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Strade e viandanti nel Cuneese meridionale durante il medioevo

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Academic year: 2021

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(1)

Viaggi e viaggiatori

dall’antichità alla prima

età contemporanea

a cura di

Elisa Panero

Associazione Culturale Antonella Salvatico Centro Internazionale di Ricerca sui Beni Culturali

(2)

IV

(3)

Viaggi e viaggiatori dall’antichità

alla prima età contemporanea

Atti del Convegno di Studi (La Morra, 20 giugno 2009)

a cura di ELISA PANERO

Associazione Culturale Antonella Salvatico Centro Internazionale di Ricerca sui Beni Culturali

(4)

Il volume è pubblicato grazie a un contributo della Regione Piemonte. Con il patrocinio di:

Regione Piemonte, Università degli Studi di Milano, Comune di La Morra.

Associazione Culturale Antonella Salvatico Centro Internazionale di Ricerca sui Beni Culturali Palazzo Comunale, Via San Martino 1

12064 La Morra

www.associazioneacas.org

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ISBN 978-88-904174-7-4

© 2011 Associazione Culturale Antonella Salvatico Proprietà letteraria riservata

(5)

7 13 21 37 59 67 79 93

I

RMA

N

ASO

Come introduzione: viaggi e viaggiatori del passato

G

IORGIO

B

EJOR

Il viaggio da Roma all’Asia e ritorno

E

LISA

P

ANERO

Itinerari termali e itinerari religiosi nella Cisalpina nord-occidentale in età romana

E

NRICO

L

USSO

Strade e viandanti nel Cuneese meridionale durante il medioevo

E

MANUELE

F

ORZINETTI

Il soggiorno di Stendhal in provincia, tra Bra e Saluzzo, nel 1801

F

ABRIZIO

S

LAVAZZI

Laocoonte al Moncenisio. Viaggi di opere d'arte in età napoleonica

P

AOLO

G

ERBALDO

Verso Oriente: società, territori, ospitalità dal viaggio in Egitto del monregalese Giuseppe Filippo Baruffi al turismo di massa

P. E

TTORE

M

OLINARO

Viaggiare e far viaggiare: ideali raggiunti e partecipati dei Fratelli Craveri

(6)

a Le Corbusier

M

AURO

V

OLPIANO

Itinerari in Piemonte nelle guide di viaggio tra fine Settecento e primo Novecento: una fonte per la storia del territorio

A

BBREVIAZIONI

103

111 117

(7)

1Sul tema, in generale, cfr. CHERUBINIG., 2000; MAZZIM.S., 1997; PEYERH.C., 1991; STOPANIR.,

1991. Per l’ambito piemontese si rimanda invece al contributo di DAVISO DICHARVENSODM.C., 1961.

2COMBAR., 1984 soprattutto, ma si veda anche COMBAR.-SERGIG., 1996, pp. 237-246. 3A titolo esemplificativo, si veda il volume di sintesi GRECIR. (a c. di), 2000, passim e quanto

af-fermato nel sempre attuale studio di SERGIG., 1981, p. 18.

4Cfr., per esempio, BARELLIG., 1907, pp. 62 sgg., oltre ai già citati DAVISO DICHARVENSODM.C.,

durante il medioevo

E

NRICO

L

USSO

(Università degli Studi di Torino - CIRBEC)

Che il medioevo in generale – e il basso medioevo in particolare – abbia cono-sciuto, per evidenti ragioni economiche e commerciali, una fioritura del sistema di comunicazione stradale è un fatto noto1. E l’area subalpina, così come il suo

quadrante sud-occidentale, sebbene con alcune specificità e peculiarità, non si sot-trasse a tale processo di riorganizzazione infrastrutturale. Gran parte dell’ambito oggetto di interesse del presente saggio è stata indagata da Rinaldo Comba negli anni Ottanta del secolo appena concluso2, il quale ha ripercorso con precisione

l’articolata rete stradale del settore più propriamente cuneese a partire dall’indivi-duazione dalle stazioni di pedaggio, tratteggiando così un panorama caratterizzato

in primis da condizionamenti di natura commerciale.

In questa sede, invece, oltre che ampliare il discorso all’area delle Langhe e del Roero, interessa focalizzare l’attenzione su un altro tipo di utenza: quella dei pellegrini. È ovvio che i canali di transito che questi percorrevano spesso risul-tavano sovrapponibili, anche per ragioni di sicurezza, a quelli battuti dai mer-canti. Tuttavia, in considerazione della natura stessa della viabilità medievale, che prevedeva sistematicamente, lungo la stessa direttrice, più d’un tracciato stradale – al punto che si preferisce riferirvisi come ad “aree di strada”3–, non si

può escludere a priori una imperfetta coincidenza tra le vie commerciali e quelle che, per comodità, si possono definire “di pellegrinaggio”. A ciò si aggiunga un’altra riflessione: le ragioni economiche che suggerivano l’utilizzo di un de-terminato tracciato risultano variabili nel tempo e nello spazio, risentendo no-tevolmente dell’impatto locale di accordi ed esenzioni che gli amministratori dei principali centri mercantili (nel Piemonte sud-occidentale: Cuneo, Alba e Asti) riuscivano di volta in volta a strappare4. Più stabili appaiono invece le abitudini

(8)

delle altre categorie di viandanti, per le quali, dato un luogo di partenza e uno di arrivo, la comodità e il tempo medio di percorrenza costituivano senz’altro i fattori più importanti. Non solo, ma nel caso specifico dei pellegrini – e soprat-tutto dei pellegrini appartenenti alle classi sociali più umili –, nell’orientare la scelta non poteva che prevalere la presenza o meno di un sistema di accoglienza efficiente; sistema che, com’è noto, era fondato su domus hospitales distribuite lungo gli assi viari utilizzati per i flussi di devozione5. Ora, è da notare come il

controllo di tale sistema vedesse implicato un numero consistente di enti reli-giosi, i quali, al pari dei domini loci o delle comunità che controllavano i tratti di strada che intersecavano i rispettivi possedimenti o distretti, si trovarono assai spesso a essere in concorrenza tra loro6. Ne discende che anche i pellegrini

subi-vano, come i mercanti, condizionamenti esterni in grado di orientarne le scelte; tuttavia questi rispondevano evidentemente a criteri del tutto estranei a quelli commerciali, e non è raro che fossero determinati da scelte operate da istituzioni a evidente carattere sovralocale.

Per l’area subalpina ho avuto modo di dimostrare che, nei secoli XII e prima metà del XIII, cioè quelli in cui il fenomeno del pellegrinaggio compostellano rag-giunse l’acme, furono soprattutto le grandi fondazioni canonicali riformate a de-tenere ipso facto il controllo del sistema ospedaliero. San Lorenzo di Oulx (con le dipendenze di Santa Maria di Susa e dei Santi Pietro e Andrea di Rivalta), San Gia-como di Corveglia e Santa Croce di Mortara controllavano, da sole, un numero di istituzioni ospedaliere prossimo al trenta per cento del totale7, le quali, come è

fa-cilmente intuibile, tendevano perlopiù a concentrarsi lungo i tre principali assi stradali subalpini: la strada lombarda che da Torino per Vercelli tendeva a Milano e Pavia8, la cosiddetta via francigena, che dai valichi della val di Susa, per Torino,

Asti e Alessandria conduceva all’area piacentina9, e la via che da Vercelli per Ivrea

metteva ad Aosta e ai passi del Grande e Piccolo San Bernardo10.

