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Il Contratto di rete come strumento per l'internazionalizzazione delle PMI: Il caso Five For Foundry

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Academic year: 2021

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Sommario

Introduzione ... 3 1 L’internazionalizzazione tra vecchie prospettive e nuovi paradigmi. ... 4

1.1 Il nuovo mondo: lo sviluppo globale e l’internazionalizzazione dell’economia moderna. ... 5

1.1.1 Dal locale al globale: il superamento delle realtà nazionali. 6 1.1.2 Internazionalizzazione delle imprese e mercato globale: definizioni ed aspetti

organizzativi. 8

1.1.3 Le teorie di internazionalizzazione ( cenni ): le principali prospettive. 11

1.2 La Rete tra mercato e gerarchia: aspetti generali. ... 24

1.2.1 Le teorie di internazionalizzazione basate sul Network: l’approccio comportamentale. 29 1.2.2 Crescere con la rete: l’approccio internazionale tramite il network. 36 1.2.3 La rete come circuito di conoscenza ed innovazione: la natura cognitiva

dell’internazionalizzazione. 38

1.3 Il modello italiano dei Distretti Industriali. ... 41

1.3.1 La storia del Distretto: il superamento dei limiti dimensionali e le caratteristiche

organizzative. 42

1.3.2 Internazionalizzarsi attraverso il Distretto: i percorsi storici delle PMI italiane. 44 1.3.3 I cambiamenti globali e la crisi del Distretto. 46 2 L’analisi strategica del Network: il modello della Rete del Valore ... 49

2.1 L’evoluzione del concetto di valore negli studi di strategia. ... 50

2.1.1 Il sistema del valore negli studi sulla Strategia competitiva di Porter. 51 2.1.2 La catena del valore e le competenze distintive: la Resouce based Theory. 55 2.1.3 Le strategie interattive di Normann e Ramirez: lavorare insieme per creare valore. 56

2.2 Il modello della Rete del Valore. ... 58

2.2.1 Il sistema di creazione del valore. 59

2.2.2 Il modello di rappresentazione della rete del valore. 61

2.3 Le alleanze strategiche tra imprese: un’imprescindibile necessità. ... 63 3 Il Contratto di Rete ... 66

3.1 La nascita del Contratto di Rete: un nuovo modello di aggregazione. ... 67

3.1.1 Il Contratto di Rete: definizione ed aspetti normativi rilevanti. 69 3.1.2 Le aggregazioni ed il Contratto di Rete: uno strumento innovativo. 80

(2)

3.2.1 Alcuni dati statistici: un analisi dimensionale. 83 3.2.2 Le imprese che entrano in una rete: caratteristiche e vantaggi. 86

3.3 Le reti d’impresa e le nuove possibilità internazionali. ... 91 4 Five for Foundry ... 94

4.1 Obiettivo della ricerca e nota metodologica. ... 96

4.1.1 Research Question ed obiettivo della tesi. 96

4.1.2 Scelta del caso oggetto di studio. 97

4.1.3 Nota Metodologica. 99

4.1.4 I limiti della nostra analisi. 104

4.2 La rete Five for Foundry: la storia e le caratteristiche della rete. ... 106

4.2.1 Il settore metalmeccanico: la crisi dell’industria manifatturiera italiana. 106 4.2.2 La storia della rete Five for Foundry: dai primi tentativi al Contratto di Rete. 109 4.2.3 L’attività della rete e i contenuti del contratto. 113 4.2.4 La governance del Five for Foundry. 114

4.3 La rete Five for Foundry: i dati qualitativi e quantitativi. ... 116

4.3.1 La rete: alcuni elementi chiave. 116

4.3.2 L’internazionalizzazione della rete. 120 4.3.3 I costi dell’internazionalizzazione e del contratto. 124 4.3.4 Risultati della rete ed interventi correttivi. 126

4.4 L’analisi del Contratto di Rete Five for Foundry e le riflessioni conclusive. ... 127

4.4.1 La strategia competitiva della rete. 127 4.4.2 I vantaggi che il Contratto di Rete ha generato in Five for Foundry. 129 4.4.3 Conclusioni del caso Five for Foudry. 133 Conclusioni ... 135

Ringraziamenti ... 137 Bibliografia ... 137

(3)

Introduzione

La dimensione internazionale dell’economia moderna appare sempre più un elemento inevitabile e si assiste ad una ricerca incessante di posizionamenti competitivi basati sulla cooperazione e sull’apertura del sistema aziendale. La tesi si prefigge di indagare il fenomeno del “Contratto di Rete”, come modello utile a sostenere l’ internazionalizzazione delle PMI, e analizza un caso concreto.

Il Primo Capitolo introdurrà i fenomeni della globalizzazione e dell’internazionalizzazione, con lo scopo di comprendere i cambiamenti economici che hanno portato all’espansione dei fenomeni reticolari. La prima parte consisterà in una rassegna teorica sui modelli di internazionalizzazione e le principali prospettive, seguita dal filone di letteratura relativo alle reti d’impresa ed al concetto di network come circuito di conoscenza ed innovazione. Infine, si traccerà una panoramica sui punti di forza e di crisi del sistema economico italiano e sul modello distrettuale, che ha permesso al nostro paese di superare i problemi dimensionali delle PMI, ma che ha bisogno di uscire dal contesto esclusivamente locale nel quale opera.

Il Secondo Capitolo si concentrerà sui meccanismi di creazione del valore, sviluppando il tema per provare ad inquadrare l’esigenza di cooperazione nell’economia attuale. Dapprima si approfondirà l’evoluzione del valore negli studi di strategia, da Porter fino al co-valore di Normann e Ramirez, successivamente verrà analizzato il modello della rete del valore e il sistema del valore proposto da Parolini. Questa base ci servirà come spunto teorico per comprendere la ricerca delle imprese verso i fenomeni aggregativi. Nel Terzo Capitolo sarà invece presentato il Contratto di Rete, dapprima affrontando sinteticamente i principali aspetti normativi e le caratteristiche innovative dello strumento, successivamente presentando dei dati, a nostro avviso rilevanti, tramite i quali si cercherà di analizzare più in dettaglio il fenomeno, esponendo vantaggi e peculiarità delle imprese che decidono di far parte di una “rete di imprese”. Verranno mostrate, poi, ulteriori caratteristiche della rete, questa volta focalizzandosi sui processi di internazionalizzazione.

Infine, nel Quarto Capitolo ci concentreremo sull’esposizione del caso oggetto di studio, al fine di compiere un analisi qualitativa sull’effettiva efficacia dello strumento del Contratto di Rete in un ottica di sviluppo internazionale.

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1 L’internazionalizzazione tra vecchie

prospettive e nuovi paradigmi.

1.1 Il nuovo mondo: lo sviluppo globale e l’internazionalizzazione dell’economia

moderna. ... 5

1.1.1 Dal locale al globale: il superamento delle realtà nazionali. 6 1.1.2 Internazionalizzazione delle imprese e mercato globale: definizioni ed aspetti organizzativi. 8 1.1.3 Le teorie di internazionalizzazione ( cenni ): le principali prospettive. 11 1.1.3.1 L’approccio economico: la teoria dell’impresa multinazionale. ... 12

1.1.3.2 L’approccio economico: la scoperta della globalità e l’approccio strategico. ... 18

1.1.3.3 L’approccio comportamentale... 23

1.2 La Rete tra mercato e gerarchia: aspetti generali. ... 24

1.2.1 Le teorie di internazionalizzazione basate sul Network: l’approccio comportamentale. 29 1.2.2 Crescere con la rete: l’approccio internazionale tramite il network. 36 1.2.3 La rete come circuito di conoscenza ed innovazione: la natura cognitiva dell’internazionalizzazione. 38 1.3 Il modello italiano dei Distretti Industriali. ... 41

1.3.1 La storia del Distretto: il superamento dei limiti dimensionali e le caratteristiche

organizzative. 42

1.3.2 Internazionalizzarsi attraverso il Distretto: i percorsi storici delle PMI italiane. 44 1.3.3 I cambiamenti globali e la crisi del Distretto. 46 Il Capitolo introduce i fenomeni della globalizzazione e dell’internazionalizzazione, dapprima attraverso una rassegna teorica sui modelli di internazionalizzazione e le principali prospettive, seguita dal filone di letteratura relativo alle reti d’impresa ed al concetto di network come circuito di conoscenza ed innovazione. Infine, viene tracciata una panoramica sui punti di forza e di crisi del sistema economico italiano e sul modello distrettuale, che ha permesso al nostro paese di superare i problemi dimensionali delle PMI, ma che ha bisogno di uscire dal contesto esclusivamente locale nel quale opera.

