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Modellizzazione dell'assorbimento minerale del pomodoro coltivato fuori suolo a ciclo chiuso con acque saline

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA - FACOLTÀ DI AGRARIA

Corso di Laurea specialistica in

Scienze della produzione e difesa dei vegetali

MODELLIZZAZIONE DELL’ASSORBIMENTO

MINERALE DEL POMODORO COLTIVATO FUORI

SUOLO A CICLO CHIUSO CON ACQUE SALINE

Candidato: Filippo Rossi (matr. 224598)

Relatori: Prof. Pardossi Alberto; Dott. Luca Incrocci

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INDICE

PREMESSA

1

Capitolo 1 – LE COLTURE FUORI SUOLO

2

1.1 INTRODUZIONE

2

1.2 I SISTEMI IDROPONICI

4

1.3 LA FERTIRRIGAZIONE

8

Capitolo 2 – LA MODELLIZZAZIONE DEL PROCESSO

PRODUTTIVO

14

2.1 INTRODUZIONE

14

2.2 I MODELLI IN ORTOFLORICOLTURA

14

Capitolo 3 – PROVA SPERIMENTALE

21

3.1 OBIETTIVI E APPROCCIO SPERIMENTALE

21

3.2 MATERIALI E METODI

21

3.3 RISULTATI E DISCUSSIONE

28

Capitolo 4 - CONCLUSIONI

60

BIBLIOGRAFIA

61

(3)

PREMESSA

Lo sviluppo di sistemi di coltivazione fuori suolo a ciclo chiuso, rappresenta un importante mezzo per limitare l’impatto ambientale in orticoltura in quanto vengono ridotte le emissioni di sostanze inquinanti ed il consumo idrico. L’adozione di sistemi di coltivazione a ciclo chiuso presenta però maggiori difficoltà gestionali sia per la maggior probabilità di diffusione di agenti patogeni che per la necessità di una attenta conduzione della fertirrigazione, resa ancor più difficoltosa se l’acqua irrigua è di scarsa qualità (per la presenza di elementi scarsamente assorbiti dalla coltura, come NaCl, che tendono ad accumularsi nella soluzione nutritiva ricircolante).

Di particolare utilità risulta quindi l’impiego di modelli matematici in grado di simulare l’andamento dei consumi idrici e minerali e l’accumulo di sali nella soluzione ricircolante. L’applicazione di tali modelli nella gestione della nutrizione minerale e dell’irrigazione permette infatti di ridurre il ricorso a frequenti analisi di laboratorio della soluzione nutritiva ricircolante o all’impiego di costosi dispositivi (sensori iono-specifici).

Negli ultimi sette anni presso il Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie dell’Università di Pisa, nell’ambito di un progetto di ricerca europeo (Hortimed – Sustenaible Water Use in Protected Mediterranean Horticulture) e di due progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin) sull’ottimizzazione e la gestione delle colture fuori suolo, sono stati sviluppati, calibrati e validati dei semplici modelli di tipo empirico per la stima dei consumi idrici e minerali di colture ortive allevate con la tecnica del fuori suolo a ciclo chiuso.

Con il presente lavoro, si è voluto verificare se i modelli in precedenza sviluppati fossero ancora validi nei parametri e nella struttura logica, anche in condizioni di elevato stress salino. In particolare la prova sperimentale ha previsto il confronto tra quattro diverse tesi che si differenziavano per la diversa concentrazione di NaCl nell’acqua irrigua impiegata per la preparazione della soluzione nutritiva al fine di evidenziare gli effetti che tale sale ha sia sulla crescita e sulla produzione della coltura che sull’assorbimento degli elementi nutritivi e del sodio e sull’assorbimento idrico.

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Capitolo 1 – LE COLTURE FUORI SUOLO

1.1 INTRODUZIONE

Le colture fuori suolo (dette anche colture senza suolo) sono sistemi di coltivazione che non prevedono l’impiego del terreno agrario. L’apparato radicale delle piante è immerso in un mezzo liquido (colture idroponiche propriamente dette) oppure si sviluppa in un substrato artificiale (colture su substrato).

I primi esempi di coltura fuori suolo risalgono agli egiziani, i quali sperimentarono la crescita delle piante in acqua. Anche altre civiltà quali i Babilonesi, con i giardini pensili e gli Aztechi, con zattere galleggianti, possono essere annoverati come prime applicazioni di colture fuori suolo. Un ulteriore esempio è quello dei Cinesi che realizzavano zattere mediante canne, giunchi o bambù sui quali poi disponevano uno strato di terreno.

Il primo ad evidenziare l’importanza dei sali minerali nella nutrizione delle piante fu Justus von Liebig (1803-73, anche se i veri fondatori dell’acquacoltura furono Sachs (1860) e Knop (1861). Questi ultimi, infatti, dimostrarono che aggiungendo sali minerali quali azoto, fosforo, potassio, zolfo, calcio e magnesio all’acqua si poteva ottenere un normale sviluppo della pianta. In seguito, anche altri ricercatori svilupparono soluzioni nutritive per la crescita delle piante in acqua.

La prima applicazione della coltura fuori suolo su scala commerciale fu quella di W. F. Gericke, condotta nel periodo compreso tra le due guerre mondiali come alternativa alla coltivazione a terra in serra, per sopperire ai problemi di stanchezza del terreno che questo ultimo sistema presentava (Jensen, 1997). La coltura fuori suolo suscitò un grandissimo interesse e questo indusse i professori dell’università della California, Hoagland e Arnon, nel 1938, a scrivere la circolare “ The Water-Culture Method for Growing Plants without

Soil “ nella quale venivano riportate le informazioni necessarie alla realizzazione della

soluzione nutritiva. Essi inoltre raccomandavano che tale tecnica rimanesse a livello sperimentale in quanto, secondo loro, non era adatta ad una applicazione su larga scala sia per gli elevati costi di impianto, sia per i possibili fenomeni di ipossia.

Le prime applicazioni di colture fuori suolo su substrato vennero sviluppate nella Stazione Sperimentale per l’Agricoltura del New Jersey. La necessità di impiegare un substrato per la crescita delle colture era dovuta ai fenomeni di ipossia radicale che si verificavano nelle colture prive di substrato (Shive e Robbins, 1937). Nonostante la maggior affidabilità della

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tecnica condotta su substrato, la coltura fuori suolo non si diffuse a causa sia degli elevati costi per la realizzazione dei bancali in cemento, che della rapida corrosione dei componenti in ferro e zinco da parte delle soluzioni acide con conseguente sviluppo di fenomeni di fitotossicità.

Negli anni ’60 l’introduzione della plastica permise la semplificazione di alcuni aspetti costruttivi e ciò creò nuovo interesse verso le colture fuori suolo. Negli anni ’60-’70 nuovi impianti idroponici furono realizzati nei deserti della California, Arizona, Abu Dabhi dove la mancanza di terreno fertile e l’elevata radiazione solare favorivano l’applicazione di tale sistema.

In Europa, i primi impianti idroponici furono realizzati nel 1963, ma solo negli anni ’70 questa tecnica colturale assunse una reale importanza a livello commerciale. La diffusione su larga scala di questo sistema di coltivazione è stata permessa dall’impiego di nuovi substrati di natura organica e di substrati artificiali o naturali, quali lana di roccia, perlite, pomice, lapillo, che presentavano caratteristiche fisico-chimiche migliori rispetto alla sabbia ed alla ghiaia.

Le colture fuori suolo nel 2000 avevano un’estensione, a livello mondiale, di 22000 Ha, di cui oltre la metà concentrata in Europa. Tra i paesi europei quelli ad aver sviluppato maggiormente questo sistema di coltivazione sono quelli settentrionali (dove il 20-50% delle coltivazioni protette è fuori suolo), mentre nei paesi del Bacino del Mediterraneo la diffusione è stata minore.

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In Italia la coltivazione fuori suolo ha avuto un certo sviluppo a partire dagli anni ‘90, senza però raggiungere una elevata diffusione; nel 2000 le colture fuori suolo si estendevano su circa 700-800 Ha, il 3% delle colture protette. Di tale superficie circa il 90% era utilizzato per la produzione di fragola (150 Ha), pomodoro (200 Ha), gerbera (80-100 Ha) e rosa (180-200 Ha). Oggi si stima che la superficie interessata dalle colture fuori suolo sia circa 1500 Ha. I sistemi di coltivazione fuori suolo principalmente utilizzati sono quelli che prevedono l’impiego di substrati (quali torba, perlite, lana di roccia, pomice, lapillo e fibra di cocco).

I maggiori vincoli alla produzione agricola (soglie massime di nitrati negli ortaggi da foglia, limitazioni per l’impiego di fertilizzanti e pesticidi) e la richiesta di prodotti alimentari con maggiori caratteristiche igienico-sanitarie da parte del consumatore, lascia intuire che nel prossimo futuro le colture fuori suolo potrebbero avere un maggiore sviluppo.