A tale sistema, fortemente gerarchizzato, a partire dai decenni finali del XIII secolo, complice la crisi delle istituzioni canonicali, la diffusione delle religiones

novae e, con ogni evidenza, l’ormai irreversibile tracollo economico di Cluny, che

1961, passim e COMBAR., 1984, passim. Per qualche riflessione preliminare sull’area oggetto di inte-resse cfr. LUSSOE., 2008a, pp. 31-35.

5Per l’area piemontese, in generale, mi permetto di rimandare al mio recente LUSSOE., 2010a,

pp. 43-260. Qualche ulteriore dettaglio in FRATIM., 2001, pp. 21-77; FRATIM., 2004, pp. 61-83.

6LUSSOE., 2010a, pp. 263 sgg.

7LUSSOE., 2010a, pp. 267-275, 285 sgg.

8Nello specifico, cfr. SETTIAA.A., 1997, pp. 815 sgg. V. anche SETTIAA.A., 1991, pp. 167-284. 9SERGIG., 1972, pp. 435-488; BORDONER., 1975, pp. 109-179; SERGI, 1981, passim; GRAMAGLIA

B.E., 1996, pp. 147-177; SETTIAA.A., 1997, pp. 809 sgg.

10Cfr., in generale, VERCELLABAGLIONEF., 1992, pp. 613-633; VIGNONOI., 1964, passim; MAR

(9)

aveva avuto un ruolo primario nell’“invenzione” del pellegrinaggio compostel-lano11, se ne sostituì gradualmente uno molto più capillare, ma all’apparenza non

altrettanto organizzato, costruito perlopiù su fondazioni urbane di piccole e medie dimensioni gestite da confraternite laiche, quasi sempre di disciplinati12.

Ferma restando dunque la possibile convergenza d’uso di una strada da parte di diverse categorie di viandanti, essa non può però essere data per scontata. Anzi, per certi versi, quello dei mercanti e quello dei pellegrini sembrano essere due mondi che occasionalmente entravano in contatto, ma che il più delle volte si muo-vevano su binari paralleli quando non divergenti.

1. Infrastrutture viarie e ospedali nelle Langhe e nel Roero durante i secoli XI-XIII

L’area di cui si tratterà, è bene anticiparlo, fu interessata solo marginalmente dal fenomeno dei pellegrinaggi. Non sembra aver avuto la forza di determinare la nascita di un sistema infrastrutturale sovralocale dedicato all’assistenza neppure la presenza del santuario di Santa Maria di Becetto in val Varaita, priorato dipen-dente dalla canonica dei Santi Pietro e Andrea di Rivalta e celebre meta di devo-zione sin dalla prima metà del XIII secolo13. Nel 1219 si ha, infatti, notizia di alcuni

pellegrini vercellesi che “capti fuerunt euntes visitandum limina gloriose virginis Marie de Beceto” da membri del consortile dei signori di Bagnolo14. Solo lungo la

strada che, seguendo un percorso alternativo rispetto a quello che risaliva la valle Varaita, conduceva al santuario passando per Saluzzo, Pagno, Brondello e Isasca, sono infatti documentate alcune strutture ospedaliere: ossia, nel 1240 lo “hospi-cium Sancte Marie de Beceto”, anch’esso controllato dalla canonica rivaltese15, e

nel 1241 la “domus de Girba” – definita esplicitamente nel 1353 “hospitalis Sancte Katerine de Girba”16–, dipendenza della prevostura di Oulx17.

Nel prosieguo, tuttavia, pare opportuno continuare a fare riferimento alla pe-riodizzazione cui si è fatto cenno, cioè a indagare l’uso devozionale delle vie di co-municazione distinguendo tra i secoli XII e XIII, che di fatto corrispondono all’apogeo dell’esperienza comunale, e i secoli XIV e XV, periodo caratterizzato invece, nell’area in analisi e in progresso di tempo, dall’occupazione angioina, dallo stabilirsi del dominio dei Paleologi marchesi di Monferrato sull’Albese e dei

Vi-11Per esempio, cfr. CAUCCI VONSAUCKENP. (a c. di), 1989, pp. 49 sgg.; CANTARELLAG.M., 1993,

pp. 179-213.

12LUSSOE., 2010a, pp. 275-284.

13LUCIONIA., 2007, pp. 329-348; LUSSOE., 2010a, pp. 255-260.

14BAUDI DIVESMEB.-DURANDOE.-GABOTTOF. (a c. di), 1909, doc. 98 (24 settembre 1219). 15GABOTTOF. (a c. di), 1916, doc. 107 (5 marzo 1240).

16CASIRAGHIG., 1979, doc. 1 (1 maggio 1353-1 maggio 1354).

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sconti sul capitanato di Asti (cui subentrarono gli Orléans, dopo il matrimonio di Valentina figlia di Gian Galeazzo con Luigi)18.

In età comunale sembrano essere in sostanza due gli assi viari dotati di una ri-levanza sovralocale, soprattutto dal punto di vista commerciale. Il primo è quello la cui esistenza è documentata indirettamente da una serie di atti stipulati separa-tamente tra i marchesi del Carretto e di Busca da un lato e i comuni di Asti e Alba dall’altro negli anni a cavallo dei secoli XII e XIII. Nel primo caso, dopo aver otte-nuto nel 1171 l’esenzione da parte del marchese Enrico I del dazio di Savona19, gli

astigiani si accordavano nel 1224 con Ottone, strappandogli la promessa di “dam-num et robariam restituire et resarcire” sulla strada che conduceva al porto ligure20.

Qualche anno dopo, nel 1229, il marchese di Busca, rinunciando in favore di Asti a tutti i diritti vantati nel comitato di Loreto, si impegnava a tutelare gli itinera che si snodavano all’interno dei suoi possedimenti, in particolare quello per Santo Ste-fano, Cossano, Rocchetta e Fravee21. Nel secondo caso, lo stesso marchese Enrico

nel 1210 prometteva agli albesi “eis adire stratam per terram suam ab exitu poderii albensium usque ad mare”, mentre questi ultimi si sarebbero preoccupati di “te-nere salvos et securos in personis et rebus per ipsam stratam”22. Si tratta, con ogni

evidenza, della strada percorsa nel 1254 dall’arcivescovo di Rouen Eudes Rigaud. Di ritorno da un viaggio a Roma, egli, raggiunta Savona, decideva di deviare verso nord lungo l’asse delle valli del Bormida di Spigno e dell’Uzzone, dove sono do-cumentate soste “apud Caretum” e, il giorno seguente, “apud Cortemile”23. Il

pre-sule proseguiva poi guadagnando Asti, dove la strada, che si ritiene essere stata percorsa nel 1244 anche da Innocenzo IV nel suo viaggio verso Lione24, si

ricon-giungeva al tracciato principale della via di Francia. Il tronco viario per Alba si di-ramava invece nei pressi di Cortemilia e passava per Castino, dando origine a quella che nel 1470 era chiamata via magistra Langarum25. Essa giungeva ad Alba

18A proposito dei tempi e dei modi della dominazione angioina nel Piemonte meridionale cfr.,

in generale, MONTIG.M., 1930, passim, con le ulteriori e più recenti riflessioni di GRILLOP., 2006,

pp. 31-94; e di RAOR., 2006, pp. 139-160. Per quanto riguarda l’acquisizione del controllo di Alba e

dell’Albese da parte dei marchesi di Monferrato cfr. LUSSOE., 2007b, pp. 50-63 e bibliografia ivi

ri-ferita. Infine, per la dominazione viscontea prima e orleanese poi su Asti e il suo territorio cfr. GA -BOTTOF., 1899, passim e SANGIORGIOB., 1780, pp. 233 sgg.