“[…] nel nostro mondo nascondersi è diventato difficile e in molti casi impossibile. Tutte le economie sono rintracciate tra loro in un unico mercato competitivo, e nei giochi crudeli che si svolgono su questo teatro è impegnata dovunque l’intera economia. Sottrarsi a questi giochi è letteralmente impossibile, e gli effetti della globalizzazione si fanno sentire in tutti i campi della vita sociale.”

Dahrendorf R. ( 1995 )1

1 Dahrendorf R. ( 1995 ), Quadrare il cerchio. Benessere economico, coesione sociale e libertà politica,

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1.1 Il

nuovo

mondo:

lo

sviluppo

globale

e

l’internazionalizzazione dell’economia moderna.

’economia moderna si scopre sempre più un fenomeno in cui, le scelte sui mercati nazionali, hanno legami e collegamenti con i confini extranazionali: la dimensione internazionale appare infatti come un elemento inevitabile ed inarrestabile, capace di entrare nelle scelte delle società, delle persone e degli Stati. L’internazionalità sta progressivamente diventando una dimensione trasversale che attraversa tutti i livelli della vita economica di un Paese, penetrando in uno scenario in cui trovano riscontro le tesi avveniristiche del cosiddetto “Villaggio Globale”2

: scenario da molti definito con il termine Globalizzazione che, tralasciando per un istante l’aspetto economico, ha assunto connotati che coinvolgono politica, società e cultura3.

La globalizzazione, dal punto di vista economico, viene definita come “la produzione e la distribuzione di prodotti e di servizi di tipo e qualità omogenei su scala mondiale”4. Il terreno internazionale risulta quindi essere la nuova “arena di gioco”, mercati prima protetti si aprono sempre di più verso l’esterno, in un ottica di maggiore contendibilità. I confini nazionali non riescono più a rivestire un ruolo determinante e non sono più in grado di proteggere l’efficacia e l’efficienza delle imprese5, che si trovano ad affrontare un mercato sempre più globale e sempre più dominato da grossi competitors internazionali, più pronti e con ingenti capitali, o da aziende giovani e dinamiche che, sviluppatesi negli anni della crescente globalizzazione, sono fin dalla loro nascita presenti nel contesto internazionale. Queste ultime sono le cosiddette Born Global, presenti in un emergente filone di letteratura internazionale e definite come “firm as having either a small or no domestic market before it start to internationalize” ( Chetty,

2

“Il concetto di villaggio globale è stato esposto per la prima volta da Marshall McLuhan, uno studioso delle comunicazioni di massa, nel suo libro del 1962 La galassia Gutenberg: nascita dell'uomo

tipografico. Per villaggio globale si intende un mondo piccolo, delle dimensioni di un villaggio,

all'interno del quale si annullano le distanze fisiche e culturali e dove stili di vita, tradizioni, lingue, etnie sono rese sempre più internazionali.” Fonte: Wikipedia.

3

Cfr., Nanut V. Tracogna A. ( 2003 ), “Processi di internazionalizzazione delle imprese: vecchi nuovi paradigmi”, in sinergie, N. 60, pp. 17 - 20.

4 Rugman A.M. ( 2000 ), “The Myth of Global Strategy”, in European Retail Digest, N. 28, pp. 5 - 9. 5 Cfr., Cedrola E. Battaglia L. ( 2011 ), “Piccole e medie imprese ed internazionalità: strategie di business,

relazioni ed innovazione”, in sinergie, N. 85, p. 72.

L

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Campbell-Hunt 2004 )6, o anche come “firm that internationalize within two years of inception and have 75 percent or more of their sales in international markets” ( Rennie 1993 )7.

Numerose ricerche statistiche hanno evidenziato come, sebbene la profonda crisi del 2008 abbia intaccato indubbiamente la capacità economica delle imprese italiane, la crescita sul piano globale ed internazionale delle stesse abbia subito un ingente incremento dagli anni ’90 ad oggi, mostrando un graduale distaccamento dai paradigmi economici e dal contesto locale cui spesso era inserita. Tale crescita ha riguardato non solo le imprese con alto numero di addetti ( 50 e oltre ), ma anche quelle più piccole ( 10 e oltre ), con le dovute proporzioni8. Osserviamo quindi come la globalizzazione nasca dal corto circuito che si stabilisce tra il locale e il mondiale, il quale modifica sia il primo che il secondo contesto9.

1.1.1 Dal locale al globale: il superamento delle realtà nazionali.

Il fenomeno della globalizzazione si è ampiamente rispecchiato in quella che viene intesa come una progressiva apertura del sistema locale/nazionale, nel quale mutano sia i diversi protagonisti ( mercati, imprese, istituzioni ), sia i rapporti e i bisogni dei consumatori, legati ad un contesto globalizzato. Allora ci si chiede se questo cambiamento della base territoriale, su cui insiste la divisione del lavoro, altro non sia che una riproposizione in larga scala di quel mutamento avvenuto in piccolo nel passato, con il passaggio dal contesto locale ad un contesto statale. In quella circostanza si era venuta a creare l’integrazione ed il compattamento dei circuiti regionali: quelli che furono chiamati “capitalismi nazionali”, cioè sistemi di divisione del lavoro uniti dalla sovranità nazionale e dall’omogenea base culturale10. La dottrina ci impone di andare oltre: all’origine della ricerca di una maggiore operatività a livello internazionale non vi è soltanto la spinta economica della mera sopravvivenza, ma vi si annidano problematiche socio-politiche che secondo Rullani e Gradinetti sono da ricercarsi in 3

6 Chetty, S.K. Campbell-Hunt, C. ( 2004 ), “A strategic approach to internationalization: a traditional

versus a ‘born-global’ approach”, in Journal of International Marketing, Vol. 12 No. 1, pp. 57 - 81.

7 Rennie, M. ( 1993 ), “Global competitiveness: born global”, in The McKinsey Quarterly, Vol. 4,

pp. 45 - 52.

8 Cfr., D’Aurizio L. Cristadoro R. ( 2015 ), “Le caratteristiche principali dell’internazionalizzazione delle

imprese italiane”, in Banca D’italia :Questioni di Economia e Finanza, N. 261, pp. 5 - 10.

9 Rullani E. Grandinetti R. ( 1996 ), Impresa transnazionale ed economia globale, La Nuova Italia

Scientifica, Roma, p. 43.

10 Cfr., Rullani E. Grandinetti R. ( 1996 ), Impresa transnazionale ed economia globale, La Nuova Italia

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elementi: 1 ) Il progressivo trasferimento dei poteri a livello sovranazionale, che tende a spostare il baricentro politico degli Stati nazionali ad organizzazioni di dimensioni continentali; 2 ) La limitazione di fatto introdotta, nell’esercizio della sovranità nazionale, dal carattere transazionale di attività economiche, dipendente dal fatto che qualsiasi svantaggio competitivo nazionale potrebbe tradursi in un incentivo alla delocalizzazione; 3 ) L’emergere di forme locali di produzione ( regionali, città e soprattutto i distretti industriali ) e di organizzazione economica che acquistano una visibilità internazionale sempre più rilevante.

Secondo quanto detto, risulta allora evidente come la creazione di organizzazioni sempre più internazionalizzate abbia fornito la legittimazione con la quale in passato le grandi multinazionali hanno iniziato ad uscire dal modello organizzativo di impianto Fordista, per operare nei mercati esteri in modo processuale ed progressivo, forti dei vantaggi acquisiti nei mercati nazionali di riferimento. Inoltre la nascita di un economia internazionale slegata dalla regolamentazione nazionale ha aperto ingenti opportunità per alcuni sistemi locali di produzione, che si sono rilevati attivi sia nell’occupare le giuste nicchie di mercato internazionale, sia nell’attivare meccanismi di crescita ed apprendimento. In questo senso l’economia globale viene presentata come “l’insieme delle varietà locali che diventano compresenti l’una all’altra”11

.

