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Il servizio bibliotecario nazionale nelle reti della ricerca

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Academic year: 2021

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RICCARDO POZZO1 e VANIA VIRGILI2

Il servizio bibliotecario nazionale nelle reti della ricerca

1. Biblioteche

Si è d’accordo che una biblioteca digitale sia uno spazio nel quale mettere insieme collezioni, servizi e persone per la creazione, l’accesso e la conservazione dei dati e dunque per l’informazione e la conoscenza. La prima occorrenza del sintagma risale al 1971; e la prima digital library fu il progetto Gutenberg (www.gutenberg.org), avviato da Michael Hart con l’obiettivo di costituire una biblioteca di versioni elettroniche liberamente riproducibili di libri stampati. Ma se è vero che esistevano biblioteche digitali ben prima d’internet, è anche vero che ve ne furono ancora prima che le si chiamassero così, quando gli unici supporti di registrazione erano le schede perforate, poi sostituite dai nastri magnetici e quindi dai floppy disk. Il primo a svilupparle in Italia fu il CNR, a partire dal 1963, quando il suo raggio d’azione si ampliò finalmente a 360 gradi con l’ingresso delle scienze umane, rendendo possibili imprese quali lo Index

Thomisticus di Roberto Busa, concepito nel 1946 e pubblicato nel 1980 in 56 volumi con

il sostegno dell’Istituto di Linguistica Computazionale-CNR (www.ilc.cnr.it) diretto da Antonio Zampolli, il Vocabolario Giuridico Italiano, iniziato, ma non portato a termine, da Luigi Lombardi Vallauri presso l’Istituto di Teoria e Tecnica dell’Informazione Giuridica-CNR (www.ittig.cnr.it) a partire dal 1968, e il progetto del nuovo vocabolario

storico italiano, l’Istituto Opera del Vocabolario Italiano-CNR (www.ovi.cnr.it), ben noto in questa sala, iniziato da Aldo Duro nel 1965 presso l’Accademia della Crusca e ammirabilmente continuato, senza desistere dall’obiettivo, da Pietro Beltrami fino al 2013, e oggi da Lino Leonardi.

Per antichità, ampiezza e longevità, il primato spetta tuttavia all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee-CNR (www.iliesi.cnr.it), diretto oggi da 1 Direttore del Dipartimento Scienze Umane e Sociali, Patrimonio Culturale del Consiglio

Nazionale delle Ricerche e Professore all’Università di Verona, Piazzale Aldo Moro 7, I-00185 Roma, direttore.dsu@cnr.it.

2 Consigliere del Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo e Primo Tecnologo

all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, via del Collegio Romano 27, I-00184 Roma,

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Antonio Lamarra e fondato da Tullio Gregory con la collaborazione di Tullio De Mauro nel 1964, come gruppo di studio del CNR presso l’Istituto di Filosofia dell’Università di Roma. Nel corso dei decenni, l’istituto fu luogo di studio e di formazione di giovani ricercatori, oggi eminenti studiosi. La sua raison d’être fu mettere a disposizione degli studiosi una biblioteca digitale che servisse a una più rigorosa lettura storica dei testi filosofici e dei documenti del periodo in cui si formava il patrimonio della cultura europea, il Lessico intellettuale europeo.

La biblioteca era inizialmente composta da un canone di 100 testi di filosofi e scienziati pubblicati tra il 1600 e il 1800, tra i quali molti di Galileo, Descartes, Spinoza, Leibniz, Vico e Kant. Si trattava di testi lemmatizzati, i metadati dei quali permettevano di trovare velocemente e facilmente lemmi e sintagmi, ampliando la ricerca da un testo ad altri, con il ricercatore che diveniva agente e il documento dinamico, aperto a diversi utenti in momenti differenti.

Contro l’impostazione speculativa della storiografia idealistica, che lasciava in secondo piano lo studio dettagliato del testo, e con una buona dose d’innovazione culturale di marca CNR, Gregory aprì la stagione di una storia delle idee strettamente legata alla storia del lessico, nella convinzione che le idee non vivono in un mondo iperuranio, pure e immacolate, ma s’incarnano nei segni linguistici, impuri, spesso ambigui; segni linguistici che sono portatori di una lunga storia, crocevia di esperienze molteplici nell’intrecciarsi di correnti di pensiero e di lingue diverse, nella continua trascrizione e traduzione da una ad altra cultura3.

