• Non ci sono risultati.

La motivazione nel provvedimento amministrativo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La motivazione nel provvedimento amministrativo"

Copied!
250
0
0

Testo completo

(1)

(2)

“Il diritto naturale esige che ogni uomo che usa contro i membri della Società le

forze che essa gli ha affidato, le renda conto delle cause che si sono determinate”.

Marchese di Condorcet, “Réflexions d’un citoyen non gradué, sur un procèc bien

connu”, Oeuvres complètes, 1804, tomo XI.

(3)

INDICE

INTRODUZIONE……….6

PARTE PRIMA

PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO E

MOTIVAZIONE

1)La motivazione come requisito del provvedimento. Il lungo

iter verso l’articolo 3 della legge 241/1990……….…8

2)Considerazioni generali sulla motivazione………32

PARTE SECONDA

CONTENUTO E FUNZIONI DELLA

MOTIVAZIONE AMMINISTRATIVA

1)Prime impostazioni del problema della motivazione

amministrativa………41

2)Concezione formale e sostanziale della motivazione……..46

3)La forma della motivazione…...………..56

(4)

3.1)In particolare, la forma della motivazione…….…..…….61

4)Il contenuto della motivazione………78

4.1)In particolare, la motivazione rispetto ai provvedimenti

vincolati ed a quelli ampiamente discrezionali………...82

4.2)Sufficienza e congruità della motivazione………..108

4.3.1)La motivazione nell’ambito dei concorsi pubblici…..123

4.3.2)…e nell’ambito delle gare d’appalto………...142

5)Le deroghe all’obbligo di motivazione……….………….146

5.1) I provvedimenti di trasferimento del personale

militare…...146

5.2) Gli atti amministrativi generali………..160

5.2.1) In particolare, il Piano Regolatore Generale………...164

PARTE TERZA

LA MOTIVAZIONE DOPO LA LEGGE 11

FEBBRAIO 2005, NUMERO 15

1)La questione dei vizi formali……….178

2)La motivazione in corso di giudizio:fermenti

giurisprudenziali e dibattiti dottrinali nell’imminenza della

riforma del 2005………182

(5)

3) La caduta della preclusione alla risarcibilità della lesione

degli interessi legittimi e le sue conseguenze pratiche……..191

4)Il difetto di motivazione come vizio formale……….196

5)Verso un superamento del principio di separazione dei

poteri……….199

6)Il giudizio come “officina per la riparazione degli atti

amministrativi”?...202

7)La legge 15 del 2005 come esempio di schizofrenia del

legislatore?...204

8)La posizione del Consiglio di Stato………208

9)Le indicazioni del diritto comunitario………210

PARTE QUARTA

RIFLESSIONI CONCLUSIVE

1)La motivazione vent’anni dopo la legge 241 del

1990………...……216

(6)

INTRODUZIONE

La motivazione dell’atto amministrativo costituisce da sempre uno dei nodi

gordiani della nostra materia.

L’evoluzione della disciplina di tale istituto è emblematica dei mutamenti degli

assetti e dei rapporti tra la pubblica amministrazione ed i cittadini.

Scopo della nostra trattazione è quello di evidenziarne le peculiarità, indagarne le

funzioni e, soprattutto, di verificare se essa, nell’attuale quadro normativo, possa

costituire un vero baluardo a tutela dei destinatari dell’agere amministrativo o

rappresenti, invece, un orpello privo di qualsivoglia rilevanza effettiva.

Si cercherà, quindi, di analizzare le problematiche e le acquisizioni antecedenti alla

riforma del 1990, la portata della riforma stessa e le modifiche successive.

Quest’ultimo punto merita sicuramente un’indagine approfondita. La legge n. 15

del 2005 e l’articolo 21 octies rappresentano forse il frutto di un ripensamento

legislativo?

Si cercherà, infine, di dimostrare al Lettore che, se di mutamenti si può parlare, essi

sono nel senso della accentuazione della centralità della motivazione. Verso questa

direzione conduce infatti il processo di integrazione comunitaria.

Vogliamo, quindi, in conclusione, affermare la rilevanza della motivazione come

(principale) garanzia del cittadino nei confronti delle amministrazioni pubbliche.

Sullo sfondo di uno scenario in continua evoluzione, posto che il diritto

amministrativo è stato, negli ultimi dieci anni, oggetto di un processo di profondo

rinnovamento, che va dalla consacrazione della risarcibilità degli interessi legittimi

all’introduzione della possibilità di avvalersi della consulenza tecnica nel processo,

per citare solo alcune delle innovazioni più recenti, non si può non tenere a mente,

nel principiare il nostro studio, quanto soleva spesso ricordare uno dei padri della

normativa amministrativa del neonato Regno d’Italia: “la libertà oggi deve cercarsi

non tanto nella costituzione e nelle leggi politiche, quanto nella amministrazione e

nelle leggi amministrative” (S. Spaventa).

(7)

PARTE PRIMA

PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO

E MOTIVAZIONE.

(8)

1) La motivazione come requisito del provvedimento. Il lungo

iter verso l’articolo 3 della legge 241/1990.

Nel nostro ordinamento, fino al 1990

1

, non era previsto, expressis verbis, un

obbligo generale di motivazione degli atti (e provvedimenti) amministrativi. Era,

perciò, spettato alla giurisprudenza ed alla dottrina il compito di individuare quando

essa era richiesta, nonché, nei casi suddetti, le sue caratteristiche ed i suoi contenuti.

La prima basilare questione che si è dovuta affrontare è stata, quindi, quella relativa

alla sussistenza o meno di un obbligo generale di motivazione

2

. Tale omissione

infatti poteva essere o non essere volontaria . Le possibilità erano sostanzialmente

due: il legislatore poteva avere inteso tale fatto come lecito giuridico, id est come

attività rimessa alla libera iniziativa del singolo e non soggetta come tale ad una

disciplina specifica, ovvero averlo voluto rimettere alle regole generali ed al

ricorso all’ analogia

3

.

Invero, già all’inizio del secolo scorso

4

, si era cercato di sostenere la tesi della

1

Non sono peraltro mancati tentativi legislativi volti ad un coordinamento delle varie disposizioni ed alla fissazione di principi generali in tema di motivazione.

Si può ricordare in particolare, lo schema di legge predisposto dalla Commissione Forti (cfr. P. LAZZARA, L’azione amministrativa ed il procedimento in cinquant’anni di giurisprudenza costituzionale, in G. DELLA CANANEA - M. DUGATO (a cura di), Diritto amministrativo e Corte Costituzionale, 387). L’art. 37 rubricato “Elementi dell’atto” infatti, al comma secondo, recitava: “salvi i casi in cui la legge escluda la motivazione o richieda la sola enunciazione della causa generica del provvedimento, gli atti che respingono le istanze sulle quali la P. A. è tenuta a provvedere e quelli che in qualunque maniera restringono la sfera delle libertà e dei diritti individuali devono essere motivati”. Si veda a riguardo “Stato dei lavori per la riforma della P. A., a cura della Presidenza del Consiglio, vol. III, Roma, 1953, 1 ss.

2

Tra i primi studi ad occuparsi di motivazione si ricordano in particolare quelli dello Iaccarino.Si veda V. C. M. IACCARINO, Studi sulla motivazione, Napoli, 1933

3

Decisa la posizione di un Autore successivo il quale affermava perentoriamente: “…il difetto, nell’ordinamento positivo, di un’esplicita enunciazione di principio non autorizza, senz’altro, la conclusione che l’obbligo di motivare è escluso, salve le eccezioni imposte da singole disposizioni di legge o dalla particolare natura di certi atti (per es. i pareri): nel nostro, come in ogni altro caso, l’interprete ha infatti il dovere di accertare preliminarmente se il silenzio del legislatore sia veramente espressione di volontà negativa o sia piuttosto una lacuna, da colmarsi con l’analogia o col ricorso a principii generali.” Così G. PANDOLFELLI, Obbligatorietà della motivazione negli atti amministrativi, in Studi in onore di Ernesto Eula, vol. III, Milano, 1957, 86.

Persuasivo appare, in particolare, il rilievo secondo il quale il brocardo latino “lex ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit” ha scarsa ragione di essere applicato in un campo, quello del diritto amministrativo, caratterizzato da un’estrema frammentazione e anorganicità, prestandosi invece maggiormente all’applicazione nel caso di norme codicistiche.

4

Cfr. L. RAGNISCO, Nota alla decisione della IV Sezione del Consiglio di Stato, 15 maggio 2008, in

(9)

generale obbligatorietà della motivazione. Si era così argomentato che il T. U. delle

leggi del Consiglio di Stato ed il relativo regolamento di procedura

5

prevedevano

la possibilità di un ricorso per motivi di legittimità avverso tutti gli atti

amministrativi imponendo, a pena di inammissibilità, di motivare i ricorsi stessi.