Occorre fare ulteriori considerazioni sul concetto di cultura, in senso lato del termine: se da un lato i legami locali si sono sviluppati attorno ad una cultura omogenea, al contrario l’espansione verso i confini transnazionali porta le imprese ad affrontare la cosiddetta distanza psichica, cioè come le tradizioni, la storia e il pensiero di un popolo diverso dal proprio incidano nei rapporti di business e nei mercati in cui si vorrebbe operare; niente di strano se consideriamo che alla progressiva apertura dei mercati e dell’economia si affianca una globalizzazione che riveste contesti socio-culturali, con, seppure lentamente, un’omogeneizzazione del tessuto sociale. Formalizzando il concetto si potrebbe dire come i fattori culturali da considerare per accedere ai mercati stranieri riguardino fattori individuali degli interlocutori, fattori culturali specifici della singola impresa ed infine fattori culturali nazionali12. Molti autori hanno approfondito questo tema, che è divenuto sempre più rilevante con il progressivo approccio ai mercati orientali, per via della loro totale diversità rispetto alla matrice culturale di stampo

11 Rullani E. Grandinetti R. ( 1996 ), Impresa transnazionale ed economia globale, La Nuova Italia

Scientifica, Roma, p. 28.

12 Cfr., Cedrola E. Battaglia L. ( 2011 ), “Piccole e medie imprese ed internazionalità: strategie di

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europea. In tal senso, particolarmente interessante è il contributo di Geert Hofstede ( 1997 )13, antropologo e psicologo olandese, influente ricercatore sulle organizzazioni culturali, ossia economia culturale e management; egli sviluppa la teoria delle dimensioni culturali elaborando uno schema composto da 5 dimensioni culturali, che aiuta a comprendere le differenze culturali tra le nazioni14.

1.1.2 Internazionalizzazione delle imprese e mercato globale: definizioni ed aspetti organizzativi.

L’internazionalizzazione è un tema osservato e studiato da molti punti di vista: dall’economia internazionale, al marketing, dall’international business, alla strategia aziendale ed all’economia d’impresa; tuttavia rimane un fenomeno complesso che abbraccia molti campi, e non può essere spiegato semplicemente in un ottica economica di flussi di scambi. Tra le varie definizioni di internazionalizzazione che hanno utilizzato gli studiosi nel tempo, propendiamo per quella che la ritiene “the process of adapting firms’ operations ( strategy, structure, resources, etc. ) to international environments” ( Calof, Beamish 1995 )15. Questa definizione ci mostra come il fenomeno sia un processo di adattamento, in riferimento a quanto dicevamo sulla distanza culturale che separa mercati fisicamente distanti, e pone l’accento su tutte le operazioni aziendali che, seppur già presenti in territorio nazionale, vanno adattate al contesto internazionale in modo mirato e non casuale.

Ma quali sono le motivazioni che spingono un impresa ad internazionalizzarsi? Prendendo spunto da un saggio di Nanut e Tracogna16, gli autori evidenziano come le motivazioni si possano ricondurre a due grandi macroaree: la prima comprende la volontà dell’impresa di sfruttare a livello internazionale un vantaggio d’impresa già acquisito, cercando di cogliere le opportunità del mercato facendo leva su un prodotto vincente; la seconda si riferisce alla ricerca in campo internazionale di fattori di superiore competitività, che garantiscano all’impresa un vantaggio di costo o di accesso

13

Cfr., Hofstede G. ( 1997 ), Cultures and Organizations: Software of the Mind, McGraw-Hill, USA.

14 “Il suo studio più noto è una ricerca svolta analizzando più di 100.000 dipendenti dell'IBM in vari paesi

del mondo, che gli ha permesso di comparare le principali differenze culturali esistenti. Le dimensioni culturali a cui fa riferimento sono 5: l’indice di distanza dal potere, l’individualismo contro il

collettivismo, l’indice di rifiuto dell’incertezza, mascolinità contro femminilità, orientamento a lungo termine contro orientamento a breve termine.

15 Calof, J.L. Beamish, P.W. ( 1995 ), “Adapting to foreign markets: explaining

internationalization”, in International Business Review, Vol. 4 No. 2, p. 116.

16 Cfr., Nanut V. Tracogna A. ( 2003 ), “Processi di internazionalizzazione delle imprese: vecchi nuovi

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a materie prime. Tuttavia, a mio parere, ciò non è sufficiente a spiegare le motivazioni che spingono un impresa ad un impegno così rilevante, sia in termini di costi che di energie: da qui l’esigenza di spiegare tutti quei casi in cui le imprese si affacciano in nuovi mercati non tanto per ricercare un fattore di vantaggio concreto, ma per sfruttare le relazioni che si creano per entrare in circuiti virtuosi di innovazione mondiale. La transizione verso un’ottica globale è, infatti, un passaggio complesso, che impone profondi percorsi di innovazione, quali quelli di: prodotto, processo, strategie, approccio al mercato e relazione con il sistema di business17. La capacità delle aziende deve essere quindi quella di comprendere tutte queste innovazioni ed ampliare il proprio mercato di riferimento, scegliendo opportunamente la strategia che meglio si adatta al contesto scelto.

Un'altra domanda che è utile porsi è anche quali siano le strategie organizzative più adatte per operare nei mercati internazionali; esse si collocano in un continuum di strategie che vanno dalla strategia multilocale a quella globale, modello che è stato ampiamente sviluppato da Bartlett e Ghoshal18, i quali hanno previsto quattro diversi approcci organizzativi, riassunti nella tabella sottostante:

Figura 1: Approcci organizzativi internazionali.

Fonte: Bartlett, Ghoshal, 1989.

Analizziamo i quattro tipi di imprese internazionali:

17 Cfr., Cedrola E. Battaglia L. ( 2011 ), “Piccole e medie imprese ed internazionalità: strategie di

business, relazioni ed innovazione”, in sinergie, N. 85, p. 72.

18 Bartlett C.A., Ghoshal S. ( 1989 ), Managing across Borders: The Transnational Solution,

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1) Il modello dell’impresa multinazionale, caratterizzato da strutture divisionali per paese, decentramento quasi totale ed ampio margine di autonomia delle unità locali;

2) Il modello dell’impresa globale, che presenta un maggiore accentramento, partendo dalla considerazione che il settore di attività del core business si presti ad economie di scala globali; il modello è stato poi ampliato riconducendolo ad un modello glocal, locale e globale assieme, di cui abbiamo già parlato;

3) Il modello dell’impresa internazionale, così definita per collegamento tra centro ( maggiormente evoluto ) e periferia, con spostamento delle conoscenze verso l’esterno per adattarsi al contesto locale;

4) Il modello transnazionale, che si basa sulla compatibilità tra individualità periferiche e sistema complessivo, con forme organizzative reticolari che saranno trattate meglio in seguito;

Qualunque sia il modello di riferimento, la realtà pratica ci impone di capire che l’importanza nel comprendere le modalità organizzative di internazionalizzazione si basa sull’analisi strutturale e strategica della stessa: cosi come postulato da Pepe19

bisogna indagare su due aspetti fondamentali come dimensione e forma dei modelli organizzativi: il primo aspetto fa riferimento allo sviluppo organizzativo vero e proprio, considerando la dimensione interna ed esterna dell’impresa, mostrando la progressiva migrazione verso dinamiche reticolari ; il secondo si riferisce alla qualità delle relazioni, alla struttura relazionale, ossia il governo delle dinamiche d’impresa e dei canali di comunicazioni della struttura organizzativa. Inoltre bisogna considerare, come vedremo più avanti, che, sebbene dinamiche organizzative complesse riguardino principalmente le grandi aziende, negli ultimi anni vi è un incrementale convergenza tra piccole, medie e grandi imprese, scaturita da diversi elementi20: lo sviluppo verso l’esterno, la ricerca dimensionale ottimale, il Frantrepeneur21, i rapporti orizzontali, il Fast Food Franchise System22, una nuova definizione di vertice.

