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Centro storico e città attuale

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Un forum per la città storica di Bologna, a cura di Luisa Bravo

86 NUMERO 1 - dicembre 2010 ISSN 2036 1602

Centro storico e città attuale

Carlo Monti,

Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale, Università di Bologna

La nostra regione nel passato è stata

considera-ta un vero e proprio laboratorio per l’intervento nei centri storici, dall’esperienza pilota del Pia-no PEEP di Bologna alla successiva applicazione generalizzata della “disciplina particolareggiata” introdotta dalla legge regionale del 1978, che ha consentito l’intervento diffuso dei privati in un quadro di regole fissato dagli strumenti urbani-stici comunali.

Da un punto di vista fisico il recupero è certamen-te riuscito: l’esperienza bolognese ed emiliano-romagnola è stata replicata in varie parti d’Italia e studiata in tanti paesi europei; in complesso nel nostro paese i centri storici sono stati salvati dal degrado.

Sostanzialmente, quindi, il recupero fisico delle pietre ha avuto successo, ma non sempre è stato accompagnato da un’organica riqualificazione di interi tessuti antichi, e, soprattutto, non è stato inserito in una prospettiva di sviluppo delle città attuali.

Negli anni ’70 e ’80 l’intervento nei centri storici fu considerato prioritario ed urgente per conservare la storia e l’identità delle nostre città, che ave-va rischiato di essere cancellata nella prima fase impetuosa di crescita urbana. Allora, giustamen-te, essi furono oggetto di norme e provvedimenti “speciali”; oggi, a distanza di tanti anni, sembra necessario, al contrario, considerarli come parti

“normali” della città, che debbono essere usate e vissute secondo le esigenze e gli stili di vita at-tuali, e non cristallizzate come improbabili musei all’aria aperta.

Le città intanto sono profondamente cambiate, hanno invaso i territori circostanti, si sono tra-sformate in aggregazioni urbane, anche di grandi dimensioni, senza divenire “sistemi” urbani orga-nizzati. In questo contesto i centri storici a volte hanno mantenuto o conquistato un ruolo come spazi qualificati di incontro, ma spesso, forse nella maggioranza dei casi, sono rimasti ai mar-gini delle più recenti ondate di urbanizzazione. Gli edifici e i tessuti recuperati sono diventati come un corallo: un bellissimo scheletro, in cui non c’è più la vita che l’ha generato.

Fuori di metafora, è evidente che nei centri anti-chi non si può immaginare di ricostruire le attivi-tà e gli equilibri del passato, la vita di un tempo: occorre trovare nuovi usi compatibili con gli spa-zi fisici conservati. A volte questo è stato meno complicato, in particolare quando la dimensione del tessuto storico era relativamente modesta (e consentiva di liberarlo totalmente o parzialmen-te dal traffico), e quando era naturale riproporlo come “salotto” della città, aperto al turismo e alle attività commerciali e culturali più qualificate. In molti casi, invece, la grande dimensione del centro antico ha posto problemi tuttora da

risol-vere, soprattutto quando l’impianto urbano è in-compatibile con le esigenze del traffico attuale. Città come Ferrara e Genova hanno potuto distin-guere fra i tessuti di impianto medievale e rina-scimentale da pedonalizzare e altre parti in cui consentire maggiore libertà di usi e di movimen-to; città come Bologna debbono ancora affrontare organicamente i problemi del riuso del centro an-tico, logorandosi nel contrasto fra un’improbabile pedonalizzazione generalizzata e una inammis-sibile libertà totale del traffico automobilistico. Le soluzioni non sono facili, ma esistono anche esempi positivi, come quello di Perugia, dove un sistema innovativo di trasporto pubblico ha rivi-talizzato il centro antico, ed è anzi divenuto occa-sione per aggiungere nuovi elementi di attrazione ad una città turistica. Così come potrà avvenire a Napoli, dove, nonostante tutti i gravi e ben noti problemi della città, il sistema di trasporto pub-blico basato sul recupero delle antiche ferrovie locali può restituire ai tessuti antichi un ruolo centrale e vitale in un’area metropolitana da ri-qualificare.

In conclusione, la maggior parte dei nostri centri antichi richiede oggi una nuova politica di inter-vento, e purtroppo questa necessità si scontra con la drastica diminuzione dei finanziamenti pubblici, con una crisi economica che accelera la chiusura delle attività commerciali tradizionali e

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mette in discussione servizi pubblici e privati e le attività terziarie più fragili che hanno invaso negli ultimi anni i nostri centri, e, soprattutto, con una caduta evidente dell’interesse per questi temi, come se il recupero fisico fosse stato l’unico pro-blema da risolvere.

Forse, però, è proprio in momenti come questo che è possibile ragionare freddamente, senza illusioni di ritorno al passato e senza paura del futuro, per assegnare ad ogni centro antico un ruolo ben definito nell’ambito del sistema urbano cui appartiene, naturalmente senza modelli pre-costituiti, perché ogni realtà territoriale ha una sua specificità, e senza rigidità, perché è ormai chiaro a tutti che la città è sempre stata un orga-nismo in continua trasformazione, ma in passato i tempi erano misurati sui secoli, ed oggi la globa-lizzazione li rende quasi istantanei.

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