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Come si scambia tra scuola e servizi e tra servizi e clienti: il tirocinio nel Servizio Prevenzione e Protezione Rischi di un’Azienda Ospedaliera.

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Rivista di Psicologia Clinica Supplemento al n.1 – 2010 1 Come si scambia tra scuola e servizi e tra servizi e clienti: il tirocinio nel Servizio Prevenzione e Protezione Rischi di un’Azienda Ospedaliera

di Elisabetta Atzori*

Questo contributo riguarda l’approfondimento di uno stimolo di discussione proposto durante il convegno “Il tirocinio nelle organizzazioni sanitarie e di salute mentale” tenutosi a giugno 2009. Vorrei riflettere su “come si scambia tra scuola e servizi e tra servizi e clienti”, su “come i servizi psicologici utilizzano il tirocinio e come i clienti utilizzano la funzione psicologica”. Faccio riferimento all’attività di tirocinio resocontata da Elena Lisci nel n. 1/2009 di questa rivista. Ritengo utile iniziare da una breve descrizione dell’unità operativa nella quale viene svolto il servizio psicologico e dell’azienda nella quale il servizio si inserisce. Si tratta dell’Unità Operativa Servizio Prevenzione e Protezione Rischi (PPR) di un’Azienda Complesso Ospedaliero di una grande città italiana.

Il Servizio PPR nasce alla fine del 1994 in seguito al Decreto Legislativo 626/94, con il compito di provvedere all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali nell’azienda ospedaliera. Inizialmente è composto da medici, infermieri e addetti alla sicurezza. La funzione psicologica nel Servizio PPR è stata attivata nel 2004, per rispondere ad un diverso mandato affidato all’azienda in merito alla sicurezza e alla salute degli operatori sanitari. A partire dalla legge 626 del 1994 le finalità dei Servizi che si occupano di sicurezza cambiano. Si cerca di promuovere il passaggio dalla sicurezza vissuta come problema (perché è altro rispetto al processo di produzione) alla sicurezza interpretata come progetto di managerialità. Viene quindi promosso il superamento della scissione tra sicurezza e salute di chi lavora nei servizi e coloro che a questi servizi si rivolgono. Si pone l’accento sul rischio piuttosto che sul pericolo, quindi diventa oggetto di interesse la percezione soggettiva del pericolo e, di conseguenza, si rende necessario non solo informare gli operatori ma anche formarli affinché possano responsabilmente prendersi cura della propria salute e sicurezza e non semplicemente pretenderla sotto forma di tutela. La salute viene vista come benessere biopsicosociale. Si và al di là della semplice assenza di malattia biologica: la salute diventa competenza a vivere in un’organizzazione produttiva.

Questa sintetica enunciazione delle finalità proposte porta subito a cogliere la complessità e le difficoltà insite nel tradurre dichiarazioni di principio in strategie operative, soprattutto quando le implicazioni per l’azione richiedono il cambiamento di modi di pensare e agire radicati in coloro che lavorano nelle organizzazioni.

Per iniziare ad individuare alcuni nodi problematici della difficoltà a tradurre la legge in coerenti azioni da parte del servizio, penso sia utile tenere presenti alcuni aspetti caratterizzanti l’organizzazione produttiva per la quale il Servizio PPR svolge la propria funzione.

Si tratta di un ospedale resosi autonomo dalla ASL, diventato Azienda Complesso Ospedaliero da circa quindici anni, che oggi fatica a stare nei limiti imposti dalla legge necessari a mantenere lo status di azienda. E’ una struttura di ricovero di rilievo nazionale adibita a prestazioni altamente specialistiche, dotata di un reparto di emergenza e accettazione di secondo livello capace di rispondere ai bisogni sanitari in emergenza della popolazione dell’area di riferimento, in grado di ricoverare una percentuale definita di pazienti provenienti da regioni diverse da quella di appartenenza, che tratta pazienti ricoverati con un definito ed elevato indice di complessità e che funge da centro di riferimento per programmi di assistenza su base regionale e interregionale. L’azienda è organizzata secondo il modello dipartimentale, con un sistema di contabilità suddiviso per centri di costo, con 8 Dipartimenti all'interno dei quali sono compresi i Reparti di degenza, Day Hospital, Day Surgery e Ambulatori, il che

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Specialista in psicologia clinica, Dirigente Psicologa presso il Servizio Prevenzione e Protezione Rischi di un'Azienda Ospedaliera del Servizio Sanitario Nazionale

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Rivista di Psicologia Clinica Supplemento al n.1 – 2010 2 consente di poter offrire con maggiore efficacia un percorso diagnostico-terapeutico completo ai cittadini.