1.2 I SISTEMI IDROPONICI

L’intensa attività di ricerca e sperimentazione riguardante le colture fuori suolo ha portato alla realizzazione di numerosi sistemi colturali che si diversificano per i volumi e le modalità degli apporti idrici, la gestione della nutrizione, la presenza o meno di un substrato ed infine i costi.

Le colture fuori suolo possono essere distinte in due gruppi: le colture idroponiche, che non prevedono l’impiego di alcun substrato, e le colture su substrato artificiale nelle quali invece vengono utilizzati substrati di origine organica od inorganica. I principali sistemi di coltivazione fuori suolo, appartenenti ai due gruppi sono riportati nella tabella 1.1.

Tabella 1.1 Principali sistemi di coltivazione fuori suolo

Colture idroponiche Colture su substrato

Mezzo liquido statico (Deep Water culture) In bancali con sabbia o ghiaia

Idroponica galleggiante (Floating system) In canaletta

Aeroponica In vaso o cassetta

Film di soluzione nutritiva (Nutrient Film technique)

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Un ulteriore suddivisione delle colture idroponiche può essere fatta in funzione del recupero o meno della soluzione nutritiva drenata. Si parla di sistemi aperti quando la soluzione non viene recuperata e di sistemi chiusi quando la soluzione nutritiva drenata viene raccolta, reintegrata e somministrata nuovamente alla coltura. Rispetto ai sistemi aperti i sistemi chiusi hanno un minor impatto ambientale in quanto permettono la riduzione dei volumi d’acqua e dei fertilizzanti necessari alla coltura. Essi però presentano una maggiore difficoltà nella gestione della soluzione ricircolante ed un maggior pericolo di diffusione degli agenti di malattie del colletto e delle radici.

Le colture fuori suolo, rispetto agli altri metodi di coltivazione, presentano vantaggi quali migliori possibilità di controllo delle condizioni fitosanitarie, maggiore efficienza nell’uso dell’acqua, risorsa sempre più importante a causa della crescente richiesta per usi industriali e civili, e dei fertilizzanti. Vi sono però anche svantaggi dovuti agli alti costi d’impianto, alla necessità di smaltire i substrati utilizzati, le soluzioni nutritive drenate e i materiali plastici ed infine alla necessità di personale tecnico specializzato.

Di seguito sono brevemente descritti i principali sistemi idroponici impiegati per la coltivazione di specie ortofloricole in serra.

Deep Water Culture

Questa tecnica di coltivazione, ideata da Gericke (1929), prevede l’impiego di vasche contenenti la soluzione nutritiva, sulle quali è posta una rete a maglie fini ricoperta da un telo su cui viene posto uno strato di sabbia di circa un centimetro. Su questo sono trapiantate le giovani piantine.

Il sistema però può facilmente dare origine a condizioni di ipossia radicale dovuta alla limitata superficie di scambio aria-acqua rispetto al volume della soluzione e del basso coefficiente di diffusione dell’ossigeno nell’acqua. Questo inconveniente può essere risolto mediante compressori capaci di generare un’aerazione forzata della soluzione nutritiva oppure tramite sistemi di ricircolo della stessa (Deep Recirculating Culture).

Floating System

E’ un sistema ideato dal Prof. Franco Massantini (Università di Pisa) nel 1976 per la coltivazione di lattuga, cardo e fragola e in seguito ripreso da Jensen (Università dell’Arizona) (1982). Il floating system differisce dal Deep water culture per l’impiego di

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pannelli galleggianti di polistirolo o di altro materiale plastico “ultraleggero” in sostituzione dello strato rete-telo-sabbia su cui venivano trapiantate le piantine. Nel floating system, infatti, tali pannelli, che presentano fessurazioni tronco-coniche nelle quali vengono seminate o trapiantate le piante, vengono posti nelle vasche contenenti un elevato

volume di soluzione nutritiva (circa 150-200 litri per m2), che garantisce un alto potere

tampone. Il sistema inoltre presenta un’elevata semplicità costruttiva, legata alla limitata presenza di dispositivi automatici di controllo e correzione della soluzione, che limita i costi d’impianto e gestione (Enzo et al., 2001). Anche in questo caso devono essere impiegati sistemi per l’ossigenazione della soluzione nutritiva.

In Italia il floating system ha avuto una notevole diffusione per la produzione di specie a ciclo breve quali insalate da taglio, rucola, valerianella ed erbe aromatiche come il basilico, la menta ed il timo in quanto permette di aumentare la velocità di sviluppo della coltura, in particolare nelle prime fasi del ciclo, riducendo di conseguenza i tempi di coltivazione (Incrocci et al., 2001).

Coltivazione di basilico in Floating System (a sinistra) e di pomodoro in NFT (a destra).

Aeroponica

Il sistema prevede la disposizione delle piante su pannelli in materiale plastico o in polistirolo disposti orizzontalmente o su piani inclinati in modo tale che le radici siano sospese e continuamente nebulizzate affinché rimangano costantemente umide. L’apparato radicale ha una buona ossigenazione e non presenta fenomeni di ipossia; esso risulta però più esposto a stress termici (Enzo et al., 2001). Gli elevati costi di impianto hanno limitato

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Nutrient Film Technique (NFT)

Il sistema NFT è stato messo a punto da Cooper nel 1972 in Inghilterra; ha riscontrato iniziale interesse nei Paesi del centro-nord Europa (Belgio, Danimarca e Germania) per poi subire una contrazione in seguito allo sviluppo dei sistemi di coltivazione su substrato. L’NFT prevede la coltivazione delle piante in canalette poste in leggera pendenza (1.5-2.5%) nelle quali scorre un sottile film di soluzione nutritiva. I principali vantaggi del sistema sono il ricircolo della soluzione nutritiva e l’assenza del substrato, che permettono una riduzione dell’impatto ambientale grazie al risparmio di acqua e nutrienti ed il mancato acquisto del substrato. L’assenza di questo però è anche la causa degli aspetti negativi legati al sistema. Esso infatti è privo di un volano chimico-fisico (Enzo et al., 2001).

Le piante presentano un abbondante sviluppo dell’apparato radicale che in colture a ciclo lungo aumenta i rischi di ipossia radicale, di inquinamento organico della soluzione nutritiva (dovuta agli escreti radicali) e di proliferazione di organismi patogeni responsabili di malattie radicali.

Colture con substrato

Le colture fuori suolo su substrato sono quelle che hanno trovato maggior consenso in quanto la loro gestione risulta più semplice. Le prime coltivazioni sono state realizzate su bancali di cemento riempiti con sabbia o ghiaia. Successivamente, sono state impiegate canalette in polipropilene, che avevano minori costi rispetto alla realizzazione di bancali in cemento, cassette o grossi vasi ed infine sacchi o profilati in polistirolo che hanno permesso la riduzione del volume di substrato utilizzato e quindi dei costi.

I substrati impiegati possono essere suddivisi in fibrosi e granulari. I substrati fibrosi a loro volta possono essere di natura organica (torba, paglia, fibra di cocco, ecc.) oppure inorganica (lana di roccia, ecc.). Essi hanno un’elevata capacità di ritenzione idrica (60-80%) ed una modesta porosità libera; inoltre un’elevata percentuale dell’acqua trattenuta risulta facilmente disponibile per le piante e questo permette di ridurre i volumi di substrato per pianta. I substrati fibrosi non mostrano evidenti gradienti idrici e di salinità lungo il profilo; di conseguenza le radici tendono ad accrescersi rapidamente occupando l’intero volume del mezzo di coltura. I substrati granulari, principalmente costituiti da sostanze inorganiche (sabbia, lapilli, perlite, argilla espansa, ecc.), hanno tessiture diverse ed elevata porosità libera. Essi hanno scarsa ritenzione idrica (10-40%) e buona parte dell’acqua trattenuta non è facilmente disponibile per la pianta. Ciò impone l’utilizzo di un maggior volume di substrato rispetto a quelli fibrosi. Nei substrati granulari inoltre è facile

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il verificarsi di un gradiente di umidità e salinità; ciò porta le radici a svilupparsi principalmente sul fondo del contenitore, zona nella quale si ha una maggiore umidità ed una minore salinità (Enzo et al., 2001).

Flusso e riflusso (Subirrigazione)

Questa tecnica prevede la coltivazione delle piante in contenitori, che vengono posizionati su bancali con fondo e pareti impermeabili oppure direttamente in vasche che interessano l’intera serra (che fungono da pavimento). L’irrigazione avviene mediante periodiche inondazioni (flusso) con soluzione nutritiva del bancale o della vasca. I contenitori usati per la coltivazione devono presentare aperture per permettere l’ingresso della soluzione nella parte basale dello stesso (la soluzione distribuita va a costituire uno strato di circa 2-4 cm). Nel substrato di coltura si ha un movimento ascendente della soluzione nutritiva dovuto alla risalita capillare e all’evaporazione sulla parte alta del vaso. Questo movimento causa l’accumulo di ioni non essenziali, eventualmente presenti nell’acqua irrigua, nello strato superiore del mezzo di coltura (Incrocci et al., 2006). La soluzione distribuita, dopo un certo intervallo di tempo, viene fatta defluire (riflusso) e raccolta per poter essere riutilizzata.