Il Lessico intellettuale europeo è uno dei pochi progetti a forte componente informatica che continuano a prosperare a cinquantadue anni dalla nascita. La collana omonima ha fatto uscire il centoventitreesimo volume ed è in preparazione la diciassettesima edizione dei colloqui triennali dell’istituto (dopo Nomos-Lex, nel 2016). Attorno alla sede nella Villa Mirafiori è venuta costruendosi nei decenni una rete amicale e di studio di una comunità aperta all’Europa, che non ha prodotto solo libri, pur eccellenti, ma ha fatto di più: ha trasformato un modo di fare storia della filosofia.

3 TULLIO GREGORY, «Translatio Studiorum», in Translatio Studiorum. Ancient, Medieval and

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2. Le scienze del testo al CNR

Gli istituti del CNR hanno come raison d’être di lavorare in maniera complementare, benché fortemente intersecata, con le università. Ma gli istituti non sono né dipartimenti né cattedre. Sono, per usare un termine oggi spesso nella bocca di molti, sono infrastrutture di ricerca, nel senso che la loro missione è mettere a disposizione degli studiosi dati, testi, lessici, dizionari, corpora, repositori, studi, in una parola, quelle biblioteche digitali delle quali parlavo all’inizio della mia relazione. Ecco dunque le missioni dei quattro istituti di scienze del testo:

ILC-CNR—Attività di ricerca, di valorizzazione e trasferimento tecnologico, di formazione ed editoriali in settori scientifici strategici della Linguistica Computazionale. Ricerca altamente interdisciplinare, basata sulla sinergia tra competenze e professionalità diverse, principalmente condivise tra Linguistica, Filologia, Linguistica Computazionale, Informatica e Bio-Ingegneria. Gestisce la segreteria italiana dell'infrastruttura europea CLARIN ERIC.

ILIESI-CNR—Studio della tradizione filosofica e scientifica dal mondo antico e tardo antico fino al costituirsi della cultura filosofica dell’Europa moderna e contemporanea, con un approccio metodologico centrato sull’analisi linguistica e testuale attraverso applicazioni innovative proprie delle Digital Humanities. Studio dei fenomeni di trasferimento culturale e linguistico legati alle migrazioni di popoli e alla circolazione di testi.

ITTIG-CNR—Svolge attività di ricerca nel settore dell’informatica giuridica e del diritto dell’informatica (sviluppo di conoscenze teoriche e applicative relative ai cambiamenti che la scienza giuridica e la pratica del diritto, l’attività e l’organizzazione dello Stato e la stessa configurazione dei diritti fondamentali subiscono di fronte ai fenomeni di innovazione tecnologica). Crea e distribuisce banche dati giuridiche. Progetta software specialistici e strumenti per l’interoperabilità dei dati pubblici.

OVI-CNR—Elabora e pubblica in rete il Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (TLIO), che è la parte antica del Vocabolario Storico Italiano, e il Corpus testuale dell'Italiano Antico. Produce inoltre e mette a disposizione degli studiosi software lessicografico avanzato. Gestisce la segreteria italiana dell'infrastruttura europea DARIAH ERIC4.

Che la cultura sia strategica per il sistema paese Italia non è messo in dubbio da nessuno. Infatti, è la nazione che possiede il più gran numero di oggetti culturali nel mondo. Il CNR parte da questo dato per farne occasione di sviluppo scientifico e tecnologico.

Su incarico del MIUR e in linea con il gruppo strategico di lavoro Social &

Cultural Innovation del foro ESFRI, il CNR assicura la presenza italiana nelle tre

infrastrutture di ricerca che si occupano d’innovazione culturale:

a) CLARIN ERIC-Common Language Resources and Technology Infrastructure (www.clarin.eu), infrastruttura pan-europea coordinata e distribuita per rendere disponibili le risorse e le tecnologie del linguaggio.

b) DARIAH ERIC-Digital Research Infrastructure for the Arts and Humanities (www.dariah.eu), prima infrastruttura europea stabile per il settore scienze umane;

c) E-RIHS-European Research Infrastructure for Heritage Science (

www.e-4 DSU-Dipartimento Scienze Umane e Sociali, Patrimonio Culturale, Presentazione degli Istituti,

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rihs.eu). infrastruttura per la scienza dei beni culturali, che nel 2022 sarà il primo ERIC con capofila italiano5.

d)

Il CNR funge dunque da apripista per la ricerca italiana, fornendo servizi di accesso virtuale o strumentale a dati, simulazioni e buone pratiche, nonché azioni e interventi per la comunità del nascente ambito scientifico e tecnologico delle Data Humanities.

