effetti dei protettori delle cellule poiché riescono a neutralizzare i radicali liberi prima che possano indurre danni all’organismo; inoltre giocano un ruolo importante nel preservare il cibo ritardando il deterioramento, l’irrancidimento e la perdita di colore in seguito all’ossidazione (Kaur e Kapoor, 2001). Fra le diverse sostanze naturali ad azione antiossidante ci sono le vitamine, ma anche una

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17 vasta gamma di molecole che tipicamente derivano dal metabolismo secondario delle piante, come, ad esempio, i composti fenolici (acidi fenolici e flavonoidi) e i carotenoidi (β-carotene, licopene, luteina, zeaxantina). A questi si aggiungono composti azotati (alcaloidi, derivati della clorofilla, aminoacidi, ammine), ma anche elementi minerali (calcio, selenio) e fibre vegetali. Nell’ampia gamma di prodotti ortofrutticoli che il consumatore ha a disposizione anche il basilico risulta un ortaggio molto interessante dal punto di vista nutraceutico, si tratta infatti di un ortaggio poco calorico, circa 22 kcal per 100 grammi di prodotto fresco (USDA, 2016), che contiene, invece, buone quantità di vitamina C (acido L-ascorbico e L-deidroascorbico; circa 18 milligrammi su 100 grammi di prodotto fresco) (Tabella 2). La vitamina C è un composto facilmente degradabile e può essere soggetta a ossidazione per mezzo del calore, della luce e dell’aria. La concentrazione di antiossidanti nel basilico non è però costante, ma dipende fattori ambientali e colturali.

Tabella 2- Valori nutrizionali basilico fresco (fonte: USDA, national nutrient database for standard reference release 28 slightly revised May, 2016).

2.4 Carotenoidi

I carotenoidi, anche chiamati tetraterpenoidi, sono pigmenti organici liposolubili abbondantemente presenti in tutti i tessuti vegetali delle piante ma anche presenti in altri

Quantità per 100 grammi Calorie 22

Grassi 0,6 g

Acidi grassi saturi 0 g

Acidi grassi polinstaturi 0,4 g Acidi grassi monoinsaturi 0,1 g Colesterolo 0 mg Sodio 4 mg Potassio 295 mg Carboidrati 2,7 g Fibra alimentare 1,6 g Zucchero 0,3 g Proteine 3,2 g Vitamina A 5.275 IU Vitamina C 18 mg Calcio 177 mg Ferro 3,2 mg Vitamina D 0 IU Vitamina B6 0,2 mg Vitamina 12 0 µg Magnesio 64 mg

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18 organismi fotosintetici come le alghe e alcune specie di batteri. Gli unici animali conosciuti in grado di produrre carotenoidi sono gli afidi e gli acari, che hanno acquisito l’abilità e i geni dai funghi (Moran et al. 2010; Altincicek et al. 2011; Nováková et al., 2012)o sono prodotti da batteri endosimbionti nella famiglia degli aleurodidi (Sloan et al., 2012). Esistono più di 600 carotenoidi conosciuti e sono suddivisi in due classi:

• Xantofille: contengono ossigeno ed i composti più noti sono il β-carotene, α-carotene e il licopene

• Caroteni: sono costituiti da soli idrocarburi ed i composti più noti sono luteina, zeaxantina, astaxantina

In generale i carotenoidi assorbono a lunghezze d’onda complementari a quelle della clorofilla, fra i 400 e i 500 nm (viola-verde) mentre non assorbono nella regione del giallo, arancione o rossa. I carotenoidi assolvono principalmente due funzioni durante la fotosintesi clorofilliana: agiscono come pigmenti fotosintetizzanti accessori (estendendo il range delle lunghezze d’onda assorbite) e nella protezione della clorofilla dalle reazioni di fotoossidazione che si manifestano in presenza di ossigeno (Armstrong et al, 1996; Cogdell, 1978).

Gli animali risultano incapaci di sintetizzare i carotenoidi per proprio conto, e devono perciò assumerli tramite la dieta. Queste molecole sembrano avere un ruolo importante nei meccanismi anti-ossidativi proprio grazie alla loro particolare struttura molecolare, in quanto in grado di eliminare i radicali liberi dell’ossigeno (Vershinin, 1999), e giocano inoltre un importante ruolo di ausilio nel sistema immunitario degli animali poiché precursori della vitamina A (Retinolo). Negli ultimi anni sono stati effettuati numerosi studi con ottimi risultati sul ruolo dei carotenoidi nella difesa e nella prevenzione di numerose malattie come il cancro ai polmoni (Viera et al., 2016), il cancro al collo e alla testa (Leoncini et al., 2015), il cancro alla prostata (Soares et al., 2015) e la malattia di Parkinson (Takeda et al, 2014). Proprio a causa dell’importanza dei carotenoidi per la salute umana, la World Health Organization (WHO), raccomanda un’assunzione quotidiana di β-carotene pari a 4–6 mg/giorno (Williamson, 1996).