19SELLAQ. (a c. di), 1880, II, doc. 608 (11 marzo 1171). 20SELLAQ. (a c. di), 1880, II, doc. 602 (4 marzo 1224).

21SELLAQ. (a c. di), 1880, II, doc. 55 (2 giugno 1229). A proposito di Fravee, insediamento

ab-bandonato dopo la fondazione di Mango, cfr. FRESIAR., 2002, pp. 204 sgg.; PIOB., 1929, pp. 23

sgg.; 64 sgg.

22MILANOE. (a c. di), 1903, doc. 16 (5 settembre 1210).

23STOPANIR., 1991, p. 118. In generale, sul tema si veda anche LUSSOE. 2011, pp. 16-17. 24FERRANDOE., 1910, pp. 74-89, 144-155.

25Ossia della via “per quam […] itur ab ipsa civitate Albe ad locum Castini”; il documento è

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dal lato della porta di San Martino e corrisponde, con ogni evidenza, all’erede me-dievale della via già romana che discendeva la valle del Tanaro26. Torneremo in

se-guito sull’argomento, ma dal momento che questa mai risulta documentata in maniera esplicita nel corso dei secoli XII e XIII, è da credere che avesse gradual-mente perso importanza con il ridimensionamento territoriale di Augusta

Bagien-norum e di Pollentia27.

La seconda via di rilievo dell’area corrispondeva, almeno parzialmente, a quella che sarebbe stata conosciuta nel tardo medioevo come la strata salis. Essa è, per quanto mi consta, citata esplicitamente per la prima volta nei patti commerciali stretti tra Carlo d’Angiò e il comune di Cuneo nel 1259, poco prima cioè della de-dizione del borgo al conte di Provenza, che prevedevano capitoli appositi “super facto strate asecurande et aptande”28. Nella mente di Carlo, che si era garantito il

monopolio delle saline di Hyères, la via – o, meglio, il fascio di vie – doveva dive-nire il principale canale di penetrazione commerciale verso la pianura padana29.

La strada, giunta a Cuneo, si suddivideva in un numero consistente di percorsi al-ternativi che mettevano capo ai più rilevanti centri commerciali subalpini. Tra le direttrici principali, ancora utilizzata allo scadere del medioevo tanto da essere menzionata nelle memorie di viaggio di un anonimo pellegrino francese del 148030,

era quella che conduceva ad Asti, seguendo in sostanza il corso dello Stura prima e del Tanaro poi. La via, che originava proprio da Asti, puntava inizialmente verso

Sainct Damyen (San Damiano) per poi toccare, nel loro ordine geografico da

nord-est verso sud-ovnord-est, Canaye (Canale), Habru (Bra), Arssan (Fossano), Cosne (Cuneo), Le Bourg (Borgo San Dalmazzo), Lymont (Limone), Tande (Tenda),

Sours (Saorgio) e Breil (Breglio). Si tratta, anche in questo caso, di una strada che,

inoltrandosi nel territorio collinare del Roero e svolgendosi poi perlopiù lungo il salto di quota che segna il limite sud-orientale della piana cuneese, soppiantò gra-dualmente la via di fondovalle documentata in età romana31. In che periodo tale

tracciato prese il sopravvento non è dato di sapere, ma certo colpisce come, a co-minciare da Cuneo, tutti gli insediamenti citati, Bra compresa, risultino essere bor-ghi nuovi direttamente o indirettamente riferibili all’iniziativa astigiana, fondati in un ristretto arco cronologico che va dal 1198 al 127532. Non è dunque casuale

26BERRAL., 1943, pp. 71-89.

27Sul tema, nella sua dimensione generale, cfr. PANEROE., 2008, p. 54; LAROCCAC., 1992, pp.

103-140.

28CAMILLAP. (a c. di), 1970b, doc. 44 (5 febbraio 1259). 29In generale, COMBAR., 2006, pp. 15-28.

30Pubblicato in SCHEFERM.CH. (a c. di), 1882, pp. 116-125.

31LUSSOE., 2008b, pp. 58-61 e per alcuni aggiornamenti LUSSOE. 2011, pp. 16-17. A proposito

della viabilità di epoca romana cfr. NEGROPONZIMANCINIM.M., 1981, pp. 31 sgg.

32In generale, cfr. BORDONER., 2003, pp. 29-45; MARZIA., 2003, pp. 59-93. Per Bra cfr. invece

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che proprio nel 1198 gli uomini del neonato villaggio sul Pizzo di Cuneo33si

im-pegnassero a non “capere nec capi facere nec capi permittere aliquod pedagium, teloneum nec aliquod scuffium ab alique homine Astensi”34. È tuttavia da ritenere

che la definitiva diversione della strada da Hasta a Pedona per Pollentia e Augusta

Bagiennorum sia avvenuta verso la metà del XIII secolo – ossia nello stesso intorno

cronologico dei patti stipulati tra i conti di Provenza e i cuneesi –, quando il ruolo commerciale di Cuneo appare ormai stabilizzato.

Per quanto riguarda la presenza ospedaliera – la quale, come detto, offre un si-gnificativo indice dell’eventuale uso degli assi viari anche per ragioni devozionali – i dati che si possiedono per l’area oggi corrispondente al Piemonte sud-occidentale sono frammentari. A proposito dei due tronchi stradali, in larga parte sovrapponi-bili, che da Savona-Vado conducevano ad Asti e Alba vi sono, di fatto, notizie solo per le due città di attestamento. In particolare, ad Alba sono documentati gli ospe-dali di San Marco, controllato dai cavalieri di San Giovanni e citato a partire dal 120235, di Santa Maria della Cherasca, menzionato per la prima volta nel 1206 ed

esistente sul lato orientale della città36, di Santo Spirito, edificato presso il vecchio

ponte sul Tanaro nel 121337e non lontano dalla porta omonima – al pari

dell’ospe-dale che si ritiene esistito presso la chiesa betlemitana di Santa Maria del Ponte38

di San Teobaldo, documentato nel 1202 fuori porta San Martino39 e nelle

disponibilità dei cistercensi di Casanova40, di Santa Maria della Consorzia41e di

Sant’Antonio, citato tardivamente nel 134342. Sebbene nel corso della visita

aposto-lica del 1573 il vescovo Vincenzo Marino raccomandasse la costruzione di un nuovo ospedale a Monesiglio, considerato “quod dicta terra est sita in loco ubi peregrini et pauperes superveniunt”43, si direbbe, dunque, che nei secoli centrali del medioevo

le vie delle Langhe non avessero conosciuto alcuna frequentazione “devozionale”. Diverso invece il discorso per la direttrice Asti-Cuneo-valichi alpini. Lasciata la città che nel pieno medioevo fu uno dei principali centri commerciali del

Pie-33A proposito della fondazione di Cuneo si rimanda al recente GRILLOP., 2002, pp. 11 sgg. e

bi-bliografia ivi citata.

