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"O vivo o morto sarò con voi": Luigi Cibrario, storico di Casa Savoia, tra biografia e memoria

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* Questo lavoro presenta i pri-mi risultati di una ricerca condotta nell’ambito di un assegno di ricerca cofinanziato presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Torino (a.a. 2016-17) dal titolo:

Scrit-tore di storia, creaScrit-tore di miti: profilo di Luigi Cibrario studioso e politico (1802-1870), responsabile scientifico:

Prof. Silvano Montaldo.

1 Si trattava in realtà di Paolo Perancini, autore poi di un opuscolo dal titolo Degli ultimi giorni sul

Bena-co del Bena-conte Luigi Cibrario Bena-con pochi rapidissimi cenni della gloriosa sua vita, Brescia, Tipografia Sentinella

Bresciana, 1871, in cui risulta pub-blicata la lettera con il destinatario. Paolo Perancini, di umilissime condi-zioni, nato a Salò nel 1802, dopo aver trovato sistemazione presso l’Ateneo salodiano come bidello, divenne vice bibliotecario nel 1867. Autore di diversi studi sulla storia benacense e della sua città, si spense nel mag-gio 1872. Cfr. la scheda di S. Berti-ni, http://www.archividelgarda.it/ biblioteca-digitale/paolo-perancini/ (consultato l’11 marzo 2017).

2 Federico Odorici nacque a Bre-scia nel 1807. Già allievo dell’Acca-demia di belle arti di Brera, presto si dedicò alle ricerche storiche, subentrando a Pompeo Litta nella pubblicazione delle Famiglie celebri

italiane. Bibliotecario dal 1862 alla

Palatina di Parma, nel 1876 divenne prefetto della Biblioteca Braidense di Milano. Deputato nella VII legisla-tura del regno di Sardegna, morì a Roè Volciano nel 1884. Cfr. Pietro

Da Ponte, Federico Odorici, Brescia,

Tipografia Apollonio, 1887. 3 L’opera Le storie bresciane dai

primi tempi sino all’età nostra,

ven-ne pubblicata in dodici volumi tra il 1853 e il 1882.

A imitazione di Carlo Alberto: una morte (quasi) eroica Il 14 ottobre 1870 la “Gazzetta d’Italia”, quotidiano di Firenze, pubblicava in terza pagina la lettera che «un intimo amico e parente del compianto Cibrario»1 aveva appena

ricevuto dal commendatore Federico Odorici, bibliotecario alla Palatina di Parma2. Nella lunga missiva dello

studio-so lombardo, membro della regia Deputazione di Storia patria, socio corrispondente dell’Accademia delle scienze di Torino, nonché autore delle monumentali Storie bresciane3,

erano spiegate in dettaglio le circostanze della morte dell’il-lustre piemontese. Odorici, che di Cibrario, presto, come vedremo, sarebbe divenuto documentatissimo biografo, ripercorreva con commozione gli estremi giorni dell’amico, testimonianza di un legame di stima e affetto mai venuto meno. Compiva con «desolazione» quell’ingrato compito, al fine di rendere giustizia all’«uomo incomparabile», di correggere la ridda di inesattezze che si erano diffuse a mezzo stampa, tra chi aveva fatto spirare la «gloria italia-na» in Torino, chi in Salò e chi in una «villeggiatura, ch’ei dicevano da lui comperata». Odorici conosceva bene la verità: lo storico di Casa Savoia4, il panegirista delle origini

italiane del casato5, il ministro dei gloriosi governi del

Pie-monte liberale6, aveva deciso di trascorrere gli ultimi giorni

terreni sulle sponde del lago di Garda, ospite a casa sua. Come oltre vent’anni prima Cibrario era stato “osservatore” dell’epopea romantica e terrena dell’esule Carlo Alberto7,

così, a poco meno di un mese dalla breccia di Porta Pia, Odorici si faceva testimone ufficiale, ripercorrendo, con analoghe tecniche narrative, l’epopea intima di una “fine”, tessendo la cronaca degli ultimi istanti del versatile ingegno subalpino. Carlo Alberto non si era forse “consumato” per la patria8? Così, in una sorta di traslazione sacrificale, solo

chi aveva dedicato l’intera esistenza ai libri poteva compren-dere come Cibrario si fosse consunto per l’indefessa attività intellettuale: il «povero conte, cangiata la notte in ore di assidui lavori senza lasciarli fra la giornata» aveva coltivato i «germi» di quella «occulta ipertrofia» che lo avrebbero in seguito «estinto», un terribile «morbo», che era lentamente

«O vivo o morto, sarò con voi»:

Luigi Cibrario, storico di Casa Savoia

tra biografia e memoria

*

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cresciuto, a causa dell’insistenza negli studi, non interrotti neppure sotto «un’affannosa respirazione». E ancora: se il dolore della sconfitta nella “fatal Novara” aveva spinto Carlo Alberto a cercare “pace” interiore alle estreme pro-paggini d’Europa, Cibrario, nella speranza di «rinfrancare, in mezzo alle aure vivaci ed alla calma di fiorenti pendici, gli spiriti combattuti», aveva deciso di portare a compimento un impegno affrontando un lungo viaggio: «o vivo o morto sarò con voi», scriveva ad Odorici poco prima di partire alla volta di Desenzano. Quando il 27 settembre giungeva alla stazione sul lago di Garda, Cibrario, «curvo, abbattuto, non più riconoscibile» sostenuto da un medico «e dal suo Pellegrino, l’infelice amico», era lo spettro di quel Carlo Alberto che, sfinito, sulla strada per Oporto, aveva salito le scale dell’osteria del misero villaggio di Casal de Pedro portato a braccia dai due compagni di sventura, il corriere di gabinetto Gamalero e il cameriere Valletti9. Persino il

fatto che per recarsi a destinazione, Salò, Cibrario avesse dovuto salire a bordo di un piroscafo, rievocava la nave che aveva trasportato il re martire da Puente Sampayo a Vigo10. E il senso di malinconia e morte che avrebbe

accom-pagnato il conte di Barge nei suoi quattro mesi d’esilio, si sarebbero condensati per Cibrario nei quattro giorni vissuti nella cameretta di Trobiolo, presso la villa degli Odorici, su un’altura del comune di Volciano: il panorama dei colli e della cerchia delle montagne, avrebbe schiuso «l’anima affannata a così subita letizia, che era il contemplarlo uno strazio del cuore»; cosicché l’ultima immagine di Cibrario di fronte a Carlo Alberto, immortalata nel marmo da Pietro Magni con la didascalia «Si ricordi che l’ho amato tanto11»,

si consustanziava nell’ultima immagine di Cibrario di fronte a Odorici: con la variante però delle lacrime, che spuntava-no «dagli occhi sempre volti ai colli circostanti, [che] pareva dicesse loro: vengo a morire in mezzo a voi». I paralleli non erano finiti: come era stato convocato Alessandro Riberi al capezzale del morente re, così, per telegrafo, era stato allertato il medico Chiarini, subito precipitatosi da Firenze; come il re martire moriva il 28 luglio 1849 con lo sguardo rivolto al crocifisso, così, Cibrario, «un uomo che aveva sacrificati pel suo paese tutti [i giorni] dell’intera sua vita» rendeva l’anima a Dio, «tranquillo e mestamente rassegna-to», il primo ottobre 1870 «passata l’ora prima del dì»12.