Fra i prodotti con maggiore concentrazione di beta-carotene, nei quali è anche responsabile del loro colore, ci sono sicuramente le carote (Simpson et al., 2016) e le albicocche (Campbell et al., 2013). Le carote disidratate sono l’ortaggio con il maggior contenuto di carotene con 3423 µg per porzione di 100 grammi (equivalenti di provitamina A) (nutritiondata.self.com) o 68.466 IU (ndb.nal.usda.gov). Nel basilico si

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raggiungono comunque ottimi valori medi di 5.275 UI, unità di misura della quantità di una sostanza, basata sulla sua attività biologica. 1 UI è l'equivalente biologico di 0,3 µg retinolo o 0,6 µg di β-carotene o 1,2 µg di altri carotenoidi (www.canada.ca). Per quanto riguarda la tecnica di coltivazione, si raggiungono valori maggiori di vitamina A nelle coltivazioni a pieno campo rispetto a quelle in serra, con valori sempre proporzionati al contenuto di clorofille. La varietà che accumula più carotenoidi è «Osmin Purple» che però ottiene questo risultato in serra (Kopsell et al., 2005).

2.5 I fenoli

I fenoli sono sostanze che derivano dagli idrocarburi aromatici per sostituzione di uno o più atomi di idrogeno con il gruppo idrossile -OH (goldbook.iupac.org). I composti fenolici sono metaboliti secondari delle piante e vengono sintetizzati principalmente dalla via biosintetica dello schichimato, che converte precursori carboidrati derivati dalla glicolisi e dalla via ossidativa dei pentosi nei tre amminoacidi aromatici fenilalanina, tirosina e triptofano (Herrmann e Weaver, 1999).La maggior parte dei composti fenolici derivano dalla fenilalanina tramite l’eliminazione della molecola di ammoniaca, per formare l’acido trans-cinammico per catalisi dell’enzima Fenilalanina Ammoni Liasi (PAL). Negli organismi in grado di sintetizzarli, i composti fenolici vengono prodotti in risposta a pressioni di tipo ecologico come attacchi di patogeni e insetti, radiazioni UV e ferite che attivandola PAL (Klepacka et al., 2011). I fenoli comprendono un ampio spettro di sostanze e possono essere divisi in diversi gruppi; tra questi i flavonoidi che a loro volta si suddividono in:, tannini, lignina e antociani, flavoni, flavonoli e isoflavonoli, tannini accumunati dal fatto di possedere una elevata attività antiossidante nei sistemi biologici (Nile e Park, 2014; Rice-Evans et al., 1996; Pietta, 2000) e capaci di inibire la reazione a catena della perossidazione lipidica (Bravo, 1998; Orthofer et al., 1999; Febbraio et al., 2003). Tra i flavonoidi, sono molto importanti per la loro proprietà antiossidante, le antocianine, pigmenti contenuti nei vacuoli delle cellule dell’epidermide di fiori e frutti, che conferiscono il colore rosso, blu o viola a seconda del pH vacuolare e dei co-pigmenti presenti (Goto et al., 1991). Nei tessuti vegetali, i fenoli sono anche responsabili di molte caratteristiche organolettiche. Ad esempio ai tannini si riconoscono qualità astringenti, agli acidi fenolici il sapore acidulo, ad alcuni flavonoidi il sapore amaro (Noble, 2002). A causa dell’elevato contenuto in fenoli, la famiglia delle Lamiaceae è sempre stata considerata una importante fonte di composti naturali importanti per la salute umana come ad esempio l’acido rosmarinico, ma anche altri

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20 composti fenolici come acidi fenolici, flavonoidi o terpeni. Alcuni composti fenolici sono presenti solo nella famiglia delle Lamiaceae come l’acido carnosico, in grado di prevenire danni ossidativi ai cloroplasti grazie alla sua elevata capacità antiossidante (Birtic et al., 2015). Anche nel basilico, quindi, la quantità di polifenoli e di conseguenza anche il potere antiossidante dipende dalla varietà, dallo stadio fenologico e dalle condizioni di crescita (Stanciu et al., 2017); persino il colore della pacciamatura scelta per la coltivazione è in grado di modificare il contenuto fenolico con differenze rispetto al nero solitamente utilizzato del 15% di differenza con plastiche di colore giallo (Loughrin et al., 2001).

2.6 Acido rosmarinico

L’acido rosmarinico (Figura 6) è un acido polifenolico presente in quantità consistenti in molte piante appartenenti alla famiglia delle Lamiaceae come il rosmarino, la salvia, la maggiorana, l’origano, il timo la menta piperita e la melissa, oltre naturalmente al basilico (Pedersen, 2000).

L’acido rosmarinico è stato isolato e caratterizzato dal rosmarino per la prima volta nel 1958 dai chimici Scarpatti e Oriente (Scarpatti et al., 1958). Chimicamente si tratta dell’estere fra l'acido caffeico e l’acido 3,4-diidrossifenillattico (acido lattico).