Il sistema riduce il pericolo di propagare malattie fungine mediante il riutilizzo della soluzione, semplifica le modalità d’irrigazione e permette la coltivazione di specie diverse o con elevate densità.

1.3 LA FERTIRRIGAZIONE

La crescita e lo sviluppo delle colture, sia in pieno campo che in serra, necessita della presenza di elementi chimici che vengono utilizzati per la formazione delle molecole biologiche e permettono il metabolismo vegetale.

Gli elementi di cui la pianta necessita possono essere distinti in macro e microelementi, in funzione delle quantità con cui vengono assorbiti. Al primo gruppo appartengono N, P, K, S, Mg, mentre al secondo appartengono Cu, Fe, Mn, Ni e Zn. Mentre nei sistemi di coltivazione che prevedono l’impiego del terreno questi elementi sono presenti in quest’ultimo, naturalmente o perché apportati mediante le concimazioni, nelle colture fuori suolo essi sono apportati tramite la soluzione nutritiva.

Nel terreno questi ioni possono muoversi secondo i meccanismi di intercettazione, flusso di massa e diffusione. Si parla di intercettazione quando le radici delle piante, mediante il

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loro sviluppo, raggiungono la soluzione circolante nella quale sono presenti gli elementi nutritivi. Con il flusso di massa invece gli ioni giungono alle radici trasportati dal movimento dell’acqua, che si ha tra le zone a maggior potenziale idrico e le zone a minor potenziale idrico (a ridosso delle radici). La diffusione infine consiste nel movimento degli ioni da zone dove sono presenti a concentrazioni maggiori a zone dove sono in concentrazioni minori (a causa dell’assorbimento radicale).

Nelle colture fuori suolo il movimento degli ioni verso le radici delle piante avviene essenzialmente per intercettazione e per flusso di massa. Vi sono, comunque, differenze tra i vari sistemi di coltivazione fuori suolo, e in particolare tra sistemi con e senza substrato. I sistemi senza substrato presentano, infatti, un maggior rinnovo della soluzione nutritiva a ridosso delle radici rispetto ai sistemi con substrato, e questo facilita l’assorbimento minerale.

Come accennato in precedenza, nelle coltivazioni fuori suolo tutti gli elementi minerali necessari per lo sviluppo della pianta sono somministrati attraverso la soluzione nutritiva nelle adeguate quantità e nel giusto rapporto.

La soluzione nutritiva, definita anche ricetta nutritiva, consiste in una soluzione acquosa di sali minerali, tale da avere una precisa concentrazione di elementi nutritivi ed un determinato pH. Nella generalità dei casi la soluzione nutritiva presenta valori di conducibilità elettrica compresi tra 1.5 e 3.5 mS/cm, mentre il pH deve essere compreso tra 5.5 e 6 in quanto valori troppo bassi (inferiori a 4) causerebbero ustioni alle radici, fenomeni di tossicità di Fe e Mn e carenza di Ca, Mg e P mentre valori superiori a 7 provocherebbero carenza di P, Fe e microelementi.

Le piante hanno una notevole capacità di selezionare gli ioni da assorbire, in rapporti adeguati alle proprie esigenze. Non è quindi necessario avere ricette nutritive specie-specifiche; una stessa soluzione nutritiva può essere utilizzata per la coltivazione di specie diverse e una stessa specie può dare risultati produttivi analoghi anche se coltivata con soluzioni nutritive diverse.

L’assorbimento idrico e quello minerale sono due processi separati. Mentre il primo è essenzialmente un processo fisico, dovuto alla differenza di potenziale idrico tra la zona radicale e la parte aerea delle piante (dovuto alla traspirazione fogliare), l’assorbimento minerale varia con il tasso di crescita della coltura (Marschner, 1995). Maggiore è il tasso di crescita, e quindi la produzione di sostanza secca, maggiori sono le esigenze nutritive e

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più facilmente possono verificarsi squilibri nutrizionali, condizione che obbliga ad una maggiore frequenza di reintegro o rinnovo della soluzione.

Per una corretta gestione della nutrizione minerale della coltura è quindi necessaria la conoscenza delle quantità di nutrienti che devono essere somministrate nelle diverse fasi di sviluppo in funzione delle condizioni colturali ed ambientali.

La ricetta ideale dovrebbe avere una composizione molto simile alle concentrazioni di assorbimento (il rapporto tra la quantità di elemento assorbito e la quantità di acqua assorbita nell’unità di tempo) in quanto ciò permetterebbe di somministrare alla coltura soltanto quello di cui ha bisogno e quindi evitare sprechi di nutrienti e di acqua, riducendo l’impatto ambientale. Tale condizione è però difficilmente raggiungibile sia perché la concentrazione di assorbimento varia in funzione delle condizioni climatiche e dello stadio di sviluppo della coltura (Schacht & Schenk, 1990; Voogt, 1993), sia perché alcuni ioni (Ca2+, Mg2+, Fe2+, SO

42-) sono assorbiti con difficoltà e necessitano di concentrazioni nella

soluzione nutritiva superiori a quelle di assorbimento.

Nel definire la ricetta nutritiva si deve inoltre porre attenzione oltre che all’ottimizzazione della produzione anche agli aspetti qualitativi di quest’ultima. Spesso, infatti, le concentrazioni nutritive che favoriscono aumenti della produzione provocano anche peggioramenti qualitativi. Per esempio, su pomodoro, alti livelli di potassio migliorano caratteristiche del frutto quali il colore, durata post-raccolta ed il sapore, ma contemporaneamente determinano una riduzione del calcio in soluzione con maggiore incidenza del marciume apicale (Voogt, 1988; Nukuya et al., 1995). Sempre su pomodoro, se da un lato alte concentrazioni di P stimolano l’assorbimento ed il trasporto del Ca verso i frutti, riducendo il rischio di marciume apicale, dall’altro possono favorire la formazione di punteggiature dorate sui frutti, compromettendone l’aspetto (Voogt & Sonneveld, 1988; De Kreij, 1996).

Come riportato nella tabella 1.2 si possono individuare sostanzialmente tre tipi di ricette nutritive, che si differenziano principalmente per le concentrazioni di N e K: la ricetta per gli ortaggi da frutto, quella per gli ortaggi da foglia e quella per le piante da fiore.

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Tabella 1.2. Concentrazione (mg/l) di macroelementi in soluzioni nutritive Specie N-NO3- N-NH4+ P K Ca Mg S Tasso di crescita g (s.secca)/pianta*giorno Ort. da frutto 210 14 36 280 160 40 60 4-10 Ort. da foglia 280 28 60 430 180 25 50 0.5-1.5 Piante da fiore 140 14 40 215 120 25 50 0.5-0.9

Gestione della soluzione nutritiva

Nei sistemi a ciclo aperto le piante sono alimentate esclusivamente con soluzione nutritiva fresca, cioè appena preparata. La soluzione nutritiva viene somministrata in eccesso rispetto alle reali esigenze, sia per garantirne una omogenea distribuzione che per evitare accumulo di sali, con elevato spreco di acqua ed elementi nutritivi e ripercussioni a livello ambientale. Questo eccesso di soluzione nutritiva può dare origine anche a fenomeni di consumo di lusso di nutrienti da parte delle piante e indurre squilibri di crescita e peggioramento qualitativo della produzione. La gestione, in questo caso, consiste nel pilotare adeguatamente gli interventi irrigui in modo tale da assicurare un ottimale rifornimento idrico pur mantenendo basso il volume della soluzione drenata.

Nei sistemi a ciclo chiuso il riutilizzo della soluzione ricircolante impone adeguate procedure di controllo e reintegrazione della stessa, al fine di assicurare un ottimale rifornimento idrico e nutritivo. Risulta quindi necessario controllare fattori quali il pH e la concentrazione dei vari elementi.

La gestione della soluzione nutritiva nei sistemi chiusi è basata sulla somministrazione di quantità ottimali di elementi nutritivi ed il mantenimento di adeguati livelli di concentrazione mediante un meccanismo a feed-back. E’ quindi necessario stabilire il tasso di assorbimento minerale da parte delle piante tramite la variazione della concentrazione nutritiva. Ciò può essere fatto sulla base dei valori di pH e conducibilità elettrica (EC) oppure mediante sistemi con sensori iono-specifici, limitando così il più possibile il ricorso alle analisi di laboratorio. Entrambi i sistemi, permettono di automatizzare il processo di reintegro della soluzione nutritiva.

I sistemi in cui la stima della concentrazione degli elementi nutritivi viene fatta attraverso il monitoraggio della EC hanno avuto una maggiore diffusione commerciale. Il valore della EC dopo poco tempo dalla preparazione della soluzione nutritiva però, non permette di

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avere informazioni precise sulla concentrazione degli elementi nutritivi nella soluzione stessa.

La EC è infatti correlata alla quantità totale di anioni e cationi in soluzione e quindi dalla sua misura, rapida ed economica, è possibile stimare la quantità totale di sali presenti nella soluzione.