34SELLAQ. (a c. di), 1880, III, doc. 717 (23 giugno 1198).

35MILANOE. (a c. di), 1903, I, doc. 47 (14 luglio 1202). In generale, sul tema, cfr. COMBAR., 2010,

pp. 349-352.

36AUDENINOR., 1996, pp. 31-48.

37BARBIERIE., 1996, pp. 49 sgg.; COMBAR., 2010, pp. 357 sgg. 38COMBAR., 2010, pp. 355-356.

39MILANOE. (a c. di), 1903, I, doc. 76 (19 gennaio 1202).

40ROSSANOG.B. (a c. di), 1912, doc. 155 (20 luglio 1264). Cfr. anche COMBAR., 2010, pp. 347-348. 41Cfr. DONNA D’OLDENICOG., 1957, p. 254, che lo riferisce al XIII secolo. In realtà, l’ospedale è

documentato indirettamente solo nel 1414: AUDENINOR., 1996, p. 35, nota 12.

42RUFFINO, 2006, p. 176 e nota 30; FRESIAR., 2002, p. 430. 43MOLINOB. (a c. di), 2008, p. 34.

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monte e la cui dotazione ospedaliera mostra tratti di eccezionalità44, già a

Revi-gliasco si incontrava l’ospedale di San Marco, menzionato in tre occasioni negli anni Settanta del Duecento e probabile dipendenza della domus astigiana dei Cro-ciferi45. A Govone esisteva quella che, nell’anno 1300, era laconicamente – e con

non pochi margini di incertezza circa la sua reale funzione – definita domus de

strata46; mentre proseguendo verso occidente, ormai alle porte di Alba, a Guarene

sorgevano le più antiche fondazioni della zona: gli xenodochia dipendenti dalla lo-cale pieve di San Giovanni de Villa, documentati a partire dal 104147e, in seguito,

sino al cadere del XII secolo48.

Superata la longitudine della città sul Tanaro, i documenti ricordano poi una dipendenza della canonica di Santa Croce di Mortara, insieme alla prevostura di San Lorenzo di Oulx e ai Santi Pietro e Andrea di Rivalta, come si è detto, uno tra gli enti più attivi nella gestione del comparto ospedaliero della regione subalpina49.

Si tratta del priorato di Sant’Andrea di Bra “extra villam”, nei pressi del quale esi-steva, già nel 125650, la domus in cui è forse possibile indicare il primitivo nucleo

dell’ospedale che lì si sarebbe sviluppato nel tardo medioevo-prima età moderna51.

Seguiva quindi Fossano, dove nel 1273 i cavalieri di San Giovanni controllavano lo “hospitale et ecclesia Salicis”52e dove, una ventina d’anni dopo, nel 1292, si faceva

riferimento a un “hospitale de Porta Romanisii”53. Infine la strada giungeva a

Cuneo, a proposito della cui dotazione ospedaliera vi è poco da aggiungere rispetto a quanto indicato a suo tempo da Piero Camilla54. Rimanendo sempre entro i limiti

cronologici del XIII secolo, si ricordano la domus hospitalis menzionata nel 1290 tra le coerenze di una casa “in ruata Bovisii”55e nel 1481 definita esplicitamente

“hospitale Sancti Iacobi porte […] loci Cunei nuncupate porta Bovixii”56; lo

“ho-44LUSSOE., 2010a, pp. 133-153.

45COTTOA.M.-FISSOREG.G.-GOSETTIP.-ROSSANINOE. (a c. di), 1986, III, docc. 98 (21 aprile

1272); 99 (21 aprile 1272); 198 (25 aprile 1277). Per dettagli, cfr. LUSSOE., 2010a, p. 221.

46SELLAQ. (a c. di), 1880, II, doc. 125 (26 giugno 1300). 47ASSANDRIAG. (a c. di), 1907, II, doc. 319 (26 gennaio 1041). 48Rimando, nuovamente, a LUSSOE., 2010a, pp. 220-221. 49LUSSOE., 2010a, pp. 267-275.

50SELLAQ. (a c. di), 1880, III, doc. 902 (30 dicembre 1256).

51La prima menzione esplicita della struttura si ha negli atti della visita apostolica di Angelo

Pe-ruzzi del 1584: AATo, sez. VII, Visite pastorali, 7.1.4., Angelo PePe-ruzzi (1584), ff. 513v-514v. Una

domus Sancti Spiritus è comunque documenta almeno a partire dal 1477 e sorgeva in posizione

ex-traurbana, anch’essa al di fuori della porta di Fraschetta e nei pressi del priorato mortariense: LUSSO

E., 2007a, p. 96.

52SALSOTTOS. (a c. di), 1909, doc. 106 (19 gennaio-22 febbraio 1273).

53Capitula societatis franche astexane Foxani, in SALSOTTOS. (a c. di), 1909, doc. 122

(giugno-no-vembre 1292), cap. 18 (De molendinis faciendis in bealeria labente ex moenia per viam bealerie).

54CAMILLAP., 1972, passim, e CAMILLAP. (a c. di), 1970a, passim. 55CAMILLAP., 1972, p. 17.

(14)

spitale de Cuneo […] prope portam Burgi”, citato nel 129457, e lo “hospitale Sancti

Iohannis” ricordato nello stesso anno e, come risulta da documenti più tardi, “situm in Burgato et extra muros loci Cunei”58. Al riguardo, benché si abbiano notizie

in-dirette solo a proposito dell’ospedale “di Cuneo”, sembra verosimile ammettere che essi dipendessero, come del resto gran parte delle istituzioni ecclesiastiche del-l’abitato, dall’abbazia di San Dalmazzo di Borgo59. Peraltro, proprio in

corrispon-denza dell’insediamento sorto attorno al celebre monastero altomedievale si diramavano le strade per i passi alpini: la via della valle Stura, quella della valle Gesso e quella che risaliva la valle Vermenagna e adduceva al colle di Tenda, tuttora la via più frequentata per raggiungere la Provenza. Ma se il traffico commerciale, almeno a partire dal secondo Duecento, transitava perlopiù lungo questa direttrice, non a caso oggetto di interventi per migliorarne l’agibilità da parte del gabelliere del sale sabaudo Paganino dal Pozzo, il quale a partire dal 1436 fece realizzare un nuovo fondo stradale e un certo numero di ponti in pietra per raggiungere più comoda-mente il passo60, non sembra che altrettanto avvenisse per i flussi di pellegrinaggio

di medio e lungo raggio. Oltre a Borgo, dove dal 1266 esisteva un ricovero gestito dagli ospedalieri di Santa Maria di Gerusalemme61, le uniche strutture di cui si ha

notizia sono infatti gli “hospitales Sancti Martini de Valderio” e “Sancti Antonini de Intraquis”, citati nel 1246 in “vallibus de Getio”, lungo la direttrice per il colle delle Finestre, ed entrambi soggetti all’abbazia di San Dalmazzo62.