L’accumulo di acido rosmarinico, tuttavia, non è peculiare della sola famiglia delle Lamiaceae; è stata infatti dimostrata la biosintesi di questo composto anche nel phylum delle Antocerote, nelle felci e in numerose specie di angiosperme mono- e dicotiledoni presumibilmente accumulato come composto di difesa (Petersen et al, 2009). Fra le altre famiglie nelle quali è stato trovato l’acido rosmarino ci sono anche le Boraginaceae e le Marantaceae (Abdullah et al., 2008). Molto interessante è sicuramente lo studio di Vogelsang e collaboratori che osservavano la possibilità di produrre acido rosmarinico e nuovo acido rosmarinico 3′-O-β-D-glucoside in coltura di cellule sospesa Anthoceros agrestis con percentuali su peso secco fino al 5,1% (Vogelsang et al., 2006).

La biosintesi dell’acido rosmarinico utilizza il 4-coumaroyl-CoA della via di biosintetica dei fenilpropanoidi come donatore dell’acido idrossicinammico (Figura 7). L’acido idrossicinammico, substrato accettore proviene invece dalla via dello shichimato. L’acido rosmarinico è sintetizzato dalla via dei fenilpropanoidi e dai derivati della tirosina: dalla fenilalanina si giunge al 4-coumaroil-CoA che viene condensato dall’acido rosmarinico sintasi al 4’-idrossienillattato proveniente dalla tirosina (Petersen et al, 2009; Ellis et al., 1970; Petersen et al, 1988).

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21 Figura 6- Molecola di acido rosmarinico (fonte: wikipedia.org).

Nelle piante comunque si ritiene che l’acido sia accumulato come composto di difesa (Petersen et al, 2003); la sua sintesi e il suo accumulo non sono tuttavia costanti ma dipendono dal genotipo e sono influenzati anche da fattori fisiologici e ambientali, come lo stadio fenologico, il clima, la tecnica colturale e le condizioni di stress (Juliani et al., 2008; Maggini et al., 2014; Kiferle et. al., 2013).

Figura 7- Via biosintetica dell'acido rosmarinico (Zhenqiao et al., 2015).

L’acido rosmarinico è stato identificato come un potenziale ansiolitico in quanto agisce come inibitore dell’acido gamma-amminobutirrico transaminasi, un enzima target delle terapie contro l’ansia, l’epilessia e altri disturbi neurologici simili (Awad et al., 2009) ed è inoltre in grado di inibire l’espressione della indolamina 2,3-deidrogenasi, un enzima chiave che catalizza le fasi di inizio e fattore limitante nella degradazione del triptofano, attraverso la sua attività cicloossigenasi-inibitrice (Lee et al., 2007).

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22 In molte isole del Pacifico si utilizzano le foglie in senescenza della pianta Heliotropium

foertherianium (Boraginaceae) come medicina tradizionale per il trattamento della

cinguatera, una intossicazione alimentare causata dall'ingestione di alimenti di origine marina contaminati da una tossina, di origine non batterica, nota come ciguatossina. Questa pianta contiene importanti quantità di acido rosmarinico e derivati ai quali si attribuisce l’azione antitossica (Rossi et al., 2012). L’uso di acido rosmarinico risulta anche efficace nella riduzione della mortalità di cavie infette con il virus della encefalite giapponese (Swarup et al., 2007).

2.7 Olio essenziale

Un olio essenziale è un liquido idrofobico concentrato contenente composti aromatici che derivano dalle piante. Un olio si definisce “essenziale” quando contiene la essenza di una pianta, cioè la fragranza caratteristica della pianta da cui derivano e dai cui solitamente prendono il nome (en.oxforddictionaries.com).

Gli oli essenziali vengono generalmente estratti per distillazione o con solventi o per pressatura a freddo, sono utilizzati in profumeria, nell’industria della cosmetica, dei saponi o di altri prodotti ai quali forniscono spesso un odore caratteristico.

Nel corso della storia gli oli essenziale sono stati molto utilizzati nella medicina popolare. La prima descrizione di tecnica per produrre oli essenziali si crede sia quella di Ibn al-Baitar (1188-1248), un fisico, farmacista e chimico arabo-andaluso (Houtsma, 1993). L’interesse per gli oli essenziali è dovuto essenzialmente al loro impiego commerciale e nell’aromaterapia, un ramo della medicina alternativa che usa questi oli e altri composti aromatici.

Un esempio di utilizzo medicinale di un olio essenziale è il timolo, presente nell’olio estratto dal timo; il timolo fa parte di una classe di composti naturali accomunati da una forte azione biocida e antimicrobica (Soares et al. 2015; Mandras et al., 2016).

Assunti per via orale, molti oli essenziali possono essere pericolosi, soprattutto in elevate concentrazioni; tipicamente gli effetti iniziano con una sensazione di bruciore, seguita da salivazione. Nello stomaco, l’effetto è carminativo, favoriscono la secrezione gastrica e facilitano l’espulsione dell’aria, mentre più in basso, nell'intestino, hanno un effetto antispasmodico. Comunque, differenti oli essenziali hanno effetti farmacologici completamente diversi: alcuni agiscono come anestetizzanti (Ghelardini et al., 1999), altri possono causare dermatiti (Larson et al., 2012; Trattner et al., 2008; Bleasel et al. 2002), mentre altri possono calmare la tosse (Jimenez Hernandez et al., 2018).