Le infrastrutture di ricerca per le scienze umane e le arti DARIAH ERIC e l’infrastruttura di ricerca per il linguaggio e la linguistica CLARIN ERIC hanno una responsabilità rilevante per il futuro della lettura nel suo senso più ampio. Il libro digitale e le sue complesse relazioni con le infrastrutture per la conservazione (long term digital

preservation), l’accesso (digital libraries), la trasmissione (assicurata dal consorzio

GARR per la ricerca pubblica italiana [www.garr.it]) e l’esplorazione dei dati (data

mining) stanno al centro della discussione.

Certo, si può non far nulla e attendere l’ipotesi darwiniana di un modello di libro elettronico migliore di tutti che prima o poi si imporrà sugli altri modelli, probabilmente una combinazione di testi, audiovisivi, giochi e mappe spaziotemporali. Ma necessità storica a parte, occorre una discussione sulle politiche, e DARIAH ERIC oggi è il luogo adatto.

3. Data Humanities

La grande domanda riguarda l’interazione tra infrastrutture pubbliche per la conservazione e l’accesso ai dati e i dati stessi che in molti casi sono parte di patrimoni privati. Quanto mai urgente è dunque immaginare nuovi modelli per la grande varietà di editoria digitale che si sta sviluppando. Aspettiamo l’Aldo Manuzio del ventunesimo secolo.

Arrivando alla fase attuale, il compito del CNR consiste nel rendere possibile la partecipazione dell’Italia alle infrastrutture di ricerca europee (circa quaranta, di cui sei nell’ambito delle scienze umane e sociali, comprese all’interno di un gruppo denominato “Innovazione sociale e culturale”). Il CNR svolge attività per le infrastrutture, rende accessibili i dati dei ricercatori (open science) e porta avanti la preservazione a lungo termine; in tale contesto, si registra una grande attenzione da parte del Consiglio 5 ESFRI, op. cit.

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Nazionale delle Ricerche alle biblioteche e al settore bibliotecario.

Se l’innovazione tecnologica è legata all’avanzamento e alle scoperte nel campo delle scienze dure, l’innovazione culturale, dal canto suo, “produce valore”, vale a dire un cambiamento di mentalità che dovrebbe dare vita a un pubblico maggiormente consapevole e attento, in grado di dare valore alle cose e creare ricchezza.

In questi ultimi anni, vediamo una classe creativa che si sposta tra i continenti, cerca di apprendere il meglio di quanto viene prodotto in ciascuna regione per poi disseminarlo in parti del tutto diverse. Questa classe creativa è fortemente votata alla collaborazione, tant’è che sia gli articoli scientifici che le invenzioni brevettate hanno sempre più raramente un solo autore o anche un gruppo di autori provenienti dallo stesso paese. Le scoperte scientifiche e le invenzioni tecnologiche più rilevanti sono quelle che riescono a coinvolgere studiosi e ingegneri collocati in diverse parti del mondo e pure desiderosi di collaborare tra di loro tenuti insieme dalla passione e dall’interesse per la stessa materia. Parallelamente alle collaborazioni tra scienziati emerge l’importanza cruciale delle infrastrutture di ricerca, dai super computer agli acceleratori di particelle, che non riescono a essere finanziati da un solo paese e che impongono quindi la collaborazione tra paesi diversi, come è ben documentato nella roadmap tracciata dallo European Strategy Forum on Research Infrastructures (www.esfri.org).

Da una parte non sorprende che la scienza, come molte altre attività economiche e sociali, si stia redistribuendo geograficamente, e che Nord America ed Europa, pur essendo ancora gli azionisti principali, stiano perdendo posizioni nelle riviste scientifiche internazionali, mentre l’Asia stia acquistando un peso maggiore, come dimostra il fatto che da oramai un decennio la Cina produce un numero maggiore di pubblicazioni scientifiche della Gran Bretagna e che dal 2012 l’impatto delle pubblicazioni scientifiche orientali, misurato tramite le citazioni ricevute, è diventato superiore di quelle occidentali.