Tirando provvisoriamente le somme, sembra dunque possibile rilevare signi-ficative oscillazioni di tracciato tra le strade a prevalente vocazione commerciale e quelle battute da viandanti spinti al viaggio da ragioni devozionali. È da osservare, anticipando un tema oggetto di riflessioni successive, che tali differenze vennero sfumando alle soglie dell’età moderna; tuttavia, sino a tutto il XIII secolo, l’unico tratto che possiamo ritenere utilizzato sia da mercanti sia da pellegrini era quello che, correndo lungo il ciglio sinistro della depressione che segna la valle dello Stura, da Bra andava a Cuneo. Nel tratto a valle, verso Asti, i viandanti continuavano a preferire la strada che costeggiava il corso del Tanaro, sebbene la notizia di un ospedale “in loco Canalium” fondato nel 1286 e retto da Iacopo di Gorzano per conto del vicario vescovile63suggerisca come, dopo la stabilizzazione insediativa

delle villenove promosse dagli astigiani lungo l’asse del torrente Borbore e,

soprat-57CAMILLAP., 1972, pp. 17-18.

58CAMILLAP. (a c. di), 1970a, doc. 16 (18 febbraio 1437).

59Cfr., al riguardo, GIACCHII., 1976, pp. 417 sgg.; TOSCOC., 1996, pp. 64 sgg.

60Si vedano i contributi di BARELLIG., 1907, pp. 62 sgg.; COMBAR., 1984, pp. 80 sgg.; TALLONE

G., 1941, pp. 57-89.

61PONTIGLIONEV. (a c. di), 1913, doc. 22 (21 agosto 1226). 62CAMILLAP. (a c. di), 1970b, doc. 22 (2 dicembre 1246). 63COTTOA.M. (a c. di), 1987, doc. 589 (16 agosto 1286).

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tutto, dopo la fondazione di San Damiano (1275)64, anche il traffico di pellegrini

iniziasse a deviare sulla via che attraversava il territorio dell’Astisio65. Nel tratto

al-pino, invece, di fatto sino al citato caso del pellegrino francese del 1480, non si hanno notizie di una frequentazione della strada della val Vermenagna – e la con-sequenzialità cronologica con gli interventi di Paganino dal Pozzo difficilmente può ritenersi casuale –, mentre appare consolidato l’uso della via che adduceva al colle delle Finestre.

2. La nascita dell’ospitalità laica: il ruolo di confraternite e comunità nei secoli finali del medioevo

Il XIV secolo, insieme a una caduta d’interesse sociale e strutturale verso l’espe-rienza religiosa del pellegrinaggio e alla sostituzione nella gestione delle fondazioni ospedaliere, in un primo momento in favore del vescovo e dell’amministrazione diocesana66, registra anche un significativo cambiamento nell’utenza. La tendenza,

inversa e per certi versi contraddittoria rispetto all’esperienza precedente, a collo-care gli ospedali presso i centri urbani maggiori apriva infatti le porte di tali strut-ture anche ai poveri e, in subordine, ai malati cronici67. Prendeva così avvio quel

fenomeno destinato, in capo a un secolo e mezzo circa – ma con alcune interessanti eccezioni nei casi dei centri urbani più vitali ed evoluti –, a rendere palese e non ulteriormente rimandabile la necessità di concentrare in strutture più moderne ed efficienti i numerosi hospitales sorti in città e nei rispettivi sobborghi68. Nasceva

così, nel 1319, il primo nucleo del futuro ospedale di Santa Croce a Cuneo69; verso

il 1457 era istituito l’ospedale di Santa Marta di Asti, erede delle funzioni del più antico hospitale civitatis et burgorum de Ast, fondato poco prima del 128770, e

de-stinato a unificare le sette domus dedite all’assistenza all’epoca presenti in città71,

mentre a partire da 1414 l’ospedale di San Lazzaro di Alba riassumeva gradual-mente in sé le altre istituzioni urbane72.

64BORDONER., 2003, pp. 39-41 e BORDONER., 1971-1972, pp. 357-448, 489-544.

65Merita poi almeno una menzione, entro la medesima area di strada, l’ospedale di Santa Maria

di Monteu Roero, documentato a partire dal 1441 e verosimilmente promosso dalla famiglia Roero: MOLINOB., 2005, p. 188.

66LUSSOE., 2010a, pp. 275-284. 67LUSSOE., 2010a, pp. 375-403.

68LUSSOE., 2010a, pp. 452 sgg. e bibliografia ivi citata.

69CAMILLAP. (a c. di), 1970a, docc. 1R (18 maggio 1319), 2R (4 novembre 1325); CAMILLAP.,

1972, pp. 17 sgg.

70COTTOA.M. (a c. di), 1987, doc. 514 (11 maggio 1287).

71A proposito della fondazione: ASAt, Archivio dell’Ospedale Civile di Asti, Ospedale di Santa Marta,

m. 6, fasc. 1, 7 luglio 1457. In generale, sulle vicende dell’istituzione cfr. LUSSOE., 2010a, pp. 135 sgg.

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Nell’area in oggetto, tuttavia, un ruolo di rilievo nel contribuire al riordino dell’organizzazione infrastrutturale di ospedali per viandanti e pellegrini presenti nel territorio ebbe la creazione della diocesi di Mondovì. Essa, decretata nel 138873,

non solo diede nuova linfa alle fondazioni ospedaliere già presenti nell’abitato – quella di Sant’Antonio, documentata nel 136174, quella di Santa Croce, stabilita

nel 1377 e destinata in età moderna a riunire le altre75, e quella di San Domenico,

forse tardotrecentesca76–, ma sembra aver contribuito alla rivitalizzazione di

al-cune vie che, quando ancora il territorio era stabilmente controllato dai vescovi di Asti, avevano perso gradualmente di importanza. Le iniziative in questo senso sembrano essersi in sostanza concentrate su due fronti: la diversione più a est del traffico transitante sulla strada Asti-Cuneo e il recupero di un tracciato prossimo a quello storico, lungo il corso del Tanaro, della via diretta ai porti del Savonese.

Nel primo caso, anche in ragione del peso territoriale che localmente acquisì Cherasco77, dove nel XIV secolo è documentato l’ospedale di Sant’Antonio78,

ri-prese vitalità il canale di traffico che conduceva a Mondovì passando per Salmour – l’ospedale de Sarmatorio è già menzionato nel 1345 tra i luoghi esenti della diocesi di Asti79–, Bene, la cui domus è citata negli atti della visita apostolica del vescovo

Geronimo Scarampi del 158380, e Breolungi, l’antica Bredulo, gradualmente

diser-tata dopo la fondazione del borgo nuovo sul Monte di Vico81, ma anch’essa sede

di una fondazione ospedaliera menzionata negli anni Quaranta del XIV secolo82.