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23 L’aspetto più interessante degli oli essenziali è dato dal fatto che l’utilizzo eccessivo di antibiotici effettuato nell’ultimo centenario, ha reso i batteri sempre più resistenti e proseguire con l’uso massiccio di antibiotici costituisce un rischio (Levy, 2001). Tuttavia anche molti oli, già in bassissime concentrazioni, hanno interessanti attività antibiotica contro molti patogeni pericolosi per l’uomo (Singh, 2002; Kim et al., 1995; Burt et al., 2003).

La composizione chimica, l’attività antiossidante e antimicrobica dell’olio essenziale di basilico estratto dalla parte aerea variano nel corso dell’anno. Il contenuto in olio della sostanza fresca oscilla fra 0,5% e 0,8%, rispettivamente in estate e in inverno. Le componenti più rappresentative di questo olio non sono costanti, secondo gli studi di Hussain del 2007 il linalolo (56,7-60,6%) è seguito da epi-alfa-cadinolo (8,6-11,4%), alfa-bergamotene (7,4-9,2%) e gamma-cardinene (3,2-5,4%) (Hussain et al., 2007). A differenza Da-Silva e collaboratori riportavano che le componenti principali erano rappresentate dal linalolo e dall’eugenolo (Da-Silva et al., 2003). Infine per Sajjadi le più importanti componenti erano il cavicolo (52,4%) ed il linalolo (20,1%) (Sajjadi, 2006). L’olio essenziale di basilico quindi, come nel caso dei singoli oli essenziali, possiede un elevato potere antiossidante (Lee et al., 2005; Politeo et al., 2007) e una interessante attività antimicrobica contro molti batteri gram postivi e gram negativi: Staphylococcus

aureus, Escherichia coli, Bacillus subtilis, Pasteurella multocida; e funghi patogeni: Aspergillus niger, Mucor mucedo, Fusarium solani, Botryodiplodia theobromae, Rhizopus solani. I risultati indicano attività contro tutti questi organismi (Hussain et al.,

2007; Suppakul et al., 2003; Wannison et al., 2005).

3 La coltivazione del basilico

3.1 Principali avversità biotiche e abiotiche nella coltivazione del basilico

Il basilico è specie molto sensibile alle fitopatie provocate da crittogame specifiche dell’apparato vascolare (Fusarium spp.) o epigeo (Botrytis, Colletotrichum, ecc.) difficilmente controllabili per il limitato numero di fungicidi ammessi sulla coltura. La difesa e la prevenzione viene prevalentemente effettuata grazie a tecniche agronomiche come ampie rotazioni, utilizzo di seme sano e una gestione corretta delle condizioni climatiche nelle serre. Anche numerose specie di insetti e acari, indipendentemente dal livello di infestazione, provocano danni alla pianta del basilico ed in particolare sulle

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24 foglie, compromettendo l’elevato valore estetico che queste hanno sia nella commercializzazione del fresco sia per l’utilizzo industriale. Infine, anche le fisiopatie possono causare danni estetici o funzionali alla pianta e sono riconducibili prevalentemente ad abbassamenti di temperatura (inferiori a 6-7 °C) che possono provocare ustioni di notevole entità sull’apparato fogliare. Anche temperature di 12-16 °C, come quelle che si mantengono durante il periodo invernale in ambiente protetto, accompagnate da scarsa illuminazione, possono causare ingiallimento un leggero ingiallimento delle foglie dovuto ad una inferiore concentrazione di clorofille.

3.1.1 Peronospora (Peronospora belbahrii)

Tra le più dannose crittogame del basilico c’è senz’altro la peronospora (Peronospora

belbahrii) (Belbahrii et al., 2005; Thines et al., 2009) (Figura 8). L’arrivo di questa

malattia in Italia nel 2003 sembra legata alla introduzione dai Paesi esteri di semente fortemente contaminate (Garibaldi et al., 2004b) e dalla bassa efficacia di fungicidi fino a quel momento considerati ottimi contro la peronospora (Gilardi et al., 2013). In seguito all’esplosione di questa malattia, si sono iniziate numerose prove soprattutto riguardanti la concia del seme con vari anticrittogamici o l’utilizzo di metodi fisici come aria calda, naturali come applicazioni di oli essenziali ed infine biologici come mezzi antagonisti (Gullino et al., 2014b; Kock e Roberts, 2014). I risultati migliori si sono raggiunti con l’azione combinata di aria calda e di alcuni fungicidi (metalaxil-M, mandipropamide, azoxistrobin, fluopicolide e dimetomorf), con i quali si riduce del 60-70% la percentuale di semente infetta, valori tuttavia non ancora sufficienti (Garibaldi et al., 2014).

Il primo sintomo della malattia consiste in una leggera clorosi, in genere limitata dalle nervature fogliari da cui, dopo 2-3 giorni, segue, sulla pagina fogliare superiore, un’abbondante ed evidente evasione micelica di colore grigio-olivastro. In condizioni di elevata umidità le macchie clorotiche si modificano rapidamente in tacche nere di forma irregolare e se colpite in modo grave le foglie possono disseccarsi completamente e cadere a terra. (Garibaldi et al., 2004a).

