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Studio sull'impiego di farina di insetto in sostituzione della farina di pesce, utilizzando lo zebrafish come modello animale

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali

Tesi di Laurea

Studio sull’impiego di farina di insetto in

sostituzione della farina di pesce, utilizzando

lo zebrafish come modello animale

Candidato Relatore

Rosario Licitra Dott. Baldassare Fronte

Correlatore

Dott. Bibbiani Carlo

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Sommario

1. Riassunto ... 5 2. Abstract ... 6 3. Introduzione ... 7 3.1 Il settore dell’acquacoltura ... 9

3.2 Farina di pesce: scenario e problematiche ... 12

3.2.1 Produzione e consumo ... 12

3.2.2 Farina di pesce e alimentazione animale ... 14

3.2.3 Qualità nutrizionale ... 15

3.2.4 Sostenibilità ambientale e mercato ... 17

3.2.5 Prospettive future ... 20

3.3 Fonti proteiche alternative per l’alimentazione animale ... 24

3.4 Impiego delle farine di insetto nell’alimentazione animale ... 27

3.4.1 Valore nutrizionale delle farine di insetto ... 29

3.4.2 Quadro normativo ... 33

3.5 Prove di inclusione degli insetti nelle diete per pesci ... 36

3.5.1 Uso di insetti vivi, interi o macinati. ... 36

3.5.2 Uso della farina di insetto in sostituzione alla farina di pesce ... 37

3.6 Eventuale impatto nel settore economico-industriale ... 43

3.7 Lo zebrafish come modello animale ... 44

3.8 L’allevamento dello zebrafish ... 47

3.8.1 Biologia ed etologia ... 47

3.8.2 Alimentazione ... 48

3.8.3 Allevamento ... 48

3.8.4 Tecnica di accoppiamento e gestione delle larve ... 50

4. Obiettivi della prova sperimentale ... 52

4.1 Originalità e utilità dello studio ... 53

5. Materiali e metodi ... 54

5.1 Origine e allevamento dei pesci ... 55

5.1.1 Gestione riproduzione e allevamento ... 55

5.1.2 Descrizione della zebrafish facility ... 56

5.1.3 Parametri di allevamento e alimentazione ... 58

5.2 Disegno Sperimentale ... 59

5.2.1 Diete sperimentali ... 60

5.2.2 Controlli sperimentali ... 64

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5.4 Riconoscimento individuale dei soggetti ... 66

5.5 Analisi Statistica ... 68 6. Risultati ... 69 7. Discussione ... 80 8. Conclusioni ... 83 Bibliografia ... 85 Sitografia ... 94

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1. Riassunto

La farina di pesce è un importante ingrediente dei mangimi destinati alle specie ittiche carnivore. Purtroppo, a causa della riduzione degli stock ittici selvatici, negli ultimi decenni è stato osservato un drastico aumento del suo prezzo di mercato. Di conseguenza, l’industria mangimistica e la comunità scientifica, stanno cercando valide alternative e ad oggi a tale scopo vengono principalmente impiegate materie prime di origine vegetale (soia, estratti di soia, glutine di mais e altre granelle), caratterizzate da profili amminoacidici non adeguati, dalla presenza di fattori anti-nutrizionali e dalla ridotta digeribilità. In tale contesto, la farina di insetto può rappresentare una valida fonte proteica alternativa ed il basso “carbon footprint” la rende interessante anche nell’ottica di migliorare la “sostenibilità delle produzioni”.

L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare l’effetto della farina di insetto, in sostituzione alla farina di pesce, nelle diete per le specie ittiche. La farina di insetto utilizzata è stata prodotta con larve di Hermetia illucens (Insect protein meal®, Protix©, Dongen - NL). Lo

studio è stato condotto presso la “zebrafish facility” dello stabulario centralizzato situato presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Pisa, utilizzando lo zebrafish (Danio

rerio) come modello animale. A questo scopo, 320 giovanili di zebrafish (Wild-Type; Linea

AB; peso vivo 85±25 mg (m±ds); 60 giorni di età;), suddivisi in maniera casuale in 4 gruppi e 4 repliche, sono stati alimentati con diete che differivano per il rapporto di sostituzione della farina di pesce con la farina di insetto; in particolare: 0% (gruppo controllo alimentato con il 20% di farina di pesce), 25% (HI25), 50% (HI50) e 100% (HI100). Le diete sperimentali erano iso-energetiche (21.8±0.2 MJ kg−1 di s.s.), iso-proteiche (60.1±0.3% proteina grezza/s.s.) ed estruse. Queste diete sono state prodotte dalla Sparos© (Olhão - P), un’azienda spin-off dell’Università di Algarve. I pesci sono stati alimentati 4 volte al giorno per un periodo di 49 giorni. L’effetto delle diete sui pesci è stato investigato mediante le performance di accrescimento, la mortalità, il consumo di mangime e l’indice di conversione alimentare.

Al termine della prova gli zebrafish hanno quasi triplicato il loro peso vivo. Per tutti i parametri considerati, non sono state osservate differenze significative (p>0.05) sia tra i gruppi sperimentali, che tra questi ed il gruppo di controllo; il peso vivo medio finale raggiunto dai ogni gruppo è stato pari a: controllo 229 mg; HI25 237 mg; HI50 242 mg; HI100 229 mg, mentre l’indice di conversione alimentare è stato pari a: controllo 2.11; HI25 2.05; HI50 1.94; HI100 2.08. Le uniche differenze statisticamente significative (p<0.05) sono state osservate tra maschi e femmine, quindi indipendentemente dal trattamento. In conclusione, i risultati suggeriscono che la farina di larve di Hermetia illucens rappresenta una valida alternativa alla farina di pesce nei mangimi per le specie ittiche allevate, anche se ulteriori studi dovranno essere condotti su altre specie ittiche.

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2. Abstract

Fishmeal is an important ingredient of fish feed, especially those made for carnivorous species. Unfortunately, the wild stocks of fish caught for its production are limited and for this reason the FM price have been increasing dramatically in the last decades. Hence, feed industry and research institutions are strongly engaged in seeking valid alternative to this important protein source. Currently, the majority of FM replacement have been done with vegetable ingredients such as soybean, soybean extracts, corn gluten and other grains, characterized by unbalanced amino acid profiles, the presence of anti-nutritional factors and limited digestibility rates. In this context, insect meal may represent a valid alternative protein sources also because its low “carbon footprint” that make its production sustainable, in addition to its interesting amminoacid profile and digestibility rate.

The aim of this study was to evaluate the effect of the substitution of fishmeal with insect meal, in different fish diets. The insect meal used was made by Hermetia illucens larvae (Insect protein meal®, Protix©, Dongen - NL). The study was carried out at the zebrafish facility of the Department of Veterinary Science of the University of Pisa, using zebrafish (Danio rerio) as animal model. To this purpose, 320 zebrafish juveniles (Wild-Type; AB Line; body weight 85±25 mg (m±ds); 60 days old) randomly divided into four groups and four replicates, were fed diets differing for the HI/FM substitution rate; in particular: 0% (Control group, that totally contained 20% fishmeal), 25% (HI25), 50% (HI50) and 100% (HI100). The experimental feeds were isoenergetic (21.8±0.2 MJ kg−1 on dry matter) and isoproteic (60.1±0.3% crude protein on dry matter), extruded, and produced by Sparos© (Olhão - P), spin-off company of the University of Algarve. Fish were fed four time per day and for a period of 49 days. The diet’s effects on fish were investigated through the growth performances, mortality rate, feed consumption and feed conversion rate.

At the end of the trial, zebrafish have almost tripled their body weight. For all the considered parameters, the groups fed insect meal did not show differences (p>0.05) within experimental groups, as well as in comparison to the control group (fed fishmeal and no insect meal). The final mean body weights reached by each group were: control group 229 mg; HI25 237 mg; HI50 242 mg; HI100 229 mg; feed conversion ratios were: control group 2.11; HI25 2.05; HI50 1.94; HI100 2.08. Only significant differences (p<0.05) were observed between males and females fish, hence independently from the considered treatments. In conclusion, results suggest that insect meal from Hermetia illucens represent a useful alternative to fishmeal as feed ingredient in fish feed, even though more specific test should be carried out on other target fish species.