Terminava la lettera, non l’imitatio. Federico Odorici cedeva il testimone all’amico Paolo Perancini, che, sulla scorta della narrazione del commissario del regio piroscafo Goito, Egidio Da-Fieno, autore di un dettagliato resoconto del rimpatrio delle spoglie di Carlo Alberto13, si rendeva

artefice di un opuscolo sul rientro a Torino della salma di Luigi Cibrario. Ancora una volta, il canovaccio usato

4 Su questi aspetti, cfr. oggi Piera Grisoli, L’uso politico della

storiogra-fia: Carlo Alberto e Luigi Cibrario, in

“Rivista di storia contemporanea”, XV (1986), pp. 1-37. Più in generale, Gian Paolo romaGnani, Storiografia

e politica culturale nel Piemonte di Carlo Alberto, Torino, Deputazione

Subalpina di Storia patria, 1985,

passim.

5 Cfr. oggi anDrea merlotti,

Morte (e resurrezione) di Beroldo. Le origini sassoni dei Savoia nella sto-riografia del Risorgimento, in Stato sabaudo e Sacro Romano Impero, a

cura di Marco Bellabarba, Andrea Merlotti, Bologna, Il Mulino, 2014, pp. 135-163.

6 Cfr. le molte lettere contenute negli epistolari di Azeglio (vol. VII, a cura di Georges Virlogeux, Tori-no, Centro Studi Piemontesi, 2010) e di Cavour (voll. X-XIII, a cura della Commissione nazionale per la pubblicazione dei carteggi del Conte di Cavour, Firenze, Olschki, 1985-1992).

7 Il riferimento è a luiGi Cibrario,

Ricordi d’una missione in Portogallo al re Carlo Alberto, Torino,

Stampe-ria Reale, 1850.

8 Sugli ultimi mesi di vita del Carignano, cfr. PieranGelo Gentile,

Dopo la sconfitta. L’esilio portoghese di Carlo Alberto, re di Sardegna e Umberto II, re d’Italia, in Portogallo e Piemonte. Nove secoli (XII-XX) di relazioni dinastiche e di destini poli-tici, a cura di Maria Antónia Lopes,

Blythe Alice Raviola, Roma, Carocci, 2014, pp. 229-242.

9 P. Gentile, op. cit., p. 234. 10 Ivi, pp. 233-234.

11 La scultura è oggi conservata nella sala 15 del Museo Nazionale del Risorgimento di Torino.

12 “Giornale d’Italia”, p. 3. 13 eGiDio Da-Fieno, Cenni

intor-no alla vita, viaggio morte in Oporto di Carlo Alberto nonché ai funerali, cerimonie della traslazione e ricevi-mento in Piemonte delle sue reliquie ovvero parallelo di nazionali dimo-strazioni fatte in onore del grande italiano, Genova, Ferrando, s.d.

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per l’ex re di Sardegna sembrava calzante alla situazione: il principe Eugenio di Carignano incaricato del trasporto del feretro regale sul piroscafo, trasfigurava nei figli del conte, i quali, giunti all’improvviso, immaginando la terra di Trobiolo «lontanissima da ogni centro in cui si potesse decorosamente provvedere un mezzo di trasporto all’au-gusta salma, avevano noleggiato a Desenzano un mezzo qualunque, meschino e povero»; il corteo funebre per il conte Cibrario, da Trobiolo a Salò, con la partecipazione del «sottoprefetto, tutte le magistrature, il capitano del-la guardia nazionale e una schiera numerosa di cittadini d’ogni classe e d’ogni età», accompagnata dalle note delle due bande musicali, rammentava la processione di Oporto per il trasporto della salma di Carlo Alberto a bordo del Monzambano con le truppe di guarnigione, gli squadroni di cavalleria, la banda militare, e gli oltre quattrocento cittadini intervenuti con torce accese e abito a lutto14. I solenni

fune-rali di Cibrario, primo segretario dell’ordine mauriziano, si tennero a Torino, presso la basilica magistrale il 5 novembre 1870. E quella fu una prima occasione di “mitizzazione” del celebre estinto: se già i tre figli di Cibrario, Ippolito, Giacinto e Teobaldo 15, rendevano pubblicamente grazie a

tutto il giornalismo italiano che, «senza distinzione di par-titi, volle rendere omaggio alla memoria del padre, integro cittadino e magistrato, devoto e leale servitore della patria e del re, chiaro cultore delle scienze e delle lettere»16, il

canonico e commendatore novarese Pietro Durio, che si fregiava del titolo di “epigrafista di Sua Maestà” dedicava al personaggio un fascicolo di epigrafi onorarie17. La

Repub-blica di San Marino, sempre grata nei confronti di chi nel 1862 si era fatto mediatore con il governo italiano per la conclusione di un vantaggioso trattato di commercio, offrì addirittura un volume di elogi, canzoni e sonetti18. I giusti

omaggi a un letterato che aveva passato non poco del suo tempo a dettare iscrizioni e epitaffi, in latino e italiano, per decine di monumenti e tombe. Era tempo che Luigi Cibrario riposasse per sempre nel cimitero monumentale di Torino19.

Celebrare sulla carta: letture (ultra) moderate e storiche dell’opera di Cibrario

Toccò a Federigo Scopis di Salerano, illustre figura di storico, giurista e magistrato, già presidente del Senato, tessere un primo profilo biografico, completo, di Luigi Cibrario, dando del personaggio, una sua personalissima lettura (ultra) moderata20. Lo fece a mo’ di necrologio

durante l’adunanza dell’Accademia delle scienze di Torino, di cui deteneva la presidenza, il 24 novembre 187021. Un

14 P. Gentile, op. cit., p. 240. Cfr. anche: P. Gentile - G. VirloGeux,

L’ultimo viaggio di Re Carlo Alberto: inediti di Massimo d’Azeglio dall’Ar-chivio del Principe di Carignano, in

“Studi Piemontesi”, XLIV, 2 (2015), pp. 555-566.

15 Primogenito fu Ippolito, figlio della prima moglie di Cibrario, Manina Turinetti (1803-1836), nato il 28 novembre 1834, commendatore dei SS. Maurizio e Lazzaro, e capo divisione onorario nel Gran Magiste-ro. Sposò nel 1863 Elisa Carbonazzi, figlia dell’ingegnere Gian Antonio. Morì il 14 gennaio 1915. Giacinto, della linea secondogenita – figlio del-la seconda moglie di Cibrario, Teresa George de La Motte (1815-1860) – nacque a Torino il 18 maggio 1843. Avvocato e consigliere provinciale a Torino, fu deputato dalla XV alla XIX legislatura, senatore del regno dal 1900. Amministratore di Opere Pie, scrittore di cose amministrative fu altresì commendatore dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, gran-de ufficiale gran-della Corona d’Italia, cavaliere onorario di Malta. Sposò, nel 1875, Amalia, del colonnello Giuseppe Torre, adottata nel 1879 dal nobile Livio Benintendi. Morì il 20 gennaio 1917. Teobaldo, della linea terzogenita – anch’egli figlio di Teresa La Motte – nacque a Torino il 12 dicembre 1845; ufficiale dei bersaglieri e direttore dell’ospedale mauriziano di Lanzo, sposò nel 1872 Giacinta, figlia del cavaliere notaio Angelo della Chiesa di Cervignasco. Morì a Torino il 15 febbraio 1911. Cfr. Antonio Manno, Il patriziato

subalpino, vol. VI, pp. 121-124,

dat-tiloscritto presso l’Archivio di Stato di Torino, Corte.