Fra gli ulteriori inconvenienti di questa malattia c’è il fatto che i sintomi possono non essere visibili durante la raccolta, ma manifestarsi solo in un secondo momento durante le fasi di condizionamento o commercializzazione. Le infezioni di peronospora sono favorite da temperature comprese tra 20 e 25 °C, umidità dell’aria tra 80 e 100% e prolungata bagnatura fogliare (Garibaldi et al., 2007).

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25 Figura 8- Sintomi dovuti all’attacco di peronospora su foglie di basilico (fonte:

L'informatore Agrario 20/2004 p. 69).

Per quanto riguarda la difesa del basilico dalla peronospora è necessario integrare tutti i metodi di difesa disponibili, a partire dalle pratiche preventive di carattere agronomico. Le strategie comunque sono varie e dipendono anche dalla tecnica colturale: ambiente protetto o campo aperto, sfalci successivi o monosfalcio.

L’impiego di semente o di piantine sane è la prima precauzione da adottare. Anche un’adeguata distanza d’impianto tra le file e sulla fila, ad esempio, favorisce la circolazione dell’aria e permette una rapida asciugatura della vegetazione in seguito alle piogge, alle irrigazioni o alla rugiada mattutina. Si consiglia inoltre di evitare la bagnatura dell’apparato fogliare impiegando metodi d’irrigazione localizzata a manichetta al posto di quelli per aspersione (Wyenandt, 2011; Wyenandt et al., 2015). Diverse varietà di basilico delle specie O. basilicum purpurescens, O. citridorum e O. americanum, infatti, pur mostrando una sensibilità alla malattia notevolmente inferiore o addirittura nulla, non presentano caratteristiche di sapore e colore accettate dal mercato e, pertanto, possono essere impiegate dai genetisti solo come fonti materiale genetico da inserire in O.

basilicum, nell’ambito di programmi di miglioramento genetico (Wyenandt et al., 2010).

La difesa chimica invece presenta alcuni limiti derivanti principalmente dal breve ciclo biologico del basilico, spesso ripetuto più volte sulla stessa parcella nello stesso anno o in monosuccessione, e dal ridotto numero di sostanze attive efficaci disponibili. Fra le strategie di difesa più efficaci c’è l’antiperonosporico a base di piraclostrobina + dimetomorf, di recente registrazione su basilico e che ha dimostrato in assoluto la migliore efficacia. Una buona attività antiperonosporica è stata ottenuta anche con

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26 azoxistrobina, mandipropamide e propamocarb + fluopicolide mentre lo standard di riferimento a base di metalaxil-m+ossicloruro di rame risulta, in generale, possedere un’attività inferiore a quella dei precedenti. Anche il fosetil-Alluminio risulta avere una capacità di contenimento dei sintomi di peronospora inferiore (Gengotti et al., 2016). Fra i metodi di difesa biologica i fosfiti sono quelli che hanno fornito i risultati più interessanti con una interessante attività (Kofoet e Fischer, 2007; Silva et al., 2011). La possibilità d’impiego di induttori di resistenza per il contenimento della peronospora del basilico e in generale di peronospore su diverse colture orticole è in studio in diversi Paesi dove queste malattie causano gravi perdite produttive (Mershaa et al., 2012).

3.1.2 Fusariosi (Fusarium oxysporum f.sp. basilicum)

È l’agente delle tracheofusariosi che provoca la morte di numerose piantine soprattutto quando il basilico viene coltivato in monosuccessione. In generale può attaccare la pianta del basilico a tutti gli stadi di sviluppo, provocandone l’appassimento. In serra la patologia ha un andamento basipeto, cioè dall’apice verso le radici e evolve molto rapidamente facilitata dagli elevati valori di umidità e temperatura del substrato e dell’aria. Sezionando il fusto si evidenzia il caratteristico imbrunimento dei vasi, la cui occlusione causa prima l’appassimento e successivamente il disseccamento della parte epigea della pianta.

La prevenzione della tracheofusariosi viene fatta prevalentemente con delle rotazioni colturali ampie e con l’utilizzo di seme certificato indenne da Fusarium. Anche la disinfezione chimica o fisica del terreno offre risultati interessanti (Siviero et al., 1998). Gli organismi ausiliari registrati sulla coltura per questa avversità sono Stryptomyces k61 e Trichoderma harzianum, funghi antagonisti per il controllo del patogeno. Nei confronti della fusariosi sono in corso studi sulla individuazione di varietà resistenti al patogeno per essere successivamente utilizzate come donatrici di materiale genetico (Reis et al., 2008). L’estratto di basilico sembra invece avere attività anticrittogamica sulla fusariosi del pomodoro come induttore di resistenza (Akladious et al., 2015).

3.1.3 Altre patologie e insetti fitofagi

Esistono numerose altre avversità fungine che possono attaccare il basilico; tuttavia queste si presentano più raramente e costituiscono nel totale una perdita produttiva, quindi economica, inferiore rispetto a peronospora e fusariosi. Pythium spp., Colletotrichum

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27 vascolari, che come la fusariosi, si presentano inizialmente come macchie brunastre nella zona del colletto o del fusto e che con l’andare del tempo portano alla morte la pianta. La botrite (Botrytis cinerea Pers.), invece, è sempre favorita da temperature elevate accompagnate da elevata umidità; questa avversità si manifesta maggiormente in campo aperto insediandosi sulle ferite provocate durante lo sfalcio.

