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Amedeo Maiuri e “l’invenzione” del parco archeologico di Cuma. Opportunismo e opportunità di un funzionario statale durante il Ventennio / Amedeo Maiuri and the "invention" of the archaeological park of Cuma. Opportunism and opportunity of a state officia

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IL CAPITALE CULTURALE

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IL CAPITALE CULTURALE

Studies on the Value of Cultural Heritage

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Studies on the Value of Cultural Heritage Supplementi 09, 2019 ISSN 2039-2362 (online) ISBN 978-88-6056-622-5 Direttore / Editor Pietro Petraroia Co-Direttori / Co-Editors

Tommy D. Andersson, Elio Borgonovi, Rosanna Cioffi, Stefano Della Torre, Michela di Macco, Daniele Manacorda, Serge Noiret, Tonino Pencarelli, Angelo R. Pupino, Girolamo Sciullo

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Comitato scientifico / Scientific Committee

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Marazzi, Fabio Mariano, Aldo M. Morace, Raffaella Morselli, Olena Motuzenko, Paola Anna Maria Paniccia, Giuliano Pinto, Marco Pizzo, Carlo Pongetti, Adriano Prosperi, Bernardino Quattrociocchi, Margherita Rasulo, Mauro Renna, Orietta Rossi Pinelli, Roberto Sani, Mislav Simunic, Simonetta Stopponi, Michele Tamma, Frank Vermeulen, Stefano Vitali

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+crocevia / studio grafico

Rivista accreditata AIDEA Rivista riconosciuta CUNSTA Rivista riconosciuta SISMED Rivista indicizzata WOS Rivista indicizzata SCOPUS Inclusa in ERIH-PLUS

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I contributi pubblicati in questo volume sono stati selezionati dalle curatrici fra quelli pervenuti in risposta a una call for papers dal titolo “L’archeologia pubblica prima e dopo l’archeologia pubblica” lanciata dalla rivista «Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage» nel 2018. Il volume è stato sottoposto a peer review esterna secondo i criteri di scientificità previsti dal Protocollo UPI.

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L’archeologia pubblica prima e

dopo l’archeologia pubblica

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Parte I

L’evoluzione del pubblico di musei, esposizioni

e siti archeologici

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statale durante il Ventennio / Amedeo Maiuri and the “invention” of the archaeological park of Cuma. Opportunism and opportunity of a state official during Fascism

«Il capitale culturale», Supplementi 09 (2019), pp. 199-233 ISSN 2039-2362 (online); ISBN 978-88-6056-622-5 DOI: 10.13138/2039-2362/2184

Amedeo Maiuri e “l’invenzione”

del parco archeologico di Cuma.

Opportunismo e opportunità di

un funzionario statale durante il

Ventennio

Nadia Barrella*

Abstract

Sottoposta, per secoli, all’azione di scavatori abusivi, l’antica Cuma, all’inizio del XX secolo, rischia di essere ulteriormente e definitivamente danneggiata dalle azioni di bonifica dell’area e dalla legge 1792/1919 che fa passare al demanio anche i possedimenti reali di Licola in cui ricadeva l’area archeologica. La battaglia conservativa avviata da Vittorio Spinazzola per la tutela di quei terreni aveva dato esiti molto parziali. Sarà Amedeo Maiuri a cambiare definitivamente le sorti della preziosa area di scavo utilizzando, con estrema intelligenza, l’attenzione che il fascismo darà a Virgilio e ad Enea. Inserendo Cuma nel più ampio progetto fascista di revisione del ruolo di Napoli e del suo Golfo come centro della politica espansionistica nel Mediterraneo, riannettendo con forza l’area di Cuma al racconto virgiliano e alle celebrazioni di Mussolini come “novello Enea”, Maiuri riuscirà a salvare l’area archeologica dell’antica Cuma, sperimentando anche nuove modalità di fruizione dell’area.

The ancient Cuma, subjected, for centuries, to the action of illegal diggers, at the beginning of the 20th century risked being further and definitively damaged by the reclamation actions * Nadia Barrella, Professore ordinario di Museologia, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Dipartimento di Lettere e Beni Culturali, Via R. Perla, 21, 81055 Santa Maria C.V., Capua Vetere (CE), e-mail: nadia.barrella@unicampania.it.