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3. Introduzione

Con tre quarti delle attività di pesca a livello mondiale, pienamente o sovra-sfruttate, l’acquacoltura è diventata negli ultimi decenni, la principale risorsa disponibile per il futuro sviluppo della produzione globale di pesce. La crescita della popolazione mondiale e l’aumento del benessere in molti paesi emergenti quali, ad esempio, Cina, India e Brasile, hanno fatto sì che la domanda globale di cibo, e in particolare di fonti proteiche di origine animale, sia in continua crescita. Nel 2050, a livello mondiale dovranno essere nutrite oltre 9 miliardi di persone, visto che, secondo quanto riportato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (2015), il tasso di crescita della popolazione mondiale è pari all’1,14% annuo, nonostante in alcune regioni si assista ad un tasso di crescita negativo. Per far fronte a questo forte aumento futuro dei consumi, si stima che la produzione di carne (pollame/suini/bovini/ovicaprini) e di prodotti lattiero-caseari raddoppierà, mentre la produzione di pesce da acquacoltura triplicherà (FAO, 2010). Negli ultimi anni l’acquacoltura ha contribuito significativamente a colmare il gap esistente tra domanda e offerta di prodotti ittici; la produzione mondiale del pesce allevato, ha infatti contribuito per più della metà, alla produzione totale di pesce destinato al consumo umano (FAO, 2015). L’acquacoltura è tuttavia ancora fortemente dipendente dalle attività di pesca degli stock ittici selvatici destinati alla produzione di fonti proteiche e lipidiche, quali farine e oli di pesce, utilizzate nella produzione di mangimi. Questa dipendenza è particolarmente accentuata nel caso di allevamento e produzione di specie ittiche carnivore e di crostacei. Più della metà della farina di pesce e quasi la totalità dell’olio di pesce prodotto a livello internazionale, viene infatti impiegato in questo settore (Tacon e Metian, 2008).

A livello globale, esistono ampie differenze tra le diverse regioni del mondo in merito al tipo di fonti proteiche impiegate nell’alimentazione delle specie ittiche, differenze principalmente legate alla biologia delle specie stesse. In particolare, in Sud America e Europa, dove vengono impiegate materie prime di alto valore nutrizionale per l’allevamento di specie carnivore, vengono utilizzate prevalentemente fonti proteiche derivate dal pesce, mentre in Asia, dove vengono per lo più allevate specie erbivore-onnivore si utilizzano maggiormente fonti proteiche di origine vegetale. Anche in Africa, ad eccezione che per la maricoltura Egiziana, l’acquacoltura consiste essenzialmente nell’allevamento di specie erbivore-onnivore, quindi alimentate con materie prime di origine vegetale (Huntington e Hasan, 2009).

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Considerando che con 100 kg di pesce intero è possibile produrre circa 22,5 kg di farina di pesce e solamente 5 kg di olio di pesce, per ogni specie allevata è possibile calcolare il tasso “FIFO” (Fish-In Fish-Out) che evidenzia quante unità di pesce sono necessarie per produrre 1 unità di pesce allevato. Questo parametro oscilla tra 2 e 5 nelle specie carnivore, mentre nelle specie onnivore o erbivore, dove la quota di farina e olio di pesce utilizzata è nettamente inferiore, questo valore è inferiore all’unità (Tacon e Metian, 2008).

Il costo della farina e dell’olio di pesce è, da ormai molti anni, in continua crescita a livello globale; pertanto, nei prossimi anni, l’impiego di queste materie prime subirà notevoli diminuzioni e, molto probabilmente, tali materie prime saranno utilizzate solo per determinate fasi di allevamento, quali le fasi larvali e la riproduzione. Nonostante l’approvvigionamento globale di farina e olio di pesce è relativamente definito, la domanda di prodotti da acquacoltura continua a crescere (FAO/GLOBEFISH, 2016). Ciò implica che la produzione di mangimi per il settore dovrà accrescersi, pur senza sfruttare ulteriormente le risorse ittiche naturali ormai al “collasso”; per questo motivo l’industria e il mondo scientifico sono alla ricerca di fonti proteiche alternative rinnovabili, e per tanto sostenibili, sicure e disponibili in elevata quantità. È bene ricordare comunque che la crescita dell’acquacoltura a livello mondiale si è fortunatamente orientata verso l’allevamento delle specie non carnivore, specie che vengono quindi alimentate con metodi tradizionali (più estensivi) e che ricorrono poco o niente affatto all’utilizzo di farine e oli di pesce.

A tal proposito, gli insetti sono oggi oggetto di grande interesse nella ricerca di fonti proteiche “sostenibili”. Essi infatti sono caratterizzati da alti titoli proteici, profili acidici e amminoacidici ben equilibrati e alto valore nutrizionale; inoltre, queste caratteristiche possono essere più o meno facilmente “aggiustate” attraverso l’impiego di specifici substrati di allevamento. Infine l’allevamento degli insetti si caratterizza per i bassi input richiesti e, conseguentemente, per la ridottissima produzione di CO2 (Van Huis et

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3.1 Il settore dell’acquacoltura

Per acquacoltura si intende l’allevamento di organismi acquatici, principalmente pesci, crostacei e molluschi, in ambienti confinati e controllati dall'uomo al fine di massimizzare la produzione e i profitti. Le specie allevate, didatticamente, possono essere distinte in quattro differenti categorie basate sulla posizione occupata nella catena trofica; posizione che ne condiziona il livello di inclusione di farina e olio di pesce nella loro dieta (Huntington e Hasan, 2009):

- Pesci carnivori: necessitano elevati livelli proteici che solitamente vengono coperti

attraverso l’impiego di farine di pesce. Questo gruppo include i salmonidi, l’orata, la spigola, l’anguilla, la ricciola e la cernia; per queste specie, l’inclusione di farine di pesce nei mangimi può variare tra il 20 e il 70%;

-

Pesci onnivori/erbivori: questi hanno fabbisogni proteici solitamente inferiori al

20% che possono essere soddisfatti utilizzando fonti proteiche sia animali che vegetali. Fanno parte di questo gruppo la carpa e gli altri ciprinidi, la tilapia e il pesce gatto. I mangimi per queste specie contengono mediamente il 5% di farina di pesce;

-

Crostacei onnivori e detritivori: a questo gruppo appartengono granchi, aragoste

e gamberi la cui dieta comprende dal 15 al 25% di farina di pesce;

-

Organismi filtratori: queste specie sono in grado di soddisfare i propri fabbisogni

nutrizionali attraverso la filtrazione del fito-zooplancton in sospensione e quindi il loro allevamento non necessita l’impiego di farine di pesce. Essi includono molte specie di molluschi e diverse specie di pesce.

L’allevamento dei pesci carnivori è relativamente moderno rispetto a quello dei pesci onnivori/erbivori; basti pensare ai ciprinidi che vengono invece allevati da migliaia di anni. Solo la combinazione tra lo sviluppo di diete capaci di assicurare alte performance zootecniche e le tecnologie avanzate disponibili per l’allevamento delle specie ittiche, negli ultimi 50 anni ha permesso all’allevamento dei pesci carnivori di espandersi in modo intensivo. Ne sono un esempio le forme di allevamento del pesce gatto maculato negli USA, dei salmonidi in Europa e recentemente in Cile e Canada, della spigola e dell’orata nel Mediterraneo e della cernia e del pangasio in Asia. Similmente all’allevamento dei pesci carnivori, quello dei crostacei, produce materie prime di alto valore nutrizionale ed economico. Un terzo della produzione globale è rappresentato

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dall’allevamento del gambero bianco del pacifico (Litopenaeus vannamei), realizzato quasi totalmente nella regione asiatica. Riguardo infine il gruppo degli organismi filtratori, il mercato è dominato da Cina, India e Bangladesh, che insieme producono il 95% della produzione mondiale (Huntington e Hasan, 2009).