Anche numerose specie di insetti, indipendentemente dal livello di infestazione, provocano danni alla pianta del basilico, in particolare sulle foglie, compromettendo l’elevato valore estetico che queste hanno sia nella commercializzazione a fresco sia per l’utilizzo industriale. Liriomyza trifolii e Liriomyza huidobrensis sono insetti minatori che scavano gallerie nello spessore della lamina fogliare provocando ingiallimenti e il successivamente il disseccamento. Anche la larva del lepidottero Spodoptera littoralis può provocare defogliazioni rapide in quanto la larva di questo insetto è molto vorace. Infine, i tripidi Frankliniella occidentalis e Thrips tabaci pungono le foglie sia per la suzione alimentare sia per l’ovideposizione provocando decolorazioni argentee che portano ad un deprezzamento del prodotto (Siviero et al., 1998).

3.2 Tecnica colturale

La coltivazione del basilico era un tempo circoscritta alla Liguria, nel tratto costiero tra Albenga e Imperia, dove rappresentava la specie orticola più coltivata in ambiente protetto e vantava il primato del miglior basilico italiano con una produzione totale di 170 tonnellate delle quali 120 in serra. In questi ultimi anni si è assistito alla diffusione di questa coltura, a pieno campo, anche in alcune zone dell’Italia meridionale dove in precedenza veniva prevalentemente coltivato in serra, per il consumo fresco e per la preparazione familiare del pesto alla genovese. La diffusione a pieno campo della coltura, datata 1990, risponde all’interesse sempre crescente dimostrato dall’industria alimentare nei confronti di questa pianta aromatica (Siviero et al., 1998).

Negli ultimi 10 anni, tuttavia, molte piccole aziende con piccole superfici sulle quali hanno impostato per molti anni in successione una monocoltura di basilico, per motivi fitosanitari, si sono viste costrette a passare alla coltivazione fuori suolo su substrato o con floating system. La coltivazione con tecnica aeroponica è invece ancora in fase sperimentale ma presenta già interessanti vantaggi.

3.2.1 La coltivazione in pieno campo

La coltivazione del basilico a pieno campo è riservata per la maggior parte al settore industriale quindi alla trasformazione. Per la sua coltivazione in pieno campo il basilico

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28 richiede terreni fertili, porosi e ricchi di potassio mentre rifugge i ristagni idrici che aumentano la sensibilità a marciumi radicali e al colletto, riconducibili a Phytium e

Sclerotinia, pur essendo molto esigente nei confronti degli apporti idrici.

L’emergenza e la crescita quindi devono essere le più uniformi possibili se non si vuole incorrere in perdite durante la fase di sfalcio. Le file sono disposte a 20 cm, su prosa di 160 cm creata dal passaggio dei mezzi agricoli (Figura 9). Si utilizzano 9 kg/ha di seme e per la concimazione si utilizzano concimi ternari in presemina e copertura. A una settimana dalla semina, l’emergenza delle piantine delimita le file di basilico e si interviene con un diserbo chimico mirato alle graminacee e manuale sulle altre infestanti oppure meccanico con una sarchiatura di precisione nell’interfila. La semina si effettua solitamente intorno alla metà di aprile così da effettuare circa 4 sfalci durante l’estate con una produzione di circa 40 quintali ad ettaro.

La lama di taglio viene mantenuta a circa 20 cm e dopo ogni sfalcio si effettua un ulteriore taglio della parte di pianta rimasta (sfibratura), fino a ridurne l’altezza a circa 10 cm e consentirne l’abbondante ricaccio. Questo tipo di produzione destinata all’industria viene effettuata da aziende di medie-grandi dimensioni e il prezzo al quintale di prodotto fresco si aggira intorno ai 70 euro, in linea quindi con altre colture di tipo estensivo.

3.2.2 La coltivazione in serra

Le strutture serricole in cui viene coltivato il basilico e le tecniche di coltivazione adottate risultano estremamente diversificate, riconducibili a consuetudini locali che interessano anche altre specie orticole. Il tipo di confezionamento in cui viene presentato il prodotto derivante da coltura protetta risulta molto variabile:

• in vasetti con piantine confezionate singolarmente in casse da 15-30 pezzi; • a mazzetti di 10-15 piantine a radice nuda;

• a foglie e rametti confezionati in vaschette o buste trasparenti da 30 a 100 g; • a mazzetti da 5-15 steli cadauno.

La commercializzazione dei mazzetti a radice nuda tuttavia risulta in netta diminuzione, in quanto chi acquista il basilico a uso famigliare manifesta netta preferenza nei confronti dei vasetti reperibili presso i mercati o le rivendite locali. Vaschette e/o buste di prodotto pronto al consumo vengono prevalentemente avviate alla grande distribuzione.

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29 Figura 9- Coltivazione del basilico in pieno campo (fonte: agraria.org).