Quando però nell’acqua impiegata per la preparazione della soluzione sono presenti ioni

scarsamente assorbiti dalla pianta, come ad esempio Na+, Cl- e SO42-, essi tendono ad

accumularsi nella soluzione ricircolante e compensano, in termini di EC, la diminuzione del contenuto di nutrienti. Anche i microelementi contenuti nella soluzione, influenzando poco il valore della EC, rappresentano un fattore importante nella gestione della soluzione. Alte concentrazioni di Mn, B, Cu, e Zn nella zona radicale, possono favorire un loro maggiore assorbimento e accumulo nei tessuti vegetali (Sonneveld et al., 1984) con possibili fenomeni di fitotossicità. Alte concentrazioni di Zn e Cu possono causare carenze di ferro.

Per reintegrazione della soluzione nutritiva si intende il reintegro del volume di evapotraspirazione. Ciò può essere fatto con varie modalità. Tuttavia due sono le procedure normalmente utilizzate:

a) reintegro con acqua pura (EC costante). In questo caso il reintegro avviene con acqua pura e successivamente in base alla EC della soluzione si aggiungono nutrienti fino al raggiungimento di una EC set-point impostata. In questo caso con acque ricche di elementi non essenziali si rischia un progressivo impoverimento di nutrienti nella soluzione nutritiva.

b) reintegro con soluzione nutritiva (EC variabile). In questo caso l’acqua evapotraspirata viene compensata con soluzione nutritiva. Questa procedura, maggiormente adatta in presenza di acque saline, permette di mantenere una concentrazione di nutrienti costante, ma con un aumento progressivo della salinità a causa dell’accumulo di ioni non essenziali. In entrambi i casi occorre un sistema di periodico della concentrazione di elementi nutritivi per poter decidere quando eventualmente sostituire la soluzione o reintegrarla.

Detto controllo può essere fatto anche attraverso metodi rapidi di analisi come sensori iono-specifici o kit di analisi rapida, in grado di determinare le concentrazioni dei singoli ioni. I primi hanno avuto scarsa diffusione, sia per gli elevati costi sia per i problemi tecnici dei sensori stessi.

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Capitolo 2 – LA MODELLIZZAZIONE DEL PROCESSO

PRODUTTIVO

2.1 INTRODUZIONE

Un modello è la rappresentazione semplificata di un sistema, intendendo come sistema una parte del mondo reale (De Wit, 1982). Un modello deve essere in grado di fornire una completa descrizione quantitativa del sistema, delle relazioni tra questo e l’ambiente

circostante e spiegarne i meccanismi fondamentali.La costruzione di un modello consiste

nell’individuazione di una serie di equazioni matematiche in grado di riprodurre nel modo più fedele possibile il comportamento del sistema.

I modelli possono essere distinti in empirici e meccanicistici. I primi, definiti anche descrittivi, non prendono in considerazione i meccanismi del sistema e sono caratterizzati dall’utilizzare pochi parametri, facilmente stimabili. I modelli empirici sono in grado di predire il comportamento di un dato sistema con elevata precisione, ma non possono essere impiegati per l’analisi di sistemi diversi da quelli per i quali sono stati costruiti (piante di altre specie, ambienti colturali diversi, ecc.). I modelli meccanicistici o esplicativi si fondano sulla descrizione quantitativa dei meccanismi che regolano il sistema; essi sono costituiti da sottomodelli, ciascuno dei quali descrive un determinato meccanismo. I modelli meccanicistici permettono la verifica di ipotesi sperimentali e/o la sintesi di conoscenze al fine di comprendere meglio il sistema.

Tutti i modelli, empirici o meccanicistici, possono essere classificati in:

o modelli dinamici: descrivono i cambiamenti del sistema in funzione del tempo;

o modelli statici: descrivono sistemi che non cambiano nel tempo;

o modelli deterministici: assegnano un solo valore ad ogni varabile del sistema;

o modelli stocastici: assegnano una distribuzione di valori ad ogni variabile del sistema.

2.2 I MODELLI IN ORTOFLORICOLTURA

Un significativo sviluppo della modellizzazione in orticoltura e floricoltura si è verificato negli anni ’80 (Gary et al., 1998), in particolar modo nei paesi in cui la serricoltura aveva importanza economica e l’impiego di modelli per altre colture si era già sviluppato, quali

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Olanda, Inghilterra, Francia, Israele, USA, Germania, Canada e successivamente anche in Portogallo, Spagna, Grecia e Italia.

Se da un lato i modelli rappresentano un importante strumento per aumentare l’efficienza degli esperimenti, testare ipotesi, sintetizzare conoscenze, meglio descrivere e comprendere un sistema, dall’altro sono un valido aiuto per i produttori in quanto possono fornire informazioni utili alla gestione della coltura. Essi possono essere utilizzati in sistemi di supporto decisionali (DSS), strumenti che consentono di migliorare i processi decisionali e gestionali di sistemi complessi. I DSS forniscono risposte in funzione delle quali sarà presa una decisione.

Tre livelli decisionali possono essere individuati in funzione della scala temporale: decisioni a livello strategico (uno o più anni), a livello tattico e operativo (giorni). A livello strategico i modelli possono indirizzare gli investimenti di lungo periodo; a livello tattico possono fornire informazioni riguardanti la scelta della specie da coltivare, il sistema di coltivazione, la produzione potenziale, la data di semina, il consumo idrico e nutritivo, ecc., prima di avviare un nuovo ciclo colturale; a livello operativo infine aiutano nel controllare la climatizzazione della serra, l’irrigazione e la fertilizzazione (Lentz, 1998). I modelli possono essere suddivisi anche in funzione della loro complessità. Si possono distinguere modelli su piccola scala, costruiti sulla base di una o due equazioni, in grado ad esempio di simulare il cambiamento nel tempo di una certa caratteristica della coltura. Questo tipo di modelli viene anche indicato con il termine “graphical tracking” in quanto consistono in un grafico. Un esempio è il modello che definisce l’epoca di fioritura del giglio pasquale (Lilium longiflorum) in funzione della lunghezza delle gemme fiorali e della temperatura esterna (Fisher et al., 1996). Vi sono poi i modelli su scala media, costruiti su più equazioni come ad esempio software in grado di simulare l’altezza delle piante e lo sviluppo delle colture in funzione della temperatura all’interno della serra (Lieth & Li, 1998) ed infine modelli su larga scala, quali software costituiti da più modelli ed in grado di fornire informazioni riguardanti più colture.

In particolare nei prossimi paragrafi si parlerà più diffusamente della stima dell’evapotraspirazione e degli assorbimenti minerali nelle colture ortive.

Modelli dell’evapotraspirazione

La stima dell’evapotraspirazione, cioè la perdita di acqua per evaporazione dal suolo o dal substrato e per traspirazione dalle foglie, permette di conoscere i fabbisogni della coltura e di conseguenza di adottare un adeguato metodo irriguo. Nelle coltivazioni condotte in

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serra, dove le perdite per evaporazione spesso sono trascurabili in quanto vengono utilizzate la pacciamatura e le colture fuori suolo, l’evapotraspirazione dipende dalla radiazione globale, dalla temperatura e dall’umidità dell’aria, dalla superficie fogliare e dalla velocità del vento (Stanghellini, 1987). L’evapotraspirazione può quindi essere stimata in funzione della radiazione globale, dell’energia impiegata per riscaldare la serra e dello stadio di sviluppo della coltura. I dati provenienti da questa stima, insieme ad un’analisi della quantità d’acqua drenata, offre buone possibilità di costruire un sistema automatico di controllo dell’irrigazione (Sonneveld, 2000).

Per la stima dell’evapotraspirazione delle colture protette sono stati sviluppati numerosi modelli che si differenziano per la complessità. Sin dagli anni ’70 sono stati sviluppati modelli nei quali l’evapotraspirazione era stimata sulla base di una relazione lineare funzione della radiazione globale (Morris et al., 1957; de Villèle, 1974). Questi modelli, che calcolano l’evapotraspirazione sulla base della radiazione globale e della stima di alcuni coefficienti specifici del sistema colturale in esame, trovano applicazione per la gestione dell’irrigazione di varie colture, in particolar modo su scala giornaliera o settimanale. Essi sono però limitati dal poter essere applicati soltanto in condizioni analoghe a quelle per le quali sono stati costruiti (Jemaa et al., 1995).