Trattandosi di un’azienda la cui missione è quella di fornire prestazioni sanitarie di elevata qualificazione, il contenuto altamente specialistico delle varie prestazioni cui fanno riferimento da un lato diverse professionalità e dall’altro diverse specificità di pazienti, può determinare con frequenza una frammentazione e un decentramento delle competenze e delle responsabilità gestionali.

In questo contesto il Servizio PPR si inserisce in una qualità di servizio trasversale che, insieme ad altri, eroga funzioni rivolte a tutte le unità operative dell’ospedale, ed è spesso chiamato a svolgere attività di raccordo rispetto alla trattazione di questioni che richiedono una forte competenza non solo tecnica ma anche consulenziale.

Utilizzo il termine consulenza per sottolineare l’assunzione di una specifica funzione, che va oltre quella svolta dal tecnico che sa di cosa il cliente ha bisogno, a prescindere dal rapporto con lui. Proporsi con una funzione di consulenza significa mettere a disposizione una competenza tecnica accompagnata da una competenza ad analizzare o a sollecitare una domanda e dal trovare risposte adeguate e soddisfacenti per il cliente. Il tecnico interviene mettendo in pratica quanto definito dalla sua competenza tecnica. Esiste una norma e va azzerato lo scarto da questa. Il consulente si attiva se c’è una domanda o se la vuole sollecitare. Per effettuare la diagnosi il tecnico chiede informazioni e poi interviene. Il consulente costruisce rapporti per capire il funzionamento di un contesto ed offrire categorie di lettura dello stesso.

Nello specifico, quando le problematiche sono lette non solo dal punto di vista tecnico, si nota che, pur nella loro varietà, sono accomunate dalla caratteristica di sottendere una carenza da parte dell’azienda nelle funzioni di gestione delle risorse umane, di sviluppo e di formazione del personale. Non essendoci un servizio che di fatto svolga tali attività, le domande inerenti questi aspetti vengono poste di volta in volta a diversi interlocutori, con il risultato che nessuno realmente assume una funzione consulenziale volta a trattare le questioni nella loro complessità. Ogni servizio si sente legittimato ad occuparsi solo della parte di propria competenza, perdendo di vista gli aspetti più generali della questione e vivendo l’impotenza dell’intrattabilità della domanda.

Le domande che arrivano e non arrivano al Servizio PPR parlano del modo con il quale è rappresentato il servizio: l’operatore chiede al Servizio PPR di tutelare la sua salute, alleandosi con lui contro una dirigenza che è solo orientata alla produzione; di contro, la dirigenza non chiede nulla al Servizio PPR, lasciando intendere che la salute e la sicurezza non abbiano a che fare con il processo produttivo.

Le risposte che il Servizio PPR fornisce sono culturalmente determinate dal modello medico prevalente di riferimento, per formazione più preparato a focalizzare l’attenzione su singole patologie che non ad analizzare le complesse relazioni tra chi lavora ed il contesto lavorativo di riferimento, valorialmente orientato a curare e assistere senza porre limiti al diritto dell’individuo alla salute. Il Servizio PPR vive la difficoltà di gestire un difficile equilibrio tra funzioni legali e assistenziali. Se si dimentica il contesto di riferimento si è soli di fronte al paziente ed alle sue pretese di tutela, con la possibilità di optare per l’offerta di un servizio che si schieri con il lavoratore erogando salute e sicurezza senza limiti, oppure per l’erogazione di un servizio che si schieri con il dirigente ed elargisca solo i benefit di salute e sicurezza previsti e circoscritti dall’azienda.

Anche le domande rivolte al servizio di psicologia rispondono a tale modalità relazionale. Per cogliere nello specifico il modello di organizzazione delle relazioni, ritengo utile fare un inciso su due tipologie di attività che il servizio di psicologia svolge nel Servizio PPR: il contributo dato alla sorveglianza sanitaria ed alla valutazione del rischio.

La sorveglianza sanitaria è il sistema di monitoraggio della salute degli operatori dell’Azienda Ospedaliera. Viene effettuata dal medico attraverso le visite sanitarie rivolte al personale, finalizzate ad accertare l’idoneità alla mansione e a verificare periodicamente la salute dei lavoratori. Il medico può avvalersi, per accertamenti dignostici, della consulenza di specialisti. Una consulenza psicologica può essere necessaria qualora il medico ritenga utile approfondire problematiche di tale natura, individuate durante la visita.