Si direbbe, dunque, che la valorizzazione territoriale del ruolo di Mondovì avesse determinato un vero e proprio moto di attrazione dei tracciati viari. Tra le strutture menzionate, cui si deve forse aggiungere, non lontano da Alba, quella di Verduno,

73CAMILLAP., 1989, pp. 5-22; COMINO, 2011, pp. 91 sgg.

74Ne dà notizia per la prima volta il testo Confraternita di Sant’Antonio abate e San Giovanni de-collato, 1903, p. 3. L’originale è stato rintracciato da Giancarlo Comino, che ringrazio per

l’indica-zione, presso l’AVMondovì, Archivio Capitolare, m. 70, fasc. 5, 28 giugno 1361.

75ASCn, Archivio dell’Ospedale di Santa Croce di Mondovì, Pergamene sparse, n. 48 (31 marzo

1377). Per dettagli cfr. anche LUSSOE., 2004, pp. 49-51; LUSSOE., 2010a, pp. 226 sgg.

76LUSSOE., 2010a, pp. 230-231.

77Si veda al riguardo LANZARDOD., 1994, pp. 149-162. 78BOSIOG., 1894, doc. 4 (9 giugno 1345).

79BOSIOG., 1894, doc. 4 (9 giugno 1345). Pertinenti a quest’aerea di strada sono, probabilmente,

anche gli ospedali di Trinità e Rocca de’ Baldi. Il primo, però, risulta istituito nel 1571 – AVMondovì,

Visitatio apostolica, Geronimo Scarampi (1583), p. 152 –, mentre del secondo si hanno notizie solo

a partire dal 1686 – Archivio Segreto Vaticano, Sacrae Congregationis concilii relationes, Visitae ad

li-mina, m. 546A, Mondovì, fasc. 3 (1686), f. 1019.

80AVMondovì, Visitatio apostolica, Geronimo Scarampi (1583), p. 214.

81Per quanto riguarda Bredulo e il suo comitato cfr. COMBAR., 1983, pp. 26 sgg. A proposito

in-vece della fondazione di Mondovì e dell’ambito di provenienza degli uomini che andarono a popo-larla cfr. GUGLIELMOTTIP., 1998, pp. 47 sgg.

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documentata estemporaneamente nel 134583, è comunque quella di Bene ad

ap-parire, seppur in assenza di documenti risolutivi, come la più radicata: tanto che, nel corso della citata visita apostolica, si precisava che lo hospitalarius residente “recipi consueverit peregrini, pauperes et infirmi”.

L’esito più vistoso del riordino del sistema viario di quegli anni, di certo per quanto riguarda i flussi devozionali, ma probabilmente anche per quelli commer-ciali, a giudicare dall’intervento di rifondazione del borgo di Priero promosso dal marchese Girardo di Ceva nel 138784, si registra tuttavia nell’area di strada dell’alta

valle del Tanaro. In questo caso ci troviamo di fronte se non a una vera e propria traslazione verso sud-ovest del canale di transito Alba-Cortemilia-Savona, per lo meno a una sua duplicazione, ben documentata sia dalle fonti monregalesi sia, so-prattutto, da quelle albesi, dal momento che gran parte del settore territoriale ri-cadeva entro i confini di tale diocesi85. La visita pastorale del vescovo di Alba

Vincenzo Marino del 1573-1580, procedendo da nord-ovest verso sud-est, ricor-dava così l’esistenza di ospedali a Farigliano, Lesegno, Ceva (dove sono documen-tate due istituzioni, quella di Santa Caterina, già menzionata nel 143986, e quella

di Santa Maria nel borgo di Tanaro), Priero, Millesimo, Carcare e Cairo, dove l’ospedale, affidato alle cure della confraria di Santo Spirito, risultava “noviter con-structum”87. A queste strutture sono poi da aggiungere quelle, più a valle, comprese

entro i confini amministrativi della diocesi di Mondovì e Asti, ossia gli ospedali di Carrù, descritto nel 1583 come in rovina88, e di Piozzo, citato nel 144089.

Non sembra comunque che la ripresa di importanza della via che discendeva la valle del Tanaro determinasse l’abbandono dei tracciati più antichi. Anzi, se da un lato sopravvisse sostanzialmente anche la via per le Langhe, dall’altro, sulla spinta dell’uso che ne facevano le truppe spagnole per recarsi nel Milanese90,

sem-brano prendere consistenza alcuni percorsi alternativi di collegamento diretto con il porto del Finale che interessavano le località di Garessio, Ormea e Calizzano, nel

83Il minutario del notaio Oberto da Somano, in MOLINOB. (a c. di), 2004, pp. 447-496, doc. 11 (5

marzo 1345). Meno chiaro è invece il ruolo da attribuire allo hospitale Sancti Spiritus di La Morra, menzionato nel 1439 – MOLINOB. (a c. di), 2004, doc. 78 (11 novembre 1439) –, ma che parrebbe essere una fondazione a esclusivo supporto delle esigenze della popolazione locale.

84Se ne parla in maniera succinta in LUSSOE., 2010b, p. 13, cui si rimanda per gli approfondimenti

bibliografici del caso.

85Cfr., al riguardo, il recente PANEROF., 2011, pp. 59 sgg. 86MOLINOB. (a c. di), 2004, doc. 5 (7 agosto 1439).

87MOLINOB. (a c. di), 2008, pp. 100 (Farigliano), 144 (Lesegno), 63 (Ceva), 71 (Priero), 124 e

161 (Millesimo), 165 (Carcare), 158 (Cairo).

88AVMondovì, Visitatio apostolica, Geronimo Scarampi (1583), p. 225.

89MOLINOB. (a c. di), 2004, doc. 112 (23 gennaio 1440), che riporta una “litera questuales facta

frati Iohanni Picareli pro hospitali Sanctorum Anthonii et Sebastiani de Plocio, diocesis Montisregali”.

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retroterra monregalese, dove sono documentate altrettante strutture di acco-glienza91. Il percorso più battuto sembra comunque essere stato quello che,

abban-donate le valli Uzzone e Bormida di Spigno a favore di quella del torrente Bormida di Millesimo, si staccava a Millesimo dalla via che discendeva l’Appennino pun-tando verso il bacino idrografico del Tanaro e conduceva a Cortemilia, località da dove, seguendo i tracciati già documentati nei secoli XII e XIII, era possibile rag-giungere Alba e Asti. La stessa visita pastorale del vescovo Marino ricordava, negli anni Settanta del XVI secolo, gli hospitales di Saliceto e Cortemilia, entrambi posti lungo il primo tratto della via92, mentre un po’ più discosti, con ogni evidenza

per-tinenti a un diverticolo che puntava direttamente su Alba, erano quelli di Somano93

e di Dogliani94. L’ospedale di Castagnole delle Lanze, documentato a più riprese

nel Quattro e nel Cinquecento (quando risulta gestito dai disciplinati di San Gio-vanni Battista)95, è invece chiaramente riferibile all’ultimo tratto della via che,

se-guendo la valle del Belbo, raggiungeva da sud Asti96.