Modelli più complessi sono stati costruiti sulla base della formula di Penman-Monteith, considerata ancor oggi il punto di riferimento per la stima dell’evapotraspirazione (Allen et

al., 1998). Tale formula, inizialmente sviluppata per stimare l’evaporazione da una

superficie libera in funzione della radiazione, della temperatura e dell’umidità dell’aria e della velocità del vento, ed in seguito estesa a superfici coltivate mediante l’introduzione di fattori di resistenza, richiede la conoscenza di numerosi parametri non facilmente quantificabili. Questo ha spinto molti autori (Okuya & Okuya, 1988; Jolliet & Bailey, 1992) ad utilizzare forme semplificate della formula di Penman-Monteith. Baille et al. (1994) ad esempio, ha ottenuto la seguente forma semplificata della formula di Penman-Monteith:

E = A ( 1 – exp-kLAI ) * RG + B (VPD * LAI)

dove E è l’evapotraspirazione (mm ora-1), RG è la radiazione oraria all’interno della serra

(MJ m-2 ora-1), A (mm m2 MJ-1) e B (mm ora-1) sono i parametri della regressione, LAI è l’indice di area fogliare e k è il coefficiente di estinzione della radiazione (adimensionale). Una semplificazione di detto modello per la stima della traspirazione di una coltura, su base giornaliera anziché oraria, è quello proposto da Carmassi et al. (2007),

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semplificazione del modello di Baille et al. (1994) in cui la stima dell’evapotraspirazione è funzione dello sviluppo dell’area fogliare (LAI) e della radiazione intercettata dalla coltura:

E = A * ( 1 – exp-kLAI ) * RG + B

Modelli di assorbimento minerale

La gestione della fertirrigazione, sia per quanto riguarda il regime idrico (volumi e frequenze dell’irrigazione) che nutrizionale (concentrazione degli elementi nella soluzione), rappresenta una parte fondamentale nella conduzione della coltura. Un’oculata gestione della nutrizione minerale della coltura è necessaria sia per soddisfare le esigenze della pianta, sai per ridurre al minimo lo spreco di fertilizzanti dovuto allo smaltimento delle soluzioni esauste. Questo ha favorito gli studi riguardanti l’assorbimento e l’assimilazione dei nutrienti da parte delle piante e lo sviluppo di modelli in grado di stimare i fabbisogni nutritivi.

La stima dei fabbisogni nutritivi è stata fatta secondo due approcci diversi (Le Bot et al., 1998). L’approccio meccanicistico considera l’assorbimento dei nutrienti da parte della pianta come una successione di diverse tappe. L’elemento nutritivo deve inizialmente entrare nella radice, per poi essere assimilato e trasportato nelle varie parti della pianta dove sarà metabolizzato. L’integrazione dei vari stadi permetterà un’adeguata simulazione dell’assorbimento della pianta. I modelli meccanicistici prendono in considerazione intervalli temporali ristretti (vi sono in ogni modo eccezioni quali modelli meccanicistici sviluppati su intervalli temporali lunghi) e lo studio dei meccanismi a livello cellulare e molecolare (Le Bot et al., 1998).

L’approccio empirico prende in considerazione i fattori “ultimi” che governano le relazioni tra assorbimento minerale e domanda della pianta durante la crescita. I fabbisogni nutritivi sono, cioè, stimati sulla base delle leggi che governano la crescita della pianta. In questo tipo d’approccio i modelli sono costruiti su scala spazio-temporale più ampia (mesi o anni). I primi modelli di lungo periodo per la stima degli assorbimenti nutritivi, ad esempio, sono quelli basati sull’accumulo di sostanza secca nella pianta. Questi modelli permettono di determinare le quantità necessarie di elementi minerali, azoto in particolare, per le quali si ottiene una determinata produzione di biomassa secca. Un esempio ne è il lavoro di Lemaire et al. (1981), nel quale viene sottolineato il progressivo declino della concentrazione totale di azoto nella sostanza secca prodotta dalla pianta. Le Bot et al. (1997, 1998), su colture di pomodoro, hanno individuato una relazione lineare tra

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l’assorbimento di azoto e lo sviluppo dell’area fogliare (4.4 g di N assorbiti per m2 di area fogliare). Inoltre l’accumulo della sostanza secca in un determinato intervallo di tempo è indicato sulla base della radiazione intercettata dalla coltura. La percentuale d’azoto nella pianta viene quindi calcolata come rapporto tra la quantità di azoto assorbita e la biomassa secca della pianta.

Per la gestione della fertirrigazione delle colture protette sono stati sviluppati modelli in grado di stimare l’assorbimento dei nutrienti e l’accumulo di sali non essenziali quando vengono utilizzate acque di scarsa qualità.

Nel caso di sistemi di coltivazione a ciclo chiuso, infatti, l’impiego di acqua con

concentrazioni di ioni, quali ad esempio Na+ e Cl-, superiori alle concentrazioni di

assorbimento della pianta, con il conseguente loro accumulo nella soluzione ricircolante, rappresenta un elemento di difficoltà per la gestione della coltura in quanto può dare origine a squilibri nutrizionali, con diminuzione della crescita e della produttività della coltura.

Piante in condizione di stress salino subiscono, infatti, un’alterazione dei principali processi biologici, quali la fotosintesi, la sintesi proteica ed il metabolismo energetico. Esse sviluppano meccanismi biochimici, quali l’accumulo selettivo o l’esclusione degli ioni, il controllo degli ioni assorbiti dalle radici e trasportati nelle foglie, la compartimentalizzazione degli ioni a livello cellulare, l’alterazione della struttura delle membrane, l’induzione di enzimi antiossidativi e di ormoni, che permettano loro di far fronte a tali condizioni (Munns, 2002).

Le piante che si sviluppano in ambienti con elevata salinità, presentano una diminuzione del tasso di crescita, formazione di foglie in minor numero e minori dimensioni, con conseguente riduzione dell’altezza (Wahome, 2003).

L’apparato radicale manifesta riduzioni di crescita e minor assorbimento di acqua ed elementi nutritivi. La riduzione dell’assorbimento dell’acqua provoca una diminuzione del turgore cellulare nelle foglie con conseguente chiusura delle aperture stomatiche a discapito dei processi di traspirazione e fotosintesi (Cuartero et al., 1999). Condizioni di elevata salinità aumentano infatti la forza che la pianta deve esercitare per assorbire l’acqua facilitando il verificarsi di stress idrici (effetto osmotico). La riduzione dell’assorbimento idrico provoca una riduzione delle dimensioni degli organi della pianta. Su pomodoro, ad esempio, la riduzione delle dimensioni dei frutti è dovuta alla riduzione del contenuto idrico e non alla riduzione dell’accumulo di sostanza secca (Ehret et al.,

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1986). Anche altri autori (Li et al., 2001,2002) hanno evidenziato il fatto che la riduzione della crescita delle piante in condizioni di elevata salinità è dovuta al deficit idrico che influenza negativamente il processo di allungamento cellulare dei tessuti fogliari, anziché l’elevata concentrazione di determinati ioni.

Condizioni di elevata salinità, oltre ad interferire con il bilancio idrico della pianta, causano anche disordini nutrizionali. Spesso la pianta manifesta una riduzione nell’assorbimento di elementi nutritivi accompagnato da un maggior assorbimento degli ioni che sono causa dell’elevata salinità (Bernstein, 1964). Questo è dovuto sia ad una minor disponibilità di elementi nutritivi che al manifestarsi di fenomeni di competizione a livello dell’assorbimento e del trasporto degli elementi all’interno della pianta (Grattan et

al., 1999). Fenomeni di antagonismo nell’assorbimento minerale riguardano ad esempio il

Na ed il K. Inoltre concentrazioni elevate di Na riducono la disponibilità e la mobilità verso i centri di crescita del Ca, influenzando la qualità e la quantità della produzione commerciale.

Una elevata salinità però non presenta soltanto effetti negativi. Tale condizione può anche provocare un miglioramento della qualità dei frutti, in quanto aroma, zuccheri, solidi solubili totali ed acidità aumentano (Cuartero et al., 1999; Flores et al., 2003).

Tutto ciò evidenzia l’importanza di un attento monitoraggio, tramite i valori di EC e periodiche analisi di laboratorio, della soluzione ricircolante ed il suo scarico quando la salinità o la concentrazione di ioni potenzialmente tossici raggiunge livelli troppo elevati (sistemi semi chiusi).

Lo sviluppo di modelli in grado di simulare l’assorbimento minerale della coltura e l’accumulo dei sali nella soluzione ricircolante rappresenta quindi un valido strumento per la gestione di coltivazioni fuori suolo a ciclo chiuso (Le Bot et al., 1998) in quanto permette un accurato rifornimento nutritivo della coltura, riducendo il volume di soluzione da scaricare e prevenendo l’esaurimento di elementi essenziali e l’accumulo di quelli tossici. I modelli proposti sono molti.