19 Cfr., Pepe C. ( 2003 ), “Connotati organizzativi dell’impresa per il mercato globale”, in sinergie, N. 60,

pp. 104 - 128.

20 Pepe C. ( 2003 ), “Connotati organizzativi dell’impresa per il mercato globale”, in sinergie, N. 60, p.

119.

21 Caso in cui si unisce la logica del franchising con uno spirito imprenditoriale ed innovativo. Da Pepe (

2003 ).

22

“L’immagine di una catena franchising attiva e creativa è arrivata a ispirare anche grandi compagnie come l’Acer Group ( multinazionale cinese dei computer ) che si sarebbe brillantemente risollevata dalla crisi della fine anni ‘80 per merito di una struttura che viene definita “più che divisionale”, costituita cioè da imprese “federate”, sostanzialmente di due tipi: le une responsabili per l’innovazione tecnologica e la

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Figura 2: La convergenza nelle strutture organizzative per l’internazionalizzazione

di grandi, medie e piccole imprese.

Fonte: Pepe, ( 2003 ).

1.1.3 Le teorie di internazionalizzazione ( cenni ): le principali prospettive.

Interpretare il fenomeno dell’internazionalizzazione richiede uno sforzo piuttosto complesso, soprattutto cercando di individuare le principali sintesi teoriche sui processi di internazionalizzazione; negli ultimi 60 anni diversi studiosi hanno provato ad interpretare il fenomeno, elaborando teorie e processi che fossero quanto più aderenti alle dinamiche ed alla realtà in cui vivevano. Da qui possiamo capire come negli anni si sia puntata la luce su aspetti e problemi diversi riguardanti i processi di internazionalizzazione, dovuti ad una crescita che ha investito tre diverse direzioni23: produzione o SBU ( strategic business unit ), le altre responsabili della vendita, RBU ( regional business

unit ), tutte molto aderenti alle condizioni locali, ma globalmente coerenti e ispirate ad un principio di

gestione dei rapporti interni del tipo fornitore-cliente denominato fast-food franchise system.” In Pepe C. ( 2003 ), “Connotati organizzativi dell’impresa per il mercato globale”, in sinergie, N. 60, p. 118.

23 Rullani E. Grandinetti R. ( 1996 ), Impresa transnazionale ed economia globale, La Nuova Italia

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1) L’internazionalizzazione mercantile, che ha investito i mercati ed ha reso transnazionali gli scambi di merci;

2) L’internazionalizzazione gerarchica, che ha interessato le imprese, allargando la loro area di operazione e di pianificazione a scala transnazionale;

3) L’internazionalizzazione comunicativa, la quale ha coinvolto le conoscenze dando una base transnazionale ai processi di produzione, circolazione e utilizzazione delle stesse.

Vale allora richiamare i due principali approcci teorici sui quali si poggiano le teorie sui processi di internazionalizzazione: approccio economico e approccio comportamentale o processuale.

1.1.3.1 L’approccio economico: la teoria dell’impresa multinazionale.

L’approccio economico è distinto da una serie di teorie economiche volte ad enfatizzare il comportamento economico e razionale del decisore, focalizzandosi sui costi e i benefici delle varie alternative di internazionalizzazione: essa non è altro che una decisione discreta ed isolata, gli autori non percepiscono il processo di internazionalizzazione come un fenomeno sistemico e strategico a livello aziendale, ma solo come un’opportunità separata. Intorno agli anni ’50 molte imprese decidono di realizzare attività produttive all’estero, configurando l’impresa come multinazionale, e si assiste ad un progressivo spostamento di flussi finanziari verso mercati esteri. Viene meno la concezione di mercato perfetto, in cui era il meccanismo della fissazione del prezzo a governare gli scambi, e riconosciuta l’esistenza di condizioni che rendono il mercato imperfetto.

L’approccio economico, a sua volta, si suddivide in tre fondamentali approcci teorici, ovvero l’approccio del vantaggio monopolistico, per il quale i più importanti studi derivano da Hymer, l’approccio di localizzazione, all’interno del quale si trova la teoria del ciclo di vita di Vernon, e l’approccio di internazionalizzazione; dall’unione di questi tre scaturirà più avanti il paradigma eclettico di Dunning, il quale cercherà di racchiudere in un'unica teoria i principali approcci precedenti.

1. La teoria dei vantaggi monopolistici di Hymer ( 1976 )24.

24 Cfr., Hymer S.H. ( 1960 ), The International Operations of National Firms: A Study of Direct

Investment ( tesi di dottorato pubblicata postuma con lo stesso titolo nel 1976 ), The MIT press,

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La teoria sull’investimento diretto all’estero, e quindi sull’impresa multinazionale, nasce per la prima volta come spiegazione del differenziale tra le imprese e non più tra i Paesi. I primi studi di Hymer, infatti, legano fattori oggettivi di differenze nazionali e fattori soggettivi legati alle imprese, sostenendo che le imprese, godendo di vantaggi monopolistici in territorio nazionale, siano interessate a riproporre gli stessi su scala internazionale, con la possibilità di sfruttare i differenziali nazionali. Suddetti vantaggi sono postulati essere disugualmente distribuiti all’interno del globo. Egli riteneva che le imprese avessero interesse nell’investimento all’estero, poiché attendevano una rendita economica non solo sulle risorse impiegate, ma anche su come esse erano organizzate.

L’autore, spinto dalla convinzione che esistono numerose barriere all’entrata in un nuovo paese, spiega come l’investimento estero ( IDE ) sia giustificato soltanto se si ha un effettivo vantaggio monopolistico e se questo vantaggio permette di superare le barriere e di battere i concorrenti locali; gli IDE, nell’approccio teorico di Hymer, erano considerati di fondamentale importanza perché permettevano alle imprese di mantenere il pieno controllo sulle risorse. Tuttavia lo sfruttamento dei vantaggi è solo una delle due ragioni principali che spingono l’impresa verso gli IDE: la risoluzione dei conflitti d’interesse tramite le integrazioni orizzontali e verticali a scala internazionale è la chiave di lettura per spiegare la spinta verso l’espansione internazionale. I vantaggi monopolistici risultano essere quindi una condizione necessaria ma non sufficiente, l’internazionalizzazione avveniva come allargamento del monopolio in termini organizzativi.

Inoltre egli spiega il motivo per cui l’impresa ha maggior guadagno nello sfruttare il vantaggio piuttosto che cederlo in licenza: contrastando l’economia classica egli assume che vi siano delle imperfezioni di mercato, strutturali nella struttura oligopolistica di alcuni settori, e introduce il deterrente dell’incertezza nella stipula dei contratti di licenza. Sono le imperfezioni del mercato che spiegano il possesso dei vantaggi di tipo monopolistico delle imprese che operano in attività internazionali.

Hymer fu considerato un pioniere nella ricerca sull’impresa multinazionale, e successivamente molti altri autori utilizzarono le sue scoperte per formulare ulteriori supposizioni ( Kindleberger 1969, Knickerbocker 1973 ). I principali limiti delle teorie sull’impresa multinazionale riguardano il fatto che esse non sono vere e proprie teorie sull’internazionalizzazione ma piuttosto sugli IDE; sono riferite ad un contesto economico troppo limitato ( le imprese americane del dopoguerra ), e non considerano le imperfezioni naturali ma solo quelle strutturali. Quindi, sebbene nel suo primo lavoro

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Hymer consideri la rilevanza dei differenziali nazionali ( cosa non fatta dai suoi successori e aspramente criticata ), egli tuttavia non arriva a spiegare la creazione dei vantaggi monopolistici in un ottica internazionale, ma semplicemente la loro utilizzazione, concentrandosi sugli aspetti normativi dell’internazionalizzazione piuttosto che su un’analisi di costi/benefici.