A livello mondiale, negli ultimi decenni il settore dell’acquacoltura ha registrato la crescita più elevata nel comparto delle produzioni animali e tale settore quindi, contribuirà in maniera significativa a risolvere quella che può essere definita “la sfida del secolo”, ovvero alimentare una popolazione mondiale che raggiungerà i 9,7 miliardi di persone nel 2050. Mentre la quota derivante dalle attività di pesca è destinata a non accrescersi, quella relativa all’acquacoltura aumenterà notevolmente, anche se con tassi di crescita inferiori a quelli ultimamente registrati. Il consumo globale di prodotti ittici è già raddoppiato rispetto agli anni ’70 nei paesi più sviluppati, mentre nei paesi asiatici e africani è in continua crescita. La produzione globale di pesce nel 2015 si stima abbia avuto un incremento pari al 2,6% rispetto a l’anno precedente e, a tale crescita, ha contribuito soprattutto il settore dell’acquacoltura. Negli ultimi anni, come già accennato, più della metà del totale di pesce consumato a livello globale, deriva dall’allevamento e tale quota è destinata ad aumentare ancora in futuro (FAO, 2015). Nel grafico 1, vengono evidenziati i dati disponibili e le proiezioni stimate relative alla produzione mondiale di pesce e in particolare viene visualizzata la quota derivante dall’acquacoltura e quella dalle attività di pesca per il consumo umano, espresse in milioni di tonnellate.

Grafico 1 – Produzione da acquacoltura e attività di pesca

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Stante che l’acquacoltura rappresenta la forma di produzione zootecnica a più basso “carbon foot-print”, organismi come la FAO e l’UE ne promuovono lo sviluppo e ne fanno uno strumento chiave al fine di garantire cibo per la futura popolazione mondiale. Scendendo nel dettaglio della situazione delle diverse regioni del mondo, lo sviluppo dell’acquacoltura presenta caratteristiche peculiari e in particolare (Huntington e Hasan, 2009):

-

Asia: l’allevamento di specie marine e salmastre cresce a ritmi maggiori rispetto

all’allevamento delle specie dulciacquicole, probabilmente a causa del depauperamento della qualità e della disponibilità di acqua dolce. Questa tendenza, che implica l’intensificazione dei sistemi di allevamento, porterà alla produzione di maggiori quote di molluschi, crostacei e pesce dall’alto valore nutrizionale ed economico, che necessitano di maggiori quote di farina e olio di pesce;

-

Europa: l’acquacoltura è ormai un’industria matura in Europa, specialmente per

quanto riguarda l’allevamento dei salmonidi; infatti, la produzione di salmone e trota, in crescita fino al 2003, si è ormai assestata. Per contro, l’allevamento della spigola e dell’orata è invece in crescita ma soffre della mancanza di siti idonei per il suo sviluppo sostenibile e della competizione commerciale con l’Asia per quanto riguarda l’approvvigionamento delle materie prime per mangimi;

-

Americhe: le prospettive future relative alla crescita del settore sono molto positive

sia nel nord che nel sud America, soprattutto per quanto riguarda l’allevamento di salmonidi, ombrina, lampuga e cobia; tutte specie carnivore dagli alti fabbisogni nutrizionali;

-

Africa: il problema di assicurare disponibilità di alimenti alla popolazione rimane

un problema molto serio in questi paesi. La regione necessita che il settore dell’acquacoltura sia sostenuto al fine di ridurre la malnutrizione e migliorare la sicurezza alimentare. Il potenziale dell’acquacoltura in Africa viene associato ad un gigante che dorme; il tasso di crescita di questa industria negli ultimi 10 anni, testimonia questo potenziale. L’acquacoltura in Egitto ha raddoppiato la sua produzione già 7 volte nell’ultimo decennio ed è diventata la dodicesima al mondo in termini di produzione.

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3.2 Farina di pesce: scenario e problematiche

Esistono tre principali modalità attraverso cui il pesce viene utilizzato nella preparazione di mangimi:

-

Farina e olio di pesce: principalmente ottenuta dalla trasformazione dei pesci

pelagici interi pescati in mare, in concentrati proteici e/o lipidici;

-

Scarti di pesce: derivanti dalla produzione e dalla trasformazione del pesce

destinato al consumo umano;

-

Pesci interi: utilizzati direttamente per l’alimentazione dei tonni e di altri pesci di

elevata taglia durante il loro ciclo di allevamento (prevalentemente l’ingrasso). La farina di pesce è una materia prima di alto valore nutritivo, altamente digeribile, con titolo proteico variabile tra il 60 e il 72% di proteina grezza, dal profilo amminoacidico ideale per l’alimentazione di molte specie animali, principalmente onnivore e carnivore, ed è spesso la principale fonte proteica nella formulazione di diete per pesci e crostacei. La farina di pesce apporta elevate quantità di energia ed è un’eccellente fonte di proteine, ma anche di minerali e vitamine (Miles e Chapman, 2015).

3.2.1 Produzione e consumo

Come accennato, la farina di pesce può essere prodotta utilizzando numerose categorie di animali acquatici, ma è generalmente ottenuta dai prodotti della pesca prelevati in natura e dagli scarti della produzione ittica destinata al consumo umano. Alcune specie selvatiche sono maggiormente preferite e vengono pescate con il solo scopo di trasformarle in farina e olio di pesce. Queste specie sono solitamente di piccola taglia, pelagiche e caratterizzate da un alto contenuto lipidico. Le principali specie utilizzate sono inoltre caratterizzate da precoce maturità e alta fecondità. Le popolazioni ittiche che hanno tali caratteristiche però, essendo molto dipendenti dalle condizioni ambientali e climatiche, subiscono frequenti espansioni e riduzioni. Una piccola percentuale della farina di pesce viene prodotta invece dagli scarti ottenuti durante la fase della trasformazione della materia prima in alimento destinato all’alimentazione umana. In Europa, gli scarti di pesce rappresentano mediamente il 33% della produzione totale di pesce, mentre in Asia, anche se non si hanno delle stime precise, è noto che gli scarti

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derivanti dalla produzione e dalla trasformazione del pesce per l’alimentazione umana, rappresentano la principale fonte per l’alimentazione delle specie ittiche.

Le industrie che producono farina e olio di pesce sono tra le più grandi industrie esistenti oggi nel settore animale e basano il loro processo industriale sulla tecnica “pesca e raccolta”. Milioni di tonnellate di farina e olio di pesce sono prodotte a livello mondiale. La farina di pesce viene prodotta a partire dalla cottura e pressatura del pesce, sia esso intero che sotto forma di sottoprodotto, al fine di ridurre le contaminazioni microbiche e rimuovere acqua e liquidi biologici. L’impasto ottenuto viene quindi ridotto in farina e poi essiccato a temperature comprese tra 70 e 100°C, per poter essere conservato. Durante tale produzione, utilizzando processi di estrazione chimica o fisica, è possibile purificare la quota lipidica ed ottenere olio di pesce, che rappresenta solitamente il 5-6% del peso totale del pesce fresco (Huntington e Hasan, 2009). La produzione globale di questa materia prima è attualmente stabile e oscilla tra 5 e 6.5 milioni di tonnellate annue. Nel grafico 2 di seguito riportato, è possibile visualizzare la produzione globale, storica e prospettica, di farina di pesce ed in particolare la quota derivante dai prodotti della pesca prelevati in natura e quella derivante dagli scarti della produzione ittica destinata al consumo umano, espresse in milioni di tonnellate.

Grafico 2 – Produzione globale di farina di pesce

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Approssimativamente sono necessarie dalle 4 alle 5 tonnellate di pesce intero per produrre 1 tonnellata di farina di pesce. Il Perù fornisce quasi un terzo della produzione totale mondiale di farina di pesce. Altre nazioni quali il Cile, la Cina, la Tailandia, gli USA e i paesi del nord Europa, contribuiscono a soddisfare la domanda globale di questa importante materia prima (Miles e Chapman, 2015). Essendo, la produzione globale di farina e olio di pesce dominata dalle industrie del sud America, i paesi che utilizzano questa materia prima sono per lo più importatori. La Cina è il principale consumatore di olio di pesce, mentre Cile e Norvegia sono i principali utilizzatori della farina di pesce, soprattutto per la produzione di mangimi destinati all’allevamento del salmone. Le principali specie utilizzate nella produzione della farina e dell’olio di pesce sono acciughe, aringhe e sardine.