In che misura questi cambiamenti sono riflessi anche nelle istituzioni? Se è vero che stanno emergendo università di eccellenza in Asia, è anche vero che la rincorsa è ancora molto lenta; e Oxford, Cambridge, Harvard e Princeton continuano a mantenere il loro predominio, apparentemente basato non solo sul blasone che hanno conquistato in secoli di tradizione, ma anche grazie alla ricerca che hanno prodotto negli ultimi anni. Le

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migliori dieci università continuano a essere tutte angloamericane.

4. Innovazione sociale e culturale

Mi sia consentita, prima di chiudere, una breve spiegazione del significato del sintagma ‘innovazione sociale e culturale’, sintagma introdotto di recente dalla roadmap ESFRI. L’innovazione sociale ha luogo dopo che l’innovazione tecnologica ha introdotto un nuovo prodotto, il quale prodotto deve aver risposto positivamente alle tre domande seguenti: (1) Risolve il problema? (2) Il suo prezzo è giusto? (3) Sono tutti d’accordo ad accettarlo? Un esempio d’innovazione sociale è dunque la tessera del sistema regionale di sanità della Regione Lombardia che venne introdotta nel 1999, un’impresa pionieristica a quel tempo. Un prodotto innovativo, appunto, che risolveva efficacemente il problema di come dare accesso integrato ai dati della sanità; e non solo il suo prezzo era giusto, dava anche enormi risparmi; e soprattutto tutti la utilizzavano di buon grado, nessuna opposizione. Per fare un altro esempio, l’intero paradigma della medicina personalizzata, invece, fu bocciato alla verifica dell’innovazione sociale. Perché se è vero che la medicina personalizzava era efficace nel prolungare la vita di un numero ristretto di malati terminali, è anche vero che i costi erano altissimi e che di conseguenza il consenso sociale non arrivò mai.

‘Innovazione culturale’ suona come un ossimoro. Cosa che non è, tuttavia. È qualcosa che viene dopo l’innovazione tecnologica e l’innovazione sociale e che si può misurare in termini di cocreazione, ossia analizzando le tracce che ciascuno di noi lascia durante un’esperienza culturale, cosa oggi diventata semplice partendo dai contenuti scaricati dall’internet e soprattutto dalle reti per le quali gli utilizzatori hanno dato l’accordo a essere profilati, si pensi a Netflix6, ma si pensi soprattutto a quello che fanno

ogni giorno i ricercatori del CNR lavorando in gruppo sui dati.

L’elemento specifico di una formazione europea non va cercato in un canone contenutistico stabilito, ma nella dimestichezza con la tradizione e la pluralità. Occorre non solo dominare il linguaggio specifico impiegato nelle fonti originali, ma anche ottenere conoscenze sulla trasformazione dei concetti e sul significato di metafore che 6 C. K. PRAHALAD e VENKATRAM RAMASWAMY, “Co-opting Customer Competence”, Harvard

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fungono da punto di riferimento nel corso del tempo. In sintesi, occorre costruire competenze di carattere storico-filosofico, filologico, linguistico, informatiche e bibliografiche. Si cerca un nuovo canone per il ventunesimo secolo, che presenti in forma digitale un numero enorme di testi del pensiero filosofico e scientifico europeo assieme a metodi e criteri d’interrogazione.

La lezione principale che governi e uomini di affari possono trarre dalla ricognizione compiuta nel volume curato da Archibugi e Filippetti, due ricercatori del CNR7, è che la forza della tradizione garantisce un vantaggio decisivo ma non assoluto:

per preservare le proprie posizioni nella scienza e la propria competitività economica occorre che governi e industria operino su due strategie parallele. Da una parte una predisposizione a collaborare per acquisire e generare conoscenza, sia dei governi, tramite il finanziamento di programmi di ricerca pubblici (nazionali e transnazionali), sia delle imprese, in una concezione dell’innovazione aperta alla collaborazione piuttosto che la difesa settaria di diritti di proprietà intellettuale acquisiti. Dall’altra, la capacità di valorizzare dinamicamente le competenze acquisite in decenni e spesso addirittura in secoli, come insegna l’esperienza dei distretti industriali. Nel libro si evidenzia, infatti, la persistente tendenza delle attività economiche ad altra intensità di conoscenza ad agglomerarsi in spazi geografici limitati.