Conseguentemente, se ne era dedotto che gli atti amministrativi dovevano essere

motivati per consentire l’adempimento di tale onere da parte dei ricorrenti in

giudizio.

Si era, poi, fatto riferimento al sindacato giurisdizionale per eccesso di potere,

ritenendo impossibile tale attività in assenza di motivazione degli atti

amministrativi

6

.

Un ultimo elemento addotto era di natura letterale e faceva riferimento ad

un’interpretazione estensiva dell’articolo 3 della legge n. 2248/1865 allegato E

7

, in

virtù della quale si riteneva sussistente un obbligo generale di motivazione degli atti

amministrativi

8

.

5

Recita infatti l’articolo 6 del Regolamento di procedura: “Il ricorso […] deve contenere […] i motivi su cui si fonda […]

6

Si tratta della cosiddetta tesi della funzione processuale della motivazione. Tale tesi verrà in seguito ripresa e sviluppata da Mortati, secondo il quale l’esistenza di un rapporto tra sindacato giurisdizionale e motivazione esiste, in quanto “è fatto carico a chi agisce per l’attuazione coattiva di una pretesa tendente a produrre effetti giuridici nella sfera di un altro soggetto giuridico, di dichiarare la ragione della medesima (onere dell’affermazione o della ragione), ossia di indicare ciò che valga ad individuare la domanda, sotto la specie non tanto della volontà di legge, che si suppone già cognita dal giudice, bensì delle circostanze, che concretizzano nel caso particolare siffatta volontà di legge”. Così C. MORTATI, “Obbligo di motivazione e sufficienza della motivazione degli atti amministrativi”, nota critica a Cons. Stato, Sez. IV, 4 luglio 1942, in Giurisprudenza Italiana, 1943, III, 8 ss.

A giudizio di Mortati, quindi, per l’instaurazione di un valido contraddittorio, sono necessari tanto le ragioni addotte dal ricorrente nel ricorso, tanto la motivazione fornita dall’amministrazione a fondamento dell’atto. Nel caso del provvedimento amministrativo peraltro bisogna evidenziare una peculiarità, ossia, stante l’esecutorietà degli stessi, che l’obbligo motivazionale sussiste prima dell’insorgenza di una contestazione giudiziaria.

Per quest’ultimo rilievo si veda G. PANDOLFELLI, op. cit, 89. Lo stesso Autore non lesina critiche a siffatta impostazione, sottolineando l’assenza di ogni similitudine tra onus probandi in sede civile e provvedimento amministrativo.Giova inoltre ricordare che la tesi del Mortati prendeva le mosse dalle critiche formulate in relazione alla tesi esposta da G. MIELE, “L’obbligo di motivazione negli atti amministrativi”, in Foro Amministrativo, 1941, I, 1, 125, che aveva fondato l’obbligo generale di motivazione per gli atti amministrativi sulla esecutorietà degli stessi.

7

Il quale prevedeva l’obbligo della motivazione per i decreti delle autorità amministrative con cui queste provvedevano sugli “affari” ad esse attribuiti.

8

Tale impostazione fu anche avallata in un’occasione dalla giurisprudenza. Si veda la nota 22. Non vi fu inoltre chi non ravvisò nell’articolo 7 della stessa legge del 1865, il fondamento di un generico obbligo di motivazione.

Non mancarono peraltro, anche in epoca successiva, tentativi del medesimo tenore. In particolare il riferimento fu all’articolo 5 del d. P. R. 1199/1971. Più ambizioso, ma destinato a totale insuccesso

(10)

Peraltro, non fu difficile mettere in evidenza i punti critici di tale impostazione.

Fu osservato

9

, infatti, che, in primo luogo, in tal modo si sarebbe negato l’obbligo

di motivazione in relazione a quegli atti amministrativi avverso i quali non era

possibile ricorrere in giudizio.

In seconda battuta, si era posto in luce come, anche in relazione agli atti

amministrativi nei confronti dei quali era previsto il ricorso, tale impostazione fosse

censurabile; infatti, l’onere a carico del ricorrente si limita ai motivi e non agli

elementi su cui essi si fondano, potendo essi essere indicati successivamente,

quando cioè emersi dalle documentazioni dell’amministrazione.

Con riferimento ai motivi, poi, era ammesso il ricorso all’istituto dei motivi

aggiunti

10

, possibilità che rendeva meno esasperato il bisogno del ricorrente di

conoscere preventivamente le motivazioni dell’atto.

Facilmente contrastabile risultava poi l’argomentazione relativa al sindacato del

giudice per eccesso di potere. Era già stato infatti puntualmente rilevato che,

sebbene la motivazione dell’atto faciliti la prova dell’eccesso di potere, “sarà più

difficile, ma non è impossibile fare la prova dell’eccesso di potere anche quando

l’atto non sia motivato”

11

. Anche l’argomento di natura letterale fu confutato senza

particolari difficoltà, con il rilievo della specificità della disposizione e quello della

fu chi ravvisò tale obbligo nell’articolo 111 della Costituzione. Su quest’ultimo punto si avrà modo di tornare più avanti nel corso della trattazione..

9

Si veda C. M. IACCARINO, op. cit., 13 ss.

10

Già dagli anni ‘20 la giurisprudenza ammetteva la possibilità di dedurre motivi aggiunti. Su tale aspetto vedi C. E. GALLO, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2007, 203 ss. Diffusamente anche E. PICOZZA, Il processo amministrativo, Milano, 2008, 238.

Più recentemente sulla questione A. ROMANO - TASSONE, “Motivazione dei provvedimenti legislativi e sindacato di legittimità”, Milano, 1987, 68, secondo il quale, tale istituto, e la sua larga applicazione giurisprudenziale, sarebbe comunque “gravido di negativi risvolti per il cittadino interessato, costretto ad iniziare azioni giudiziarie (ed a sopportare le relative spese) senza una oggettiva cognizione del provvedimento che possa soccorrerlo al fine se decidere se proporre o meno ricorso”. Secondo tale Autore sarebbe, invece, auspicabile (come previsto dall’ordinamento tedesco) che la decorrenza del termine di impugnazione fosse ancorata al possesso da parte del destinatario del provvedimento di “una esauriente informazione”, caratterizzandosi negativamente il fatto che dal giudizio amministrativo, e non prima, possa emergere la validità del provvedimento. Nello stesso senso, G. AZZENA, Natura e limiti dell’eccesso di potere amministrativo, Milano, 1976, 311.

11

(11)

sua inidoneità ad un’applicazione generale

1213

.

Si erano peraltro trovati, successivamente, ulteriori elementi a sostegno della tesi

contraria. Due ulteriori aspetti erano, infatti, stati sottolineati: in primo luogo, come

fossero molteplici i casi in cui era addirittura previsto per tabulas un divieto di

motivazione e, secondariamente, come, in alcuni casi, invece tale adempimento

fosse previsto a livello normativo, circostanza che poneva seriamente in dubbio la

generalità dell’obbligo

14

.

Si era, poi, autorevolmente

15

sostenuto che un elemento, a favore dell’inesistenza

12

“La legge abolitiva del contenzioso amministrativo, all’art 3, si riferisce ad una ben determinata categoria di atti amministrativi, che devono avere la forma del decreto ed essere emessi dopo aver preso in considerazione il previo parere e le deduzioni degli interessati. Né si può qui pensare ad una possibile analogia, poiché la norma dell’art. è essenzialmente limitativa di facoltà, quando impone l’obbligo della motivazione. Quindi non pare che l’obbligo della motivazione stabilito dall’art. 3 per alcuni tipi di atto possa considerarsi dettato per tutti gli atti amministrativi”. Così C. M. IACCARINO, op. cit., 13.

13

Non erano mancate opinioni favorevoli all’esistenza di un obbligo generale di motivazione, fondate su argomenti diversi.

Suggestiva l’interpretazione prospettata dal Roehrssen, il quale configurando la motivazione come esternazione della volontà dell’amministrazione procedente, concludeva la sua analisi in questo modo: “definita la motivazione quale esternazione della volontà, è evidente come essa sia sempre necessaria, così come è sempre necessaria l’esistenza di una volontà”. Cfr. G. ROEHRSSEN, “Note sulla motivazione degli atti amministrativi”, in Rivista di diritto pubblico, 1941, 110 ss.

Contra, su questo punto, G. MIELE, op. cit., 127, il quale rilevava che “malgrado la rilevanza che è da riconoscere ai motivi nel diritto pubblico, non sembra che il processo logico traverso cui si perviene a manifestare un dato volere possa incorporarsi in questo ; se così fosse la motivazione, rilevanti o no i motivi, dovrebbe accompagnarsi a ogni manifestazione di volontà , là dove questa è richiesta per la produzione di un effetto giuridico. E si sa che, almeno nel diritto privato, ciò non avviene”.