Klaring et al. (1997) ad esempio descrivono il rapporto tra l’assorbimento nutritivo e l’assorbimento idrico in funzione delle condizioni ambientali, utilizzando un modello per la fotosintesi e la traspirazione delle piante. De Willigen e Heinen (1998) hanno realizzato un modello in grado di stimare l’assorbimento idrico e nutritivo per una coltura di lattuga e gli effetti della salinità sull’assorbimento idrico. Silberbush e Ben-Asher (2001) hanno proposto un modello teorico per la simulazione dell’assorbimento minerale e l’accumulo

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dei sali in coltivazioni fuori suolo a ciclo chiuso, nel quale viene analizzata la totalità dei fattori che influenza tali processi. Alcuni di questi modelli prendono però in considerazione molti parametri e questo ne rende difficoltosa la loro applicazione pratica. Carmassi et al. (2005) hanno realizzato un semplice modello matematico in grado di stimare l’andamento della concentrazione degli elementi nutritivi e l’accumulo degli ioni scarsamente assorbiti dalla coltura nella soluzione ricircolante dei sistemi di coltivazione a ciclo chiuso. Tale modello considera soltanto poche variabili, facilmente determinabili, quali il volume di soluzione nutritiva presente nel sistema, il volume della soluzione assorbita dalla coltura, la concentrazione della soluzione aggiunta al sistema per sopperire agli assorbimenti della coltura, oltre alla concentrazione di assorbimento. Per gli elementi nutritivi, la concentrazione d’assorbimento è considerata costante ed indipendente dalla concentrazione nella soluzione ricircolante. Al contrario, per ioni scarsamente assorbiti

dalla pianta, quali ad esempio il Na+, la concentrazione di assorbimento è considerata

dipendente dalla sua concentrazione esterna (cioè dalla concentrazione dello ione nella soluzione ricircolante). Gli autori hanno stabilito una relazione lineare tra la concentrazione di assorbimento e la concentrazione esterna dello ione. Ne consegue che l’accumulo dello ione nella soluzione ricircolante, in funzione dell’acqua assorbita dalla coltura, non è lineare ma tende ad un valore costante, pari al rapporto fra la concentrazione del sodio nell’acqua irrigua ed il fattore di proporzionalità p.

Anche Savvas et al. (2005) hanno realizzato un modello in grado di stimare l’accumulo di ioni scarsamente assorbiti dalle piante (ad esempio il Na+ ed il Cl-) in funzione dell’acqua assorbita dalla coltura. Come Carmassi et al. (2005) essi affermano che tali ioni si accumulano nella soluzione ricircolante sino a raggiungere un valore costante in quanto la concentrazione di assorbimento di tali ioni non è costante ma variabile in funzione della concentrazione esterna. Diversamente dal modello precedente però Savvas et al. hanno

stabilito una relazione esponenziale tra la concentrazione d’assorbimento del Na+ e del Cl-

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Capitolo 3 – PROVA SPERIMENTALE

3.1 OBIETTIVI E APPROCCIO SPERIMENTALE

Una attenta gestione della nutrizione minerale e dell’irrigazione rappresenta un elemento fondamentale nella conduzione dei sistemi di coltivazione fuori suolo ed in particolare dei sistemi di coltivazione a ciclo chiuso in cui l’acqua disponibile presenta caratteristiche chimiche non ottimali (ad esempio la presenza di elementi scarsamente assorbiti dalla coltura). In tale contesto lo sviluppo di modelli matematici in grado di simulare l’andamento dei consumi minerali, l’accumulo di sali nella soluzione ricircolante ed i fabbisogni idrici della coltura, rappresenta un valido strumento per l’ottimizzazione delle risorse idriche e minerali nel sistema di coltivazione.

Lo scopo della tesi consiste quindi nella calibrazione e nella verifica di alcuni modelli matematici, sviluppati in precedenti lavori condotti presso il Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie di Pisa o già presenti in letteratura, relativi alla produzione di frutti e alle caratteristiche qualitative di questi, all’assorbimento idrico e minerale e allo sviluppo dell’area fogliare di una coltura fuori suolo a ciclo chiuso di pomodoro in condizioni di marcato stress salino.

Nella prova sperimentale sono state messe a confronto quattro diverse concentrazioni di NaCl dell’acqua di irrigazione: 4-8-16-32 mM. Ciò ha permesso di evidenziare gli effetti sia sulla crescita e sulla produzione della coltura che sull’assorbimento degli elementi

nutritivi e dello ione Na+, in funzione del diverso contenuto di NaCl nella soluzione

nutritiva.

3.2 MATERIALI E METODI

Condizioni di crescita

La prova sperimentale si è svolta presso il Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie dell’Università di Pisa nella primavera del 2006, in una serra in ferro zincato e vetro martellato della superficie di circa 250 m2, della quale circa 100 m2 erano interessati dalla coltura di pomodoro. L’apertura e la chiusura delle finestre presenti sul colmo e sulle pareti laterali della serra erano automatizzate; l’apertura avveniva quando la temperatura interna raggiungeva i 25 °C. La serra disponeva inoltre sia di un impianto di riscaldamento

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(aerotermi), che di un sistema mobile di ombreggiamento esterno: entrambi non sono stati impiegati nel corso della prova.

La prova sperimentale riguardava la coltivazione di pomodoro (Solanum lycopersicon L., cv Jama); le date di semina, di trapianto e di fine coltura, oltre ai valori di radiazione solare media e temperatura media relativi al periodo della prova stessa sono riportati nella tabella 3.1.

Tabella 3.1 Date di semina, trapianto, e fine della prova sperimentale, e valori di

radiazione solare media (RG) e temperatura media nel periodo di coltivazione.

Semina 28/02/2006 Trapianto 29/03/2006

Fine coltura 6/07/2006

N° palchi raccolti 6

RG media (MJ/m2) 9.08

Temperatura media dell’aria (°C) 21.3

La prova prevedeva il confronto tra quattro diversi livelli di salinità dell’acqua d’irrigazione: 4 mM di NaCl, 8 mM di NaCl, 16 mM di NaCl e 32 mM di NaCl, corrispondenti rispettivamente ad una conducibilità elettrica (EC) della soluzione nutritiva erogata di 2.32, 2.77, 3.67 e 5.35 mS/cm.

Nel trattamento 4 mM, per la preparazione della soluzione nutritiva, è stata impiegata acqua piovana mentre negli altri trattamenti è stata utilizzata l’acqua del pozzo, la cui concentrazione di NaCl, nel corso della prova, è variata da 7 a 8 mM. In tutti i trattamenti la concentrazione di NaCl desiderata è stata ottenuta aggiungendo all’acqua irrigua quantità variabili di una soluzione stock di NaCl 1 M.

In tutte le tesi la concentrazione di macroelementi (in meq/l) e di microelementi (in µeq/l)

era la seguente: 11.0 N-NO3; 1.0 P-PO4; 7.7 K; 7 Ca; 1.50 Mg; 2.75 S-SO4; 40 Fe; 35 B; 4

Cu; 4 Zn; 11 Mn; 0.3 Mo.

La coltivazione è stata effettuata utilizzando un sistema di coltivazione fuori suolo a ciclo chiuso. Le piante sono state trapiantate su lastre di lana di roccia sistemate su canalette di plastica lunghe 5 metri, appoggiate su bancali aventi una lieve pendenza in direzione di un mixing-tank, in modo da raccogliere la soluzione drenata dal sistema. Ogni lastra, lunga un metro, ospitava 3 piante di pomodoro.

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Per ogni trattamento sono state predisposte 2 repliche, ciascuna costituita da un impianto

idroponico indipendente contenente 30 piante, con una densità di 3 piante/m2. Ogni

impianto aveva un volume totale di 170 litri, di cui circa 70 litri contenuti nel serbatoio della soluzione nutritiva ricircolante (mixing-tank) mentre i restanti 100 litri contenuti nelle lastre di lana di roccia.

Sulla coltura sono state eseguite le normali pratiche colturali. Le piante sono state allevate utilizzando come tutori fili fissati alle strutture portanti della serra; si è inoltre provveduto all’eliminazione dei germogli ascellari e delle foglie basali che presentavano sintomi di senescenza. Le piante sono state cimate in corrispondenza del 6° palco, lasciando una foglia oltre questo. Al fine di favorire l’impollinazione si è inoltre provveduto alla vibrazione dei fiori.

La soluzione nutritiva assorbita dalle piante veniva automaticamente reintegrata con soluzione nutritiva fresca. L’irrigazione era effettuata mediante un impianto dotato di gocciolatori aventi una portata di circa 25 litri/ora. Per evitare possibili accumuli di salinità nella lastra erano stati posizionati 5 gocciolatori per ogni lastra e gli interventi irrigui giornalieri, programmati tramite un timer, erano 6. Ogni intervento irriguo aveva la durata di 2 minuti con una frazione di drenaggio di circa il 75%. Ogni mattina, prima delle misurazioni di EC e pH delle soluzioni ricircolanti, erano programmati 4 cicli di irrigazione di 2 minuti ad intervalli di 15 minuti, pari ad un volume totale irriguo di 16 mm; ciò permetteva di effettuare un efficace rimescolamento della soluzione nutritiva contenuta nel mixing-tank e nel substrato, in modo tale che la soluzione nel mixing-tank fosse rappresentativa di tutta la soluzione nutritiva presente nel sistema. La soluzione ricircolante nel corso della prova non è mai stata sostituita.

Rilievi

Sono stati registrati i consumi idrici della coltura, gli assorbimenti minerali e la produzione, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.