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of the area and by the law 1792/1919 which also passes to the state the Real ownership of Licola which included the archaeological area. The conservative battle started by Vittorio Spinazzola for the protection of those lands had given very partial results. Amedeo Maiuri will definitely change the fortunes of the precious excavation area using, with extreme intelligence, the attention that fascism will give to Virgil and Enea. By inserting Cuma in the broader fascist project of revising the role of Naples and its Gulf as the center of the expansionist politics in the Mediterranean, strongly resetting the Cuma area to the Virgilian tale and to the celebrations of Mussolini as “new Enea”, Maiuri will succeed in save the archaeological area of ancient Cuma, also experimenting with new ways to enjoy the area.

Premessa

Sulla storia degli scavi a Cuma e sull’attenzione che per le antiche vestigia della città ebbero, sin dall’antichità, dotti e curiosi visitatori esiste, da tempo, un’ampia bibliografia1. Di recente, grazie soprattutto all’importante

accelerazione delle conoscenze archeologiche sull’area, si è assistito anche a un contemporaneo e cospicuo lavoro di “scavo” archivistico che ha consentito rilevanti aggiunte alla conoscenza di un contesto archeologico a lungo depredato e di non sempre facile lettura. L’attività di Amedeo Maiuri2, che chiamato a

dirigere nel 1924 l’allora Soprintendenza per le Antichità della Campania e del Molise, rafforzò l’attenzione e l’azione dell’Ufficio di tutela napoletano verso l’area Flegrea in generale e Cuma in particolare è stata, comprensibilmente, la più indagata. Si è discusso, soprattutto, delle sue metodologie d’intervento e delle sue interpretazioni dei luoghi e dei templi scavati. Molto ai margini delle analisi, anche delle più recenti, sono rimaste invece le motivazioni politiche e culturali, il dibattito e le innovazioni normative che favorirono, oltre che l’avvio delle sue sistematiche campagne di scavo, nuove strategie di tutela e di fruizione del sito che il noto archeologo mise in atto rendendolo, di fatto e per la prima volta, accessibile al pubblico. Obiettivo del mio contributo è porre l’accento su queste azioni. Credo infatti, citando Emiliani, che la riflessione sulla tutela e sui dibattiti che hanno portato a leggi o a provvedimenti specifici per alcuni beni (e su quanto questi provvedimenti, abbiano “poi conformato e deformato l’istituzione stessa”), sia un’esperienza conoscitiva fondamentale che non può non completare lo studio di un luogo e del processo di esplicazione del suo “utile culturale”3.

1 Per questa rapida premessa faccio riferimento soprattutto al saggio di Sirleto, Vollaro 2012,

pp. 35-61 (con ampi riferimenti bibliografici ai contributi precedenti ed una ricca appendice documentaria) e al saggio di Brun, Munzi 2009, pp. 637-717. Sulla storia degli scavi si veda anche Nizzo 2007, pp. 483-502. Per la bibliografia generale su Cuma rimando soprattutto al testo di Valenza-Mele, Rescigno 2010 e alla Serie Studi Cumani pubblicata da Naus editoria, Pozzuoli (NA).

2 Per la vita e la bibliografia completa di Amedeo Maiuri, rimando a Pappalardo 2017 e alla

pagina del CISP (Centro Internazionale per gli Studi Pompeiani) dedicata al Fondo Maiuri.

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1. Per la difesa di Cuma: gli interventi prima di Maiuri

Sebbene l’area dell’acropoli sia sempre rimasta in qualche modo leggibile, la riscoperta di Cuma4 viene fatta tradizionalmente risalire ai ritrovamenti di

statue avvenuti nel XVII5 cui fanno seguito, per tutto il XVIII secolo, interventi

sporadici e irregolari effettuati, per lo più, nell’area delle necropoli6. Tutelata,

come altre aree archeologiche del Regno, da prammatiche borboniche orientate esclusivamente all’incremento delle raccolte museali e comunque poco capaci d’incidere sulla proprietà privata e sulla libera iniziativa di scavo, Cuma assiste ad un incremento notevole dell’attività di estrazione (purtroppo anche clandestina) durante il XIX secolo. Dal 1809 al 1824 compie ricerche nel “sepolcreto cumano” e ne pubblica i risultati il canonico Andrea de Jorio7 poi,

a partire dalla metà dell’Ottocento, l’azione di scavo nella più antica colonia magnogreca della Campania s’intensifica e diviene, sia pur con grandi limiti, in qualche modo istituzionale. Tra il 1852 e il 1857 vi opera Leopoldo di Borbone8, principe di Siracusa e fratello di Ferdinando II e, fra il 1878 ed il