14

“Se veramente esistesse questo principio generale che imponesse di motivare tutti gli atti amministrativi, quale necessità vi sarebbe di ricordarlo di tanto in tanto, con apposita disposizione legislativa…”. Così C. M. IACCARINO, op. cit. p.15.

15

S. ROMANO, Corso di diritto amministrativo, Principi Generali, Padova, 1932, 269-270.

Lo stesso Autore faceva riferimento ai casi in cui sussiste un’esigenza di segretezza. Si pensi agli atti relativi ad affari esteri o a questioni militari.

Contra, su questo punto, Roehrssen, il quale sottolineava come “gli atti da ridurre in iscritto rappresentano l’enorme maggioranza, anzi la quasi totalità”. Lo stesso autore poneva in luce come fosse in astratto possibile anche la motivazione degli atti orali. Si veda G. ROEHRSSEN, op. cit., 114.

Su ragioni di ordine pratico si fondavano le perplessità del Cammeo, il quale si esprimeva in senso nettamente contrario rispetto alla questione in esame. “La massima che tutte le decisioni amministrative debbano essere motivate a pena di nullità è […] fatale per la pubblica amministrazione. […] l’obbligo della motivazione importerebbe difficoltà, impacci, lentezze insormontabili, le quali sarebbero ben più disastrose per il pubblico, che l’inconveniente di qualche provvedimento non motivato. […] che la legge in alcune materie più gravi e più direttamente concernenti interessi di cittadini limiti la discrezionalità con l’imporre una motivazione si

(12)

di un generico obbligo di motivazione, era riscontrabile nella possibilità di atti non

scritti, sottratti quindi, ipso facto, a tale onere.

Dal canto suo, la giurisprudenza, se, in un primo momento, aveva affermato il

generale obbligo di motivazione

16

, aveva prontamente mutato orientamento,

disconoscendo tale principio

17

. Negli anni successivi, infatti, si è negata

pacificamente la sussistenza di un obbligo generale di motivazione

18

.

Fu però da subito avvertita la sensazione che l’omissione del legislatore fosse più il

frutto di una scarsa attenzione per il problema che l’espressione di una precisa presa

di posizione sulla problematica de qua

19

. La dottrina più attenta, prima, la

giurisprudenza, poi, cercarono di enucleare dei principi aventi portata generale. Tra

di essi, sicuramente, spicca quello relativo alla distinzione tra motivazione

comprende, che sia nel suo spirito di limitarla sempre […] è opinione , la quale, in omaggio a dottrinarie esigenze giuridiche, sacrifica i dettati di una sana psicologia e le ragioni di un’efficiente attività pubblica”. Così F. CAMMEO, Gli atti amministrativi e l’obbligo della motivazione, in Giurisprudenza Italiana, 1908, 253 ss.

Contra, su questo specifico punto, il Roehrssen, il quale evidenziava come non si potesse sostenere seriamente che l’obbligo di motivazione nuocerebbe alla speditezza dell’azione amministrativa ma, al contrario, come essa trarrebbe vantaggio dalla maggior ponderazione connessa a tale obbligo. Cfr. G. ROEHRSSEN, op., cit, 115.

16

Cons. St., IV Sez., 15 maggio 1908, in Foro Italiano, 1909, II, 10. In tale occasione i giudici di Palazzo Spada affermarono che “ l’obbligo della motivazione degli atti amministrativi si deduce, in primo luogo, dall’art. 3 della legge sul contenzioso amministrativo 20 marzo 1865 all. E” e soprattutto, rigettando le interpretazioni restrittive, allora dominanti, che “l’articolo 3 doveva “considerarsi come una norma giuridica generale perché costituisce una garanzia dell’individuo verso l’amministrazione”.

17

Ex multiis Cons St., IV Sez., 15 gennaio 1909, in Giustizia amministrativa, 1909, 49. Successivamente la giurisprudenza del Consiglio di Stato si mantenne fedele , senza tentennamenti, a tale impostazione. Per una approfondita rassegna della giurisprudenza in materia si veda R. JUSO, Tratti caratteristici della giurisprudenza sulla “motivazione” degli atti amministrativi, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1959, 661 ss., oltre a P. VIRGA, Il provvedimento amministrativo, Milano, 1968, 215 ss.

18

Nel 1958, si affermava per esempio, in relazione ad un provvedimento di revoca di un incarico come componente delle commissioni mediche delle pensioni di guerra, che “non esiste un obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi, la necessità della motivazione dovendo affermarsi od escludersi caso per caso, tenendo conto della natura dell’atto, del potere esercitato, della possibilità che sull’atto si possa svolgere il controllo di legittimità, del diritto di difesa dell’interessato etc. Il provvedimento di revoca dall’incarico di un componente delle commissioni mediche delle pensioni di guerra è ampiamente discrezionale e non abbisogna di particolare motivazione” (Cons. St. IV Sez. 18 aprile 1958, n. 329, in Foro Amministrativo, 1958, 492).

19

(13)

necessaria e motivazione facoltativa. La motivazione sarebbe infatti necessaria in

due casi: quello in cui lo prevede la legge e quello in cui lo richiede la natura

dell’atto

20

.

Sulla prima ipotesi nulla quaestio. L’espressa disposizione di legge non può lasciare

adito a dubbi.

Maggiormente problematica si configura invece la seconda eventualità. Il

riferimento alla natura dell’atto si presta ad applicazioni casistiche mal conciliabili

con lo scopo di ordine generale che si perseguiva. Sensibile a tale esigenza, la

giurisprudenza ha affermato la sussistenza di un obbligo di motivazione in relazione

ad alcuni specifici atti amministrativi. Si tratta sostanzialmente di tre categorie di

atti

21

.

In primo luogo, quelli relativi ai cd. procedimenti di secondo grado, ossia quei casi

in cui si procede ad una rivalutazione dell’interesse pubblico già valutato in

precedenza (si pensi al caso di revoche di atti amministrativi).

Oltre a questi, si è fatto riferimento agli atti che limitano la sfera giuridica dei

privati

22

, a favore dell’amministrazione o di altri soggetti privati ( per esempio

quelli che impongono dei facere o che respingono istanze sulle quali la P. A. sia

20

Tra le prime pronunce giurisprudenziali a fare riferimento, per quanto attiene all’esigenza di motivazione, si segnala Cons. Stato, Sez. IV, 17 maggio 1907, n. 178, la quale ricollegava la necessità de qua “all’indole del procedimento ed “alla natura degli interessi in conflitto”.

Il testo della sentenza è contenuto in M. CHIAPPETTA, “L’obbligo di motivazione del provvedimento”, in (a cura di) G. PASQUINI - A. SANDULLI, Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 2001, 94.

21

Ibidem.

22

In questo senso ebbe modo di pronunciarsi anche la Corte Costituzionale, a parere della quale, “anche se nella perdurante mancanza di una legge sul procedimento amministrativo, non è facile trovare un a disposizione espressa che sancisca se ed in quali casi sussista l’obbligo di motivazione, è da ritenere che, sulla base di principi che si possono considerare come ormai saldamente acquisiti, l’atto amministrativo che apporta limitazioni ai diritti deve essere sempre congruamente motivato”. Così sent. 12/1972, in Giurisprudenza Costituzionale, 1972, 45.

(14)

tenuta a provvedere)

23

. Un esempio rilevante è sicuramente quello degli atti

d’urgenza, in relazione ai quali la motivazione consente di valutare ex post la reale

sussistenza della condizione di necessità

24

.

Tra di essi, spiccano, inoltre, per la loro delicatezza quelli relativi agli ordini di

polizia

25

.

Infine, ulteriore e residuale categoria è quella relativa alle decisioni e deliberazioni

amministrative.

Seconda ipotesi è quella relativa ai casi in cui la motivazione è meramente

facoltativa, ossia può essere data, o meno, dal soggetto agente. La giurisprudenza ha

ravvisato tale carattere nell’ipotesi in cui l’emanazione di un determinato atto rientri

nell’ampia discrezionalità dell’amministrazione agente

26

.

23

Tale impostazione risulta pienamente condivisibile soprattutto in relazione ai provvedimenti sanzionatori. Sull’esigenza di motivazione in questi casi la dottrina si era espressa da tempo. Si veda G. ZANOBINI, Le sanzioni amministrative, Torino, 1924, 178.

24

In relazione ai provvedimenti d’urgenza, la Consulta ha ravvisato proprio in una “adeguata motivazione” uno dei requisiti della legittimità dell’azione amministrativa ( sent. 8/1956, in Giurisprudenza Costituzionale, 1956, 602 ). Su tale argomento, si veda D. DE PRETIS - B. MARCHETTI, La discrezionalità della pubblica amministrazione, in G. DELLA CANANEA - M. DUGATO (a cura di), Diritto amministrativo e Corte Costituzionale, 354.