Nella riviera ligure la maggior parte delle strutture è in ferro-vetro e sono dotate di impianto di condizionamento climatico che, mediante ventole (Funjet) controlla e migliora la distribuzione del calore. Solitamente sono poi corredate da un impianto di illuminazione supplementare. Tutti questi accorgimenti sono tesi a dilatare il più possibile il periodo di produzione, limitando l’insorgere di problemi di ordine fitopatologico. In alcuni impianti è previsto anche l’utilizzo di bancali elevati da terra, provvisti di impianto di riscaldamento.

Il basilico viene coltivato anche in serre in ferro-plastica, oppure in apprestamenti protettivi a cubatura ridotta, tipo tunnel. Questi ultimi trovano maggiore diffusione in altre regioni (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna, ecc.) dove la coltura del basilico viene realizzata nei mesi autunno-primaverili-estivi con esclusione per quelli invernali (soprattutto nel Nord-est) per ragioni climatiche, in particolare carenza di luminosità. La coltivazione del basilico richiede frequenti interventi irrigui, per cui gli apprestamenti serricoli sono generalmente corredati di impianti di irrigazione fissi, costituiti da semplici erogatori a farfalla, oppure barre a bassa portata caratterizzate da maggiore precisione e funzionalità che consentono l’effettuazione della fertirrigazione controllata.

Per la coltivazione in serra risulta essenziale la disinfezione del terreno con conseguenti notevoli aggravi economici, non potendo ricorrere ad ampie rotazioni per le ridotte dimensioni aziendali delle strutture dove si coltiva generalmente il basilico. In questa

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30 ottica risulta di fondamentale importanza l’alternativa della coltivazione fuori suolo che permette un ottimo controllo fitopatologico della coltura e l’ottenimento di prodotto con elevate caratteristiche organolettiche e merceologiche.

La tecnica del fuori suolo, relativamente innovativa per la coltura, può essere effettuata con tre sistemi aventi caratteristiche sostanzialmente diverse: NFT (Nutrient film

tecnique), FS (Floating system) e tecnica aeroponica.

3.2.3 Idroponica su substrato

Il sistema idroponico (Figura 10) su substrato è un sistema a ciclo chiuso o aperto e prevede che l’apparato radicale delle piantine sia supportato e contenuto in un normale vaso in polietilene del diametro di 6-8-10-20 cm, ripieno di un miscuglio di torba in cui quella bionda e bruna unita a sabbia o lapillo. I vasetti vengono disposti in canalette inclinate dentro le quali scorre la soluzione nutritiva ricircolante. L’impianto di erogazione della soluzione nutritiva è costituto da un tubo, solitamente di 40 mm di diametro sul quale, alla distanza di 30-40 cm, sono inseriti gli erogatori a penna della portata di 1-2 litri/minuto. Le canalette, dove si raccoglie la soluzione nutritiva in uscita dal vaso devono essere messe in posa con una inclinazione dell’1-1,5% per poter convogliare la soluzione nutritiva al serbatoio di stoccaggio. Dal serbatoio di stoccaggio, dopo che sono state effettuate le correzioni del pH e della conducibilità elettrica della soluzione (così rinnovata) ritorna in circolo, mediante una pompa comandata da timer. La reintegrazione della soluzione circolante viene fatta generalmente alla fine di ogni intervento, nel caso di un sistema a gestione automatica, oppure a fine giornata nel caso di un sistema a gestione manuale.

Nelle canalette vengono posizionati alla distanza di circa 20 cm i vasetti contenenti da 5 a 10 piantine allo stadio di 2 foglie vere ben sviluppate.

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31 Figura 10- Coltivazione del basilico con tecnica idroponica su substrato (fonte

oriditoscana.it).

La capillarità del substrato ne permette l’umidificazione da parte della soluzione nutritiva che viene erogata a intervalli sempre più brevi in funzione della crescita e dello sviluppo delle piantine. Questa tecnica rappresenta un passo in avanti rispetto alla coltivazione a terra tuttavia si trascina dietro ancora i problemi riguardanti la disinfezione del substrato che altrimenti può essere inoculo di numerose patologie fungine. Oltre che al costo per il suo acquisto si sommano anche i costi logistici della movimentazione in azienda e del riempimento dei vasi. La tecnica del floating system, così come quella aeroponica rappresentano l’ulteriore passo in avanti fatto per questa e per altre colture verso una riduzione dei costi di coltivazione.

Con la tecnica a ciclo chiuso, la filtrazione della soluzione nutritiva risulta essere un fattore molto importante per evitare lo sviluppo e la diffusione di patogeni a tutta la coltivazione, soprattutto per quelli terricoli. Uno dei sistemi di filtraggio più semplice ed economico, prevede l’utilizzo di filtri a sabbia. La filtrazione è sia fisica (trattiene le particelle solide organiche e inorganiche), sia biologica (interessa le spore di crittogame e i batteri); quest’ultima inizia dopo un certo periodo di attività, quando cioè si sia costituita la microflora utile che rappresenta la parte attiva nella filtrazione biologica (Siviero et al., 1998).