2. La teoria del ciclo di vita internazionale del prodotto di Vernon ( 196625, 197126 ).

Nella teoria dell’impresa multinazionale uno spunto interessante viene fornito da Vernon, il quale unisce il concetto di internazionalizzazione con il ciclo di vita del prodotto, tramite un concetto di microeconomia egli cerca di spiegare le operazioni estere delle multinazionali americane. Esso parte dall’idea che i paesi siano gerarchicamente ordinati, e che quindi vi sia uno squilibrio significativo del livello di sviluppo dei paesi A e B; i vantaggi delle imprese nascono allora da caratteristiche strutturali intrinseche al paese di origine. Le imprese sviluppano i prodotti sul mercato locale, per poi introdurli negli altri mercati, seguendo un percorso a stadi in cui centro non è l’impresa ma il prodotto. Inoltre idea cardine del ciclo è la capacità delle imprese di riuscire a innovare processi o prodotti, per inserire sul mercato nuove tecnologie. Alla base della teoria di Vernon vi è il concetto secondo cui il prodotto tende ad avere un ciclo di vita formato da un numero finito di fasi che seguono un sentiero prevedibile, riassunti in tre fasi. La prevedibilità del percorso dipende dal fatto che l’impresa non riesce a detenere vantaggi monopolistici basati sulla tecnologia, se non per un periodo di tempo limitato, e che quindi vi è un deperimento temporale della tecnologia dovuta al progresso ed alla diffusione del prodotto; l’innovatività del prodotto perde di valore man mano che i tuoi competitors sviluppano prodotti con tecnologia simile.

La prima fase è quella della localizzazione dei prodotti nuovi, dell’introduzione nel mercato: l’impresa del paese A, operando in un contesto con una maggiore innovazione, retribuzione e alto livello di consumi, sviluppa nuovi beni di consumo e nuovi beni industriali. Il prodotto in questa fase è piuttosto standardizzato, il livello di concorrenza basso se non nullo, il mercato servito quello locale; tuttavia la prossimità ad un mercato

25 Cfr., Vernon R. ( 1966 ), “International Investment and International Trade in the Product Cycle”, in

Quarterly Journal of Economics, N. 80, pp. 190 - 207.

26 Cfr., Vernon R. ( 1971 ), Soverignty at Bay. The Multinational Spread of US Enterprises, Basic Books,

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di sbocco vicino e l’ingresso in economie esterne, tramite la comunicazione, spinge il prodotto verso i mercati più prossimi.

La seconda fase è quella della maturazione, in cui il prodotto riesce a conseguire economie di scala, associate ad un incremento dell’export verso i paese B; da sottolineare come, in questa fase, la concorrenza inizi ad essere maggiore, soprattutto perché le imprese dei paesi B cercano di ottenere la nuova tecnologia, e la minaccia della posizione conquistata spinge le imprese dei paesi A ad un controllo maggiore tramite IDE e impianti sul loco, sfruttando le opportunità di investimento in virtù dei minor costo del lavoro.

La terza fase è quella del prodotto standardizzato, in cui il ciclo di vita del prodotto raggiunge la massima standardizzazione e si annulla il vantaggio tecnologico fra i paesi A e B. Sarà allora che il ciclo potrà ripartire basandosi su un nuovo prodotto e nuove tecnologie, ricercando vantaggi di costo localizzando in paesi di tipo B.

Figura 3: il ciclo di vita internazionale del prodotto.

Fonte: elaborazione da Vernon, 196627.

Il modello è piuttosto deterministico e rigido, basato sul concetto di prodotto come innovazione e tecnologia, attribuisce ai vantaggi competitivi una visione più dinamica, destinandoli a subire una progressiva erosione. Fra i principali limiti vi è, per l’appunto, la rigidità del sistema, sviluppato sul modello economico americano del dopoguerra, ed

27 Cfr., Vernon R. ( 1966 ), “International Investment and International Trade in the Product Cycle”, in

Quarterly Journal of Economics, n. 80, pp. 190 - 207.

Basso sul mercato estero

Mercato domestico e quelli esteri tramite

esportazione

Prezzo: localizzazione per abbasare i costi del lavoro

Standard sia sul mercato domestico che su quello

estero

Alto in tutti i mercati serviti

Mercato domestico e estero con produzione localizzata

all'estero Innovativa nei mercati

esteri Standard su quello

domestico Medio/Alto sul mercato

domestico Tipo di tecnologia utilizzata Livello di concorrenza Mercati serviti

Novità del prodotto o del processo Innovativa Basso: impresa monopolista Principalmente il mercato domestico LOCALIZZAZIONE

NUOVO PRODOTTO MATURITA'

PRODOTTO STANDARDIZZATO

Vantaggio conseguito dall'impresa

Novità del prodotto o del processo

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è lo stesso autore che nei suoi lavori successivi riconoscerà l’indebolirsi della sua teoria; tuttavia il suo ciclo di vita del prodotto sarà una base molto importante per i successivi studi di business, così come importante sarà il riconoscimento di una non stabilità dei vantaggi competitivi, che si modificano e perdono valore con l’avanzamento tecnologico.

3. La teoria dell’internazionalizzazione: il contributo di Buckley e Casson ( 1976 )28.

Il campo di analisi del filone di studi della teoria dell’internazionalizzazione è quello delle motivazioni che si trovano alla base delle scelte di integrazione verticale ed orizzontale su scala internazionale. Il saggio di Buckley e Casson rappresenta il primo contributo per la costituzione di una teoria di internazionalizzazione: secondo gli autori, l’impresa multinazionale nasce da una sequenza di postulati che richiamano all’imperfezione dei mercati. In particolare viene evidenziato come le imprese, anche operando in mercati imperfetti, ottengano profitti, incentivandoli ad operare l’internalizzazione, cioè la creazione di mercati interni e l’accentramento sotto una proprietà ed un controllo comune. Allora le multinazionali nascono quando questo processo di internalizzazione supera i confini nazionali, ovvero nel momento in cui le imprese controllano e posseggono attività in altri Paesi.

Gli economisti appartenenti a questa scuola di pensiero cercarono soprattutto di identificare quali fossero le cause che spingevano le aziende ad internalizzare il mercato dei prodotti intermedi e, in questo modo, a controllare attività capaci di generare valore aggiunto oltre le frontiere nazionali, recuperando il lavoro di Coase ( 1937 )29, secondo il quale le imperfezioni del mercato producevano svariati costi che le imprese dovevano cercare di minimizzare per incrementare i profitti. Quando un mercato transfrontaliero è caratterizzato da imperfezioni che aumentano i costi di transazione con i partner stranieri, le aziende sono incentivate a ridurre tali spese realizzando un mercato interno attraverso l’acquisizione delle attività estere interdipendenti.

Questo meccanismo genera altresì costi, sia di coordinamento sia di comunicazione, che dovranno essere superati dai benefici se si vuole internalizzare un mercato: nello specifico gli autori si soffermano su quei fattori industry – specific, che segnalano

28 Cfr., Buckley P.J. Casson M.C. ( 1976 ), The Future of the Multinational Enterprise, Macmillan,

London.

29

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motivazioni forti per internalizzare i mercati dei prodotti intermedi in cicli produttivi e i mercati delle conoscenze. L’originalità del lavoro dei due autori sta proprio nell’internalizzazione delle conoscenze, acquisite come bene pubblico e quindi facilmente esportabili. L’impresa multinazionale è descritta in maniera nuova e innovativa, in quanto si focalizza sulla produzione, circolazione e uso delle conoscenze; questo tipo di multinazionale si genera come sottoprodotto dell’internalizzazione dei mercati delle conoscenze. I principali limiti teorici riguardano il fatto che, seppur spiegando gli IDE, gli autori non spiegano le esportazioni, e si soffermano più sugli intangibles assets.

4. Il paradigma eclettico di Dunning ( 1981 )30.

Tutti i lavori precedenti sono studi che si focalizzano solo su determinati aspetti del processo di internazionalizzazione, mostrando parecchie lacune su alcune forme di impresa multinazionale. Durante gli anni ’80 si assiste ad una ricerca di sintesi degli approcci teorici più rilevanti, con saggi che cercano di unire la pluralità dei fattori determinanti emersi nelle varie teorie.