25

Su tale esigenza, ebbe modo di pronunciarsi la Corte Costituzionale in una delle sue primissime decisioni, allorquando ebbe modo di affermare, in relazione all’art. 157 del T.U.L.P.S. che “la motivazione appare necessaria per consentire al cittadino l‘esercizio del diritto di difesa. Tale diritto è garantito dall‘art. 24 della Costituzione per i procedimenti giudiziari e non può dubitarsi che il cittadino debba in ogni caso essere posto in grado di difendersi legalmente contro qualsiasi provvedimento dell‘Autorità, il che non può avvenire se non gli vengano contestati i motivi, cioè i fatti, che lo hanno provocato”. Si veda a riguardo la sentenza 2/1956, in Giurisprudenza Costituzionale, 1956, 561 ss.

Alcune considerazioni su tale pronuncia sono svolte da Pandolfelli, il quale ritiene non pienamente presa in considerazione la distinzione tra prescrizione legislativa della motivazione e necessità di motivazione in relazione allo scopo perseguito dalla norma. Si veda G. PANDOLFELLI, op. cit., 81 ss. 26

Nel 1954 si rilevava infatti che “la giurisprudenza ha più volte affermato che non sussiste, in linea generale, l’obbligo della motivazione per gli atti ampiamente discrezionali. […] E’ ben vero che la mancanza di una congrua motivazione rende più arduo il controllo giurisdizionale, ma se tuttavia l’obbligo della motivazione non esiste, non è possibile imputare all’organo amministrativo l’intendimento di sfuggire a quel controllo, il quale del resto può essere ugualmente esercitato alla luce di tutti gli elementi che per altra via soccorrono a rilevare la illegittimità dell’atto (Cons. St., V Sez., 171/1954, in Foro Italiano, III, 65 ss.

Parzialmente discorde Juso, secondo il quale il rapporto inversamente proporzionale tra discrezionalità amministrativa ed obbligo di motivazione non si baserebbe sulla discrezionalità del potere dell’amministrazione agente ma sull’irrilevanza del motivo dell’azione amministrativa nello

(15)

Si è però ritenuto possibile, in tali casi, nonostante il suo carattere facoltativo, il

sindacato sulla motivazione, privilegiandosi lo scopo principale della stessa

27

.

Nulla innovò, per quanto attiene alla tematica oggetto della nostra trattazione,

almeno in modo diretto

2829

, l’avvento della Costituzione Repubblicana.

specifico caso. Si veda a riguardo R. JUSO Motivi e motivazione nel provvedimento amministrativo, Milano, 1963, 108.

Tale ricostruzione è in linea con l’impostazione di tale Studioso che vede nella motivazione il mezzo di esternazione dei motivi dell’agere amministrativo.

Diversa la posizione espressa, qualche anno dopo, da P. VIRGA, op. cit., 215, secondo il quale “l’obbligo della motivazione non è inversamente proporzionale alla discrezionalità del provvedimento, come dimostra il fatto che provvedimenti di discrezionalità amplissima, come le ordinanze di urgenza, esigono motivazione […] Vero è piuttosto che la motivazione è in funzione della suscettibilità dell’atto a ledere gli interessi legittimi del destinatario; se nessuna pretesa tutelata esiste all’emanazione di un provvedimento […], nessun obbligo di motivazione esiste…”.

27

“…rappresentando la motivazione il mezzo idoneo di rilevazione dei vizi di legittimità, il mezzo cioè attraverso il quale il destinatario dell’atto, gli organi di controllo, e chiunque altro dalla legge stabilito, hanno la possibilità di sindacarlo, allo scopo di rendersi conto delle ragioni pratiche e giuridiche che lo hanno provocato e lo giustificano; per saggiare infine la conformità - o meno- dell’atto alle disposizioni di legge. Infatti attraverso la motivazione può ricostruirsi l’iter formativo della volontà del soggetto agente e dedurne obiettivizzati motivi e scopi determinatori”. Così R. JUSO, op. cit., 672.

28

Non mancò peraltro, in sede di Assemblea Costituente, la proposta di inserire nella Costituzione il principio dell’obbligo generale della motivazione del provvedimento amministrativo. Risulta infatti agli atti della “Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato” la seguente discussione: “L’ultimo punto, sul quale la Commissione è stata invitata a manifestare il suo avviso, è quello se debba essere costituzionalmente sancito l’obbligo dell’amministrazione di motivare i suoi provvedimenti […] bisogna essere molto guardinghi nella formulazione di norme generali sui loro requisiti, e così su quello della motivazione, che può essere bensì affermato in via di principio, ma non in modo assoluto , non potendosi escludere che vi siano dei casi, nei quali sarebbe eccessivo, ed in contrasto con la natura e la finalità dell’atto, stabilire che esso debba essere motivato.Comunque la generica dichiarazione che tutti gli atti amministrativi debbono essere motivati, se anche fosse consigliabile, non pare che trovi la sua sede più adatta nella Carta Costituzionale, dove essa assumerebbe uno sproporzionato carattere di solennità ed inderogabilità, che potrebbe costituire un eccessivo inciampo nello svolgimento dell’attività amministrativa”.

Si veda G. D’ALESSIO, Alle origini della Costituzione italiana, I lavori preparatori della “Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello stato (1945-1946), Bologna, 1979, 888-889.

Del problema si è occupato anche M. S. GIANNINI, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enciclopedia del diritto, XXVIII, Milano, 1977, 263.

29

Non è mancato, tuttavia, chi ha desunto l’esistenza di un obbligo generale di motivazione dall’art 97 della Carta Costituzionale e dal principio di imparzialità, ivi contenuto. In questo senso, infatti, G. C. MORETTI, La motivazione dell’accertamento tributario, Padova, 1969, 34.

Sulla nozione di “imparzialità amministrativa”, fondamentale il contributo di U. ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1985.

E’ comunque opportuno ricordare che si è spesso posto in dubbio che la Pubblica Amministrazione possa davvero essere imparziale quando sono in gioco i suoi interessi. In questo senso, per esempio, P. BARILE, Il dovere di imparzialità della pubblica amministrazione, in Scritti di diritto costituzionale, Padova, 1967, 195. Quest’ultimo aspetto è ripreso da R. SCARCIGLIA, La motivazione dell’atto amministrativo, Profilli ricostruttivi e analisi comparatistica, Milano, 1999, 182.

(16)

Alcune interessanti considerazioni sulla necessità di “trasparenza” nell’azione amministrativa sono contenute in P. CARNEVALE, “Rilevanza della motivazione nel sindacato del provvedimento amministrativo”, in T.A.R., 1991, II, 352, ove si ricollega l’esigenza di motivazione alla valutazione (di carattere eventuale) del Giudice penale nel caso di accusa di pubblici funzionari per reati contro la Pubblica Amministrazione. Secondo tale Studioso, inoltre, “la motivazione costituisce stimolo ad evitare abusi o soprusi, e ad usare correttamente i poteri derivanti dal servizio pubblico o della funzione pubblica da svolgere nel caso concreto”. Ibidem, 353.

In particolare, la questione dell’omissione, ovvero della insufficienza o contraddittorietà della motivazione si è posta in relazione al reato di abuso d’ufficio, di cui all’articolo 323 del Codice Penale (la cui attuale formulazione, dopo i mutamenti, operati, dapprima, con la l. 26 aprile 1990, n. 86, e, successivamente, con la l. 16 luglio 1997, n. 234, risulta la seguente: “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”).

Infatti, sebbene l’orientamento successivamente consolidatosi in seno alla Cassazione si sia espresso nel senso che “il reato in questione non può configurarsi se non in presenza di “violazione di legge o di regolamento […]. Ne consegue che è stata espunta dall’area della rilevanza penale ogni ipotesi di abuso di poteri o di funzioni non concretantesi nella formale violazione di norme legislative o regolamentari o del dovere di astensione. Non è più, quindi, consentito al giudice penale di entrare nell‘ambito della discrezionalità amministrativa, che il legislatore ha ritenuto per esigenze di certezza del precetto penale, di sottrarre a tale sindacato” (così Cass. pen., Sez. VI, 10 novembre 1997, in Giurisprudenza Italiana, 1998, 2367), non si può, in questa sede, non ricordare che, in altra occasione, il Tribunale di Milano (Trib. Milano, 26 settembre 1998, in Foro Italiano, II, 310, con nota di P. LA SPINA) aveva avuto modo di operare un ragionamento assai più articolato.