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Rivista di Psicologia Clinica Supplemento al n.1 – 2010 3 La valutazione del rischio è invece uno strumento di pianificazione della prevenzione, realizzato sulla base del sistema di organizzazione aziendale. Rappresenta un punto di riferimento sia per l’individuazione e l’analisi dei rischi che per l’elaborazione di metodi per la verifica della efficacia ed efficienza nel tempo dei provvedimenti di sicurezza adottati. Dalla nascita del Servizio PPR fino al 2007 l’attività valutativa si limitava al rischio biologico, chimico, fisico e di movimentazione manuale dei carichi. La valutazione del rischio psicosociale è un’attività che il servizio di psicologia ha attivato recentemente. L’entrata in vigore del nuovo decreto legge sulla sicurezza (D.Lgs. 81/2008) rende infatti obbligatorio valutare, oltre agli altri rischi, anche il rischio psicosociale.

Inizialmente l’attività psicologica era più orientata verso l’area della sorveglianza sanitaria. A partire dal 2008 ha invece assunto importanza primaria la valutazione del rischio psicosociale. Tale cambiamento comporta una diversa proposta di servizio psicologico.

Nel tempo, il servizio psicologico erogato è stato modificato a partire da una verifica dell’attività effettuata. Si è riscontrato ad esempio che le consulenze psicologiche finalizzate all’accertamento dell’idoneità alla mansione rendono impossibile un lavoro psicologico di sospensione dell’azione e di utilizzo della relazione per esplorare i modelli di rapporto dell’operatore con il lavoro e l’ospedale. Infatti il servizio psicologico è vissuto (come quello medico), come una funzione ispettiva, di valutazione, controllo e tutela della salute dei singoli operatori. Trattando con il singolo operatore sganciato dal contesto lavorativo di riferimento, lo psicologo ha vissuto, come il Servizio PPR, la difficoltà di rispondere alle richieste (che talvolta diventano pretese) di tutela avanzate dal lavoratore. Ciò ha comportato da una parte l’erogazione di certificazioni di disagio psicologico utili ad evitare le condizioni lavorative che peggioravano il disagio stesso (ad es. i reparti “critici” e i turni notturni), dall’altra l’impossibilità di trattare le modalità relazionali disfunzionali operatore-contesto alla base delle difficoltà psicologiche incontrate. Volendo mettere da parte la questione dei limiti insiti nella valenza legale attribuita alla consulenza, nei casi in cui a prevalere era il modello medico-assistenziale su quello ispettivo, la difficoltà è stata quella di definire i limiti dell’intervento. Senza obiettivi convenuti con il servizio e l’azienda, la richiesta di salute dell’operatore poteva essere illimitata e si traduceva, generosamente, in psicoterapie sine die oppure, parsimoniosamente, in consulenze psicologiche brevi. Una volta verificata l’impossibilità di un lavoro psicologico inserito nel contesto culturale dell’attività di sorveglianza sanitaria, è iniziata una riflessione volta ad individuare altri spazi di intervento possibili.

La valutazione del rischio psicosociale rappresenta attualmente l’attività sulla quale il servizio di psicologia sta investendo prevalentemente le proprie energie. Essa ha infatti il pregio di rappresentare un ottimo strumento di lavoro per promuovere le finalità del Servizio PPR.

Tale tipologia di intervento, che consente di assumere una funzione di consulenza organizzativa, si colloca infatti in una posizione diversa da quella occupata dall’attività medico-legale di sorveglianza sanitaria e può contribuire a sviluppare una proposta di servizi più ampia da parte del Servizio PPR nei confronti dell’azienda (servizi che possano andare al di là di prestazioni tecniche e dei semplici adempimenti di legge). Si tratta di uno strumento che, a partire dal rischio psicosociale inteso come discrepanza tra obiettivi e cultura, intende implementare il mandato istituzionale che vede la sicurezza come progetto di managerialità orientata ai clienti, sia interni che esterni, dell’ospedale. La valutazione, avvalendosi della metodologia psicosociale di ricerca-intervento che permette alle persone implicate nella ricerca di partecipare attivamente alla stessa, contribuisce a promuovere il passaggio dalla sicurezza, pretesa come tutela da parte della dirigenza, al prendersi cura attivamente della propria salute e sicurezza.

Il cambiamento della proposta di funzione psicologica nel Servizio PPR ha coinciso nel 2008 con l’attivazione della convenzione tra l’Azienda Ospedaliera e la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica.