3.2.2 Farina di pesce e alimentazione animale

L’utilizzo della farina di pesce nell’alimentazione animale, determina importanti benefici nutrizionali con risvolti positivi soprattutto sotto il profilo delle performance zootecniche; in breve, tali benefici, possono essere così riassunti (Miles e Chapman, 2015):

-

L’uso della farina di pesce nell’alimentazione animale migliora l’efficienza alimentare e le performance di accrescimento, conferisce un ottima appetibilità migliorando l’ingestione, aumenta la digeribilità delle diete e l’assorbimento dei nutrienti;

-

La farina di pesce fornisce una bilanciata quantità di aminoacidi essenziali, vitamine e minerali necessari ad un corretto sviluppo somatico e sessuale. I nutrienti presenti nella farina di pesce aiutano inoltre a rafforzare il sistema immunitario e quindi la resistenza alle malattie, contribuendo a ridurre la mortalità in allevamento;

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Un più rapido accrescimento e la riduzione della mortalità riduce i costi di produzione.

Solitamente le diete per pesci contengono dal 32 al 45% di proteina grezza, mentre quelle per crostacei ne contengono dal 25 al 42%. L’inclusione di farina di pesce

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nell’alimentazione delle specie ittiche varia in maniera consistente in funzione delle specie allevate; in ogni caso, esiste una certa variabilità anche in funzione delle aree geografiche (ad esempio Grecia e Italia), che dei singoli allevamenti nazionali. In generale, le percentuali di inclusione di farine di pesce nelle diete per salmone variano tra il 20 e il 50%, nella trota tra il 15 e il 55%, nell’anguilla tra il 40 e l’80%, nella tilapia e nella carpa cinese tra lo 0 e il 20%, nei gamberi tra il 5 e il 40%, nei crostacei d’acqua dolce tra il 5 e il 25% e nel pesce gatto tra il 3 e il 40% (Tacon e Metian, 2008). L’elevata variabilità di questi dati riflette le differenze nei sistemi di produzione adottati dai differenti paesi e allevamenti. Nell’alimentazione delle specie terrestri, quando previsto, il tasso di inclusione delle farine di pesce nelle diete è solitamente del 5% (Tacon e Metian, 2008).

3.2.3 Qualità nutrizionale

Riguardo le proteine, sappiamo che qualsiasi dieta completa deve contenere particolari proteine, ma il valore nutrizionale di queste è strettamente legato al loro contenuto amminoacidico. La farina di pesce, come qualsiasi altro ingrediente proteico, nel caso di animali monogastrici può essere considerata semplicemente come un veicolo per apportare aminoacidi nella dieta. Gli animali sintetizzano le proteine grazie alla combinazione di circa 22 aminoacidi, alcuni dei quali però non vengono prodotti dall’organismo e devono quindi essere forniti con la dieta. Nella dieta dei pesci sono 10 gli aminoacidi essenziali che devono essere somministrati con la razione: Arginina, Istidina, Isoleucina, Leucina, Lisina, Metionina, Fenilalanina, Treonina, Triptofano e Valina (Miles e Chapman, 2015). L’aminoacido presente in misura minore, relativamente al fabbisogno animale per quel determinato aminoacido, è detto limitante. Il profilo amminoacidico della farina di pesce è ciò che rende questa materia prima un eccellente ingrediente nella formulazione di mangimi per pesci. Le proteine dei cereali, delle leguminose e di altri vegetali invece non possiedono profili amminoacidici così bilanciati e solitamente sono deficienti in lisina e metionina. La soia e gli altri legumi, per esempio, che sono ampiamente utilizzati nell’alimentazione degli animali da reddito e che sono inoltre una buona fonte di lisina e triptofano, hanno scarse quantità di aminoacidi solforati come metionina e cisteina. In questi casi, ed entro certo limiti, si può sempre ricorrere all’impiego di adeguate quantità di aminoacidi di sintesi a fronte di un minimo aggravio di costo. In ogni caso, un eventuale eccesso di azoto proteico nella

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dieta, può compromettere la qualità dell’acqua di allevamento, considerato che l’eccesso di azoto, nei pesci, viene escreto sotto forma di ammoniaca e che questa è tossica per i pesci. La qualità delle differenti materie prime dipende soprattutto dal profilo amminoacidico delle proteine che lo compongono e dalla loro digeribilità, nonché dalla freschezza e dal metodo di conservazione delle stesse. Le proteine vegetali, anche se appropriatamente processate, sono solitamente meno digeribili delle farine di pesce; il loro tasso di inclusione nelle diete è spesso limitato in quanto comporta una diminuzione degli accrescimenti e dell’ingestione. Solitamente, la digeribilità della farina di pesce è superiore al 95%, mentre quella delle fonti proteiche vegetali varia ampiamente, dal 77 al 96%, in funzione della specie vegetale (Miles e Chapman, 2015). Le proteine vegetali inoltre sono spesso associate a composti poco o non digeribili (fibra) e/o a fattori anti nutrizionali che interferiscono con il corretto funzionamento della digestione o del metabolismo. Un'altra importante caratteristica ha contribuito alla diffusione della farina e dell’olio di pesce in acquacoltura: l’appetibilità. La farina di pesce contiene numerosi composti che rendono la dieta maggiormente appetibile, e ciò consente di diminuire i tempi di ingestione e quindi la perdita di alimento in acqua; è l’amminoacido non essenziale acido glutammico, a conferire alla farina di pesce la sua particolare appetibilità.

Il contenuto lipidico che viene estratto durante il processo di produzione della farina di pesce è di solito del 5-6%, ma, in generale esso può variare tra il 4 e il 20%. I lipidi contenuti nei pesci sono altamente digeribili da tutte le specie animali e sono eccellenti fonti di acidi grassi polinsaturi (PUFA), sia della serie omega-3 che omega-6. Gli acidi grassi della famiglia omega-3, predominanti nella farina e nell’olio di pesce, sono l’acido linolenico, l’acido docosaesaenoico (DHA) e eicosapentaenoico (EPA); in natura, questi acidi grassi si accumulano nei pesci grazie alla loro abbondanza nel fito-zooplancton di cui i pesci si nutrono. La farina e l’olio di pesce contengono più omega-3 che omega-6, mentre molti lipidi vegetali contengono prevalentemente alte quantità di omega-6. I principali effetti benefici dei lipidi della dieta riguardano essenzialmente la struttura e la funzionalità delle membrane cellulari, che permettono alle cellule di mantenere la propria fluidità anche in presenza di eventi stressogeni chimico-fisici o biologici. Diversi acidi grassi essenziali sono necessari per il normale sviluppo somatico e riproduttivo del pesce. La farina di pesce inoltre contiene notevoli quantità di fosfolipidi, vitamine liposolubili e ormoni steroidei. La farina di pesce di buona qualità

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viene addizionata con antiossidanti o composti che riducono il rischio di danneggiamento degli acidi grassi da parte di sostanze altamente reattive quali ad esempio l’ossigeno, che provoca l’irrancidimento degli acidi grassi.

Infine, relativamente al contenuto minerale e vitaminico della farina di pesce, normalmente il contenuto medio in ceneri è compreso tra il 17 e il 25%. Più è alto il contenuto in ceneri, maggiore è la quantità di minerali presenti (soprattutto calcio, fosforo e magnesio) e maggiore sarà quindi la quota rappresentata dalle lische/scheletro. A differenza di quanto avviene con il fosforo presente nelle piante, quello contenuto nella farina di pesce si trova in una forma altamente assimilabile. Il contenuto vitaminico della farina di pesce è influenzato da diversi fattori, quali l’origine e la composizione del pesce, il processo produttivo e la freschezza del prodotto. La farina di pesce è considerata moderatamente ricca in vitamine nel gruppo B, ma il contenuto di vitamine liposolubili è relativamente basso in quanto queste vengono rimosse durante l’estrazione dell’olio.

3.2.4 Sostenibilità ambientale e mercato

L’acquacoltura, come le altre attività intensive zootecniche, è fortemente dipendente dall’approvvigionamento e dalla fornitura di elementi nutritivi provenienti dall’esterno. Nel caso delle piante acquatiche e dei molluschi bivalvi, che rappresentano il 43,7% della produzione totale, questi nutrienti sono rappresentati da sali minerali dissolti in acqua e da fito-zooplancton. Mentre nel caso del restante 56,3% della produzione, rappresentata principalmente da pesci e crostacei, questi nutrienti provengono da risorse ittiche pescate o, come più volte detto, da sottoprodotti dell’industria di trasformazione del pesce; in entrambi i casi, comunque, risulta essere molto forte la “pressione” esercitata sugli stock ittici selvatici (FAO, 2008). Ovviamente, se l’allevamento di pesci e crostacei mantiene una crescita constante, l’industria mangimistica che si occupa della produzione di mangimi per l’acquacoltura dovrà avere una crescita almeno simile, al fine di poter soddisfare la domanda attesa.