16 “Gazzetta di Torino”, 5 novem-bre 1870.

17 Pietro Durio, In morte di sua

eccellenza il conte Luigi Cibrario cava-liere dell’ordine della SS. Annunziata senatore del Regno e ministro di stato ecc ecc, epigrafi onorarie del

commendato-re Canonico Pietro Durio, epigrafista di Sua Maestà, Torino, Bona, 1870.

18 Nella morte del conte Luigi

Cibrario per segno di lutto e di gra-to animo la Repubblica di S. Mari-no, Firenze, Civelli, 1871. Cibrario

ottenne nell’occasione di poter inquartare nel suo stemma le inse-gne della Repubblica. Nominato

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consultore, Cibrario fu sempre molto legato al piccolo Stato, prodigandosi per la firma di un trattato postale con l’Italia, la coniazione della moneta, l’ampliamento dell’ospedale e della biblioteca, l’istituzione del museo.

19 l. Cibrario, Epigrafi latine

ed italiane con alcune necrologie,

Torino-Firenze, Eredi Botta, 1867. La tomba di Cibrario si trova nel cosiddetto “campo primitivo”.

20 Un primo profilo biografico di una certa qual importanza, Cibrario vivente, era uscito nella collana “I contemporanei italiani - Galleria nazio-nale del secolo XIX” dell’Unione tipo-grafica editrice di Torino. Cfr. aDamo

WisznieWski, Luigi Cibrario, Torino,

Unione Tipografico-Editrice, 1862. 21 FeDeriGo sCloPisDi salerano,

Notizie della vita e degli studi del con-te Luigi Cibrario, Torino, Stamperia

Reale, 1870. 22 Ivi, pp. 4-5.

23 l. Cibrario, Delle storie di

Chieri. Libri quattro con documenti,

Torino, Alliana, 1827, 2 voll. 24 F. sCloPis, op. cit., p. 6. 25 Su Sismondi e la sua opera si veda ora Jean-Charles-léonarD

simonDeDe sismonDi, Storia delle

repubbliche italiane con

presenta-zione di Pierangelo Schiera, Torino, Bollati Boringhieri, 1996.

26 maria Fubini leuzzi, Gli

stu-di storici in Piemonte dal 1766 al 1846: politica culturale e coscienza nazionale, in “Bollettino

storico-bibliografico subalpino”, 1983, fasc. 1, p. 150. Della stessa autrice, cfr. la voce Cibrario nel Dizionario

bio-grafico degli italiani, vol. 25, Roma,

Istituto della Enciclopedia Italiana, 1981, pp. 278-284. Si vedano le con-siderazioni di rinalDo Comba, Storia

civile ed economia politica. Progetti e lavori storiografici di Luigi Cibrario nell’età della Restaurazione, in Luigi Cibrario d’Usseglio cittadino torine-se (1802-1870), Lanzo T.torine-se, Società

storica delle Valli di Lanzo, 2002, pp. 66-70.

27 Gian saVino Pene ViDari, Le

vicende torinesi della Convenzio-ne Convenzio-nel Diario Segreto di Federigo Sclopis, in 1864 e Torino non fu più capitale. Un evento che mutò la sto-ria del Piemonte e d’Italia. Riflessioni antiche e nuove nel 150° anniversario dei fatti del settembre 1864, a cura intervento che sottolineava gli incontri determinanti nella

carriera del Cibrario, di un uomo che, nato a Torino il 23 febbraio 1802, di piccola nobiltà, ma non dotato di «largo censo», aveva saputo accoppiare «costanza nel lavoro […] colla felicità dell’ingegno»: dal latinista Carlo Boucheron «disposto sempre a giovare a’ suoi discepoli con particolare assistenza», al conte Prospero Balbo che, magistrato della riforma e ministro dell’Interno, aveva fatto entrare Cibrario, «giovanissimo ancora», nel dicastero, in qualità di applica-to; fino a Giuseppe Manno, primo ufficiale per l’isola di Sardegna, il quale aveva introdotto Cibrario «nel magiste-ro della condotta degli affari, e nell’arte, purtmagiste-roppo quasi oramai perduta in Italia, del purgato ed acconcio scrivere cancelleresco»22. Ragionando poi dello studioso, passava in

rassegna le opere principali di una sterminata bibliografia. E la necessaria selezione di lavori di un uomo che, sulla scorta dei poligrafi settecenteschi, aveva accoppiato per dieci lustri storia e letteratura non poteva che partire da quella prima importante prova suggerita dal gran ministro patrocinatore, le Storie di Chieri23, «una vecchia repubblica

del medio evo, poco distante da Torino, nel cui governo primeggiava la stirpe dei Balbo». Due volumi editi nel 1827 che, per Sclopis, comparivano «nei primi momenti in cui gli studi di storia patria si ridestavano dopo un lungo torpore in Piemonte»24. Per l’illustre giurista, non importava tanto che

l’autore avesse cercato di inserirsi nel dibattito storiografico (e politico) europeo suscitato dall’importante e discussa opera di Sismondi25, il quale aveva espunto il Piemonte

dal «panorama delle terre libere italiane», obbligando il giovane venticinquenne a rivendicare, documenti alla mano, «la sua appartenenza alla storia d’Italia e particolarmente alla storia delle sue libere repubbliche»26; nell’ottica di chi,

come Sclopis, aveva dato le dimissioni dalla presidenza del Senato per protesta alla Convenzione di Settembre27,

Cibrario si metteva alla testa di quel «risorgimento delle lettere in Italia», nel tempo in cui i piemontesi, «costretti ad appigliarsi alle armi», erano impegnati su ben altri fronti. Una mitizzazione di Cibrario che cercava di saldare l’inevi-tabile “grande Italia” a un mai sopito e orgoglioso spirito “piemontesista”. In quest’ottica, la Storia di Torino28 era la

dimostrazione più vivida di quanto Cibrario avesse saputo bilanciare esigenze locali, nazionali e dinastiche: questo voleva dire che Torino, «cresciuta all’ombra del Principa-to» (a differenza di Chieri…), poteva attraverso la penna dello scrittore assurgere a «centro di movimento politico e commerciale […] al paro delle principali città d’Italia». Interpretazione che dava al lavoro di Cibrario un plusvalore rispetto alla precedente storiografia, per una storia «meno arida di quella compilata dal Pingone nel XVI secolo, meno

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frondosa di quella composta nel secolo successivo per cura del Tesauro, del Giraldi e del Ferrero»29. Per Sclopis poi,

cresciuto nella schiera dei funzionari-storici sabaudi30,

esi-ziale era il fatto che Cibrario fosse stato promosso nel 1829 a sostituto procuratore del re presso la Camera dei Conti. Il lavoro amministrativo a contatto di quell’archivio del demanio dove «a migliaia giacevano […] i rotoli dei conti dei tesorieri dei Principi di Casa Savoia, non che quelli dei castellani delle diverse terre, a migliaia le filze degli atti dei segretari ducali, e numerosissimi i registri del Magistrato stesso», infine «una miniera estesissima, e per lo dietro poco esplorata di notizie, di fatti, di documenti, di raggua-gli concernenti» Casa Savoia e il governo dello Stato, era

di Albina Malerba, Gustavo Mola di Nomaglio, Torino, Centro Studi Piemontesi - Consiglio regionale del Piemonte, 2015, pp. 15-26. Sul per-sonaggio iD., Federigo Sclopis

(1798-1878), in “Studi Piemontesi”, VII,

fasc. 1, 1978, pp. 160-172, e aggior-namenti in iD., Sclopis di Salerano,

Federigo (1798-1878), in Dizionario biografico dei giuristi italiani, XII-XX secolo, Bologna, Il Mulino, 2013, vol.