In una fase iniziale, così come si stentava ad individuare risorse utili nelle attività di consulenza psicologica effettuate nell’ambito della sorveglianza sanitaria, era altrettanto difficile vedere un’utilità nell’attività di tirocinio. In questo frangente, la presenza della prima tirocinante ha contribuito ad attivare una riflessione sulle difficoltà e sulle prospettive che il servizio psicologico stava affrontando, a partire dall’attività svolta in rapporto al cliente più vicino: il Servizio PPR. La questione posta dalla tirocinante (“in che modo posso essere utile al servizio

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Rivista di Psicologia Clinica Supplemento al n.1 – 2010 4 psicologico?”) era la stessa che si stava ponendo la tutor (“in che modo posso essere utile al Servizio PPR e all’ospedale?). Porsi tale questione, declinata nella specifica attività di valutazione del rischio psicosociale, ha significato operativamente istaurare un confronto con il Servizio PPR volto a mettere in discussione le modalità valutative adempitive basate sull’utilizzo dei questionari tradizionali, che orientano lo studio sull’individuo e sono diretti ad individuare il disagio psicologico dell’operatore a prescindere dal rapporto tra questi e il suo contesto. Questo ha comportato l’assunzione di una funzione consulenziale a partire dal primo cliente della valutazione (il Servizio PPR stesso), supportando il Servizio nel trattare quelle difficoltà che sorgono tutte le volte che si mette in discussione una prassi, considerandola non un dato di fatto ma come un aspetto culturale, un patrimonio co-costruito dentro il contesto del rapporto Servizio PPR-Ospedale. Proprio lavorando sull’ovvietà è stato possibile rintracciare risorse. Proprio nel dire “la prassi è questa, le valutazioni del rischio funzionano così, come

Servizio PPR mi sono sempre pensato in questi rapporti, ma ora individuo limiti, incontro problemi e posso partire da queste ovvietà per avviare un mio sviluppo”. Introdurre una

metodologia di lavoro esplorativa, promuovere l’implicazione degli operatori nell’intervento, attivare domande è stato possibile a partire dalla messa in discussione della scontatezza che caratterizza l’atto dell’ottemperare ad una legge, la presunzione di “sapere di cosa l’ospedale ha bisogno” a prescindere dal rapporto con gli operatori.

In una seconda fase, con l’attivazione della valutazione del rischio psicosociale e l’ingresso di altre due tirocinanti, è iniziata un’attività molto impegnativa di analisi della domanda in 16 unità operative. La concentrazione era orientata ai singoli problemi portati dai dirigenti, dai coordinatori e dai gruppi intervistati. E’ stato difficile tenere l’attenzione sulla domanda portata dai clienti, sul rapporto tra loro e la nostra proposta di lavoro. La difficoltà a pensare la relazione quale unico criterio di lettura trasversale ci ha fatto correre il rischio di perderci nell’esplorazione degli specifici problemi che ciascuna unità ha portato. Trattandosi di un’Azienda Ospedaliera ad “alta specializzazione”, il pericolo corso è stato quello di sommarci, quali tecnici esperti della metodologia di lavoro psicosociale, agli altri numerosi specialisti presenti nell’ospedale. In questa fase le tirocinanti si sono interrogate sulla difficoltà a riflettere in merito alle proprie modalità di rapporto con il servizio psicologico. La totale identificazione con il servizio psicologico le aveva infatti condotte a dimenticare la propria appartenenza ad una scuola di specializzazione. Il servizio psicologico aveva inoltre stabilito una simbiosi con i singoli reparti e unità operative, giungendo a perdere di vista in alcuni casi il Servizio PPR. Definire i confini dell’attività di tirocinio e recuperare i limiti stabiliti nel progetto iniziale e condivisi con il Servizio PPR è stato un processo utile a contenere l’attività di valutazione del rischio psicosociale. Lavorare prestando attenzione alla promozione dell’intervento e all’ascolto delle problematiche portate dalle diverse unità operative, ha portato all’attivazione di focus group produttivi e interessanti. Riflettere sulla difficoltà a “tenere le fila” del lavoro svolto ha evitato di vedere vanificato un grosso sforzo. Il servizio psicologico ha vissuto la stessa difficoltà che il Servizio PPR vive nel trattare problemi che richiedono una competenza consulenziale, questioni che richiedono un approccio di tipo non solo tecnico. E’ fondamentale quella competenza organizzativa che, ogni volta che lavoriamo, ci spinge a rispondere alla complessa domanda “chi fa cosa e per chi?”, ponendo l’attenzione sul rapporto tra servizio e domanda del cliente.

La disattenzione alla domanda del cliente è un sintomo che sta a indicare la presenza di rischio psicosociale, di conflitto tra cultura e obiettivi. Questo aspetto è emerso in tutte le unità operative con le quali si è lavorato. Trattarlo a partire dalla disattenzione vissuta dal consulente psicologo sta consentendo attualmente di costruire criteri orientanti la fase successiva di lavoro: l’analisi emozionale dei testi prodotti nei focus group. Questa attività è in corso d’opera e porterà a declinare in maniera più specifica i diversi modi con i quali le unità operative non sono orientate ai clienti. Contestualizzarli significherà anche renderli più trattabili di quanto sinora non abbiamo già fatto.

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