Il lavoro più sostanziale viene fatto da Dunning, il quale cerca di trovare uno schema unico di analisi per far convergere le teorie nei loro punti contrastanti: il paradigma eclettico, quindi, cerca di spiegare la produzione internazionale, che è determinata da 3 condizioni sequenziali e necessarie:

1) Il possesso di vantaggi specifici esclusivi, denominati da Dunning di “proprietà” ( ownership advantages ). Essi sono divisi a loro volta in due categorie distinte: gli asset advantages, tipici dell’impresa, e i transaction advantages, costituiti dal vantaggio che l’impresa multinazionale ha nel gestire una rete internazionale di tali risorse;

2) La presenza di vantaggi di internazionalizzazione ( internalization advantages ). Le aziende devono trovare un vantaggio nello sfruttare i vantaggi posseduti per “linee interne”, e non tramite la vendita o la cessione di licenze;

3) La terza condizione è rappresentata dalla presenza di vantaggi localizzativi ( locational advantages ) non trasferibili, cioè la convenienza di stabilire impianti produttivi all’estero.

30 Cfr., Dunning J.H. ( 1981 ), International Production and the Multinational Enterprise, Allen &

(18)

Figura 4: Il paradigma Eclettico. I vantaggi che spiegano l'attività internazionale delle Imprese.

Fonte: elaborazione diretta.

Il paradigma eclettico, facendo interagire i vantaggi propri d’impresa con i vantaggi di localizzazione, recupera il ruolo attribuito alla variabile Paese e ai vantaggi di localizzazione. Nonostante le grandi ambizioni, la teoria eclettica si rivela essere molto riduttiva, soprattutto perché, se da un lato rispetto alla teoria dell’internazionalizzazione introduce una maggiore complessità delle determinanti, dall’altro non considera l’internazionalizzazione come sviluppo relazionale e strategico31

.

1.1.3.2 L’approccio economico: la scoperta della globalità e l’approccio strategico.

Durante gli anni ’80 viene a proporsi un diverso modello di internazionalizzazione. Il passaggio fondamentale avviene quando gli studiosi spostano la propria attenzione sul rapporto tra l’impresa ed il contesto territoriale in cui opera; nasce un fenomeno di divisione del lavoro più complesso rispetto a come era inteso nelle multinazionali. Si può anzi affermare che, proprio grazie all’esperienza delle imprese multinazionali, il fenomeno si sia arricchito di una pluralità di dimensioni oltre quella dello scambio di mercato. Da qui lo sviluppo di nuove forme di divisione del lavoro, che si staccano dalla

31 Cfr., Rullani E. Grandinetti R. ( 1996 ), Impresa transnazionale ed economia globale, La Nuova Italia

Scientifica, Roma, p. 142.

Presenza Internazionale

Vantaggi di proprietà Vantaggi di Internaz. Vantaggi di Localizzazione

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visione mercatistica, per arrivare a forme relazionali e cooperative; infatti gli studiosi acquisiscono sempre più coscienza dell’importanza di vedere il processo aziendale, compreso quindi anche quello internazionale, non più come una insieme di scelte discrete, ma come un sistema di scelte ponderato e pensato sulla base dei vantaggi in termini interni ed esterni all’azienda ( nelle nazioni, quindi geograficamente localizzato ), sulla base delle attività aziendali, ed in generale su una più complessa analisi dei settori in cui si opera. Ritroviamo quindi una nuova scoperta dei vantaggi competitivi delle nazioni e dei contesti locali: essi infatti sono fondamentali nelle meccaniche sia di ”entrata” che di ”uscita”, come incubatori di vantaggi competitivi ed attrazioni per le strategie di imprese esterne. Gli studi si concentrano sull’importanza delle strategie delle imprese, possibile grazie all’ampliamento degli orizzonti competitivi, usciti dalla rigida logica IDE/export, e sul grado di apprendimento e di evoluzione dei sistemi nazionali in ottica globale.

I più importanti studi di strategia sottolineano come, a differenza delle imprese multinazionali, la globalità sia un fenomeno che “discende dalla formazione di attori-imprese globali, che si differenziano dalle altre attori-imprese perché sviluppano un approccio strategico globale, disegnato entro un orizzonte di calcolo e di risposta di scala mondiale”32. Si tratta di un approccio selettivo e pluralistico, che vede in Porter il suo massimo esponente: la nazionalità e la strategia sono viste in maniera congiunta, unendo l’impresa al contesto in cui opera, portando di nuovo alla luce le teorie sul vantaggio competitivo e sulle differenze tra i paesi, come già parzialmente introdotto da Vernon33.

1. La catena internazionale del valore e il vantaggio competitivo delle nazioni: il contributo di Porter ( 198634, 199035 ).

Il lavoro di Porter trae le sue origini nella convinzione che i settori industriali possano essere distinti per facilitare l’analisi strategica: una volta capito quale sia il “campo da gioco”, gli attori sviluppano la propria strategia. Nei suoi primi lavori l’autore individua i fattori che influiscono sulla strategia, crea il concetto di concorrenza allargata e introduce le 5 forze competitive; una volta spiegati i percorsi di analisi che portano la

3232 Rullani E. Grandinetti R. ( 1996 ), Impresa transnazionale ed economia globale, La Nuova Italia

Scientifica, Roma, p. 151.

33 Cenni nel paragrafo 1.1.3.1, al 2° punto.

34 Porter M. E. ( 1986 ), Competition in Global Industries. A Conceptual Framework, Harvard Business

School Press, Boston.

35

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struttura ad essere influenzata ed a influenzare le strategie di un impresa, Porter introduce il concetto di posizionamento strategico ( 1980 ), arrivando al cuore del vantaggio competitivo differenziale e difendibile nel tempo, chiedendosi quale siano le fonti di tale vantaggio. Viene espresso allora il concetto di catena del valore36, che Porter estende anche all’ ambito internazionale: essa non è altro che la suddivisione dell’impresa nelle diverse attività che essa svolge, attività che generano valore e che sono le fonti del vantaggio competitivo dell’impresa.

Tramite la catena del valore riusciamo a disaggregare le attività aziendali, in modo tale da valutare strategicamente quali siano quelle che generano maggiore valore aggiunto: analizzando l’impresa come sistema di attività interdipendenti, possiamo capire quanto il vantaggio competitivo derivi sia da come vengono svolte le attività della catena, sia da come vengono gestiti i collegamenti tra di esse.

Figura 5: la catena del Valore.

Fonte: Porter, 1985.

L’impianto teorico della catena del valore viene allargato in modo da essere adattato al contesto internazionale37: in particolare, la scelta strategica attiene a quali fasi della catena mantenere all’interno del sistema nazionale e quali svolgere all’estero, considerando i collegamenti fra le varie attività. Inoltre la catena così considerata, si rivela utile per delineare le strategie perseguite dalle imprese per creare il proprio

36 Porter, M. ( 1985 ), Competitive Advantage: creating and sustaining superior Performance, Free Press,

New York, p. 47.

37 Porter M. E. ( 1986 ), Competition in Global Industries. A Conceptual Framework, Harvard Business

(21)

vantaggio competitivo. Le dimensioni che caratterizzano le strategie internazionali sono la configurazione e il coordinamento delle attività: tramite queste due variabili è possibile costruire una matrice che identifichi le strategie perseguibili da un impresa in ambito internazionale.

Figura 6: tipologia delle strategie internazionali.

Fonte: elaborazione da Porter, 1986.

Le strategie nella parte in basso della matrice sono quelle prevalentemente multi-domestiche, in cui le imprese operano con strategie indipendenti in paesi diversi, con strategie o di export o di decentramento, in cui si stabilisce una catena del valore diversa per ogni paese; in alto abbiamo le strategie globali, in cui vi è una forte interdipendenza tra le posizioni competitive che l’impresa occupa nei diversi paesi. Adottando questo tipo di strategie, le imprese cercano di sfruttare le interdipendenze al fine di ottenere un maggior vantaggio competitivo basato sul coordinamento delle attività su scala internazionale. Emerge quindi una strategia globale omogenea, che concentra in un paese il massimo numero di attività e mantiene fuori solo quelle strettamente collegate al mercato esterno, e una strategia transnazionale, poco approfondita da Porter ma che rappresenta lo schema evolutivo che maggiormente si svilupperà in futuro e che si avvicina all’impresa transnazionale già vista in Bartlett e Ghoshal ( paragrafo 1.1.2 ).