Il prelievo di grandi quantità di pesce da un ecosistema naturale influenza però, direttamente e indirettamente, non solo la vitalità delle popolazioni oggetto dell’attività di pesca, ma anche delle prede e dei predatori delle stesse, mettendo a rischio l’intera biodiversità dell’ecosistema. Le specie utilizzate per la produzione di farina e olio di

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pesce sono rappresentate soprattutto da popolazioni pelagiche di piccola taglia che nutrendosi principalmente di fito-zooplancton stanno alla base della catena trofica marina. Queste specie, riconducibili essenzialmente a sardine, acciughe e aringhe, vengono predate da numerosissime specie di pesci, mammiferi marini e uccelli. La cattura di pesci pelagici per la produzione di farina di pesce è capace quindi di influenzare anche la consistenza demografica delle popolazioni dei grandi pesci predatori, quali per esempio il tonno, il pesce spada e molti altri. Le dinamiche di popolazione di questi piccoli pesci pelagici sono caratterizzate da alta fecondità e precoce sviluppo somatico e sessuale, ma la disponibilità di biomassa esistente e quindi prelevabile con le attività di pesca è molto variabile nel tempo ed strettamente legata alle condizioni meteo-climatiche mondiali (ne è un esempio il problema del surriscaldamento delle acque o il fenomeno climatico noto come El Niño) che possono influenzare notevolmente l’andamento demografico delle popolazioni ittiche. Le attrezzature e le reti utilizzate per la cattura delle specie ittiche di interesse industriale, come sardine e acciughe, vengono calate nella colonna d’acqua in maniera verticale fino ad avere un minimo contatto con il fondale marino. Anguille e merluzzi norvegesi vengono invece pescati mediante reti demersali da traino, che hanno un più forte impatto ambientale in quanto hanno un maggiore contatto con il fondale marino e gli organismi bentonici (Huntington e Hasan, 2009). La sostenibilità dell’attività di pesca dipende, quindi, dalla tipologia di attrezzatura utilizzata, dalla specie bersaglio, dall’area geografica di pesca, dal momento temporale scelto e dal tipo di fondale presente. Il depauperamento dell’ecosistema marino e la cattura accidentale di specie non bersaglio e di giovanili appartenenti a specie commerciali, per l’industria ittica è il principale problema da risolvere. A livello globale le industrie che mostrano i tassi di scarto alla produzione maggiori sono quelle europee e americane; fatta eccezione per l’industria dei crostacei, la maggior parte delle industrie asiatiche invece sono caratterizzate dal possedere tassi di scarto molto bassi. Le attività di pesca oltre che sottrarre biomassa necessaria al sostentamento dei pesci carnivori, dei mammiferi marini e degli uccelli, provocano, mediante l’utilizzo delle reti e degli altri sistemi di cattura, ulteriore mortalità accidentale ai livelli più alti della catena trofica.

I primi dieci paesi al mondo in termini di produzione globale da acquacoltura sono: Cina, Tailandia, Cile, Norvegia, Indonesia, USA, Vietnam, Giappone, Filippine e Taiwan. La produzione globale di mangimi destinati all’acquacoltura rappresenta invece

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solo il 4% del totale della produzione globale di mangimi destinati agli animali da reddito. Le specie maggiormente allevate nel settore dell’acquacoltura, in base al consumo totale di mangime commerciale prodotto, sono: carpa cinese (31.1-41.6%), gamberi marini (12.5-16.6%), tilapia (8.2-10.7%), salmone (8.5-8.8%), pesce gatto (6.4-6.6%), altri pesci marini (6-7.1%), trota (2.6-2.7%), anguilla (1.5-1.7%) e crostacei d’acqua dolce (0.4-0.5%) (Tacon e Metian, 2009). Su base globale è stato stimato che per ottenere 23,85 milioni di tonnellate di pesci e crostacei da acquacoltura nel 2006, sono state consumati 25,36 milioni di tonnellate di mangimi contenenti 3.72 milioni di tonnellate di farina di pesce e 0.83 milioni di tonnellate di olio di pesce, equivalenti a 16,6 milioni di tonnellate di pesce pelagico intero; in base a queste considerazioni, il tasso “FIFO” (fish-in fish-out) medio globale per l’acquacoltura, già descritto in precedenza, è pari a 0.7.

L’elevata qualità e concentrazione di nutrienti essenziali, soprattutto di aminoacidi, unitamente al notevole contenuto energetico, fanno della farina di pesce un ingrediente indispensabile nella dieta di numerose specie ittiche e terrestri (avicoli, suini e animali da pelliccia). Ma è improbabile che la disponibilità attuale di farina e olio di pesce sarà in grado di soddisfare la crescente richiesta mondiale di materie prime per la produzione di mangimi per l’acquacoltura e l’alimentazione delle specie terrestri. È necessario ottimizzare l’utilizzo della farina di pesce nella formulazione delle diete per le specie ittiche al fine di minimizzare il costo di alimentazione che incide per il 40-70% nel calcolo dei costi di produzione (Miles e Chapman, 2015). Il costo della farina di pesce di alta qualità (65% proteina grezza) varia approssimativamente dai 1500 ai 2000 dollari per tonnellata, circa 4 volte il prezzo della farina di soia. Nel 2014 il prezzo della farina di pesce è arrivato addirittura a 2400 dollari per tonnellata (FAO, 2015). Il motivo per cui il prezzo della farina e dell’olio di pesce è aumentato ha origine dalla combinazione di differenti fattori quali, la staticità dell’offerta globale di farina e olio di pesce, la forza contrattuale dei paesi leader nelle importazioni, e in particolare della Cina, e l’aumento generale dei prezzi delle energie, del petrolio e degli oli vegetali più importanti (soia, colza e palma). Nonostante la farina di pesce presenti un profilo amminoacidico ideale, la sua parziale o totale sostituzione con altre fonti proteiche di alta qualità, contribuirebbe alla protezione delle limitate risorse naturali, promuovendo la sostenibilità del settore. Le nuove informazioni in termini di fabbisogni nutrizionali per le specie ittiche dimostrano che per determinati pesci è possibile la sostituzione parziale

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o totale con fonti vegetali o altre proteine animali. Tutte le diete basate sull’utilizzo di materie prime vegetali contenenti soia, cotone, mais e frumento, con supplementi in lisina e metionina, hanno avuto successo sugli accrescimenti dei giovanili di carpa, pesce gatto e tilapia. Ad ogni modo, le fasi larvali e giovanili necessitano comunque farina di pesce per ottenere performance ottimali. Le proteine e i lipidi animali, in forma di sottoprodotti/scarti, se di buona qualità, possono essere utilizzati in quanto caratterizzati da elevato valore biologico.

3.2.5 Prospettive future

Al momento, l’uso della farina di pesce nell’alimentazione degli animali da reddito per cui quest’uso è ammesso, rimarrà ancora per un po’ una pratica comune; soprattutto, nel caso dell’acquacoltura, questa verrà di certo impiegata nell’allevamento di avannotti, giovanili e animali altamente produttivi (“fast grower” o linee genetiche particolarmente selezionate).

Per contro, le proiezioni riguardanti l’andamento previsto dei prezzi di mercato e la domanda di farina e olio di pesce, variano ampiamente in funzione di aspetti legati soprattutto alle risposte che verranno dal mondo della ricerca, oggi fortemente impegnato nell’individuazione di “alternative” sostenibili sia dal punto di vista ecologico che economico. In funzione di ciò, infatti, alcuni autori concordano sul fatto che, nel lungo periodo, si assisterà ad una riduzione nell’utilizzo della farina e dell’olio di pesce in acquacoltura, a vantaggio di fonti proteiche e lipidiche caratterizzate da adeguata sostenibilità. Ipotizzando infatti, un aumento dei prezzi di mercato di farine e oli di pesce causato dalla diminuzione della disponibilità globale (esaurimento degli stock ittici selvatici) da una parte e dall’aumento della domanda da parte dell’industria dall’altra, vecchi e nuovi alimenti potranno diventare competitivi e di interesse per l’industria mangimistica. Inoltre, non è da trascurare la competizione nel consumo di pesci pelagici che nel futuro saranno sempre più destinati all’alimentazione umana e sempre meno a quella animale.