A chi crede che la globalizzazione riduca il pianeta a un paesaggio uniforme, si può obiettare che questo non è vero nel caso della scienza, tecnologia e innovazione. Sembra anzi che i meccanismi di autoesaltazione operino efficacemente, rendendo poche località di eccellenza destinate a produrre idee, scoperte e innovazioni diffuse in tutto il mondo. Il volume di Archibugi e Filippetti in fondo rammenta quanto sia facile diventare periferia dell’impero scientifico e quanto invece sia difficile entrare nel club dei produttori di conoscenza. Governi e scienziati sono avvertiti: diamoci da fare!

“Innovazione sociale e culturale” è un sintagma divenuto di uso corrente negli ultimi anni per via del nome scelto dallo European Strategy Forum Research Infrastructures per il gruppo di lavoro che si occupa delle infrastrutture per le scienze umane e sociali8. In sé e per sé, l’innovazione significa creazione di nuovi prodotti e

servizi che portano sul mercato una nuova idea. Oggi si è d’accordo che la ricerca di base 7 The Handbook of Global Science, Technology, and Innovation, a cura di Daniele Archibugi e

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sia sì curiosity driven, ma abbia al contempo un impatto traslazionale, poiché è il trasferimento di conoscenze a rendere possibile l’innovazione, che è product driven, in quanto genera nuovi prodotti e linee di produzione. L’innovazione è competenza dei consigli delle ricerche di tutto il mondo, che sono assai diversi dalle università e dalle accademie, che risalgono rispettivamente al Medioevo e le accademie al Rinascimento. Le università hanno come missione l’insegnamento e i professori sono però liberi di insegnare e fare ricerca su cosa piace loro di più; mentre le accademie furono istituite dai re che volevano che degli scienziati vivessero a corte averli per avere risposte su questioni di loro, dei re, interesse. I consigli delle ricerche, invece, furono istituiti attorno alla prima guerra mondiale per ottenere risultati di rilevanza strategica per i loro paesi.

5. Data Science, Data Humanities

Le scienze umane e sociali si studiano al CNR da poco più di mezzo secolo, dalla riforma degli enti di ricerca firmata dal romanista Riccardo Orestano, Decreto Legge 2 marzo

1963, n. 283. Da quel momento il CNR ha reso possibile una travolgente evoluzione del

contesto scientifico delle scienze umane e sociali, che ha messo capo a importanti scoperte tecnologiche, un esempio per tutti sono le biblioteche digitali, che al CNR sono attive dal 1964, e ad altrettanto importanti applicazioni industriali, e qui l’esempio da fare riguarda l’evoluzione delle tecniche di restauro degli artefatti con la quale il CNR permise al paese di reagire con efficacia ai disastri provocati al patrimonio culturale dall’alluvione di Firenze del 1966. È il caso di ricordare che il CNR nel 1971, con il Professor Sabatino Moscati, fece partire il progetto finalizzato ai beni culturali e che da allora noi al CNR abbiamo prestato un appoggio e una passione a 360 gradi sulla questione dei beni culturali. Importa sottolineare che al centro di queste ricerche è stato l’oggetto sociale, materiale o immateriale, ma sempre posto da una persona, cosa che

8 http://www.esfri.eu/working-groups/social-and-cultural-innovation: “The Social and Cultural Innovation Strategic Working Group proposes possible solutions (related to RIs) that are able to help tackle the Grand Challenges facing society, such as health or demographic change, or the ‘Inclusive, innovative and secure societies’ challenge from the third pillar of Horizon 2020, called ‘Tackling societal challenges’. It establishes possible methods through which social sciences and humanities could be used as an evaluation criterion for the activity of other RIs in the ESFRI roadmap (e.g. social impact, etc.). It also explores how RIs can contribute to social innovation or better knowledge transfer towards society”.

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richiede oggi un ripensamento rispetto agli sviluppi della tecnologia. Non si tratta di verificare se le macchine funzionino, si tratta di vedere invece quali siano le domande che l’essere umano pone nel suo cammino sulla via humanitatis.