II, pp. 1839-1842.

28 l. Cibrario, Storia di Torino, Torino, Fontana, 1846, 2 voll.

29 F. sCloPis, op. cit., p. 8. 30 umberto leVra, Fare gli

italia-ni. Memoria e celebrazione del Risor-gimento, Torino, Comitato di Torino

dell’Istituto per la storia del Risorgi-mento italiano, 1992, pp. 173-184; iD., I soggetti, i luoghi, le attività della

storiografia “sabaudista” nell’Ottocen-to, in “Cheiron”, XII, 25-25 (1996),

pp. 223-238.

Fig. 1. Busto di Cibrario, opera di Dini, inaugurato nel 1878 all’interno del loggiato dell’Università di Torino. L’epigrafe, rielaborazione di un testo di Odorici, è del 1883.

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31 l. Cibrario, Storia della

monar-chia di Savoia, Torino, Fontana,

1840-44, 3 voll.

32 l. Cibrario, Della economia

politica del Medio Evo. Libri III che trattano della sua condizione politi-ca, morale economipoliti-ca, Torino, Bocpoliti-ca,

1839.

33 Compendiati in luiGi Cibrario, DomeniCo Promis, Documenti, sigilli

e monete appartenenti alla storia della monarchia di Savoia, Torino,

Stampe-ria Reale, 1833.

34 F. sCloPis, op. cit., pp. 10-12. 35 l. Cibrario, Discorso primo.

Della forma della monarchia di Savoia, in “Memorie della Reale

Accademia delle Scienze di Torino”, vol. XXXVI, 1833, pp. 63-138; iD.,

Discorso secondo. Delle entrate della Corona, in “Memorie della Reale

Accademia della Scienze di Torino”, vol. XXXVI, 1833, pp. 157-276; iD.,

Discorso terzo. Dell’amministrazione del denaro pubblico nel Medio Evo,

in “Memorie della Reale Accade-mia della Scienze di Torino”, vol. XXXVII, 1834, pp. 78-125.

36 l. Cibrario, Della economia

politica del Medio Evo. Seconda edizione emendata ed accresciuta,

Torino, Fontana 1841-42; iD.,

Del-la economia politica del Medio Evo. Terza edizione emendata ed accre-sciuta, Torino, Fontana, 1842; iD.,

Della economia politica del Medio Evo. Quarta edizione emendata ed accresciuta, Torino, Stamperia Reale,

1854; iD., Della economia politica del

Medio Evo. Quinta edizione italiana emendata ed accresciuta nel testo e nelle tavole, Torino, Botta, 1861.

In francese: Économie politique de

Moyen âge. Traduite de l’italien et augmentée de notes et d’éclaircisse-ments considérables par Humbert Ferrand, Paris, Debécourt,1842; Économie politique de Moyen âge. Traduite de l’italien sur la 4eédition par M. Barneaud avocat et précédée d’une introduction par M. Wolowski,

Paris, Guillarmin et C., 1859. Della versione in tedesco si hanno poche notizie, se non che il traduttore fu un certo professor Buss. Cfr. anto -nio manno, L’opera cinquantenaria

della R. Deputazione di Storia Patria di Torino, Torino, Bocca, 1884, vol.

I, p. 243.

37 Il 9 febbraio 1856, come risulta dal diploma in Archivio di Stato di

motivo per nuove indagini storiche da condurre «in due specie d’opera di struttura diversa, ma di natura analoga»: la storia della monarchia sabauda31 e l’economia politica

del medioevo32. Sclopis aveva ben chiara la differenza tra

lo storico impegnato e l’erudito: da un lato Cibrario cercò, anche attraverso la neonata Deputazione di Storia patria di cui fu subito segretario, tramite un sapiente – oggi diremmo – “uso politico della storia”, di storicizzare le origini italiane di Casa Savoia, ponendo il «suggello» con dissertazioni e tavole genealogiche all’«opinione» che non poteva crescere «a misura che si allargavano le vedute della Real Casa sulla penisola» (e in ciò determinanti furono i viaggi condotti, per ordine del re, assieme a Domenico Promis, negli archivi di Francia e Svizzera alla ricerca degli albori della dinastia33);

dall’altro di rielaborare una messe imponente di dati, per quello che lo stesso autore considerava non un libro di storia, ma uno «specchio della condizione della società in vari tempi»34. Una ricerca quest’ultima che, elaborata fin

dai Discorsi apparsi sulle Memorie dell’Accademia delle scienze di Torino35, di cui Cibrario era socio dal 18

novem-bre 1830, valse all’autore grande notorietà, per le cinque edizioni italiane sempre riviste e accresciute36, le due in

francese, quella, parziale, in tedesco, e l’aggregazione alla classe di economia e politica del prestigioso Institut de Fran-ce37. Prodromo a un’altra opera «interamente d’erudizione

ravvivata da frequenti avvertenze filosofiche», incompiuta, quale fu Della schiavitù e del servaggio, e specialmente dei servi agricoltori38.

La visione scientifica di Cibrario, si sposava poi, secon-do Sclopis, a una lettura teleologica e provvidenziale “appli-cata” della storia: dimostrate le origini italiane della dinastia regnante, si muoveva a cercare le leggi dell’umano diveni-re nell’Origine e progdiveni-ressi delle istituzioni della Monarchia

di Savoia sino alla costituzione del regno d’Italia39. Il che

equivaleva, per Sclopis – appartenente come Cibrario alla stessa generazione di “storici sabaudisti” di matrice cattoli-ca – ragionare di un principio «verissimo», sebbene a quei tempi «da non pochi combattuto o dissimulato»: cioè che dietro ogni fatto umano vi fosse il «dito della Provvidenza», che dimostrasse essere «tela di ragno tutto ciò che la mali-zia e la forza [andavano] fabbricando con oltraggio delle leggi eterne della giustizia»40. Sclopis torceva la filosofia

della storia elaborata da Cibrario a quella di Bossuet e di Cesare Balbo, genius loci delle meditazioni storiche: per il giurista, chi rinnegava gli «ordini segreti» di una giustizia «che eccede i limiti del comprensibile umano» rinnegava il «progresso morale», facendo dell’uomo «un ludibrio della sorte anziché un istrumento del bene»41. Dunque la

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Torino, d’ora in poi ASTo, Corte, Archivio Cibrario, mazzo V, fasc.

Diplomi e nomine accademiche.

38 L’opera, in due volumi, uscì per Civelli, Milano, nel 1868 e 1869.

39 Il primo volume, Storia, uscì per la Stamperia Reale di Torino nel 1854. Il secondo, Specchio

cro-nologico, presso il medesimo editore

nel 1855. Una seconda edizione defi-nitiva dell’opera uscì per Cellini di Firenze nel 1869.