Riassumendo quindi, le ragioni per cui, nel lungo periodo, l’uso della farina e dell’olio di pesce da parte del settore dell’acquacoltura andrà incontro a forti riduzioni, sono da ricercare nei seguenti fattori:

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La staticità e/o la diminuzione dell’offerta globale di farina e olio di pesce;

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Aumento del prezzo di mercato dei prodotti della pesca e aumento della quota destinata al consumo umano;

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Aumento della quota di prodotto proveniente dal trattamento degli scarti di produzione e trasformazione del pesce e quindi riduzione della qualità del prodotto ottenuto (aumento contenuto in ceneri per maggior presenza di lische/scheletro);

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Aumento dei costi globali per energia, trasformazione e trasporto, che nel settore della pesca risultano incidere maggiormente che in altri settori produttivi;

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Crescente pressione da parte dell’opinione pubblica e delle istituzioni riguardo tematiche quali la sostenibilità sia ambientale che complessiva delle produzioni animali.

Nonostante tale contesto, è comunque da ricordare che, nel breve periodo, il consumo di farina e olio di pesce è comunque destinato a crescere ancora. Mentre la sostituzione della farina e dell’olio di pesce nella formulazione di diete per specie onnivore ed erbivore è più semplice, nel caso delle specie strettamente carnivore sarà necessario approfondire gli studi e le prove di sostituzione. Nonostante quanto riportato finora, è importante ricordare che la farina e l’olio di pesce non sono di per se ingredienti essenziali, ma sono, o meglio sono stati, le fonti proteiche e lipidiche di alta qualità più efficienti da un punto di vista economico e nutrizionale per le specie allevate in acquacoltura. Inoltre è bene sottolineare che, se il settore dell’acquacoltura cresce ai ritmi attesi, la produzione e la disponibilità di pesce da destinare direttamente o indirettamente alla produzione di farina e olio di pesce aumenterà. Ad esempio, in Cile si stima che per ottenere 600 mila tonnellate di salmone si producano 270 mila tonnellate di scarti tra produzione e trasformazione, equivalenti a 43,2 tonnellate di farina di salmone e 48,6 tonnellate di olio di salmone (Tacon e Metian, 2009). A tal fine, è importante che la farina o l’olio ottenuto da una determinata specie ittica non venga utilizzata nell’alimentazione della stessa (ricircolo intra-specifico) al fine di prevenire i rischi legati alla contaminazione biologica e chimica degli mangimi.

Considerato che l’efficienza alimentare dei pesci carnivori, è sbilanciata a favore della proteina consumata, anziché di quella prodotta, non è sbagliato affermare che il

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consumo diretto del pesce pelagico pescato sia più efficiente da un punto di vista economico e ambientale. Il mercato delle specie oggetto di pesca industriale e degli “scarti”, peraltro sempre esistito, sta subendo negli ultimi anni un notevole sviluppo, per quanto riguarda il consumo umano diretto. L’industria mondiale dei mangimi per l’acquacoltura, dipendendo dalle risorse selvatiche, è potenzialmente vulnerabile nei confronti dei fattori economici che possono modificare la disponibilità e il prezzo della farina e dell’olio di pesce. Questo settore è vulnerabile anche riguardo i rischi igienico-sanitari inerenti la sicurezza alimentare, in quanto eventuali presenze di contaminanti possono accumularsi durante la catena trofica e arrivare al consumatore finale. Sono due i potenziali problemi particolarmente importanti attualmente. Il primo riguarda la presenza di diossina, PCB e altri pericoli chimici negli alimenti di origine animale, mentre il secondo problema è relativo invece ai rischi biologici legati alla trasmissione delle malattie, basti pensare alla BSE nei ruminanti e alla malattia di Creutzfeldt-Jakob nell’uomo (Huntington e Hasan, 2009).

Di seguito, sono riportate alcune possibili soluzioni attuabili al fine di potenziare la sostenibilità ambientale dell’acquacoltura (Huntington e Hasan, 2009):

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Migliorare le attività di pesca degli stock ittici naturali: è indispensabile conoscere meglio la biologia delle specie ittiche da catturare al fine di potenziare le tecniche e individuare i periodi più idonei al prelievo naturale, limitando al minimo possibile le conseguenze dei prelievi;

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Incrementare la quota di pesce pelagico pescato, da destinare direttamente al consumo umano. In Europa, specie quali l’aringa e il merlano hanno un potenziale notevole per il consumo umano diretto;

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Utilizzare fonti proteiche e lipidiche alternative alle farine e all’olio di pesce. La sostituzione di queste materie prime con fonti vegetali ha evidenziato notevoli limiti nell’alimentazione delle specie carnivore e ad ogni modo non migliorerebbe la sostenibilità ambientale della produzione se le fonti vegetali utilizzate sono ad esempio varietà transgeniche di soia e mais. Inoltre alimentare pesci carnivori con diete di origine vegetale è una “forzatura” quantomeno simile a quella troppo spesso “demonizzata” circa la somministrazione di proteine animali ad animali erbivori (Grimaudo, 2015). Occorre però potenziare anche questa alternativa, utilizzando materie prime vegetali maggiormente digeribili e sostenibili. Numerose

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fonti alternative di origine animale, vegetale e microbica sono attualmente oggetto di studio a livello internazionale al fine di sostituire, parzialmente o completamente, la farina e l’olio di pesce.

Il settore dell’acquacoltura deve quindi continuare a investire sulle fonti proteiche alternative di elevata qualità. Oggi, questa è una delle priorità più urgenti per quanto riguarda la nutrizione delle specie ittiche.

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3.3 Fonti proteiche alternative per l’alimentazione animale

L’industria mangimistica, supportata dal mondo della ricerca scientifica, si è orientata negli ultimi anni verso l’utilizzazione di fonti proteiche alternative alla farina di pesce; in particolare utilizzando materie prime vegetali, più economiche, ma al tempo stesso capaci di assicurare un elevata qualità nutrizionale ed organolettica delle produzioni. In commercio, esistono numerose materie prime vegetali utilizzabili nell’alimentazione animale. Questi ingredienti però sono meno adatti all’alimentazione dei pesci, in particolar modo di quelli carnivori, in quanto sia da un punto di vista nutrizionale che dell’appetibilità sono qualitativamente inferiori alle farine di pesce normalmente utilizzate (Hardy, 1996). Attualmente molteplici materie prime vegetali sono state testate in sostituzione alla farina di pesce e i mangimi commerciali per le specie ittiche presenti sul mercato oggi contengono anche più del 30-40% di ingredienti di origine vegetale. In Europa, le principali materie prime vegetali utilizzate per la produzione di mangimi sono rappresentate da colture oleaginose (colza e girasole), leguminose (soia, pisello, lupino) e cerealicole (mais, orzo e frumento). Recentemente, anche il potenziale di alcune colture foraggere, come l’erba medica, è in fase di studio (Ferouz et al., 2012). Eccezion fatta per la soia e alcuni sottoprodotti cerealicoli quali ad esempio il glutine, il tenore proteico e il profilo amminoacidico di queste materie prime è quanti-qualitativamente inferiore a quello medio della farina di pesce disponibile in commercio. Per migliorare la digeribilità e limitare gli effetti negativi di alcune componenti contenute nei prodotti vegetali, come per esempio i fattori anti-nutrizionali, queste materie prime solitamente vengono sottoposte a trattamenti industriali che prevedono l’impiego del calore e della pressione, come l’estrusione e la fioccatura, oppure la rimozione di alcune componenti, come nel caso della decorticazione. A livello mondiale, l’industria e la ricerca stanno portando avanti numerosi studi volti ad analizzare il potenziale di fonti proteiche alternative alle farine di pesce e alle materie prime vegetali comunemente utilizzate nella preparazione dei mangimi (Tacon e Metian, 2008). Di seguito, vengono analizzati i principali candidati ad essere impiegati come alternative alle proteine derivate dal pesce:

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Farina di carne e ossa: questa materia prima viene prodotta in elevata quantità in

tutti i paesi industrializzati e, di fatti, l’industria della carne produce la maggior quantità di rifiuti del settore alimentare. La farina di carne e ossa viene prodotta dagli scarti animali non utilizzati nell’alimentazione umana ed è composta quindi

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da ritagli di carne e grasso, ossa, visceri, sangue, zoccoli, pelli e animali morti non destinabili alla produzione di alimenti (Shirley e Parsons, 2001). Da un punto di vista nutrizionale, questa materia prima contiene circa il 50% di proteina grezza, il 7-10% di lipidi e il 30-40% di ceneri. La farina di carne e ossa è stata utilizzata nell’alimentazione di diverse specie ittiche, con impieghi solitamente inferiori al 20% e i risultati mostrano che, nonostante le performance zootecniche raggiunte siano positive, non è possibile utilizzarla in sostituzione totale della farina di pesce in quanto la composizione amminoacidica non è ideale e il contenuto in ceneri troppo alto (Ferouz et al., 2012).