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32 3.2.4 Floating system

Il floating system è una tecnica di coltivazione effettuata in vasche rivestite in materiale plastico (generalmente polietilene dello spessore di 0,20 mm di colore nero) di dimensione variabile, posizionate sul terreno oppure interrate, in cui viene immessa la soluzione nutritiva per un’altezza di almeno 20 cm. Dentro le vasche vengono posizionati dei contenitori che galleggiano sulla soluzione nutritiva. I supporti possono essere:

• contenitori alveolati in polistirolo con 15, 24 oppure 30 fori in cui vengono messi vasetti in polietilene riempiti con torba generalmente bionda e contenenti 5-10 piantine allo stadio cotiledonare o al massimo alla prima foglia vera;

• pannelli in polistirolo, o altro materiale espanso, con fessurazioni perpendicolari coniche da 1 a 10 mm che ne interessano tutto lo spessore (3-4 cm) disposte alla distanza di 3-4 cm, riempite con substrato di diversa natura (perlite, sabbia grossa, lana di roccia, vermiculite, o miscugli) in cui le piantine sono allo stadio di emergenza.

In generale i substrati più utilizzati per la semina sono la vermiculite per le sue caratteristiche di buona capillarità e basso peso specifico oppure il cubetto di torba pressata. I contenitori, dopo essere stati seminati, possono stazionare per 24-48 ore (fino a emergenza avvenuta) in celle di germinazione alla temperatura di 25-28 °C. Nel caso del basilico la temperatura della soluzione nutritiva viene mantenuta a valori di circa 18 °C tramite tubazioni in polietilene corrugato nelle quali viene fatta scorrere acqua calda. Alcune esperienze hanno dimostrato che è possibile innalzare ulteriormente la temperatura della soluzione, soprattutto nel periodo invernale, se esistono i presupposti di una sufficiente intensità e durata della luminosità (superiore a 9 ore/giorno) (Frittegotto et al., 2016).

La coltivazione si svolge su circa 8-10 cicli l’anno, a secondo della specie, con una durata media di ogni ciclo produttivo del basilico di circa 20-25 giorni in estate e circa 40 giorni in inverno per quello da mazzi a radice nuda. Il sistema risulta interessante per i contenuti costi di realizzo e gestione, dovuti alla limitata presenza di dispositivi automatici di controllo e correzione della soluzione nutritiva. La brevità del ciclo colturale del basilico non rende, infatti, necessario reintegrare gli elementi nutritivi nella soluzione, l’operazione viene effettuata solo tra un ciclo e l’altro. Vengono monitorati il pH, la conducibilità elettrica e controllati con l’aggiunta di acqua, soluzione concentrata o acido, nonché la concentrazione di ossigeno nella soluzione per evitare condizioni di

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33 anaerobiosi. Il contenuto di ossigeno deve mantenersi su valori prossimi a 4-7 mg/L. Il sistema più semplice di ossigenazione consiste nel far circolare, mediante una pompa, parte della soluzione nutritiva attraverso una tubazione in cui viene installato un tubo Venturi in grado di aspirare aria dall’esterno. Solo in estate, a causa delle temperature più elevate, si arriva a un tempo di insufflaggio anche di 30-40 minuti, diviso in due interventi per avere gli stessi valori di ossigeno omogenei.

Il floating system rappresenta un sistema particolarmente adatto per la coltivazione di prodotti destinati alla IV gamma, in quanto assicura elevati livelli produttivi caratterizzati anche da buone caratteristiche qualitative. Il contesto in cui s’inserisce il prodotto di IV gamma (identificando con questo termine i prodotti ortofrutticoli freschi minimamente trattati e cioè lavati, tagliati e confezionati) è quello di un mercato amplio e globalizzato, dove il consumatore mostra una maggiore attenzione verso alimenti pronti all’uso e ricchi di servizi. I vantaggi del metodo floating system sono molti: si ha, infatti, un aumento di produttività a parità di superficie impiegata poiché si riescono ad effettuare più cicli all’anno rispetto della produzione a terra e si ottiene un prodotto più pulito quindi più flessibile ad una eventuale utilizzazione nella IV gamma. Anche l’utilizzo di prodotti fitosanitari è inferiore nella tecnica floating poiché non è necessaria la disinfezione del terreno. Si ricorda, infatti, che il principale motivo che ha spinto molti agricoltori a passare a soluzioni idroponiche è proprio l’esclusione del bromuro di metile fra i prodotti utilizzabile per la disinfezione del terreno fra i cicli colturali.

3.2.5 Tecnica aeroponica

La tecnica di coltivazione aeroponica è una tecnica utilizzata in ambiente protetto nella quale la pianta cresce in completa assenza di substrato inerte o terreno per il sostegno delle radici (Figura 11). Le piante vengono inizialmente seminate su lana di roccia pressata in alveoli di polistirolo che possono essere inseriti o meno in una cella di germinazione per 24-48 ore. Una volta germinate, le piante vengono diradate e una volta che le radici sono fuoriuscite dalla parte inferiore del vassoio, trasferite nell’impianto aeroponico. L’impianto è costituito da una canaletta in plastica rigida chiusa superiormente da vassoi preforati, sempre in plastica, dove vengono posizionate le piante del basilico con il proprio cubetto di lana di roccia. All’interno della canaletta corre un tubo lungo il quale sono inseriti ugelli che grazie alla pressione creata dalla pompa nebulizzano la soluzione nutritiva facendola giungere alle radici. La canaletta è inclinata

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