40 F. sCloPis, op. cit., pp. 18-19. 41 Ivi, p. 19.

42 Ivi, p. 20.

43 u. leVra, Fare gli italiani, cit., pp. 173-184.

44 Su Carlo Botta, cfr. la voce di GiusePPe talamo, Dizionario

biogra-fico degli italiani, vol. XIII, Roma,

Istituto della Enciclopedia Italiana, 1971, pp. 364-371.

45 ASTo, Corte, Archivio Cibra-rio, carteggio, cartellina B, lettera di Prospero Balbo

46 Fu autore di un opuscolo: l. Cibrario, Sulle riforme del re Carlo

Alberto. Riforme, Torino, Fontana,

12 dicembre 1847.

47 Alla mezzanotte del 3 febbraio 1848 San Marzano inviava a Cibrario il progetto di proemio allo Statuto perché lo studioso, in mezz’ora – dovendo il ministro farlo ricopiare per il consiglio di conferenza della mattina dopo – annotasse «quanto potesse […] trovarvi di meno con-veniente in fatto di stile e di lingua». Cfr. ASTo, Corte, Archivio Cibrario, mazzo IV.

48 Venne nominato il 17 ottobre 1848. Cfr. la scheda sul sito istituzio-nale www.senato.it.

49 F. sCloPis, op. cit., pp. 23-24. 50 Il riferimento era ai Ricordi

d’una missione in Portogallo, cit.,

poi confluiti nella biografia di Car-lo Alberto: l. Cibrario, Notizie

sul-la vita di Carlo Alberto, iniziatore e martire della Indipendenza d’Italia,

Torino, Botta, 1861. Di quest’ope-ra uscirono diverse edizioni tquest’ope-ra cui, l’ultima, Re Carlo Alberto iniziatore

e martire della Indipendenza d’Italia. Quinta edizione italiana di sole 100 copie coll’aggiunta di documenti ine-diti sopra Venezia, Milano, Civelli,

1865. Il libro fu anche tradotto in francese: La vie et la mort du roi

Cibrario, con il principe di volta in volta «capitano», «giu-dice», e «amministratore supremo», diventava il migliore dei governi possibili42.

L’interpretazione dell’opera di Cibrario dava il destro a Sclopis di farsi campione ed epigono di quella schiera di uomini di stato, aristocratici, scrittori di storia, modera-tissimi in politica, quando non conservatori, ossequiosi al trono quanto all’altare, che avevano contribuito, negli anni a cavallo dell’Unità, a costruire “sulle carte” il destino e la primazia nazionale di Casa Savoia43. Scrivere di storia non

poteva che essere compito dello statista: era sempre valida la lezione impartita fin dal lontano 1825 da Prospero Balbo al Cibrario alle prime armi, messo in guardia dagli “errori” della celebrità del momento, Carlo Botta44: «La

professio-ne di storico, dico di sincrono, è più faccenda da uom di stato che da uom di lettere, o, per dir meglio, è d’uomo che unisca le due facoltà. Di fatto uomini di stato, furono i più degl’italiani scrittori di storie per molte parti egregii»45.

Per cui le tappe della carriera intellettuale di Cibrario erano inevitabilmente andate di pari passo a quelle della carriera amministrativa e politica: per Sclopis, non importava tanto il fatto che lo studioso avesse guadagnato, «con frequenti saggi del suo letterario valore», la fiducia di Carlo Alberto, principe illuminato «sia per effetto dell’educazione colta che aveva ricevuta, sia per un segreto presentimento del destino che dalla provvidenza gli si era assegnato»; quanto la sua progressione nella “saggia politica” di matrice regia, dimostrata nell’adesione alle riforme del 184746, allo

Statu-to47, nella responsabile attività da senatore48, nella condotta

dignitosa tenuta in occasione della missione straordinaria compiuta a Venezia assieme al generale Colli nel 1848, in veste di commissario regio per l’annessione, pagina «cer-tamente non meno gloriosa d’ogni altra» di quella «prima […] epoca del Risorgimento italiano»49. L’interpretazione

moderata degli eventi offerta da Cibrario, ma anche la sua vita stessa vissuta a mo’ di exemplum, era misura e spunto per la visione anti-democratica di Sclopis: il «pietoso rac-conto» dell’esilio di Carlo Alberto50, richiamava l’«esagerato

sentimento cavalleresco» che, unito a «imprudenti consigli», aveva spinto il re sulla via «che riuscì il disastro di Nova-ra»; il lodevole contegno tenuto in Laguna da Cibrario, suscitava il colloquio di Vignale tra Radetzky e il giovane Vittorio Emanuele II: l’opposizione del giovane monarca a una modifica «meno che liberale» della costituzione del regno, era il prodromo della mitizzazione di un evento consegnato “per bocca dello stesso re” allo Sclopis; occa-sione giusta per ricordarlo a chi non era stato abbastanza avvertito «tra coloro che scrissero degli esordi del nuo-vo regno»51. Cibrario ministro «in un tempo che segna

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Charles-Albert initiateur et martyr de l’Indépendance italienne. Traduit et annotée par Charles de la Varenne,

Paris, Dentu, 1862.

51 F. sCloPis, op. cit., pp. 24-25. 52 Ivi, p. 25.

53 Cibrario fu ministro delle Finanze nel secondo gabinetto Aze-glio dal 21 maggio al 4 novembre 1852.

54 F. sCloPis, op. cit., pp. 26-27. 55 Cibrario fu ministro dell’Istru-zione dal 4 novembre 1852 al 31 maggio 1855.

56 Cibrario fu ministro degli Este-ri dal 31 maggio 1855 al 5 maggio 1856.

57 F. sCloPis, op. cit., pp. 27-28. 58 Ivi, pp. 28-29.

59 Ivi, pp. 28-32.

60 [l. Cibrario], Exposé de faits

concernant la biographie du comte Luigi Cibrario de Turin, Firenze,

1869. Cfr. F. sCloPis, op. cit., p. 29.

61 FeDeriCo oDoriCi, Il conte

Lui-gi Cibrario e i tempi suoi. Memorie storiche, Firenze, Civelli, 1872.

62 La lettera, conservata oggi in ASTo, Corte, Archivio Cibrario, car-tella 0, è stata trascritta da GustaVo

molaDi nomaGlio, Luigi Cibrario

e la nobiltà, in Luigi Cibrario d’Us-seglio, cit., pp. 38-46. Defendente

Sacchi (Campomorto di Siziano (PV), 1796 - Milano, 1840), scritto-re e giornalista, fu socio corrispon-dente dell’Accademia delle scienze di Torino dal 1834. Amico fraterno di Cibrario, fu il destinatario (postu-mo), degli Opuscoli, Torino, Fonta-na, 1841.