Occupandosi della questione delle nomine agli organi di vertice delle aziende sanitarie da parte delle competenti autorità della Regione Lombardia, già censurate, in sede amministrativa, come illegittime per difetto di motivazione, i giudici meneghini, pur giungendo al medesimo risultato, ossia alla non configurabilità, nel caso di specie, del reato de quo, avevano più correttamente distinto tra le diverse ipotesi di illegittimità amministrativa. Così opinando, essi avevano avuto modo di rilevare che l’ipotesi di difetto di motivazione non integra a ben vedere il vizio di eccesso di potere, che viceversa è esclusivamente configurabile nel caso di contraddittorietà o insufficienza della motivazione, ma quello di violazione di legge.

Ad ogni modo, non si può non rilevare che le preoccupazioni in materia di abuso d’ufficio e motivazione amministrativa risultino meno fondate, a seguito delle riforme degli anni ‘90 del secolo scorso. La espressa limitazione al solo vizio di violazione di legge (e di regolamento) non può che portare alla soluzione in virtù della quale solo l’ipotesi (si spera ora assolutamente residuale) di mancanza assoluta di motivazione possa configurare, ovviamente in presenza degli altri elementi dell’illecito penale in discorso, il reato di cui all’articolo 323

.La suddetta riforma è stata oggetto di critiche in letteratura, tra le altre, proprio sulla questione de qua. Alcuni studiosi hanno posto in luce come tale modificazione normativa potesse escludere il ricorso alla tutela di natura penale, qualora la condotta del pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio) non comporti la violazione di norme legislative o regolamentari, e, quindi, limitare il sindacato del giudice penale, escludendolo in caso di eccesso di potere (in questo senso, ex pluribus, M. ROMANO, I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, Commentario sistematico, 2002, 260). Recentemente, peraltro, la Corte di Cassazione ha avallato tale impostazione rilevando come “la norma di cui all’articolo 97 della Costituzione, […] ha valore meramente programmatico, sicché tali principi […] non sono idonei a costituire oggetto della violazione di norme di legge che può dare luogo all’integrazione del reato previsto dall’art. 323 c.p.” (sent. 10 aprile 2007, in Guida al diritto, 2007, 28, 76).

La materia era, per converso, assai delicata prima della limitazione cui si è fatto ora riferimento. Se da un lato, non si dubitava che anche il vizio di eccesso di potere potesse dar luogo a responsabilità penale (si veda ad esempio Trib. Roma, 18 giugno 1993, 851, con nota di M. GAMBARDELLA, “Legittimità e merito dell’atto amministrativo nell’abuso d’ufficio”), dall’altro ci si spingeva ad

(17)

L’articolo 111 della nostra Carta Costituzionale limita infatti l’obbligo della

motivazione alle sentenze; un’interpretazione estensiva non è stata mai avanzata,

seriamente, dalla dottrina

30

.

affermare che il sindacato del giudice penale non dovesse limitarsi alla verifica di vizi relativi all’atto amministrativo ma si dovesse estendere al merito stesso dell’attività amministrativa posto che “merito amministrativo e abuso di potere non si collocano […] in terreni separati , in modo che il secondo possa cominciare là dove finisce il primo; insistono invece sullo stesso spazio che, se viene occupato dall’uno, lascia posto all’altro e viceversa. Nei delitti di abuso il tema dominante è per l’appunto questo: se un “merito” amministrativo sussista, o non ricorra piuttosto un merito di consistenza tutt’affatto privata” (così T. PADOVANI, “L’abuso di ufficio e il sindacato del giudice penale”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1989, 88. In giurisprudenza, in questo senso, ad esempio, Cass. Pen., Sez. VI, 25 ottobre 1991, n. 809, ivi, 1993, 1403. Contra, invece, C. F. GROSSO, “L‘abuso di ufficio”, ivi, 1991, 321).

La questione, sulla quale è opportuno spendere qualche parola, si riferiva al generale, e più complesso problema, del potere del Giudice ordinario di sindacare gli atti amministrativi. Per risolvere tale problema, l’interprete è costretto a fare riferimento addirittura all’articolo 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, a mente del quale “… le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali, in quanto siano conformi alle leggi”. Tale disposizione ha dato origine al cd. principio del sindacato incidentale, in virtù del quale il Giudice ordinario si limita a disapplicare l’atto amministrativo illegittimo, dovendo quindi accertare l‘esistenza di un vizio di legittimità. Proprio in riferimento a tale norma si era avuto modo, peraltro, di rilevare come, nei delitti di abuso, a ben vedere, non si ha sindacato sull’atto amministrativo ai fini della disapplicazione (tra i primi, in questo senso, G. CONTENTO, Giudice penale e pubblica amministrazione, Bari, 1979, 116), e che, pertanto, l’illegittimità dell’atto, lungi dal costituire condizione per la configurabilità del reato, vale solo come “indizio di abuso”, posto che “l’accertamento di quest’ultimo anche là dove l’atto potrebbe resistere al sindacato incidentale di legittimità o al vaglio amministrativo conduce sempre alla sua illegittimità” (così T. PADOVANI, op. cit., 87).

Ecco allora che, in siffatto quadro normativo, ben si poteva comprendere l’auspicio di P. CARNEVALE, per un uso della motivazione dell’atto amministrativo nell’ottica di una valutazione dei profili penalistici dell’operato del pubblico funzionario, tenendo comunque presente l’esigenza che l’indagine del Giudice ordinario si doveva comunque estendere alla corrispondenza tra la motivazione enunciata e quella effettiva (ancora T. PADOVANI, op. cit., 86).

Sul reato di abuso d’ufficio la bibliografia è, ovviamente, molto ampia. Basti, in questa sede il rinvio a D. MANZIONE, Abuso d’ufficio, in Digesto Disc./Pen., Aggiornamento 2000,1; L. D. CERQUA, in A. CRESPI, G. FORTI, G. ZUCCALÀ, Commentario breve al Codice Penale, Padova, 2008, sub art. 323.

30

Scrive, infatti, la Rivalta: “non si può fare ricorso, per addurre l’obbligo generale della motivazione, all’estensione dell’obbligo generale di motivazione nelle sentenze previsto dall’art. 111 della Costituzione, poiché la natura giuridica dell’atto amministrativo è profondamente diversa da quella dell’atto giurisdizionale, né crediamo occorre insistere su questo punto, che è stato affermato anche dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale”. Così M. RIVALTA, La motivazione degli atti amministrativi, in relazione al pubblico e privato interesse, Milano, 1960, 163 ss.

La non applicabilità del disposto dell’art. 111 agli atti amministrativi era stata già affermata dalla giurisprudenza della Cassazione, la quale in relazione ad una censura di violazione dell’articolo 111 per mancanza della motivazione, affermava perentoriamente che “ non sussiste la denunciata illegittimità per difetto di motivazione. […] il richiamo all’articolo 111 è fuori luogo, riferendosi questo non agli atti amministrativi ma agli atti giurisdizionali…” (Sez. Un. Cass., 13 maggio 1954, n. 1511, in Foro Italiano, 1955, 58 e in Rivista Amministrativa, 1955, 167).

Precedentemente, in questo senso aveva avuto modo di esprimersi il Consiglio di Stato (V Sezione, 16 maggio 1952, n 809, in Rivista amministrativa 1953, 44). Tale interpretazione ricevette, in seguito, l’avallo della Consulta.

(18)

La questione della possibile analogia tra atto amministrativo e sentenza era stata precedentemente affrontata da G. MIELE, op. cit., 126. Secondo tale Autore, “tale equiparazione” anche se fosse stata “consentita, non sarebbe di per sé sufficiente a tale estensione”. Sulla questione, si diffonde anche L. VANDELLI, “Osservazioni sull’obbligo di motivazione degli atti amministrativi”, in Rivista trimestrale diritto e procedura civile, 1973, 1602. Tale Autore motiva la sua contrarietà alla estensione in discorso mettendo in luce le diverse funzioni dell’attività amministrativa, da un lato, e di quelle dell’attività giurisdizionale, dall’altro.

Di recente, con riferimento alla querelle relativa alla motivazione dei provvedimenti vincolati (su cui ampiamente infra, parte seconda, capitolo quarto) l’analogia con il disposto dell’art. 111 della Costituzione è stata ripresa da V. ANGIOLINI, “Sulla motivazione cd. “implicita” degli atti amministrativi”, in Studium Iuris, 1998, 363.

Anche in relazione all’art. 113 della Costituzione, almeno in un primo momento, si è escluso un obbligo generico di motivazione, da parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato. Nel 1955 i giudici di Palazzo Spada scrivevano, infatti, in relazione agli atti amministrativi di esclusione da un concorso a sanitario condotto: “Riconosciuta la sindacabilità di questi provvedimenti in applicazione del 2° comma dell’art. 113 della Costituzione, non ne segue altresì l’obbligo della motivazione. La motivazione è necessaria, a norma della Costituzione (art. 111), solo per i provvedimenti giurisdizionali; per quelli amministrativi, la necessità della motivazione è affermata dalla legge, o nel silenzio di questa, si deve desumere dalla loro natura” (così la V Sezione, 14 gennaio 1955, n. 7, in Foro Italiano, III, 65).