Il ruolo assunto da Mondovì nel corso dei secoli XV e XVI non mancò, infine, in un caso anche in negativo, di condizionare le scelte di utilizzo delle vie alpine. Ferma restando la posizione di assoluta preminenza della via del colle di Tenda nei traffici commerciali, decisamente più fluido appare invece l’assetto stradale ri-conducibile a una frequentazione di tipo devozionale. Innanzitutto si hanno no-tizie di strutture ospedaliere lungo un tracciato già battuto localmente dai mercanti che univa direttamente Mondovì a Cuneo97. Nel 1583, negli atti della visita

apo-stolica, sono infatti menzionati l’ospedale di Villanova Mondovì, “quod est super oratorium” dei disciplinati di Santa Croce, e lo hospitale Bovisii, sorto nel 1581 per interessamento del pievano locale98, mentre datano alla seconda metà del XVII

se-colo notizie dello “hospitale laicale […] pro peregrini et pauperibus” di Peveragno e dello “hospitale pauperum” di Monastero di Vasco99.

In secondo luogo – e, in questo caso, un ruolo non secondario devono averlo giocato i vescovi di Torino, determinati a non cedere completamente il controllo

91MOLINOB. (a c. di), 2008, pp. 45, 46 e 40 rispettivamente. 92MOLINOB. (a c. di), 2008, pp. 35 e 88 rispettivamente. 93MOLINOB. (a c. di), 2008, p. 102.

94MOLINOB. (a c. di), 2004, doc. 111 (22 gennaio 1440). L’ospedale, dipendente dall’omonima

confraternita, era intitolato a Santo Spirito.

95MOLINOB. (a c. di), 2004, docc. 135 (3-5 marzo 1440), 517 (6 dicembre 1441); MOLINOB. (a

c. di), 2008, p. 29.

96LUSSOE., 2011, pp. 17-20.

97Ne parla, seppure ritenendolo lungo e scomodo, COMBAR., 1984, p. 221. 98AVMondovì, Visitatio apostolica, Geronimo Scarampi (1583), pp. 164, 189.

99Archivio Segreto Vaticano, Sacrae Congregationis concilii relationes, Visitae ad limina, m. 546A,

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dei flussi di pellegrini lungo le strade alpine100–, si registra un’inedita quanto

in-teressante deviazione del traffico da e per l’alta Provenza lungo la strada che risaliva la valle Stura, al punto che non pare possibile dubitare del fatto che, al cadere nel medioevo e nella prima età moderna, tale asse fosse il più battuto da quanti si met-tevano in viaggio per devozione. A fronte, infatti, dell’esistenza di tre strutture ospedaliere lungo la strada che metteva al colle di Tenda101– San Lorenzo di

Li-monetto, sorto in prossimità del valico verso il 1383, anno in cui l’istituzione ot-tenne l’esenzione papale dal pagamento del censo al vescovo di Ventimiglia da cui dipendeva102, Santo Spirito a Limone e l’omonimo ospedale di Vernante, entrambi

menzionati nel 1583 e soggetti al controllo del vescovo di Asti103–, la via della valle

Stura, dalla pianura al valico, poteva contare sullo “hospitale loci Aisoni”, su quello di Vinadio, sullo “hospitale loci Sambuci” e sullo “hospitale comunitatis [...] loci Berzesii”, tutti menzionati nel corso della visita apostolica di Angelo Peruzzi alla diocesi di Torino del 1584104.

A parte forse quest’ultimo caso, come si è accennato in apertura, non si deve tuttavia commettere l’errore di ritenere gli esiti materiali e territoriali riconducibili al trapasso del sistema ospedaliero dal suo assetto di XII e XIII secolo a quello tar-domedievale il frutto coerente di una politica organica e consapevole. È innegabile che nei secoli finali del medioevo e nella prima età moderna ci troviamo di fronte a un’organizzazione territoriale decisamente più articolata e complessa rispetto a quella caratteristica dell’epoca precedente, ma nulla suggerisce che essa fosse più efficiente e funzionale. Le strutture assistenziali, sebbene occasionalmente sorte per impulso o, quanto meno, con il benestare vescovile (come nel caso del Santa Croce di Mondovì), nella maggior parte dei casi risultano infatti affidate all’inclinazione pauperistica delle confraternite laiche, le quali rispondevano quasi sempre a logiche totalmente estranee a qualunque ipotesi di coordinamento a scala sovralocale105.

E tale fenomeno di progressiva polverizzazione istituzionale, particolarmente evidente proprio nell’area albese, monregalese e cuneese forse in ragione della mar-ginalità che il settore territoriale denuncia rispetto al periodo più antico di diffu-sione delle strutture ospedaliere e, di conseguenza, della mancata messa a punto di un complesso infrastrutturale e funzionale nel corso dei secoli XII e XIII, sembra

100LUSSOE., 2010a, pp. 250 sgg.

101Senza tener conto del noto ospedale della Santissima Trinità, dipendente dall’abbazia di San

Dalmazzo di Tenda, fondato nel territorio di Sospello in anni prossimi al 1454 (GRISOLIP., 1998, p. 130).

102GAZZOLAG.M., 1986, pp. 971-978.

103AVAt, Visite pastorali, arm. II, vol. II, Geronimo Scarampi (1583), ff. 4v, 8v.

104AATo, sez. VII, Visite pastorali, 7.1.5, Angelo Peruzzi (1584), ff. 249 (Aisone), 229r-v

(Vina-dio), 233r-v (Sambuco), 244 (Bersezio).

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aver lasciato traccia di sé anche nell’articolazione architettonica degli edifici. Men-tre infatti, almeno da un punto di vista teorico, l’assetto gerarchizzato del sistema ospedaliero di più antica definizione e la sua dipendenza da pochi, ben individuati, enti poteva costituire una buona condizione di base per lo sviluppo di una com-mittenza riconoscibile e la diffusione di modelli coerenti, altrettanto non si può postulare per un sistema – che “sistema”, dunque, non fu, almeno a livello politico e amministrativo – gestito localmente da organizzazioni sì omogenee da un punto di vista istituzionale, ma prive di qualunque rapporto codificato fra di loro106.

Conferme a tale stato di cose giungono sia per via materiale sia per via docu-mentaria. Nel primo caso utile è l’esempio dell’ospedale di Santa Croce di Mon-dovì, costituito grazie alla donazione del 31 marzo 1377 da parte di Tomello di Alessandria di “domum unam cum solo et edificio et cum horto et curia simulte-nentis”107, il quale, dopo un’ulteriore cessione immobiliare nel 1401108, risultava

composto da quattro ambienti, tre al livello della strada e uno desuptus, seminter-rato109. Nel secondo caso possono essere menzionate le – poche – descrizioni che

si desumono dai documenti di fondazione, come nel caso dell’ospedale di Santa Croce di Cuneo, il cui nucleo primitivo fu costituito grazie alla donazione nel 1319, da parte di Garnero di Pozzolo, di “quandam suam domum cum solio et edifi-ciis”110, o dalle sintetiche descrizioni degli atti di visita degli anni Ottanta del XVI

secolo. L’ospedale di Santo Spirito di Limone per esempio, che sorgeva supra la casa dell’omonima confraternita, “constat tribus membris quarum unum sub te-gulis sine pavimento, parietibus rudis, alia duo sub fornicibus sine pavimento in quorum uno custodiantur caldarie, in altero vero adsunt duo vasa vinaria”111.