un’epoca nella storia costituzionale del Piemonte» veniva inserito da Sclopis all’interno della sua visione politica, di pura Destra, ben lontana dal “Connubio”: Cavour era colui la cui «prodigiosa attività» ed «avidità del potere» aveva vinto «la serena tranquillità e l’indole riposata ed artistica del primo ministro» Azeglio52; Cibrario, il ministro delle

finanze53 che tanto ricordava la figura di Ottavio Thaon

di Revel, il cui nome avrebbe dovuto «essere più spes-so segnalato alla riconoscenza del popolo piemontese»54;

oppure, Cibrario il ministro dell’Istruzione55 che, «cause di

forza maggiore, non aveva potuto rimediare a molto male e procurare molto bene nelle dipendenze del suo dicastero»; o ancora Cibrario, ministro degli Esteri56, abile e distinto

collaboratore del Conte, che «non tollerava emuli nel gabi-netto»57. Ma nella visione antica e dinastica di Sclopis non

poteva mancare il Cibrario benefattore, primo segretario, dal 1852, di quell’ordine mauriziano, dichiarato «intan-gibile» dall’articolo 78 dello Statuto (chiara la stoccata ai critici…): sotto il governo del cavaliere furono aperti due nuovi ospedali a Luserna e San Remo, due reparti – per donne e fanciulli – presso l’ospedale mauriziano di Torino, un ospizio a Lanzo, un altro ad Aosta; costruito un pon-te sul Sangone; eretti sepolcri alla sacra di San Michele per accogliere le spoglie di venticinque principi di Casa Savoia che prima giacevano nei sotterranei del duomo di Torino58. Il profilo di Sclopis si concludeva con l’elenco

dei titoli e degli onori, premio alla prodigiosa capacità di lavoro, dedicando Cibrario poche ore al sonno e buona parte della notte allo studio e alla scrittura, dovendo di giorno attendere al lavoro d’ufficio59.

Se, oltre ai ricordi personali, fonte del ricco necrologio di Sclopis era stata l’autobiografia di Cibrario uscita ano-nima e in francese nel 186960, nel marzo 1872 appariva a

cura di Federico Odorici una documentata biografia sulla scorta dell’archivio dello studioso messo a disposizione dalla famiglia61. Volendo attingere a piene mani tra le carte

di Cibrario, Odorici delineava un ritratto del personaggio e del suo tempo in cui la narrazione risultava sbilanciata ora a favore del primo ora a favore del secondo. Così, nel primo capitolo, dedicato agli anni 1802-1848, mentre tratteggiava gli esordi di Cibrario attraverso la lunga lettera autobiografica del 1835 a Defendente Sacchi62, Odorici

non resisteva alla ghiotta tentazione di lanciarsi nell’analisi della figura di Carlo Alberto sulla base dei molti autografi conservati tra le cartelle dello studioso: documenti originali o in copia, a volte top secret, che erano stati nucleo degli scritti sul re “martire”, come i rapporti sulla rivoluzione piemontese del 1821, la vita di Carlo Alberto, inedita, di Giuseppe Mayno del Capriglio, il diario De Gubernatis,

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63 Tutta questa documentazione si trova ora in ASTo, Corte, Archi-vio Cibrario, cartella XII, prima e seconda.

64 F. oDoriCi op. cit., pp. 33-50. 65 Ivi, pp. 51-69. La documenta-zione è prevalentemente conservata in ASTo, Corte, Archivio Cibrario, cartella XV.

66 Ivi, pp. 71-139.

67 Ivi, pp. 141-209. Sulla vicenda dell’acquisizione da parte di Casa Reale dei diari del conte di Casta-gnetto, e che vide il Cibrario ope-rare come “consulente storico”, cfr. PieranGelo Gentile, Carlo Alberto

in un diario segreto. Le memorie di Cesare Trabucco di Castagnetto (1834-1849), Torino-Roma, Comitato di

Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano-Carocci, 2015. 68 leone tettoni, Vita letteraria

del conte Giovanni Antonio Luigi Cibrario, Torino, Botta, 1872. Leone

Tettoni fu l’autore del Teatro

araldi-co in otto volumi edito da Claudio

Wilmant tra il 1840 e il 1853. Per lo stesso editore, nel 1840, aveva pub-blicato un compendio della storia di Lodi. Come risulta dall’elenco dei lavori storici pubblicato nelle prime pagine del lavoro su Cibrario, Tetto-ni fu autore dei primi cinque fascicoli del Libro d’oro della nobiltà italiana (Milano, Borroni e Scotti, 1848), lavoro sospeso in conseguenza «degli avvenimenti politici di quell’anno [1848]», per avere l’autore abban-donata la Lombardia.

69 l. tettoni, op. cit., p. 9. 70 Si veda ora lo studio di bruno GuGlielmotto-raVet, Bibliografia,

scritti biografici e iconografia pubblica di Luigi Cibrario, con alcune lettere inedite, in Luigi Cibrario d’Usseglio,

cit., pp. 79-144.

71 ASTo, Corte, Archivio Cibra-rio, mazzo XIV, fasc. 215, estratto di verbale della seduta n. 5 del consiglio comunale di Torino, 24 novembre 1871.

le lettere del principe di Carignano al maggiordomo Luigi Bianco di Barbania, o le lettere del re a Cesare Trabucco di Castagnetto63; per poi tornare agli esordi della carriera

di Cibrario, attingendo ai carteggi con illustri corrispon-denti come Prospero Balbo, Carlo Botta, Pompeo Litta64

al fine di dimostrare magisteri e relazioni. Lungo spazio era poi dedicato alla missione veneziana del 1848, sulla scorta di processi verbali, relazioni, lettere di Vincenzo Ricci e Giacomo Giovanetti: unico episodio d’azione nella vita di un uomo di “pensiero”65. Il secondo capitolo, degli

anni 1848-1862, toccava più da vicino l’attività politica di Cibrario: senza trascurare la visita di Cibrario all’esule Carlo Alberto, episodio centrale nella carriera dell’uomo e per la celebrazione della dinastia in chiave italiana, era l’occasione per infarcire il racconto di lettere di Vittorio Emanuele, Azeglio, Cavour adottando, come filo condut-tore storiografico la Storia diplomatica di Bianchi e la Storia

del Parlamento di Brofferio66. L’ultimo capitolo, quello dal

1862 al 1870, dava largo spazio ai rapporti tra Cibrario e la Repubblica di San Marino; tra Cibrario e l’ordine mau-riziano; alla vicenda del recupero del diario del conte di Castagnetto (segretario privato di Carlo Alberto) e degli archivi italiani rimasti in mano austriaca dopo il 1866; agli ultimi tempi vissuti tra riconoscimenti e amarezze67.

Un’o-pera del genere, condotta su fonti di prima mano, seppur non immune da farraginosità, era destinata a mettere in ombra il libro che Leone Tettoni68 stava scrivendo

contem-poraneamente grazie alla generosità di Giovanni Marchetti, bibliofilo torinese che aveva messo a disposizione «molti scritti inediti autografi del conte Cibrario e molti opuscoli divenuti oramai introvabili dello stesso autore» conservati «nella stupenda sua biblioteca di libri rari e curiosi»69. Un

lavoro di natura prettamente bibliografica, in cui l’autore cercò di cimentarsi nella difficile ricostruzione del catalogo delle opere del biografato, ricco di centinaia di titoli, il più delle volte dispersi in riviste e miscellanee70.