La Corte Costituzionale ha negato a più riprese l’elevazione al rango di principio costituzionale della motivazione del provvedimento amministrativo. In particolare, si veda la sentenza 12 marzo 1965 n. 12, in Giurisprudenza costituzionale, 1965, I, 106. In tale occasione si era affermata la sussistenza di un obbligo generale di motivazione non in quanto “principio del sistema costituzionale” ma come “principio generale dell’ordinamento giuridico”, con riferimento peraltro ai soli provvedimenti che incidono, con effetto limitativo, sui diritti dei cittadini.

Interessanti a riguardo le considerazioni contenute in V. CRISAFULLI, “Questioni di costituzionalità di disposizioni di legge o questioni di legittimità del provvedimento applicativo (in tema di libertà di circolazione)”, ivi, 113 ss, il quale mostra qualche apertura alla tesi dell’obbligo costituzionale di motivazione, ravvisando tale possibilità nel disposto dell’articolo 113 della Costituzione. La configurazione dell’obbligo di motivazione, come principio generale, e non come principio costituzionale è stata successivamente ribadita dalla Consulta (sentenza 2 febbraio 1972, n. 12, in Foro Italiano, 1972, I, 582-583 ).

Su tale argomento, ossia sulla giurisprudenza della Consulta in materia di motivazione dei provvedimenti amministrativi, si veda U. ALLEGRETTI, “Corte Costituzionale e Pubblica Amministrazione”, in Le Regioni, 1981, 1192.Se è vero che non si registrano, in dottrina, posizioni che facciano riferimento all’applicabilità dell’articolo 111 della Costituzione anche ai provvedimenti amministrativi, non si può dire che siano mancate ricostruzioni volte ad evidenziare le (supposte) analogie tra questi e i provvedimenti giurisdizionali.

Tale tentativo è stato compiuto, in particolare, dal Pandolfelli, il quale argomentava nei seguenti termini.“Nei due campi, l’amministrativo ed il giurisdizionale, vale infatti il rilievo che le ragioni inerenti alla chiarezza ed alla completezza degli atti e quelle relative alla lealtà dell’azione dei pubblici poteri possono pienamente soddisfarsi con una esauriente motivazione, che valga a rendere evidente il processo formativo della volontà, a dichiarare le ragioni dell’atto, a ricollegare questo […] alla fonte originaria del potere esercitato, ad agevolare - infine - l’eventuale controllo di legittimità dell’atto”, concludendo addirittura “nel campo amministrativo le stesse ragioni, dalle quali è stata suggerita la regola della motivazione obbligatoria delle sentenze, sono ancora più forti che nel campo giudiziario: attesa l’esecutorietà degli atti amministrativi” (così G. PANDOLFELLI, op. cit., 93-94).

Lo stesso Autore citava, a sostegno della sua tesi, due ulteriori elementi.In primo luogo, il fatto che l’obbligo della motivazione è prescritto anche per le sentenze della Cassazione, e quindi sganciato dall’esigenza di un controllo superiore sulla pronuncia (rilievo, peraltro, non esente da critiche, posto che, l’esistenza di mezzi di impugnazione cd. straordinari può valere a contrastare il ragionamento de quo. Ad ogni modo, non si può non riconoscere che l’obbligo di motivazione stabilito per le sentenza della Suprema Corte è ascrivibile alla più generale esigenza di controllo sul corretto esercizio del potere giudiziario). In seconda battuta, il fatto che tale adempimento è previsto anche

(19)

Il dibattito successivo proseguiva senza giungere a punti fermi

31

.

La voce “motivazione dei provvedimenti amministrativi” del Novissimo Digesto

Italiano

32

, redatta da uno dei pionieri dell’argomento, quello Jaccarino a cui si deve

la redazione del primo fondamentale studio sull’argomento

33

, ripeteva, che “la

motivazione di un atto può essere prevista dalla norma che la imponga, o che la

imponga in una certa misura, o che la vieti, o che la affidi alla discrezionalità

dell’agente. Nel silenzio di una norma esplicita, essa può derivare o dalla natura o

dalla funzione del’atto o dell’agente, in base ai principi generali dell’ordinamento,

che inducano ad imporla od escluderla, oppure dalla volontà dell’agente che decida

di motivare o di non motivare un suo atto. La norma, la natura o la funzione del’atto

per i provvedimenti che non riguardano la composizione delle liti, e quindi privi dei tratti peculiari dei provvedimenti giurisdizionali. Secondo tale Studioso, in conclusione, la motivazione si configurerebbe come caratteristica indifettibile, salvi i casi di esclusione legislativa, degli atti di diritto pubblico.

La rilevanza a livello costituzionale dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi in base all’articolo 113 della Costituzione è stata affermata, invece, da L. VANDELLI, op. cit., 1604. Tale Studioso, fermo, come già si è avuto modo di rilevare, all’applicazione analogica dell’articolo 111 della Carta Costituzionale, posto che “i presupposti che costituiscono il fondamento dell’attività amministrativa sono, infatti, ben diversi da quelli dell’attività giurisdizionale; altri ne sono gli scopi - il perseguimento concreto del pubblico interesse e non l’applicazione del diritto e la repressione delle violazioni all’ordine giuridico - come altra è la posizione propria dell’amministrazione rispetto a quella del giudice parte portatrice di propri interessi, la prima, elemento indifferente ed estraneo, per definizione, agli interessi in causa, il secondo” (ibidem, 1602), aveva, invece, affermato con vigore la possibilità di giungere a diversi approdi interpretativi in base all’articolo 113 della Costituzione.

Vale la pena di riportare quanto osservato a riguardo.“La tesi [del generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi] potrebbe ora trovare un autorevole sostegno nell’art. 113 della Costituzione che, sancendo l’impugnabilità dinanzi ad organi giurisdizionali, degli atti della pubblica amministrazione, impone implicitamente di mettere in atto i mezzi necessari all’esercizio di questa tutela. Pertanto, nella misura in cui si ritenga la motivazione presupposto indispensabile agli effetti del sindacato giurisdizionale dell’atto, si deve considerare il relativo obbligo imposto anche a livello costituzionale”. Ad ogni modo, la funzione meramente processuale della motivazione, porta l’A. in parola ad escludere l’esigenza di motivazione nei casi “di atti obiettivamente inidonei alla lesione diretta di interessi legittimi, quali gli atti interni e gli atti avente funzione strumentale”(ibidem, 1605).

31

Non registrandosi quindi progressi rispetto alla situazione precedente. A dimostrazione del fatto che il dibattito sulla materia fosse ancora nel vivo si può citare, come ha fatto la Rivalta (M. RIVALTA, op. cit., 165), l’esordio di una decisione del Consiglio di Stato del 1947 che suona enigmaticamente così: “esiste o non esiste un obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi…” (così la V Sezione, 28 marzo 1947, n. 120, in Foro Amministrativo, I, 2, 134).

32

C. M. IACCARINO, La motivazione degli atti amministrativi, in Novissimo Digesto Italiano, X, Torino,1964, 958.

33

(20)

e dell’agente, la volontà di questi, sono le fonti immediate della motivazione. La

questione diventa quindi un problema di interpretazione delle fonti…”. Dominava,

quindi, l’approccio casistico, senza che si riuscisse a giungere alla formulazione di

regole generali convincenti e risolutive

3435

.

Se, però, solo per un momento si intende, cambiamo la nostra prospettiva

36

,

34

Pienamente condivisibili appaiono le considerazioni espresse, a riguardo, in L. CALZONI, “ Motivazione, sindacato sui motivi, formazione procedimentale dell’atto” in Foro Amministrativo,

1982, II, 1001. Secondo l’Autrice, “l’approccio di dottrina e giurisprudenza al tema della motivazione si è sempre rivelato grave di difficoltà e per l’assenza di normativa ch regolasse definitivamente la questione e per la molteplicità e varietà di casi che si sono imposti all’attenzione di studiosi e giudici; talché, fino a ora, non è stato possibile estrapolare principi di carattere generale e di sicura applicazione nella infinita varietà di ipotesi che si presentano”.

35

Già si è detto dei lavori della Commissione Forti (cfr. nota 8). Purtroppo, però, come spesso succede, non si giunse a nulla di effettivo.

Peraltro non mancarono tentativi per giungere ad una legge generale sul procedimento amministrativo. Cfr., su questo punto, P. CALANDRA, “I tentativi del legislatore italiano per una legge generale sul procedimento amministrativo“, in Problemi della P. A., 1981, fasc.1, 81 ss. Si tenga a mente, però, che il Lucifredi, principale promotore delle iniziative successive ai lavori della Commissione Forti, si caratterizza per la sua contrarietà all’obbligo generale di motivazione, ritenendo costituzionalmente dovuta la sola motivazione delle sentenze. Cfr. ibidem, 101.

