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Guarda Eco e Narciso. Ritratto e autoritratto nelle collezioni del MAXXI e delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini

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Academic year: 2021

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Modelli della Mente (ISSNe 2531-4556), 2/2017-1/2018 71

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a cura di Martina Aiello

Eco e Narciso.

Ritratto e autoritratto nelle collezioni del MAXXI

e delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini

Roma, Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13

Dal 18 maggio – 28 ottobre 2018

Nel Salone Ovale delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini cam-peggia il Narciso di Caravaggio (o, secondo alcuni studiosi, di Spa-darino – quesito attributivo che rende ancora più interessante questo dipinto) raffigurante il bellissimo giovane perso nella sua immagine specchiata, opera guida della mostra. Alla solida oscurità che invade la tela, si oppone Eco nel vuoto di Giulio Paolini che sottolinea l’a-spetto dell’assenza e della solitudine.

Il mito di Narciso ed Eco, tramandatoci dalle Metamorfosi di Ovi-dio, viene da angoli remoti della storia dell’umanità e rappresenta la perfetta incarnazione di storie d’amore attuali, ossia caratterizzate da egocentrismo e da dipendenza affettiva.

Il mito di Narciso ed Eco, infatti, ci consente di individuare una modalità relazionale in cui un personaggio, Narciso, incarna l’indivi-dualismo assoluto che non conosce l’alterità e l’altro, Eco, è l’alterità assoluta che non conosce l’identità personale.

La storia di Narciso ci introduce nella cultura del narcisismo che domina molti ambiti della vita quotidiana e si manifesta con un atteg-giamento esibizionista, egocentrico e megalomane che può evolvere in una grave patologia psichica.

Esiste, tuttavia, una versione più nascosta e non per questo meno insidiosa che si esprime nella difficoltà della persona a sviluppare un apprezzabile grado di intimità e partecipazione emotiva all’interno della relazione affettiva. La letteratura scientifica rintraccia nel per-corso evolutivo dei narcisisti esperienze affettive primarie significati-ve minate nella capacità di esperire fiducia in un attaccamento

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so e sicuro. Nei rapporti con i genitori, inoltre, il bambino esperisce la possibilità di sentirsi amato sub conditione ad un adattamento ri-gido, imposto in maniera per lo più implicita.

Queste realtà affettive conducono il bambino a sopprimere preco-cemente le caratteristiche infantili, a nascondere i propri bisogni per assumere atteggiamenti adultiformi, costantemente rafforzati e valo-rizzati dal contesto familiare, pur restando vivi dentro di sé sentimen-ti di vulnerabilità e di fragilità.

Tale condizione può sviluppare in un investimento grandioso e in un riscatto sociale e culturale di cui è investito il bambino, che senza i necessari strumenti personali, può essere condannato alla continua ricerca di dimensioni personali, affettive, lavorative vissute come fortemente appaganti.

Per Erich Fromm il narcisismo è un modo per compensare l’inca-pacità di esprimere, donare e ricevere affetto. Una buona dose di or-goglio e sicurezza di sé serve a mascherare un deficit di autostima ed un allontanamento dagli altri; certamente si tratta di una persona che vive in un mondo nel quale il piacere e la soddisfazione esistono solo per se stessi. Solo la consapevolezza di sé che si costruisce e si raf-orza nel rapporto con l’altro e il mantenimento di uno spirito critico nei confronti di quello che la società propone in termini di individua-lismo e personaindividua-lismo offrono una via di scampo al narcisismo.

Se il soggetto narcisista nel rapporto con l’altro non riesce a ve-derne i bisogni, tutto teso alla gratificazione di sé, il soggetto con di-pendenza affettiva – a cui ci induce a pensare il mito di Eco – non riesce a vedere se stesso, i propri desideri e i propri bisogni.

Nella dipendenza affettiva, l’amore verso l’altro manifesta diverse caratteristiche delle dipendenze in generale, pur presentando, rispetto a quest’ultime una differenza sostanziale: essa si sviluppa nei con-fronti di una persona e ciò la rende più difficile da riconoscere e da contrastare. Nonostante risulti frequente in una relazione, soprattutto durante la fase dell’innamoramento o quella più passionale, un grado di bisogno particolare di vicinanza affettiva e fisica, nella dipendenza affettiva, al di là della fase iniziale della relazione, l’individuo dedica completamente tutto se stesso all’altro, perdendo completamente i confini delle rispettive identità personali.

I dipendenti affettivi vedono nell’amore la risoluzione dei propri pro-blemi, che spesso hanno origini profonde nei propri “vuoti affettivi”.

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La persona affetta da dipendenza affettiva non riesce a sviluppare e assaporare l’amore nella sua profondità ed intimità a causa della paura dell’abbandono, della separazione, della solitudine, replicando antichi copioni passati, quegli stessi che hanno ostacolato la propria crescita personale.

La persona, infatti, non è in grado di uscire da una relazione che riconosce essere senza speranza, insoddisfacente, umiliante e spesso autodistruttiva, fino a sviluppare una sintomatologia come ansia ge-neralizzata, depressione, malinconia, idee ossessive.

Chi è affetto da tale tipo di dipendenza s’identifica con la persona amata ed elimina drasticamente le evoluzioni all’interno del legame per la paura di cambiare.

Pieno di timore per ogni cambiamento, impedisce lo sviluppo del-le capacità individuali e soffoca ogni desiderio e ogni interesse, colti-vando il disfunzionale pensiero che l’assenza di dinamismo garanti-sca stabilità al legame.

Tale condizione psicologica non permette di elaborare l’idea che l’amore richiede un accrescimento reciproco, uno scambio costante tra persone che si amano.

Gli affetti che comportano paura e dipendenza, tipici della dipen-denza affettiva, sono invece destinati a distruggere l’amore. Chi soffre di tale dipendenza è così attento a non ferire l’altro, da non rendersi conto che in questo modo finisce col ferire gravemente se stesso.

Il soggetto esiste, infatti, solo quando c’è l’altro e non basta il suo pensiero a rassicurarlo, ha bisogno di manifestazioni continue e con-crete. L’unica cosa importante è il tempo trascorso con l’altro perché è la prova della propria esistenza, senza di lui non si esiste, diventa inimmaginabile pensare la propria vita senza l’altro.

Tutto ciò rivela un basso grado di autostima, seguito da sentimenti di vergogna e di rimorso. In alcuni momenti la persona intuisce che la dipendenza è dannosa ed è necessario sottrarsi, ma subentra la considerazione di essere dipendenti e ciò rafforza il basso livello di autostima personale e quindi spinge ancora di più verso l’altro che accoglie e perdona, ben felice, talvolta, di possedere.

Quindi ogni tentativo di riscatto dalla propria dipendenza muore sul nascere se non supportato da un processo di rafforzamento dell’i-dentità personale mediante il riconoscimento delle proprie risorse e dei propri bisogni.

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