1893, Emilio Stevens9 cui si deve l’avvio di un metodo analitico di scavo e

di puntuale registrazione delle scoperte. La pubblicazione dei ritrovamenti10

e l’aumento dell’interesse per l’area, legato anche all’accrescersi degli studi sulla Magna Grecia11, non comportarono, purtroppo, la fine dei saccheggi né

delle distruzioni dei luoghi. Sullo scorcio del XIX secolo, nonostante il vivace e competente dibattito sulla conservazione delle memorie patrie, il quadro normativo non consente interventi di tutela in grado di andare oltre quanto già previsto dai provvedimenti borbonici. Paolo Orsi, incaricato nel 1900 di valutare la collezione Stevens12 per l’acquisto da parte del Museo Nazionale di

Napoli, pone con molta chiarezza l’accento sull’immobilismo dello Stato: Più volte – denunciò l’archeologo – i dotti nazionali e stranieri si sono dovuti occupare della Campania, lamentandone il poco che vi ha operato l’amministrazione governativa per chiarire i problemi dell’antichissima storia di questa classica regione ed assicurare alle

4 Rimando, per una dettagliata informazione sulla storia degli scavi, alle pubblicazioni legate

al progetto Kyme (1994-2008) che ha visto diversi Istituti Universitari, di Cultura e Associazioni Culturali, nazionali e internazionali, operare – anche in regime di concessione – sul sito archeologico di Cuma. Molti degli esiti delle indagini sono stati pubblicati nella serie Studi Cumani prima citata. Una notevole quantità d’informazioni è inoltre reperibile sul sito del Dipartimento di Discipline storiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, <https://cumaunina.wordpress.com/ info/>, 28.08.2019.

5 Ferro 1606, ma anche Mazzella 1606. 6 Brun, Munzi 2009.

7 de Jorio 1823.

8 Moscati 1971; Milanese 1995.

9 Cfr. il dettagliato volume a cura di Valenza Mele, Rescigno 2010. 10 Si veda al riguardo Barrella 2010.

11 Paolo Orsi e l’archeologia del Novecento 1991. 12 Nizzo 2010.

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raccolte regionali i monumenti che ne dimostrino in ordinate serie l’evoluzione delle civiltà. Tra i terreni archeologici che meritavano le cure del governo, primeggia indiscutibilmente il suolo di Cuma, la più antica colonia greca di occidente dalla quale si sparse in Italia la luce di una civiltà superiore. Sarebbe stato dovere dell’antica direzione degli Scavi e Monumenti preoccuparsi di tale problema e non lasciarlo ad un privato […] L’amministrazione governativa si trova adunque tuttora sotto il peso del biasimo inflittole per non aver nulla operato a Cuma13.

L’assenza di leggi e di personale adeguato e l’attenzione prevalente per Pompei non consentirono alla Soprintendenza napoletana di andare molto oltre l’acquisto della collezione Stevens nel 1902.

In quello stesso anno, com’è noto, sarà approvata la prima legge italiana dedicata alle antichità e alle belle arti14. Sarà un varo imperfetto, una legge

“inutile” o comunque “ad orologeria” che si tenterà quasi subito di modificare ma che avvia, proprio per i suoi evidenti limiti, un dibattito determinante per il valore che il patrimonio artistico comincia ad assumere nel percorso di rafforzamento dell’identità nazionale. La storia di questo dibattito e l’affinarsi della sensibilità al patrimonio culturale tra il 1902 e il 1909 sono stati studiati da Roberto Balzani15 che ha sottolineato, con estrema chiarezza, l’importanza

che tale periodo ebbe anche per la connessione (che sarebbe poi rimasta nella nostra normativa) tra la tutela del paesaggio e quella del patrimonio culturale. A questo dibattito deve moltissimo l’avvio delle azioni di tutela, sia pur parziale, dell’antica Cuma.

A partire dal 1905 (anno della legge per la Pineta di Ravenna16) attraverso

il lavoro della Commissione Codronchi17, la nascita “del sistema delle arti”18 e

un ampio dibattito parlamentare, si giunge – finalmente – alla legge 20 giugno 1909 n. 364. Luigi Rava, Giovanni Rosadi e Corrado Ricci sono fra i maggiori protagonisti di queste azioni. Per Ricci, ricorda Balzani,

la stessa identificazione dell’oggetto passava per la percezione simultanea di approcci diversi: la stabilità giuridica e materiale del bene, la possibilità/volontà di tutela, l’allestimento di un’aura (un sovrappiù di senso che andava oltre il riconoscimento del valore storico artistico, o estetico o venale) che, inserendo quel determinato bene nella memoria culturale collettiva, produceva le energie – e di conseguenza le risorse – necessarie alla conservazione19.