36

Utile ai fini che ci riguardano può essere il raffronto con l’esperienza del paese straniero la cui evoluzione da sempre ha rappresentato un motivo di interesse.

Il riferimento è all’ordinamento francese che nel 1979 ha optato per un rafforzamento dell’obbligo motivazionale, essendo prima vigente il principio “ne pas motivation sans text“, chiaramente limitativo di tale obbligo. Estremamente significativo il titolo di uno degli scritti a commento di tale riforma, J. LEMASURIER, Vers une dèmocratie administrative: du refus d’informer au droit d’être informé, in R. D. P., 1980, 1239 ss. (trad. it. In Problemi della P. A., 1981, fasc. 3, 17 ss). Non abbisognano di commenti le, sia qui consentito, magistrali affermazioni di tale Studioso: “…in una “democrazia amministrativa” un ‘Amministrazione di concertazione, di dialogo, che preferisce la persuasione alla costrizione, il segreto deve far posto alla conoscenza e al diritto ad essere informati, per dissipare il “mistero” amministrativo: questo è l’obiettivo della riforma del 1978-1979”. Sull’evoluzione giurisprudenziale precedente, che aveva limitato, dopo una certa esaltazione dello stesso, il ruolo della motivazione si veda M. S. GIANNINI, op. cit., 262.

Per una interessante rassegna comparatistica degli orientamenti della giurisprudenza in tema si sindacato giurisdizionale sulla motivazione dell’atto amministrativo, si veda G. CORREALE, “La motivation de l’acte admnistratif et son controle”, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1982, 501 ss., il quale ricordava come nel 1977 vigesse, ancora, in Francia la regola secondo la quale, “les actes de l’administration publique ne dovient pas être motivés”.In argomento, inoltre, M. TERRASI, “Procedimento amministrativo e tutela del privato. Tendenze della legislazione francese”, in Foro Amministrativo, 1987, 3566.

La legge francese del 1979 è stata successivamente modificata ed intregrata. Tuttavia, ad oggi, non può dirsi ancora vigente, nell’ordinamento francese, un obbligo generale di motivazione dei provvedimenti amministrativi. Per un quadro della disciplina attuale, si veda S. BATTINI, B. G. MATTARELLA, A. SANDULLI, Diritto amministrativo comparato, a cura di G. NAPOLITANO, Milano, 2007, 135 ss. Sulla disciplina francese, anche, R. SCARCIGLIA, op. cit., 114 ss. Quanto ai contributi della dottrina d’Oltralpe basti, in questa sede, il rinvio a R. CHAPUS, Droit administratif general, Parigi, 2001, I, 1129.

(21)

possiamo renderci conto che qualche mutamento è già in atto, a livello generale, e

sta ponendo le basi per nuove impostazioni della questione a noi cara. La

Costituzione Repubblicana, prevedendo un obbligo generale di motivazione per le

sentenze, costituì sicuramente uno sprone per l’approfondimento della tematica de

qua; i rilievi svolti relativamente alla motivazione della sentenza furono di grande

utilità anche per gli studiosi del provvedimento amministrativo.

In particolare, un interessante raffronto è compiuto dal Giannini

37

, il quale si

interroga, nel 1977, circa le origini dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti

amministrativi e richiama le prescrizioni del Consiglio di Stato francese, il quale

aveva cominciato a richiederla intorno alla fine del secolo XIX, annullando, in

difetto, tali provvedimenti, per sviamento di potere.

Successivamente, furono i tribunali amministrativi dei paesi germanici a compiere il

passo ulteriore, valutando il difetto di motivazione come violazione di legge. Tale

processo giunse a compimento con il riconoscimento formale dell’obbligo generale

di motivazione, contenuto in alcune leggi organiche sui procedimenti

amministrativi, di altri paesi. Il Maestro, peraltro, dimostrava la sua contrarietà ad

Analizzata la questione francese, si può cogliere, ora, l’occasione di spendere, in questa sede, qualche parola in merito alla soluzioni che i più importanti paesi europei hanno offerto in tema di motivazione amministrativa.

Non si può che principiare dall’esperienza tedesca. In Germania, l’obbligo in parola non è sancito dalla Grundgesetz, ma dalla fondamentale legge del 25 maggio 1976. Giova però ricordare che già nel 1957 il Tribunale costituzionale federale aveva affermato l’esigenza del cittadino leso da un provvedimento amministrativo di conoscere i motivi alla base della decisione. La dottrina tedesca, d’altra parte, ha sempre evidenziato come la motivazione assolva, in primo luogo, alla funzione di convincere i destinatari della correttezza del provvedimento (nella terminologia tedesca Befriedungsfunktion), ed, in seconda battuta, ovviamente laddove la prima finalità sia stata mancata, di consentire l’articolazione dei motivi di impugnazione del provvedimento (Rechtsschutzfunktion). Sulla questione si rinvia ancora a R. SCARCIGLIA, op. cit., 130. Ad ogni modo, sulle caratteristiche dell’ordinamento tedesco, date le sue indubbie influenze non solo sul dibattito dottrinario italiano ma sulle stesse scelte normative, si avrà modo di tornare ripetutamente nel corso della trattazione. Quanto all’esperienza spagnola, ci si può limitare a dire che, anche in questo campo, l’ordinamento giuridico iberico conferma di recepire le soluzioni di altri paesi europei. L’obbligo di motivazione, già ampliatosi a seguito delle applicazioni pretorie è stato consacrato dalla legge 26 novembre 1992.

37

(22)

un obbligo generale di motivazione, rilevando, in relazione al dibattito che aveva

avuto luogo agli inizi del secolo, e con riferimento alle prime pronunce

giurisprudenziali che avevano affermato il principio della generale obbligatorietà

della motivazione, come spesso “la ragione di politica del diritto […] prevalse

sull’analisi della normazione positiva, e anche sul buon senso” e come “la regola

dell’obbligo di motivazione sembrò divenire una delle bandiere di tutti coloro che si

battevano per la riforma delle pubbliche amministrazioni”

38

.

Il vento però stava cambiando

39

, almeno nelle valutazioni della dottrina

40

.

38

Ibidem, 262. Su tale fondamentale aspetto si avrà modo di tornare più avanti.

Va peraltro evidenziato che la posizione di Giannini si caratterizzava per un approccio pratico, volto ad evitare la, già paventata da altri Autori, paralisi dell’amministrazione. Scriveva infatti, a proposito dell’impostazione della giurisprudenza sulla questione de qua, che “l’attuale indirizzo giurisprudenziale ha portato la materia della motivazione ai suoi esatti termini, eliminando formalismi pericolosi e problemi sbagliati, ed attribuendo al giudice amministrativo poteri consoni ai principi del processo amministrativo”. Proseguendo addirittura così: “la dottrina ha prospettato talora casi di motivazione vietata, però in leggi non più vigenti. Non si conoscono casi leggi adottate dopo la Costituzione repubblicana, e se esistessero ne sarebbe dubbia la legittimità costituzionale”. Ibidem, 267-268.

E’ evidente la consapevolezza dei mutamenti in atto, rispetto all’ordinamento vigente ad inizio secolo ed ai vani sforzi del Ragnisco.

39

Nel 1979, si aveva modo di rilevare, infatti, esprimendo alcune considerazioni sul ruolo degli organi della Gustizia Amministrativa, che “i giudici amministrativi […] hanno una spiccata tendenza al formalismo ed una eccessiva indulgenza per la prassi burocratica. […]. Di siffatta concezione, l’aspetto maggiormente evidente è la continua preoccupazione della giurisprudenza amministrativa (dapprima del Consiglio di Stato, oggi anche dei T.A.R.) di non intralciare l’azione dell’amministrazione, di non appesantirla, limitando correlativamente la posizione dei cittadini. […]. Si pensi […] alla ristrettezza con la quale il giudice amministrativo riconosce l’obbligo della motivazione, e per converso, alla larghezza con la quale considera assolto tale obbligo nei casi nei quali ne riconosce l’esistenza, anche con riferimento ad atti precedenti sconosciuti e difficilmente conoscibili per il cittadino”. Così S. RAIMONDI, La questione amministrativa nell’Italia Repubblicana, Palermo, 1979, 31.

40

La giurisprudenza amministrativa si è, invece, mostrata più legata all’impostazione tradizionale, in virtù della quale non tutti gli atti amministrativi abbisognano di motivazione.