(22)

Il percorso teorico di Porter continua riscoprendo il concetto di differenza tra le Nazioni: da qui nasce il vantaggio competitivo delle Nazioni38, in cui la varietà dei contesti nazionali assume notevole rilievo per la imprese, soprattutto per quanto riguarda la struttura del settore. Le nazioni rappresentano le piattaforme globali su cui le imprese operano, andando, tramite la loro varietà, ad incidere sulle strategie internazionali, arricchendole di nuovi spunti. Perché, quindi, avere la base in un determinato paese migliora il nostro modo di competere in un determinato settore? Per rispondere a questa domanda Porter costruisce uno schema di analisi a “diamante”:

Figura 7: il diamante del vantaggio competitivo nazionale.

Fonte: Porter, 1990

Le determinanti presenti in Figura 5 sono sviluppate in un ottica sistemica, cercando di focalizzarsi sull’aspetto integrativo delle stesse. Si può allora evidenziare come Porter, influenzato dagli studiosi della resource based view39, ponga alla base del vantaggio competitivo l’iniziale disponibilità dei fattori, vantaggio che, in un primo momento, rimane potenziale e che diventa effettivo quando le imprese lo dispiegano in maniera

38 Porter M. E. ( 1990 ), The Competitive Advantage of Nations, The free Press, New York.

39 “Approccio di analisi sviluppato negli anni ’80 e ’90, si propone di studiare il vantaggio competitivo

partendo dall’analisi della struttura azienda, e dunque, dalle risorse ma anche dalle competenze e, per certi versi, dalle routine organizzative e gestionali. La differenza di impostazione analitica rispetto al tradizionale modello porteriano […] è apparso in dottrina, almeno in una prima fase, assai marcata ma si è via via attenuata tanto che oggi i due approcci sono considerati complementari.” Da: Bianchi Martini S. ( 2009 ), Introduzione all’analisi strategica dell’azienda, Giappichelli, Torino, p. 76.

(23)

efficace ed efficiente. Il risultato del vantaggio competitivo di un Paese, tuttavia, non dipende soltanto dalle condizioni dei fattori, ma è un risultato sistemico , basato su tutte e quattro le determinanti del modello. Sono questi attributi che determinano, singolarmente e come sistema, il vantaggio competitivo del Paese e delle imprese.

I modelli e gli studi di Porter sono ancora tra quelli più usati, e sono stati utili per comprendere il passaggio tra il concetto di multinazionale e la visione di impresa sistemica, introducendo problematiche strategiche che saranno esplorate negli anni’90; in particolare la visione sistemica di impresa, struttura del settore e paesi è stata riproposta, in un certo senso, nel concetto di Rete, argomento principale del secondo paragrafo del capitolo.

1.1.3.3 L’approccio comportamentale.

L’approccio comportamentale è stato sviluppato soprattutto dalla scuola svedese di Uppsala, nella teoria degli stadi di internazionalizzazione e nella teoria del Network. Si caratterizza, a differenza della prospettiva economica, per la sua enfasi verso un soggetto singolo, e per la spiegazione dell’internazionalizzazione come un processo a stadi, con gradi di coinvolgimento crescenti; dunque il processo non viene visto più come una singola scelta strategica, ma come frutto di una profonda e complessa analisi sulla direzione internazionale e le modalità di accesso al mercato.

Le teorie principali che compongono questo tipo di approccio portano con loro il concetto secondo il quale, se le scelte sono frutto di un processo complesso, bisogna considerare come connettori di tale scelte la conoscenza e l’apprendimento. Benché nella teoria economica classica questo non sia un pensiero innovativo, il ruolo rilevante assegnato a questi due elementi costituisce la base per la spiegazione verso forme di collaborazione ed internazionalizzazione diverse dalla classica impostazione IDE/Export, permette la costruzione di forme ibride ( la cosiddetta “terza via all’internazionalizzazione” ) tra le quali rientra il modello reticolare.

Per la descrizione delle teorie di cui sopra detto si rimanda al paragrafo successivo, poiché verranno analizzate in quanto teorie di internazionalizzazione del modello reticolare. Numerosi, infatti, sono i contributi sulla rete che partono proprio dai modelli della scuola di Uppsala e della teoria del network.

(24)

1.2 La Rete tra mercato e gerarchia: aspetti generali.

Nei paragrafi precedenti abbiamo parlato dell’impresa multinazionale e del fallimento del mercato ipotizzato da alcuni autori ( evidenziate nel paragrafo 1.1.3.1 ); in quei casi al crescere dei costi di transazione, l’impresa ritiene più conveniente passare a forme di tipo gerarchico/funzionali, in cui la centralizzazione del controllo, la scarsa autonomia periferica e l’integrazione del sistema rendono possibile un contenimento di tali costi. Negli anni ci si è però resi conto di come il modello gerarchico40 non riesca più a rispecchiare l’economia moderna: la globalizzazione e la diffusione di strumenti di comunicazione sempre più rapidi hanno spostato il tessuto economico mondiale verso modelli reticolari, basati su sistemi di comunicazione e di relazioni interpersonali. L’attenzione si è spostata verso le Piccole e medie imprese ( PMI ), le quali hanno trovato in questo modello la risposta alla crisi dimensionale ed un utile meccanismo per approcciarsi a mercati esteri con le poche risorse a disposizione. Per questo motivo gli studiosi si sono occupati con maggiore interesse nell’analisi dei percorsi internazionali delle PMI, consapevoli del fatto che esse sono il moderno volano dell’economia internazionale.

Il concetto di rete ( o network ) in letteratura, risale agli studi relativi alla divisione del lavoro ed all’organizzazione industriale: in particolare può essere definita come “una trama di relazioni che connette entità istituzionalmente diverse senza intaccare l’autonomia formale e in assenza di una direzione e di un controllo unitario […], un’organizzazione basata sulla cooperazione e sul coordinamento tra imprese o altre organizzazioni che si trovano sotto condizioni di interdipendenza” ( Soda 1998 )41 . Tuttavia questa definizione, seppur esatta, non esaurisce la complessità delle relazioni di rete, le quali sono forme collaborative che possono essere molto diverse: esse sono tutte quelle forme ibride tra l’utilizzo del mercato e la gerarchia, l’evoluzione all’approccio sistemico sviluppato negli anni’80. In particolare la rete è vista come quella forma di organizzazione e divisione del lavoro tenuta da legami deboli, cioè quei legami elastici da non creare una gerarchia ben definita. Il fallimento del mercato ipotizzato negli studi di Hymer e nelle teorie successive e le criticità del modello gerarchico, dovute alle

40 Caratterizzato da controllo accentrato, linee di trasmissione del potere verticali, funzioni ben definite. 41 Soda G. ( 1998 ), Reti tra imprese: modelli e prospettive per una teoria del coordinamento tra imprese,

(25)

problematiche sul controllo e sui costi mostrati dalla Teoria dell’agenzia42, aprono lo scenario a modelli che si basano sulla cooperazione e il collegamento tra le imprese.

Partendo dalla definizione di rete di Soda, possiamo distinguere tre modelli diversi di rete43:

1) Le reti burocratiche, le quali si fondano su un contratto che rende possibile il coordinamento tra le parti. Sono contratti complessi che regolano non solo gli scambi ma anche i meccanismi decisionali e di controllo, solitamente nascono in quei casi in cui vi è oggettiva difficoltà a valorizzare le prestazioni. Esempi possono essere il franchising, caratterizzato da una supervisione gerarchica da parte del franchisor, o il Contratto di Rete, sul quale ci si soffermerà in seguito; 2) Le reti proprietarie, in cui le imprese della rete usufruiscono congiuntamente di

diritti di proprietà e/o di partecipazione all’attività svolta. Esempio può essere la joint venture definita come “forme di coordinamento tra imprese basate sulla creazione di una nuova impresa attraverso il conferimento di capitali e alla congiunzione delle risorse, tangibili e non a disposizione dei partner”44;

3) Le reti sociali, le quali fanno riferimento a scambi di beni sociali, fondati su relazioni di tipo informali. Esse sono basate da una scarsa intensità ma da un alto grado di fiducia tra i partecipanti, in uno spirito collaborativo ed informale, in cui si formano una molteplicità di relazioni.