I rilievi idrici hanno avuto inizio il 18/04/2006 e sono proseguiti sino al 6/07/2006, data in cui la prova è terminata. In ogni impianto, tre volte a settimana, la mattina, dopo le operazioni di rabbocco e di lavaggio, è stato rilevato il consumo idrico mediante contalitri meccanici, la cui accuratezza era stata verificata prima dell’inizio della prova (± 2%), la EC ed il pH della soluzione ricircolante. Una-due volte alla settimana sono stati prelevati campioni della soluzione nutritiva dai mixing-tank di ciascun impianto. Sono stati inoltre prelevati campioni della soluzione nutritiva fresca utilizzata per reintegrare

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l’evapotraspirato della coltura. Tutti i campioni sono stati conservati in frigorifero per le successive analisi.

Le analisi di laboratorio svolte sui campioni di soluzione nutritiva hanno riguardato:

- Sodio e potassio mediante fotometro a fiamma;

- Calcio e magnesio mediante titolazione con EDTA;

- Nitrati con il metodo dell’acido acetil-salicilico (Cataldo et al., 1975);

- Fosfati mediante il metodo del molibdato d’ammonio.

Sui campioni è stata inoltre misurata la EC con un conducimetro da banco, caratterizzato da una maggiore precisione rispetto a quello portatile utilizzato per le misure in serra. Poiché la EC dei campioni dei trattamenti più salini ha raggiunto valori molto elevati (superiori anche a 25 mS/cm) rispetto al punto superiore di calibrazione dello strumento (12.88 mS/cm), si è proceduto ad una correzione manuale dei valori letti, sulla base dei valori di EC tabellati di soluzioni saline di NaCl (Weast et al., 1987).

Gli assorbimenti minerali della coltura sono stati calcolati redigendo un bilancio di massa sulla base delle concentrazioni degli elementi presenti nella soluzione nutritiva ricircolante all’inizio ed alla fine del periodo e della quantità e composizione della soluzione nutritiva fresca aggiunta per compensare il consumo idrico della coltura. Ciò è stato fatto suddividendo la prova sperimentale in periodi, della durata generalmente di 7 giorni e per ciascuno di essi è stato redatto un bilancio nutrizionale. Si è così provveduto al calcolo dei seguenti parametri:

- Assorbimento minerale (g/m2), determinato mediante l’equazione:

U = ( VT * CI + VU * CR – VT * CF ) (Eq. 1)

dove VT e VU sono rispettivamente il volume totale del sistema ed il volume di soluzione

nutritiva evapotraspirata dalla coltura nell’intervallo di tempo considerato, CI e CF sono

rispettivamente la concentrazione della soluzione presente nel sistema all’inizio ed alla fine

del periodo considerato ed infine CR è la concentrazione della soluzione nutritiva fresca

impiegata per rifornire il sistema. L’assorbimento minerale totale (riferito cioè all’intera prova) è stato poi calcolato sommando l’assorbimento della coltura nei vari periodi considerati.

Occorre precisare che l’assorbimento minerale così calcolato in realtà rappresenta l’assorbimento minerale apparente, comprensivo cioè delle eventuali perdite di elementi nutritivi dovute a fenomeni di precipitazione dei sali nel substrato.

- Rifornimento minerale (g/m2), cioè la quantità di elemento che è stata fornita al sistema

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R = ( VU * CR ) (Eq. 2)

Il rifornimento totale è stato calcolato sommando i valori del rifornimento riferiti a ciascun periodo.

- Percentuale di elemento nella sostanza secca, calcolata mediante l’equazione:

% di elemento = ( UT / SS ) * 100 (Eq. 3)

dove UT è l’assorbimento minerale totale e SS è la sostanza secca totale.

Si è inoltre provveduto al calcolo della concentrazione di assorbimento (meq/l) dei vari elementi mediante l’equazione:

Cu = U / Vu (Eq. 4) dove U rappresenta la quantità di elemento assorbita dalla coltura in un dato intervallo di tempo e Vu il volume della soluzione nutritiva assorbito dalla coltura nel medesimo periodo.

Il rilievo del LAI (indice di area fogliare, m2/m2) è stato eseguito tre volte nel corso della

prova (ai giorni 27, 50, 92) mediante una procedura non distruttiva. Per ogni tesi sono state scelte quattro piante delle quali si è misurata la lunghezza del picciolo (LP), la lunghezza totale (LF) e la larghezza massima (LA) di ciascuna foglia. La stima del LAI è stata quindi fatta mediante il seguente algoritmo:

LAI = (Σ A)*3 (Eq. 5) dove A è l’area di una foglia, stimata mediante il seguente modello, calibrato e validato presso il Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie dell’università di Pisa (Carmassi et

al., 2007):

A = -10.12 + 0.834 ((LF – LP)*LA) / 2 (Eq. 6) I rilievi di crescita sono stati eseguiti alla fine della prova misurando su quattro piante per ogni trattamento il peso fresco delle foglie e dei fusti ed il relativo peso secco, in seguito ad essiccazione in stufa a 80 °C. Sono inoltre stati considerati il peso fresco e la sostanza secca delle foglie basali senescenti e dei germogli laterali asportati nel corso della prova, oltre al materiale vegetale derivante dalla cimatura. La determinazione della sostanza secca dei frutti è stata fatta mediante essiccazione in stufa della polpa fresca preventivamente frullata.

I rilievi quantitativi della produzione sono stati eseguiti una-due volte a settimana, raccogliendo i frutti allo stadio di maturazione commerciale. Si è provveduto al rilievo del peso e del numero di frutti totali, del peso e del numero di frutti di scarto, separando quello causato da BER. I frutti erano classificati come scarto se avevano un peso inferiore a 80 grammi e/o malformazioni e come scarto (BER) se presentavano sintomi di calcio-carenza

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(marciume apicale “BER”). La produzione commerciale è stata calcolata per differenza fra la produzione totale ed il quantitativo di scarto totale. L’analisi qualitativa della produzione è stata fatta su 4 campioni di frutti per ogni tesi, raccolti dal 3° palco, misurando la consistenza della polpa (mediante penetrometro) e sul succo, ottenuto dopo omogeneizzazione e centrifugazione, sono stati determinati EC e pH, rispettivamente mediante conduttimetro e pHmetro da banco, l’acidità titolabile, mediante titolazione con NaOH 0.1 N (espressa come percentuale di acido citrico) ed infine i solidi solubili totali (°Brix) tramite rifrattometro.

Verifica dei modelli e analisi statistica

I risultati ottenuti sono stati utilizzati per verificare se alcuni modelli già presenti in bibliografia potevano essere utilizzati per predire i risultati sperimentali ottenuti, eventualmente con nuovi parametri.

I modelli testati sono stati i seguenti: - Stima del LAI

Si è utilizzato il modello proposto da Carmassi et al. (2007) dove lo sviluppo del LAI è descritto da una funzione sigmoidale di Boltzmann dipendente dai GDD calcolati su base giornaliera con una temperatura soglia minima di 8 °C:

LAI = a + (LAImax + a)/ { 1 + exp[( c – GDD )/d]} (Eq. 7)

dove a (-0.335), LAImax (4.8), c (755.3), d (134.7) sono costanti e GDD sono i gradi giorno calcolati su una base termica di 8°C. Il valore di k è stato determinato in funzione dell’equazione basata sulla legge di Lambert-Beer:

R / R0 = exp-kLAI (Eq. 8)

dove R e R0 sono i valori di radiazione rispettivamente sopra e sotto la parte epigea della

coltura.

- Stima dell’evapotraspirazione

Si è utilizzato il modello semplificato di Baille proposto da Carmassi et al. (2007): E = A * (1- exp-kLAI ) * RG + B (Eq. 9)

dove E è l’evapotraspirazione (mm d-1), RG è la radiazione giornaliera all’interno della

serra (MJ m-2 d-1), A (mm m2 MJ-1) e B (mm d-1) sono i parametri della regressione, LAI è l’indice di area fogliare e k è il coefficiente di estinzione della radiazione (adimensionale).

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-Stima dell’assorbimento minerale

Il modello verificato è quello proposto da Carmassi et al. (2005; 2007), il quale è in grado di calcolare la variazione di EC o di della concentrazione di un ione nella soluzione nutritiva dopo un determinato tempo. Il modello è un aggregazione di tre sub-modelli e in particolare:

1) Modello di EC, basato sull’equazione proposta da Sonneveld et al. (1999), dove la EC di

una soluzione nutritiva è funzione della somma della concentrazione dei cationi (∑C+, e

cioè la concentrazione di K+, Ca2+, Mg2+, Na+) espressi in meq/L:

EC (mS/cm) = 0.095* (∑C+) + 0.19 (Eq. 10)

2) modello di stima della variazione degli elementi nutritivi, basato sul concetto che la concentrazione di assorbimento degli elementi nutritivi è abbastanza stabile durante le fasi fenologiche della pianta e relativamente indipendente dalla sua concentrazione nella soluzione nutritiva per concentrazioni superiori a 1 mM:

Cn= C0 + (CR-CU)* ETE/VT dove: (Eq. 11)

Cn, C0, CR, CU sono rispettivamente la concentrazione iniziale e finale della soluzione

ricircolante, la concentrazione dell’elemento nell’acqua utilizzata per compensare le perdite di evapotraspirazione, ETE è il volume cumulato di l’evapotraspirazione del periodo considerato e VT è il volume totale della soluzione ricircolante presente nel sistema di coltivazione.