Se negli anni ’70 prevaleva l’idea secondo la quale solo alcune tipologie di atti necessitavano di motivazione, nel decennio successivo si era affermata l’idea, secondo la quale, gli atti motivandi erano quelli che recavano un sacrificio alla posizione giuridica dei destinatari ( si veda, per esempio, Cons. Stato, Sez. VI, 1°dicembre 1989, n. 1565, in Cons. Stato, 1989, I, 1564) e quelli che costituivano l’esercizio di potere discrezionale dell’amministrazione agente (in questo senso, Cons. Stato, Sez. VI, 22 aprile 1989, n. 488, in Consiglio di Stato, 1989, I, 532).

Era, peraltro, evidente che la giurisprudenza non riusciva ad esprimere una impostazione univoca. Si era, infatti, sviluppato un diverso orientamento che richiedeva la motivazione anche nel caso di provvedimenti vincolati (in questo senso, Cons. Stato, Sezione VI, 22 aprile 1989, n. 488, in Consiglio di Stato, 1989, I, 532). Cfr. sugli orientamenti della giurisprudenza G. BERGONZINI, “Difetto di motivazione del procedimento amministrativo ed eccesso di potere (a dieci anni dalla

(23)

L’esigenza di motivazione del provvedimento amministrativo viene avvertita non

solo in relazione all’eventuale impugnazione dell’atto amministrativo da parte del

destinatario ed eventuali controinteressati, ma anche come bilanciamento del potere

di cui è titolare l’autorità

41

, ossia come modo per attuare la democratizzazione del

procedimento amministrativo

42 43 44

. Veniva istituita presso la Presidenza del

legge 241 del 1990)”, in Diritto amministrativo, 2000, 181 ss. Diffusamente, su tali aspetti, anche R. VILLATA, L’atto amministrativo, in L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F.A. ROVERSI - MONACO e F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, II, Bologna, 2001, 1477 ss.

41

Sull’esigenza di una nuova impostazione dei rapporti tra amministrazione pubblica e destinatari dell’azione amministrativa, si veda il bel saggio L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico,

Padova, 1974. In particolare merita attenzione la nozione di “amministrazione responsabile”. Ibidem, 151 ss.

42

Tale consapevolezza comincia anche ad emergere nelle pronunce giurisprudenziali. Si veda Cons. St., Sez. V, 3 giugno 1977, n. 552, in Consiglio di Stato, 1977, I.2, 981 ss. In riferimento ad un provvedimento di autorizzazione all’esercizio di una attività commerciale, non motivato, i giudici di Palazzo Spada scrivevano, dopo aver ricordato che l’indirizzo fino ad allora seguito era stato quello di prevedere l’obbligo della motivazione solo nel caso di provvedimenti lesivi di interessi privati, al fine di consentire il sindacato giurisdizionale di legittimità, che “la giurisprudenza citata, invero, è manifestamente ispirata all’esigenza di assicurare una sufficiente tutela al cittadino che insta per un atto amministrativo. Nel risolvere però l’ennesima ipotesi di conflitto fra autorità e libertà, essa ha operato di regola omettendo […] ogni considerazione delle situazioni soggettive degli estranei al rapporto tra il privato istante e la P.A. (non destinatari diretti dell’atto sollecitato e pur tuttavia coinvolti dagli effetti del provvedimento stesso) ed ogni considerazione dell’interesse obiettivo che ispira la disciplina dei vari procedimenti amministrativi.Non si comprende, in verità, la ragione per cui si ritenga necessaria la motivazione solo a tutela del destinatario del provvedimento […] e non anche a tutela dell’interesse pubblico che ispira la disciplina dei singoli provvedimenti ed, infine, dell’interesse del terzo, la cui sfera giuridica può essere interessata dall’atto (sia esso positivo o negativo per il destinatario)”.

Molto interessante è la valutazione che il Collegio compie in riferimento al disposto costituzionale. Osserva infatti, “che un sostanziale rispetto del principio di uguaglianza contenuto nella nostra Costituzione (art. 3) impone […] di ritenere obbligatoria la motivazione non solo a tutela del diretto destinatario dell’atto amministrativo, ma anche a tutela del terzo nei cui confronti l’atto stesso possa produrre effetti negativi (non giustificandosi nella diversa soluzione, la evidente disparità di trattamento tra i soggetti indicati). Tanto, inoltre, consente un sostanziale rispetto dell’articolo 113 della Costituzione perché rafforza la concreta possibilità di tutela giurisdizionale contro gli atti della Pubblica Amministrazione”. Ibidem, 984.

43

In questo senso vanno anche numerosi Statuti delle, da poco istituite, Regioni italiane, i quali prevedono l’obbligo generale di motivare i provvedimenti emessi dai propri organi (su tutte si veda l’articolo 46 della Regione Lombardia). Su questo sviluppo, si veda L. VANDELLI, op. cit., 1616. Tale impostazione è riconducibile secondo Romano - Tassone ad “un’esigenza di informazione: rivolto alla collettività dei cittadini, il messaggio dell’autorità assume naturaliter profili giustificativi e sollecita un sindacato diffuso i cui esiti assumono spesso connotazioni giuridiche precise”. Così A. ROMANO-TASSONE, Motivazione, cit., 76-77. Lo stesso Autore si diffonde in un’interessante analisi della motivazione come strumento di legittimazione dell’autorità.

44

Comincia quindi ad avvertirsi anche nella materia degli atti amministrativi quella tendenza alla “razionalizzazione del potere” di cui Calamandrei aveva parlato in relazione all’introduzione dell’obbligo di motivazione nelle sentenze, avvenuta intorno all’inizio dell’Ottocento. Si veda P. CALAMANDREI, Processo e democrazia, in Opere giuridiche, I, Napoli, 1965, 628

(24)

Consiglio dei ministri una Commissione di studio, sotto la presidenza di Massimo

Severo Giannini

45

, all’interno della quale viene istituita una sotto-commissione per

la revisione dei procedimenti amministrativi

46

. Emblematico il titolo dello schema

di disegno di legge redatto dalla sotto-commissione, esso reca infatti: “Disposizioni

dirette a migliorare i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione nello

svolgimento dell’attività amministrativa”.

Veniva, inoltre, prevista una norma apposita che disciplinasse la motivazione del

provvedimento amministrativo. L’art. 4 dello schema di disegno di legge

47

,

rubricato significativamente “Obbligo di motivazione”, recita, infatti: “Ogni atto

amministrativo scritto deve essere motivato, tranne che specifiche disposizioni lo

escludano esplicitamente. La motivazione deve indicare i motivi essenziali,

giuridici e di fatto, che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in

relazione alle risultanze dell’istruttoria”. Seguono poi al secondo comma della

norma alcune marginali ipotesi di deroga

48

.

Più di trenta anni dopo i lavori della Commissione Forti, si assiste ad un nuovo

tentativo legislativo di fissare un generale principio di obbligatorietà della

motivazione dei provvedimenti amministrativi. La non motivazione potrebbe

divenire quindi un’eccezione alla regola generale.

Il 19 novembre 1987 giunge alla Camera, presentato dal Presidente del Consiglio

45

Ossia dello stesso Studioso, il quale, meno di dieci anni prima non aveva risparmiato le proprie critiche all’introduzione nel nostro ordinamento di un principio generale che imponesse la motivazione dei provvedimenti amministrativi. Ibidem.

46

Presieduta, questa, dal professor Mario Nigro.

47

Per il testo dello schema di disegno di legge si vedano Quaderni Regionali, 1984, II, 1339 ss

48

La relazione di accompagnamento della Presidenza del Consiglio afferma significativamente che “lo schema non ha la pretesa di esaurire in ogni profilo l’esigenza di democratizzazione del procedimento amministrativo, ma ha lo scopo di affrontare intanto i punti di maggiore arretratezza del sistema vigente, valendo come esemplificazione di un nuovo modo di concepire i rapporti tra pubblici poteri e cittadini del nuovo assetto che a detti rapporti dovrebbe essere conferito nel quadro completo delle riforme del procedimento…” Ibidem, 1324-1325.

Riferimenti

Documenti correlati

Il distacco negli appalti pubblici.. Il distacco illecito viene punito con pesanti sanzioni amministrative sia per il distaccante sia per il distaccatario. La sanzione è calcolata

[r]

Cassazione, secondo cui “la giurisdizione si determina non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche, e soprattutto, della

Corso di Laurea magistrale (ordinamento

For a simplified version of lotto, with a single tier of prizes, the results show that when the proportion of players who are superstitious is the same as the

1.1 Al fine di introdurre nuove e più avanzate forme di comunicazione tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, anche in termini preventivi rispetto

Nel caso in cui, dalle elaborazioni dei dati presenti nel Sistema Informativo dell’Agenzia delle entrate, risultino tardività/omissioni nella trasmissione telematica

Alcuni di questi fattori, come il titolo della miscela, la collocazione della candela o il tipo di combustibile, non rappresentano di per sé una causa delle irregolarità, ma