La conoscenza, la conservazione e la fruizione del patrimonio non solo sono funzionali alle politiche d’integrazione, ma promuovono anche la crescita culturale, economica e sociale. Si pensi alla conoscenza e alla conservazione di contesti culturali e di artefatti, all’archeologia post-bellica, alla realtà virtuale e alla museografia sostenibile9,

l’impatto delle quali dà come risultati: a) rendere il patrimonio culturale lo strumento per azioni di diplomazia scientifica e culturale; b) proteggere e promuovere la diversità culturale; c) documentare, conservare, monitorare, fruire il patrimonio, e infine e) proteggerlo da minacce ambientale e antropiche nel Medio Oriente e nel Nord Africa. La

Milan Declaration on Culture as an Instrument of Dialogue among Peoples adottata

all’unanimità dai ministri della cultura di ottanta paesi a conclusione della conferenza internazionale del 31 luglio-4 agosto 2015 organizzata dal MiBACT in Expo2015 a Milano afferma che:

Cultural Heritage is the mirror of history, civilization and of the society, which is expected to protect it. Cultural Heritage, both tangible and intangible, is also the essence of identity, the memory of peoples and their past and present civilizations. It expresses, at the same time, universally recognized values of tolerance, dialogue, and mutual understanding…the work of man and his extraordinary talent must be protected and preserved for the benefit of future generations10.

A Bruxelles, l’approccio strategico alla diplomazia culturale ha fatto valere la diversità culturale come parte integrante dei valori dell’Unione Europea. La Joint Communication

to the European Parliament and the Council: Towards an EU Strategy for International Cultural Relations (8 giugno 2016) dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari

esteri e la politica di sicurezza indica i seguenti cinque principi guida:

(a) Promote cultural diversity and respect for human rights. (b) Foster mutual respect and intercultural dialogue. (c) Ensure respect for complementarity and subsidiarity. (d) Encourage a cross-cutting approach to culture. (e) Promote culture through existing frameworks for cooperation11.

9 Ad esempio, satelliti e tecniche topografiche, droni e sensori per la protezione del patrimonio in spazi ampi; distemi diagnostici avanzati; nano-materiali e nano-tecnologie per la conservazione; 3D per l’aumento dell’accesso cognitivo in contetsi storici e archeologici; metodologie e protocolli per presentazioni 3D in contesti a rischio; monitoraggio dell’interazione tra artefatti e contesti; sistemi espositivi avanzati: vetrine intelligenti.

10

http://www.unesco.org/new/en/media-services/single-view/news/culture_is_the_identity_card_of_ones_people_declares_prime_minister_matteo_renzi_ to_culture_ministers_gathered_at_expo_milan_2015/#.V7AsG46tTr4.

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L’attuale crisi dei migranti e dei rifugiati ha chiarito con terrificante efficacia quanto sia urgente per le amministrazioni locali, regionali, nazionali e internazionali metter mano a politiche di innovazione sociale e culturale a vantaggio dei nuovi cittadini, per accoglierli con piena dignità.

La grande sfida è il passaggio dalla data science alle data humanities. L’Unione Europea ha riconosciuto la necessitò di fornire strutture avanzate per ricerca di frontiera sull’innovazione sociale e culturale. L’obiettivo principale è considerare gli aspetti scientifici e tecnologici del settore, offrendo soluzioni innovative alle sfide sociali del nuovo millennio. Di fatto, peraltro, anche i ricercatori delle scienze umane e sociali sono confrontati ogni giorno con masse enormi di dati e con una crescente complessità in contesti altamente interdisciplinari. Pensiamo a tecnologie abilitanti quali:

NFC-Near Field Communication; CRM-Content Rights Management; contents-aware networks (fruition and enjoyment); low-latency networks (warning and security); and huge-bandwidth networks (augmented reality).

Al momento, sei infrastrutture di ricerca per “Social and Cultural Innovation” sono pronte e funzionanti e tra queste, E-RIHS (European Research Infrastructure for Heritage Science), che crea sinergie per un approccio multidisciplinare all’interpretazione, conservazione, documentazione e management del patrimonio culturale12. Si tratta di dare

un contributo di sostanza e qualità per la realizzazione del grande progetto italiano di guidare la ricerca europea per la scienza del patrimonio culturale.

12 http://www.iperionch.eu/-/launching-e-rihs-european-research-infrastructur-for-heritage-science-a-new-way-of-approaching-heritage-science. Le sei infrastrutture di ricerca del settore “Social and Cultural Innovation” sono competenza delle tre aree strategiche del Dipartimento Scienze Umane e Sociali, Patrimonio Culturale del CNR. La prima area strategica, Innovazione nella società, abbraccia CESSDA ERIC, SHARE ERIC assieme alle azioni Science with and for Society. La seconda, La mente umana e la sua complessità abbraccia SHARE ERIC e presenta competenze utili per la costruzione dello Human Technopole a Milano. La terza, Innovazione per la cultura, abbraccia CLARIN ERIC, DARIAH ERIC e E-RIHS.

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