3) modello di stima degli elementi non essenziali, basato sul concetto che la concentrazione di assorbimento in un dato momento sia pari alla concentrazione dello ione nella soluzione ricircolante moltiplicata per un fattore di proporzionalità (p):

CU= p* C (Eq. 12)

Se l’eq. 12 viene sostituita nell’eq. 11, riarrangiata, scritta in forma differenziale e successivamente integrata con la condizione iniziale che C=CR e ETE/VT= 0 si ottiene la seguente equazione:

Cn= (C0- CR/p) * exp (-p*ETE/VT)+ CR/p (Eq. 13)

Analisi statistica

I dati raccolti sono stati sottoposti all’analisi della ANOVA, utilizzando un disegno sperimentale del tipo a blocchi randomizzati; quando dall’analisi un fattore di variabilità è risultato statisticamente significativo, si è proceduto ad effettuare il test della minima differenza significativa per la separazione statistica delle medie.

La valutazione della correttezza dei modelli sopradescritti è stata effettuata calcolando il coefficiente di determinazione della retta di regressione ottenuta dalle coppie di valori

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previsti verso i valori misurati ed eventualmente valutando visivamente la distribuzione degli errori delle stime del modello.

3.3 RISULTATI E DISCUSSIONE

La gestione sperimentale della prova, che ha previsto il solo rabbocco della quantità di soluzione nutritiva evapotraspirata con soluzione fresca ha creato un progressivo incremento della conducibilità elettrica della soluzione ricircolante, da attribuirsi principalmente (ma non solo) all’accumulo di sodio e di cloro (elementi non essenziali per la pianta e quindi poco assorbiti da questa). Alla fine del periodo sperimentale della durata di 80 giorni (100 giorni dal trapianto) il livello di EC è risultato chiaramente differente nei quattro trattamenti con valori veramente molto elevati per la tesi 16 e 32 mM, come evidenziato nella figura 3.1: ad esempio nel caso di quest’ultima, la EC finale è stata di circa 30 mS/cm. In particolare le EC medie di tutto il periodo sperimentale sono state di 6.7, 10.8, 15.4 e di 18.4 mS/cm rispettivamente nelle tesi 4, 8, 16, 32 mM.

0,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00 35,00 0 20 40 60 80 100 120

Tempo (giorni dal trapianto)

EC ( m S /c m ) 4 mM NaCl 8 mM NaCl 16 mM NaCl 32 mM NaCl

Figura 3.1 Valori di EC di una coltura sperimentale di pomodoro. Sono poste a confronto quattro tesi che si differenziano per la concentrazione di NaCl dell’acqua irrigua: 4-8-16-32 mM di NaCl.

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Crescita e sviluppo delle piante

La salinità dell’acqua irrigua ha influenzato profondamente la crescita e la produzione della coltura, oltre agli assorbimenti minerali ed idrici della stessa.

Dai rilievi di crescita effettuati sulla coltura oggetto della prova, è possibile evidenziare che all’aumentare della salinità dell’acqua irrigua (contenuto di NaCl) della tesi si è verificata una riduzione della crescita delle piante. Come riportato nella tabella 3.2 tra le tesi in esame, all’aumentare della salinità, vi è una riduzione significativa della sostanza fresca, della sostanza secca totale e della sostanza secca dei singoli organi (fusti, foglie e frutti). La riduzione della sostanza secca totale, dei fusti e delle foglie per effetto della salinità, è ben evidenziata anche dalle regressioni lineari tra questi parametri e la conducibilità elettrica media della soluzione ricircolante, per le quali i coefficienti di determinazione sono rispettivamente 0.95, 0.87 e 0.87 (figura 3.2)

Ciò è in accordo con quanto riportato in bibliografia. La riduzione del peso secco sia delle foglie che del fusto in condizioni di salinità è riportata ad esempio da Cruz e Cuartero (1990) per il pomodoro e da Trajkova et al. (2006) per il cocomero. Si può inoltre constatare che la percentuale di sostanza secca sul peso fresco totale è stata significativamente maggiore nella tesi 32 mM di NaCl con andamento decrescente sino alla tesi di controllo 4 mM di NaCl. Come evidenziato da van Ieperen (1996) la riduzione del peso della sostanza secca delle foglie è correlata alla riduzione dell’area fogliare (LAI). Tuttavia i rilievi del LAI effettuati, riportati nella tabella 3.2, evidenziano che una riduzione significativa dell’area fogliare si è verificata solo al 3° rilievo, fatto 92 giorni dopo il trapianto e solo fra le tesi a maggiore salinità (16 e 32 mM).

L’effetto della salinità si è manifestato tardivamente sulla coltura, quando i valori di EC della soluzione ricircolante avevano raggiunto valori superiori a 15 mS/cm, riducendo fortemente l’espansione delle foglie più alte. Questo è in accordo con Munns (1993) e Alarcòn et al. (1994); essi affermano che lo stress idrico dovuto all’elevata concentrazione di sali nel substrato limita l’espansione dei tessuti oltre alla possibilità che vi siano danni alle foglie dovuti all’accumulo di sali in queste.

(32)

y = -41.343x + 1644.5 R2 = 0.9546 0 200 400 600 800 1000 1200 1400 1600 1800 0 5 10 15 20

EC media soluzione nutritiva

S o st an za s ecca t o ta le ( g /m 2 ) 4mM 8mM 16mM 32mM y = -5.982x + 243.95 R2 = 0.8741 0 50 100 150 200 250 0 5 10 15 20

EC media soluzione nutritiva

S o st an za s ecca f u st i ( g /m 2 ) 4mM 8mM 16mM 32mM y = -13.986x + 504.4 R2 = 0.871 0 100 200 300 400 500 600 0 5 10 15 20

EC media soluzione nutritiva

S o st an za s ecca f ogl ie ( g /m 2 ) 4mM 8mM 16mM 32mM

Figura 3.2 Riduzione della sostanza secca totale, della sostanza secca dei fusti e della sostanza secca delle foglie all’aumentare della conducibilità elettrica media della soluzione nutritiva ricircolante della coltura sperimentale di pomodoro.

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Tabella 3.2 Valori dell’area fogliare (LAI), della sostanza secca totale, della sostanza

secca relativa ai fusti, alle foglie ed ai frutti, del peso fresco totale e della percentuale di sostanza secca totale sul peso fresco totale della coltura sperimentale di pomodoro. Vengono poste a confronto quattro tesi che si differenziano per la concentrazione di NaCl dell’acqua irrigua: 4-8-16-32 mM di NaCl. Per ogni parametro a lettera differente corrisponde una differenza significativa per P ≤ 0.05, in accordo con il test della minima differenza significativa.

Parametro 4 mM 8mM 16 mM 32 mM

Area fogliare T 27 (LAI, m2/m2) 1.56 a 1.54 a 1.55 a 1.63 a

Area fogliare T 50 (LAI, m2/m2) 4.15 a 3.97 a 3.89 a 3.88 a

Area fogliare T 92 (LAI, m2/m2) 4.36 a 4.31 a 3.26 b 2.98 b

Sostanza secca fusti (g/m2) 209.5 a 171.1 b 153 c 135.5 d

Sostanza secca foglie (g/m2) 427.5 a 329.7 b 289.3 c 254.1 d

Sostanza secca frutti (g/m2) 692.5 a 607.3 b 549.4 c 463.7 d

Sostanza secca totale (g/m2) 1383.4 a 1168.4 b 1035.1 c 871.2 d

Peso fresco totale (Kg/m2) 19.07 a 13.22 b 9.88 c 7.16 d

% Sostanza secca totale 7.26 d 8.84 c 10.5 b 12.2 a

I dati ottenuti nella prova sperimentale sono stati utilizzati per verificare il modello per la simulazione dello sviluppo dell’area fogliare (LAI) in funzione dei gradi giorno (GDD) proposto da Carmassi et al. (2007) e sviluppato presso il Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie di Pisa (Eq. 7). Tale modello è stato sviluppato su colture di pomodoro la cui tecnica colturale, diversamente dal presente lavoro, non prevedeva la sfogliatura. Per poter applicare il modello si è proceduto a modificare il parametro di LAI massimo raggiungibile dalla coltura e ad introdurre un coefficiente che oltre i 970 GDD procedesse ad un decremento della area fogliare di un coefficiente pari al valore medio dell’area normalmente rimossa con questa operazione.

Inoltre si è notato che nelle tesi 16 e 32 mM dopo la sfogliatura, probabilmente a causa dell’elevata salinità della soluzione nutritiva ricircolante (maggiore di 15 mS/cm in queste ultime tesi), la crescita del LAI è stata praticamente nulla. Alla luce di queste osservazioni si è modificato come segue il modello ottenendo la seguente nuova equazione:

LAI = -0.335 + (6 -0.335)/ { 1 + exp[( 755.3 – GDD )/134.7]} se GDD<970 ; (eq. 14.1)

Figura

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