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Farina proteica di origine batterica: prodotta dalla sintesi proteica di colture

batteriche quali Methylococcus capsulatus, Alcaligenes acidovorans, Bacillus

brevis e Bacillus firmus, che utilizzano principalmente il metano come fonte di

energia e l’ammoniaca come fonte azotata (Aas et al., 2006). In questo processo, la biomassa batterica viene continuamente prelevata e successivamente trattata al calore al fine di ottenere un prodotto sterile. Questa materia prima contiene generalmente il 67-68% di proteina grezza, l’8-10% di lipidi e il 6-8% di ceneri. Comparata alla farina di pesce, la farina proteica batterica è molto simile da un punto di vista nutrizionale ed è inoltre caratterizzata dal possedere alti livelli di lisina e metionina. Prove di alimentazione effettuate sul salmone (Storebakken et

al., 2004) e sulla trota (Overland et al., 2006), dimostrano che questa alternativa

proteica è potenzialmente un ottimo sostituto alle farine di pesce nell’alimentazione delle specie ittiche

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Alghe: alcuni prodotti derivati dalle alghe vengono già utilizzati come additivi

nella formulazione delle diete per le specie ittiche. Questi prodotti vengono sfruttati come additivi addensanti ed emulsionanti, come nel caso delle carragenine e degli alginati o come agenti appetibilizzanti o ancora come fonti di acidi grassi essenziali, minerali e pigmenti naturali, come nel caso della Spirulina (Ferouz et

al., 2012). L’utilizzo delle alghe come fonti proteiche nella produzione dei mangimi

è invece ancora in fase sperimentale e necessita ulteriori studi.

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Krill antartico: alcuni studi suppongono che questo crostaceo, il cui nome

scientifico è Euphasia superba, sia la specie animale più abbondante sul pianeta. È certo invece che questa specie chiave dell’ecosistema antartico, è un eccellente fonte proteica, in quanto caratterizzata da un tenore proteico compreso tra il 56 e il

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76%. È stato inoltre dimostrato che inclusioni del 30% di krill antartico, migliorano l’ingestione alimentare e la crescita dei salmonidi, del merluzzo e dell’halibut (Ferouz et al., 2012).

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Lieviti: l’utilizzo dei lieviti ed in particolare della specie Saccharomyces cerevisiae

nell’alimentazione delle specie ittiche è ormai diventata una pratica comune. Questi organismi, già noti ed utilizzati per le loro proprietà immunostimolanti, forniscono elevate quantità di proteine, vitamine, pigmenti e carboidrati complessi utili al soddisfacimento dei fabbisogni di numerose specie animali. A titolo di esempio, uno studio relativo all’inclusione di lieviti nell’alimentazione dell’orata, ha dimostrato che è possibile la sostituzione parziale della farina di pesce con prodotti derivati dai lieviti, senza compromettere le performance di accrescimento (Salnur et

al., 2009).

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Insetti: numerose tipologie di farine di insetti sono già disponibili e utilizzate nei

mercati internazionali come materie prime per la produzione di mangimi. Le farine di insetto forniscono proteine di elevata qualità nutrizionale, paragonabili a quelle fornite dalla farina di pesce, ed elevata sostenibilità ambientale ed economica. Da un punto di vista ecologico gli insetti, che sono sempre stati parte integrante della dieta di numerosissime specie di pesci e crostacei, si riproducono velocemente, vivono ovunque, presentano un tasso di crescita e di conversione alimentare straordinariamente favorevole e un impatto ambientale quasi trascurabile durante tutto il loro ciclo di vita. L’uso su larga scala degli insetti come ingredienti per mangimi è tecnicamente praticabile e le industrie presenti nelle varie parti del mondo sono già impegnate a produrre farine di insetti da destinare all’acquacoltura così come all’alimentazione di molte altre specie animali quali pollame, suini e uomo incluso. Tra queste specie di insetti, il dittero Hermetia illucens, meglio nota come “black soldier fly” è senza dubbio la specie più allevata al mondo ed i cui prodotti sono già ampiamente disponibili e commercializzati.

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3.4 Impiego delle farine di insetto nell’alimentazione animale

La classe degli insetti appartiene al grande phylum degli artropodi, phylum che comprende il più vasto insieme di animali viventi sulla terra, annoverando ragni, scorpioni, zecche, acari, crostacei, millepiedi, centopiedi e appunto gli insetti. Almeno 1 milione di specie di insetti sono state già descritte, ma si pensa che migliaia, se non milioni di altre specie devono ancora essere scoperte o classificate (Erwin, 2004). La spiccata adattabilità alle variazioni delle condizioni ambientali degli insetti, ha permesso a questa classe animale di colonizzare l’intero pianeta e di diversificarsi al punto da sfruttare qualsiasi risorsa alimentare disponibile (Grimaudo, 2015). La classe degli insetti, a sua volta, contiene numerosi differenti ordini, ma quelli ai quali ad oggi appartengono le specie di interesse maggiore per l’alimentazione animale sono ditteri, coleotteri, ortotteri, lepidotteri e imenotteri.

Gli insetti, che come già accennato, fanno già parte della dieta naturale di molti pesci, sono quindi considerati ottimi candidati soprattutto alla sostituzione delle farine di pesce, sia da un punto di vista nutrizionale che economico; infatti, questi possiedono tenori molto alti di proteine, grassi e minerali per quanto riguarda il punto di vista nutrizionale, e il loro allevamento richiede ridottissimi input energetici per quanto riguarda la sostenibilità economica e ambientale. La possibilità di essere allevati su scarti alimentari, infatti, ne fa un esempio di produzione sostenibile, che permette da una parte di smaltire dei “rifiuti” organici che di per se rappresentano un ulteriore costo economico (smaltimento) e dall’altra di produrre una materia prima di alto valore biologico e commerciale.

Gli insetti, possono essere consumati interi, oppure essere ridotti in farine o “paste” e, in queste forme, incorporati nei mangimi animali. Il contenuto nutrizionale degli insetti può variare in maniera rilevante in funzione di molti fattori quali, ad esempio, lo stadio di sviluppo biologico, l’habitat e la composizione del loro substrato di crescita. In ogni caso, anche secondo quanto largamente documentato da Van Huis et al., (2013), sia ai fini dell’alimentazione umana (food) che per quella animale (feed), gli insetti si caratterizzano per l’apporto di:

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Proteine di alta qualità e, nello specifico, di significative quantità di aminoacidi essenziali, paragonabili a quelli forniti dalla carne e dal pesce;

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Significative quantità di acidi grassi, che in funzione del substrato di allevamento possono essere “aggiustate” e rese più simili all’olio di pesce;

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Microelementi quali rame, ferro, magnesio, manganese, fosforo, selenio, zinco, oltre ad altri di rilevante interesse nutrizionale.