Punto focale diventa il complesso sistema di relazioni, le quali possono essere formali o informali: da qui una definizione che cattura il cuore del sistema reticolare, viste come “reti di relazioni di potere e fiducia attraverso cui le organizzazioni possono scambiarsi influenza e risorse, o possono ottenere dei vantaggi di efficienza economica” ( Borys, Jeminson 1989 ). Il contributo di Wincent 45, su come la dimensione d’impresa sia rilevante all’interno di un network formato da PMI, mette in luce come la fiducia nei partner del network sia di fondamentale importanza per ottenere migliori performance d’impresa. L’analisi statistico-campionaria dell’autore, basata su un framework di

42 Definita come un modello tra principale ed agente “un contratto in base al quale una o più persone (

principale ) obbliga un'altra persona ( agente ) a ricoprire per suo conto una data mansione, che implica una delega di potere all'agente”. Da: Jensen M. Meckling W.H. ( 1976 ), “Theory of the Firm:

Managerial Behavior, Agency Costs and Ownership Structure”, in Journal of Financial Economics, Vol. 3, no. 4, pp. 305-360.

43

Cfr., Soda G. ( 1998 ), Reti tra imprese: modelli e prospettive per una teoria del coordinamento tra

imprese, Carrocci, Roma, pp. 143 - 151.

44 Soda G. ( 1998 ), Reti tra imprese: modelli e prospettive per una teoria del coordinamento tra imprese,

Carrocci, Roma, p.149.

45 Cfr., Wincent J. ( 2005 ), "Does size matter?", in Journal of Small Business and Enterprise

(26)

ipotesi che nel suo centro possiede proprio la fiducia tra i partners, mostra come essa non solo migliori la profondità e l’ampiezza del network interno, ma anche l’imprenditorialità d’impresa, generando quindi migliori performance aziendali. Questo a sottolineare come la fiducia e l’aspetto relazionale sia di fondamentale importanza per un network che funziona e che produce valore per l’impresa.

Prendendo in considerazione come punto di vista gli obiettivi di riferimento46, le reti possono essere divise in:

 reti di filiera ( supply chain ): reti dette anche verticali, nelle quali l’insieme degli attori e delle funzioni da essi svolte concorrono alla formazione e al trasferimento di un prodotto sino allo stato finale di utilizzazione;

 reti orizzontali ( di condivisione ): reti di imprese basate sulla condivisione di un obiettivo comune:

o reti di ricerca e innovazione ( di prodotto/servizio, di processo ); o reti di approvvigionamento ( co-purchase );

o reti di produzione ( co-production );

o reti di marketing e commercializzazione ( co-market ); o reti di sub-fornitura;

o reti per l'acquisizione e/o l'erogazione di beni e servizi strumentali comuni.

Lo sviluppo della rete avviene seguendo un obiettivo comune, in cui i diversi attori coinvolti operano in autonomia, sono responsabili di un determinato obiettivo e della strategia scelta per il suo raggiungimento; essi realizzano delle interdipendenze, favorite dalle relazioni informali e formali che si vengono a creare nel momento in cui si sviluppano flussi informativi di dati quali/quantitativi, gestiti in modo centralizzato e resi facilmente accessibili a tutti gli attori47. Viene quindi rafforzato il concetto secondo il quale il sistema di relazioni e di legami deboli dà origine a circuiti di interdipendenza che generano vantaggi economici per l’intero sistema. Tuttavia, l’elevato grado di interdipendenze e la quasi totale assenza di gerarchia genera incertezza all’interno della rete, sia in relazione ai compiti da svolgere sia in relazione alla crescita individuale della singola impresa. Sarà allora compito degli attori nella rete quello di rendere il sistema

46

Cfr., AA. VV ( 2013 ), Il Management delle Reti d’Impresa. Dalla costituzione alla gestione operativa, RetImpresa, p. 10.

47

(27)

quanto più possibile dinamico e flessibile, riconfigurando continuamente le relazioni e le interdipendenze presenti.

Caratteristica chiave è quindi quella assegnata alla flessibilità, componente distintiva in grado di coordinare e gestire le relazioni; significa operare una cooperazione nelle operazioni più difficili, avvalendosi di competenze e risorse della rete, ridefinire gli obiettivi e le strategie coordinandosi con i membri del proprio network, aumentando il grado di autonomia e imprenditorialità della propria impresa. Così descritta, la rete è un sistema fortemente fluido, aperto e efficiente.

Figura 8: L’alimentazione del sistema reticolare.

Fonte: elaborazione diretta.

Volendo prendere in considerazione il numero degli attori coinvolti, è possibile classificare il network in base a tre diversi livelli:

1) Il livello di coppia o diadico, relazione tra due imprese;

2) Il livello della costellazione di aziende, in cui più imprese interagiscono in coppia con una stessa azienda ( l’impresa focale );

3) Il livello di campo di aziende in cui tutti i soggetti hanno relazioni reciproche gli uni con gli altri.

Il primo livello è propedeutico per la creazione dei livelli successivi: è infatti il modello più semplice, utile quando si vuole adottare un singolo meccanismo di coordinamento, in quanto non esplora le relazioni fra altre coppie di attori. La costellazione di aziende si crea con molta facilità, dato che il meccanismo di coordinamento è creato e gestito dall’impresa focale. Nell’ultimo livello, l’analisi viene condotta non sulla base delle relazioni tra i singoli attori, ma piuttosto sul sistema di relazioni che intercorrono tra la popolazione di aziende, accomunate da alcuni particolari come la prossimità geografica.

Flessibilità

Relazioni basate

sulla Fiducia

Efficienza della

Rete

(28)

Importante è sottolineare come, anche se, come abbiamo visto, sono presenti diversissimi modelli costruiti su base reticolare, le caratteristiche di fondo sono principalmente le seguenti:

 L’essere modelli di coordinazione non gerarchici, in cui viene mantenuta l’autonomia e l’indipendenza delle parti che la compongono;

 Essere formati da un complesso di relazioni, di natura formale e/o informale, che dipendono dal livello di fiducia delle parti e dalla disponibilità alla cooperazione;

 Essere gestiti in un ottica di sistema aperto, con logica di condivisione di risorse e decisioni congiunte per gli obiettivi comuni;

 Formati spesso da PMI e da un impresa focale, in un sistema nel quale le PMI ruotano attorno all’impresa principale e si collegano tra loro tramite le sopradette relazioni.

La rete nata da unità esterne, in cui vi è la presenza di un’impresa guida ( focale ) che attraverso legami deboli e relazioni con altre imprese o enti raggiunge gli obiettivi strategici della stessa rete, è il modello di network più studiato ed approfondito; tutte le aziende che la circondano sono inserite in quello che viene chiamato ambiente transnazionale. Capaldo48, ad esempio, osserva che i network focali spesso seguono la strategie dell’impresa leader. Inoltre l’impresa focale gode di vantaggi nell’inserimento in un network duale49: “ adopting a dual network architecture allows the lead firm to rely on a narrow core of long-lasting, repeated, trust-based relationships with similar partners for exploitation purposes while at the same time exploring more distant knowledge areas, different organizational routines, and new markets through a large periphery of diverse, weak relationships.[...] leveraging a dual network allows the lead firm to tackle the present at the same time as it paves the way for the future, and to avoid inertia by staying flexible toward innovative technologies, heterogeneous partners, and new market trends”50.

La ricerca della azienda è quella di trovare nello sviluppo esterno la dimensione ottimale che le permetta di essere competitiva in campo internazionale, ripristinando

48 Cfr., Capaldo A. ( 2007 ), “Network structure and innovation: the leveraging of a dual network as a

distinctive relational capability”, in Strategic Management Journal, Vol. 28, pp. 585 - 608.

49

Il network duale prevede un allargamento delle relazioni dell’impresa focale, comprendendo nel network legami deboli con le imprese in periferia. Con ciò si aprono nuove possibilità sia di innovazione che di mercato. Viene contrapposta al modello dei legami forti.

50 Capaldo A. ( 2007 ), “Network structure and innovation: the leveraging of a dual network as a

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On the other hand, its reliability can be questioned for several reasons: first, it seems to be the earliest case of transmission of technical knowledge in the Nasrid kingdom;