L’ospedale di Vernante “habet domum in qua sunt quatuor membris, duo inferiora fornicata et duo superiora sub paleis. In uno inferiori tenentur vasa vini, in altero tenentur duo cubilia et ambo sunt sine pavimento”112. Lo “hospitale Sancti

Mi-chaelis”, lungo la strada da Borgo a Caraglio risultava comporsi di “duobus mem-bris inferioribus, uno superiori sub tegulis. In inferiori erant tria lecta strata […] pro hospitandum peregrinos”113. L’ospedale di Aisone è descritto come dotato di

“quatuor mansiones […], quarum tres sunt parate pro recipiendi pauperibus dicti loci, quarta vero pro recipiendi perregrinos”114; quello di Piozzo, invece “constat

106LUSSOE., 2010a, pp. 275-284, 375 sgg.

107ASCn, Archivio dell’Ospedale di Santa Croce di Mondovì, Pergamene sparse, n. 48 (31 marzo 1377). 108Ibid., n. 62 (20 aprile 1401).

109LUSSOE., 2004, pp. 49-51; LUSSOE., 2010a, pp. 422-429. 110CAMILLAP. (a c. di), 1970a, doc. 1R (18 maggio 1319).

111AVAt, Visite pastorali, arm. II, vol. II, Geronimo Scarampi (1583), f. 4v. 112Ibid., f. 8v.

113Ibid., f. 17v.

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unica domo, unica camera depressa, immunda, sine lectos”115. Lo hospitale Sancti

Antonii di Margarita, infine, risultava organizzato in una “domum cum tribus

membris, uno inferiori cum duobus lectis stratis, et duobus superioribus”116, uno

dei quali destinato al rettore.

Sebbene risulti evidente come già la sola pratica, di fatto sconosciuta nei secoli precedenti, di fondare un ospedale donando le strutture edilizie che l’avrebbero ospitato comprometta la possibilità di riconoscere un modello architettonico uni-forme per le domus tardomedievali, è però opportuno precisare che per compren-dere appieno la portata della graduale perdita di connotati formali caratterizzanti occorre riflettere su alcuni temi, per così dire, più sottili. Il problema, infatti, non è tanto quello che ruota attorno alla possibilità di descrivere nella loro consistenza materiale le singole fondazioni, mettendo a nudo più o meno marcate differenze formali e distributive. In fin dei conti, ho avuto modo di dimostrare in altra sede come l’architettura ospedaliera medievale, nella sua accezione più ampia, fosse go-vernata da criteri funzionalistici e, quindi, tendesse nel tempo a modificare il pro-prio assetto in ragione delle necessità contingenti117. Se nel corso dei secoli XIV e

XV gli ospedali appaiono caratterizzati da una grande varietà di assetti strutturali e compositivi, ciò dipende, in prima battuta, dall’altrettanto grande varietà di fun-zioni cui erano chiamati a rispondere, a sua volta conseguenza dell’enorme arric-chimento in termini sia quantitativi sia qualitativi delle esigenze e dei profili sociali dell’utenza. In parole povere, se per accogliere adeguatamente i pellegrini nel XII secolo poteva essere sufficiente, nel caso di ospedali rurali, un’unica stanza con annessa un’abside-cappella118, nel momento in cui l’interesse ricadeva su categorie

sociali (ancora pellegrini, ma anche indigenti, emarginati e malati) tra loro molto differenziate – e non solo per quanto riguarda le esigenze immanenti –, la tendenza generale non poteva che essere quella a un’organizzazione degli spazi dell’assistenza per cellule monofunzionali e, dunque, a una moltiplicazione dei vani, il cui nu-mero e la cui dimensione erano funzione, oltre che della capacità economica delle singole confraternite che li reggevano, della tipologia e dell’ampiezza dell’utenza. Più interessante – e senz’altro più rilevante – è invece il problema della ricono-scibilità, anche agli occhi dei contemporanei, dei complessi immobiliari che ospi-tavano le strutture assistenziali. Se nel caso dei grandi centri urbani o paraurbani – e, quindi, di grandi fondazioni ospedaliere – non credo di sbagliare nel ritenere che non dovessero esservi dubbi di sorta, certamente meno evidenti e individuabili con facilità erano le domus sorte in contesti insediativi rurali, le quali, a ben vedere,

115AVMondovì, Visitatio apostolica, Geronimo Scarampi (1583), p. 232. 116Ibid., p. 244.

117LUSSOE., 2010a, pp. 450-452. 118LUSSOE., 2010a, pp. 354-370.

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nei secoli finali del medioevo così come in quelli in cui era ancora predominante un’ospitalità di matrice religiosa, continuavano a rappresentare l’aliquota più si-gnificativa degli ospedali presenti sul territorio119. Il nucleo del problema, in questo

caso, sembra indicabile innanzitutto nell’ormai consolidata e comune pratica di ricorrere alla muratura anche per l’edilizia civile120. Se dunque, nei secoli XII e XIII,

per rendere riconoscibile un ospedale – ma ciò vale per tutte le classi di edifici pub-blici in senso lato – poteva essere sufficiente, anche in contesti urbani evoluti, sem-plicemente l’uso di materiali costruttivi non deperibili per le strutture di elevazione e copertura121, l’espediente, da solo, non poteva più essere utilizzabile a partire,

al-meno, dal tardo Duecento. Ecco allora che gli ospedali – i quali, come si è detto, nel tardo medioevo tendevano a essere sistematicamente associati ai nuclei inse-diativi – iniziarono a connotare la propria immagine emendando quegli elementi che potevano comprometterne la riconoscibilità (il portico, per esempio, caratte-ristico delle fondazioni urbane più antiche e mai documentato nei secoli XIV-XV, quando cioè assunse predominanti significati e funzioni commerciali122) o

aggiun-gendone altri che permettessero loro di emergere in un panorama urbano che ten-deva inevitabilmente a essere più omogeneo.

Ciò nonostante, nei centri “minori”, gli ospedali tre, quattro e cinquecenteschi, nella loro grande varietà formale e dimensionale come nella loro uniforme ten-denza all’uso della muratura (nonostante il ricorso ancora frequente a materiali poveri, come la paglia, per le coperture), sembrano ormai indistinguibili dalla co-mune edilizia. Si spiega così, per esempio, il motivo per cui, nel 1584, Angelo Pe-ruzzi ordinasse al rettore dell’ospedale di Vinadio di apporre sopra l’ingresso, scritta con “literibus grandiosibus, talia cum verba hospitale per allogiar poveri”123.

119LUSSOE., 2010a, pp. 263-284. 120BONARDIC., 1979, pp. 219-228.

121Pratica questa documentabile senza alcuna eccezione: cfr. LUSSOE., 2010a, pp. 370-374. 122LUSSOE., 2010a, pp. 336-354. A proposito della funzione del portico nel basso medioevo cfr.

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