L’utilizzo degli insetti nell’alimentazione animale provoca, direttamente e indirettamente, numerosi vantaggi anche nei confronti dell’ambiente, in quanto sono caratterizzati da:

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Ottimi indici di conversione alimentare: in media, gli insetti possono convertire 2

kg di substrato (scarto) in 1 kg di biomassa animale, laddove un bovino necessita 8 kg di alimenti (non scarti) per aumentare di 1 kg il suo peso corporeo;

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Bassa produzione di gas serra: la produzione di gas serra da parte della

maggioranza degli insetti è notevolmente più bassa di quella del bestiame convenzionale. Per esempio, i suini producono 10-100 volte più gas serra per kg di peso di quello prodotto dalle tarme della farina (Tenebrio molitor);

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Riduzione dei rifiuti organici: gli insetti possono essere nutriti con rifiuti organici

quali resti di cibo, sottoprodotti industriali, compost e liquami animali, trasformando questi in proteine di alta qualità destinabili sia all’alimentazione animale che umana;

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Riduzione dello sfruttamento delle risorse naturali: l’allevamento di insetti è

meno dipendente dalla disponibilità di acqua, terreno ed energia rispetto all’allevamento di bestiame convenzionale.

In definitiva, così come certificato dalle linee guida emanate recentemente dalla FAO, tutti questi aspetti rendono gli insetti una risorsa innovativa che deve essere presa in considerazione ai fini della copertura, ecologicamente “sostenibile”, delle esigenze alimentari della crescente popolazione mondiale.

Per utilizzare gli insetti nell’alimentazione animale è necessario tuttavia sviluppare sistemi di allevamento/raccolta di tipo “industriale”, capaci cioè di assicurare elevata e costante disponibilità di questa materia prima. Mentre per alcune specie di insetto, notevoli passi in questo senso sono stati già fatti, per la maggior parte delle specie potenzialmente allevabili molto deve essere ancora fatto; inoltre, in merito a queste ultime, le informazioni disponibili sono piuttosto scarse anche perché la domanda è

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attualmente limitata. Gli insetti più facili da allevare sono quelli onnivori, terrestri, prolifici e che necessitano di bassi input energetici; almeno 150 differenti specie a livello mondiale possiedono tali caratteristiche e sono già disponibili sui mercati mondiali (Sànchez-Muros et al., 2014).

3.4.1 Valore nutrizionale delle farine di insetto

L’utilizzo degli insetti come fonte proteica alternativa alle farine di pesce e alle materie prime vegetali in acquacoltura è così attuale, che ancora non sono disponibili degli standard qualitativi, relativi al loro valore nutrizionale. Inoltre le prove di sostituzione sinora effettuate dai diversi ricercatori, rivelano talvolta risultati contrastanti. Del resto, molti studi pur essendo stati condotti sulle stesse specie, spesso hanno preso in considerazione quando stadi di sviluppo diversi (larva, pupa, adulto), quando substrati di allevamento(Sealey et al., 2011), ad esempio vegetali, animali, misti e/o composti da specie botaniche e/o animali diverse o, ancora, ciascun componente rappresentato in percentuale diversa. Questo aspetto, che da un lato complica la determinazione di standard qualitativi, dall’altro consente di controllare e modificare il profilo quanti-qualitativo dei nutrienti costituenti gli insetti. Non ultimo, infine, sono da considerare le diverse tipologie di lavorazione a cui il prodotto può essere sottoposto prima di essere utilizzato (fresco, intero, macinato, essicamento naturale o artificiale, estrazione chimica o fisica dei lipidi, sottoforma di estratti di vario tipo). Tutti questi aspetti, infatti, incidono in maniera considerevole sui risultati ottenuti nelle varie prove sperimentali fin qui condotte e, spesso, sono alla base dei risultati “contrastanti” osservati in prove che magari hanno avuto come oggetto la stessa specie di insetto.

Per poter utilizzare un qualsiasi ingrediente nella formulazione di un mangime, è necessario però innanzitutto conoscerne la composizione nutrizionale, al fine di poterlo utilizzare efficacemente ai fini della copertura dei fabbisogni nutritivi della specie a cui il mangime deve essere destinato. In questo senso, molte informazioni possono essere reperite nello studio condotto da Grimaudo (2015), nel quale prodotti di origine diversa sono stati confrontati con la farina e l’olio di pesce, come ampiamente accennato, prodotti destinati ad essere sostituiti nella produzione dei mangimi per pesci e di altre specie. Naturalmente, considerato che la classe degli insetti annovera più di un milione

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di specie, lo studio sopra citato (Grimaudo, 2015), ha preso in considerazione solo le specie più studiate e/o allevate.

Proteine

Sapendo che, la percentuale di proteina grezza è uno dei più importanti parametri quantitativi da considerare riguardo le fonti alimentari proteiche, le informazioni disponibili in letteratura dimostrano che sono almeno 20 le specie che presentano tenori proteici simili alle farine di pesce, altrettante specie invece hanno valori leggermente inferiori, ma comunque superiori alla farina di soia (Sànchez-Muros et al., 2014). Le specie più interessanti per il loro contenuto proteico, da un punto di vista prettamente quantitativo, sono:

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Tenebrio molitor: 42-63% (Ravzanaadii et al., 2012; Makkar et al., 2014)

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Metamasius spinolae: 69% (Ramos-Elourduy et al., 1998)

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Hermetia illucens: 42-47% (Kroeckel et al., 2012; Stamer et al., 2014)

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Musca domestica: 58-59% (Bernard et al., 1997; Djordjevic et al., 2008)

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Drosophila melanogaster: 68-70% (Oonincx e Dierenfeld, 2011)

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Acheta domestica: 65-73% (Bernard et al., 1997; Barroso et al., 2014)

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Bombyx mori: 52-72% (Makkar et al., 2014)

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Apis mellifera: 49-52% (Ramos-Elorduy et al., 1998, Rumpold e Schluter, 2013)

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Oryctes rhinoceros: 50% (Okaraonye e Ikewuchi, 2009)

Aminoacidi

Come già accennato, il tenore proteico di un alimento riveste oggi un’importanza relativa; è invece il suo contenuto e profilo amminoacidico che più che altro ne determina il valore biologico. Da questo punto di vista, gli insetti sono caratterizzati da un ottimo profilo amminoacidico, particolarmente ricco in aminoacidi essenziali, a differenza di quanto accade per le principali fonti proteiche vegetali, solitamente deficienti in lisina, metionina e leucina. Alcune specie (Bombyx mori, Musca domestica,

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superiori a quelli della farina di pesce; la materia prima che presenta il maggior contenuto di lisina rimane comunque la farina di pesce (Sánchez-Muros et al., 2014).

Lipidi

Come per le proteine, l’introduzione degli insetti come nuovo ingrediente nella formulazione di una dieta, non può prescindere dall’analisi della loro componente lipidica. Nell’alimentazione dei pesci (Grimaudo, 2015), gli ingredienti principali utilizzati per soddisfare i fabbisogni in acidi grassi sono l’olio di soia, l’olio di lino e naturalmente l’olio di pesce, l’unico che presenta alti livelli di acido docosaesaenoico (DHA) e acido eicosapentaenoico (EPA). È bene inoltre ricordare che la composizione acidica della dieta, influenza la composizione lipidica costituzionale dei pesci e quindi la qualità nutrizionale ed organolettica del prodotto.

In base all’abilità degli insetti di sintetizzare o allungare le catene degli acidi grassi, è possibile classificarli, didatticamente, in 4 differenti categorie:

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Insetti capaci di sintetizzare acidi grassi polinsaturi ex-novo.

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Insetti con metabolismo simile a quello dei vertebrati, che non sono capaci di sintetizzare gli acidi grassi della seria omega-3 e omega-6 e che quindi necessitano di assumerli con la dieta.

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Insetti che necessitano la somministrazione di acido arachidonico (ARA) in quanto incapaci di sintetizzare le catene degli acidi grassi di o tri-insaturi a 18 atomi di carbonio, come ad esempio accade per le specie appartenenti al genere Musca.

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Insetti che non necessitano di somministrazione alimentare di acidi grassi polinsaturi in quanto in grado di dare luogo a sintesi endogena, come nel caso di spescie riconducibili essenzialmente alla Drosophila melanogaster.

Rispetto all’olio di pesce, la maggior parte degli insetti mostra tenori in acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi della serie omega-6 quasi sempre maggiore, mentre per quanto riguarda gli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, questi valori sono nettamente inferiori. Fanno eccezione le pupe di Hermetia illucens che, nonostante presentino tenori in acidi grassi saturi e polinsaturi (omega-6) più alti rispetto all’olio di pesce, sono caratterizzate da tenori in acidi grassi monoinsaturi inferiore all’olio di pesce. In definitiva, relativamente alla nutrizione lipidica dei pesci, gli insetti possono

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