Nel Pantheon della patria

La “celebrazione” sulla carta andò di pari passo con quella scolpita nel marmo. Così il nome di Cibrario entrò nella cerchia degli “immortali” illustri torinesi già a un anno dalla morte, allorché il consiglio comunale dell’ex capitale decise nella sua seduta del 24 novembre 1871 di intitolare al nome di Cibrario la via che nel borgo di San Donato correva «sul proteso allineamento della via Doragrossa»71;

così come, nella seduta del 12 aprile 1876, ancora Sclopis di Salerano si faceva artefice di un memento allo scompar-so, suggerendo che all’«illustre Cibrario […] troppo noto e troppo caro ai Torinesi» per ricordarne «i di lui meriti

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72 La lapide, oggi illeggibile per il suo cattivo stato di conservazione, si trova in piazza della Repubblica 4. Cfr. anche Memorie di pietra. Le

lapidi e le targhe viarie raccontano la storia di Torino, a cura di Giuseppe

A. Lodi, Torino, Comune di Torino, 1991, p. 81.

73 ASTo, Corte, Archivio Cibra-rio, mazzo XIV, fasc. 215, verbale del consiglio municipale di Usseglio, 6 ottobre 1871.

74 ASTo, Corte, Archivio Cibra-rio, mazzo XIV, fasc. 215, verbale della giunta municipale di Usseglio, 12 agosto 1876. Sui rapporti tra Cibrario e Usseglio, cfr. emanuela

laVezzo, Luigi Cibrario e Usseglio,

tra affetto e incomprensioni, in Luigi Cibrario d’Usseglio, cit., pp. 9-36.

75 Sul busto, cfr., Il Palazzo

dell’U-niversità e le sue collezioni, a cura

di Ada Quazza, Giovanni Romano, Torino, Fondazione CRT, 2004, p. 155. Altro busto si trova presso l’Ac-cademia delle scienze di Torino. Cfr.

Luigi Cibrario d’Usseglio, cit., p. 162.

76 Giovanni Minghelli-Vaini (Modena, 1817 - Parma, 1891). Nella sua carriera ricoprì la carica di pre-fetto a Lecce, Padova, Vercelli, Tori-no, Cagliari e Catania. Fu deputato per la VII e VIII legislatura.

77 Il primo governo Cairoli fu in carica dal 24 marzo 1878 al 19 dicembre 1878.

78 Luigi Ferraris (Sostegno, 1813 - Torino, 1900). Avvocato, fu depu-tato e senatore dal 1871. Due volte ministro (dell’Interno nel 1869 e della Giustizia nel 1891), fu sindaco di Torino dal 1878 al 1882.

79 Ercole Ricotti (Voghera, 1816 - Torino, 1883). Professore di storia moderna all’Università di Torino (1847-1881), suo rettore dal 1862 al 1865, fu senatore dal 1862.

80 Livio Benintendi (Mantova, 1814 - Torino 1896). Possidente, fu consigliere comunale di Torino dal 1861 al 1894 e senatore dal 1862.

81 Antonio Berti (Venezia, 1812 - Venezia, 1879). Medico militare durante l’assedio di Venezia del 1849, venne nominato senatore nel 1876.

82 Michele Lessona (Venaria Rea-le, 1823 - Torino, 1894). Professore di zoologia e anatomia comparata, fu rettore dell’Università di Torino dal 1877 al 1880.

e come studioso della nostra città, e come ministro e col-laboratore di Cavour», fosse innalzata una lapide ricordo sulla casa natale di Torino72.

Anche la “piccola patria” d’origine, Usseglio, fu natural-mente interessata al processo di mitizzazione: dal busto che gli eredi donarono al municipio e che venne collocato nella sala comunale «nella nicchia appositamente fatta allestire», degno ricordo «al compianto […] che a larga mano [aveva sparso] ogni anno benefizi e largizioni su questo popolo […] di questa valle»73; alla delibera della giunta

munici-pale per una lapide da apporre nella chiesa parrocchiale all’interno della cappella del Rosario74.

A otto anni dalla morte, a dieci mesi dalla scomparsa di Vittorio Emanuele II – e a otto da quella di Sclopis –, Luigi Cibrario faceva il suo ingresso nel pantheon risorgi-mentale. Il 10 novembre 1878, alle ore 14, nel loggiato del Palazzo dell’Università di Torino, tra le note dell’inno reale suonate dalla banda dei carabinieri, veniva scoperto il busto dello studioso, opera dello scultore Giuseppe Dini75. Fu

una cerimonia solenne, affollata, a cui parteciparono i figli dell’illustre estinto, il prefetto di Torino Minghelli-Vaini76

in rappresentanza del primo governo Cairoli77, il sindaco

Ferraris78 assieme a molti consiglieri comunali, i senatori

Ricotti79, Benintendi80 e Berti81 – quest’ultimo quale

rap-presentante della città di Venezia –, il rettore dell’ateneo Michele Lessona82, tutti i professori, il generale Cosenz83

comandante del primo corpo d’armata – numerosi studenti, la stampa locale, e «moltissimi altri invitati»84. Nonostante

la presente fosse un’Italia alquanto diversa da quella che Cibrario aveva conosciuto e contribuito a costruire, l’epoca risorgimentale si consustanziava più nelle istituzioni che non nelle autorità partecipi all’evento, quasi di una generazione successiva. In primis era l’università che, sebbene non lo avesse mai annoverato tra i suoi cattedratici, rendeva onore a chi fin dal ’48 aveva fatto parte del Consiglio d’ateneo85

e ne aveva retto le sorti in veste di ministro; poi la città di Torino, che lo ebbe consigliere comunale eletto fin dagli albori delle libertà86; infine il parlamento, attraverso tre

senatori che rievocavano i “tempi” di Cibrario: il tempo dello studio, con il collega Ricotti; il tempo dell’impegno politico, con Benintendi, consuocero di Cibrario, benefi-ciario dello storico memorandum scritto da quest’ultimo dopo i sequestri austriaci del ’53, e Berti, messaggero della Venezia “sabauda”, plaudente al suo eroe. Più defilato il governo che, agli esordi della sinistra storica al potere, rap-presentava una contingenza politica lontanissima da chi era stato magna pars della tradizione cavouriana, sebbene fosse pronto a presentarsi quale vestale di una nuova religione laica, costruita sul mito del Risorgimento. Si susseguirono

(11)

dunque i discorsi. E fu il prefetto a prendere per primo la parola, indirizzando ai presenti un breve messaggio, lieto di trovarsi in quel «Panteon» (il loggiato dell’ateneo), non sorto «per precetto di governanti, ma per virtù di pia e riverente costumanza dei Torinesi verso gli illustri cultori del vero»; il modenese Minghelli-Vaini si era reso conto del processo di sacralizzazione in atto a Torino: il nuovo culto aveva preso la direzione della “statuomania”, con una città che, «accesa fucina dei più robusti impulsi alla libertà e alla produzione nazionale, orna[va] le sue piazze di statue commemoranti gli illustri propugnatori d’ogni civile progresso»87. Ma fulcro della manifestazione fu il discorso

di Costanzo Rinaudo, professore al liceo Gioberti presto fondatore della «Rivista Storica Italiana». La scelta di dare la parola a un giovane trentenne per ricordare le «virtù» di un uomo che apparteneva a una generazione al tramonto rispondeva a una duplice funzione: da un lato perché fosse una voce della nuova generazione, figlia della precedente, a commemorare con affetto e riconoscenza nomi illustri che avevano preparato «la libertà, l’indipendenza e l’unità della patria […] colle virtù dell’animo e dell’intelletto»; dall’altro era la risposta al doloroso «serpeggiare nella fresca gioventù» di un sentimento di ingratitudine e vituperio ver-so i padri; parole che denunciavano la criticità politica del momento, con il governo Cairoli alle prese con internazio-nalisti, repubblicani, irredentisti; mancavano poi solo sette giorni a quell’attentato a Umberto I, opera dell’anarchico Passannante, destinato a “rompere l’incantesimo” di Casa Savoia, secondo l’espressione della giovane, pur essa, regina Margherita. Non poteva suonare che dura la parola d’ordine pronunciata dall’ex garibaldino Benedetto Cairoli appena un mese prima: «l’autorità governativa invigili perché l’or-dine pubblico non sia turbato; sia inesorabile nel reprimere, non arbitraria col prevenire»88. Il compito di Rinaudo era

arduo, perché ai giovani studenti dell’università di Torino, molti dei quali non insensibili ai richiami “rivoluzionari” di una “dannosa” politica attiva89, “nati troppo tardi” per

usare una felice espressione di Balzani90, doveva spiegare

che la riconoscenza la si doveva non solo agli «arditi, che col sacrifizio della vita, o colle torture dell’esilio e del car-cere […] additarono nel martirio la nostra risurrezione»; ma anche a chi «cogli scritti, colle opere, coll’onoratezza della vita e colla temperanza istessa del loro pensare gio-varono assai largamente a diffondere l’idea italiana»: come Manzoni, Capponi, Giusti, Cesare Balbo, Gioberti, Azeglio e… naturalmente, Cibrario, che, diciottenne, aveva cantato «nella nascita di Vittorio Emanuele II la nascente speme d’Italia». Far riferimento alla “famosa” poesia che aveva dischiuso a Cibrario, nel 1820, per la nascita del futuro

83 Enrico Cosenz (Gaeta, 1820 - Roma 1898). Ufficiale espulso dall’e-sercito borbonico, volontario a Vene-zia nel 1848-49, fu con Garibaldi tra i Cacciatori delle Alpi. Già deputato, venne nominato senatore nel 1872.

84 “Gazzetta di Torino”, 11 novembre 1878.

85 ASTo, Corte, Archivio Cibra-rio, mazzo IV, lettera di Tonello a Cibrario, 9 novembre 1848.

86 Ivi, lettera di Giovanni Nigra a Cibrario, 27 dicembre 1848.

87 Inaugurazione del busto al

con-te Luigi Cibrario nella R. Università di Torino, Torino, Botta, 1879, pp.

21-23. Sulla “statuomania” cfr. le considerazioni di Catherine briCe,

Perché studiare (ancora) la monumen-talità pubblica, in La memoria in piaz-za, a cura di Marina Tesoro, Milano,

Effigie, 2012, pp. 11-24.

88 Cfr. FulVio Cammarano, Storia

dell’Italia liberale, Roma-Bari,

Later-za, 2011, pp. 79-87.

89 Valentina Colombi, Una

gio-ventù ribelle? Il radicalismo studen-tesco nell’Italia di fine Ottocento, in

“Historia Universitatis Iassensis”, 3 (2012), pp. 19-44.

90 roberto balzani, Nati troppo

tardi. Illusioni e frustrazioni dei giova-ni del post-risorgimento, in Il mondo giovanile in Italia tra Ottocento e Novecento, a cura di Angelo Varni,

(12)

re d’Italia, le porte di palazzo Carignano e il cuore del giovane principe Carlo Alberto91, era la dimostrazione di

come alla vigilia dei moti del Ventuno, in cui gli studenti torinesi ebbero parte92, si potesse fare un risorgimento

paci-fico ma non per questo meno efficace93. Presero ancora la

parola Costanzo Gonella, antico collaboratore di Cibrario ai ministeri94, e il senatore veneziano Antonio Berti, giusto

per dimostrare ai giovani che qualche azione di coraggio Cibrario nel ’48 l’aveva compiuta, in quella «terra repub-blicana [che] aveva proclamato altamente non esservi altra via per raggiungere il nazionale riscatto che quella segnata dal glorioso vessillo di Casa Savoia»95.

Vi fu ancora qualche coda nella “mitizzazione” di Cibra-rio: nel 1883, con l’inaugurazione della lapide sotto il busto all’università, su testo di Odorici pesantemente rivisto dal consiglio accademico in base alle proposte di Costanzo Rinaudo, Bernardino Peyron, bibliotecario dell’ateneo, e Carlo Augusto Racagni, capo divisione protocollo generale, economia interna e archivi magistrali dell’ordine mauri-ziano96. Nel 1906, addirittura, quando la città di Chieri

decise di intitolare a Luigi Cibrario un corso lungo «la strada con alberata che partendo dal ponte dell’Annunziata adduce[va] alla stazione ferroviaria, […] degno omaggio alla memoria del personaggio insigne fra le cui opere [era] la storia del Comune di Chieri»97. Ma si era ormai lontani

dalla visione conciliatorista del Risorgimento di trent’anni prima, quando Cibrario riscuoteva unanimi simpatie, o dif-ferenti strumentalizzazioni secondo i punti di vista: da Carlo Michele Buscalioni, ex massone, segretario della Società nazionale98, compagno di loggia dell’estinto99, promotore

del monumento torinese; all’«Unità cattolica», che dedicava sì un articolo all’uomo che aveva creato l’italianità di Casa Savoia, ma specialmente allo studioso autore di un bel sag-gio sul santuario della Consolata100. Come aveva sintetizzato

Cesare Cantù, le onoranze ben meritate dal conte Cibrario, mostravano come si potesse essere profeta in patria quando la patria fosse stata «ricca di senno e scarsa d’invidia»101.

Università di Torino

91 Era l’ode composta da Cibrario in occasione della nascita di Vittorio Emanuele il 14 marzo 1820: «… o generoso, o antico Sangue de’ Fili-berti! A te commesso è d’Italia il destin. Qual astro amico domator di procelle ogni popolo t’ammira, - E te primiera delle italiche stelle ram-menta ognun, mentre spendor sì cari augura un dì di cui non fia la sera». 92 Sul mito di questo evento, cfr. PieranGelo Gentile, I moti

studen-teschi del 1821 a Torino: storia, inter-pretazioni, miti, in “Annali di storia

delle università italiane”, 2 (2016), pp. 103-130.

93 Inaugurazione del busto al conte

Luigi Cibrario, cit., pp. 7-18.

94 Il discorso di Gonella non ven-ne pubblicato. Si trova manoscritto in ASTo, Corte, Archivio Cibrario, mazzo XIV, fasc. 213.

95 Inaugurazione del busto al conte

Luigi Cibrario, cit., pp. 28-30.

96 ASTo, Corte, Archivio Cibra-rio, mazzo XIV, fasc. 213.

97 ASTo, Corte, Archivio Cibra-rio, mazzo XIV, fasc. 215, verbale del consiglio comunale di Chieri, 28 giugno 1906.

98 Su Buscalioni (Mondovì, 1824 - Torino, 1885), cfr. la voce di Giu -sePPe monsaGrati, in Dizionario

bio-grafico degli italiani, vol. 15, Roma,

Istituto della Enciclopedia italiana, 1972, pp. 493-495.

99 Su Cibrario aderente alla log-gia “Cavour”, cfr. marCo noVarino,

Luigi Cibrario e la massoneria, in 2a miscellanea di studi sulle valli di Lan-zo, Lanzo T.se, Società storica delle

Valli di Lanzo, 2007, pp. 347-360. 100 “Unità cattolica”, 10 novembre 1878.

101 La lettera di Cantù, inviata in occasione dell’inaugurazione del busto, è pubblicata in “Il Risorgi-mento”, 12 novembre 1878.

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