Il processo di rafforzamento dell’attenzione verso il patrimonio culturale italiano passa attraverso l’attivazione dei media e l’innesco dei processi di

13 Barrella 2010, pp. 313-314. Un’ampia nota su questa relazione è anche in Buchner 1977,

pp. 131-133.

14 È la legge 12 giugno 1902 n. 185, nota anche come Legge Nasi. Sulla legge cfr. Bencivenni

et al. 1992 e, soprattutto, Balzani 2003. Interessanti riflessioni sulla legge anche in Varni 2002.

15 Balzani 2003, pp. 19-25.

16 Ibidem, ma anche Malfitano 2002, pp. 91-112. 17 Cfr. Balzani 2003, soprattutto p. 61 e ss.

18 Faccio riferimento alla L. 27 giugno 1907, n. 387 che riordina organico, uffici e personale

della Direzione Antichità e Belle Arti.

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ripetizione (giornali, editoria, conferenze) del valore dei beni fisici e materiali che davano sostanza alla memoria culturale e che, soprattutto, erano collocati nello “spazio-Italia”, in quel «panorama naturaliter antropizzato» del nostro

Paese che più volte si tenta d’inserire in provvedimenti normativi.

Ricci era convinto […] – ricorda ancora Balzani – che proprio là si dovesse partire; ché se l’esportazione di un pezzo pregiato del patrimonio storico-artistico o archeologico avrebbe depauperato il paese, ma non impedito la conservazione e la fruizione dell’opera d’arte in un altro contesto, la distruzione di un paesaggio sarebbe stata irrecuperabile […]. Il paesaggio monumentalizzato […] insomma era la risorsa più fragile fra quelli di cui disponeva la nazione: a esso, quindi, doveva essere riservata particolare attenzione20.

Ma così non avvenne21.

Riprenderemo in seguito quest’ultima riflessione. Al momento, val la pena di ricordare che, in questi anni, sui paesaggi di Cuma e dei Campi Flegrei si concentra un’interessante e inedita azione mediatica22. L’attivismo “delle

brigate degli amici dei monumenti” privilegia i luoghi legati alla tradizione letteraria (com’era appunto l’area Flegrea) ed il paesaggio «diventa la quinta di performance a metà strada fra un nuovo turismo culturale […] e gli esercizi collettivi di lettura»23. Il primo “innesco” dei sopra citati “processi di

ripetizione” è ne «Il Marzocco», rivista «organo di un nuovo blocco politico e culturale che trova nella difesa d’arte il punto d’incontro più naturale»24. Nel

1908, appare nei Marginalia del giornale, l’articolo Per la grande necropoli di Cuma in cui si sollecita all’avvio di una sistematica campagna di scavi nel suolo

dove

si nasconde la più ricca e più eloquente necropoli del mondo [dove] dormono con le loro armi gli italici, antichissimi abitatori del luogo. Nello strato successivo – si legge – sono le tombe degli invasori, dei greci che primi vennero fra noi a recare la ricchezza dei loro monili e dei loro vasi. Più, in alto, verso la superficie della terra, sono i sepolcri dei romani25.

L’articolo riprende le accorate denunce degli scavi clandestini già emerse in passato e chiede il rafforzamento della presenza ministeriale auspicando, per

20 Ibidem.

21 Ivi, p. 320, seguito, nel 1910, dalla una nuova proposta di legge tesa a tutelare «i paesaggi,

le foreste, i parchi, i giardini, le acque, le ville e tutti quei luoghi che hanno un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale o della loro particolare relazione con la storia e con la letteratura, s’innesca un vasto movimento d’opinione che giungerà fino alla promulgazione della legge n. 778/ 1922 dedicata alla tutela delle bellezze naturali. La tutela del paesaggio viene finalmente congiunta alle “antichità e belle arti”, senza trascurare il lato economico che la valorizzazione del patrimonio culturale poteva rendere al nostro Paese. La tutela del paesaggio legittima lo Stato ad agire, l’interesse per Croce diventa morale, e non può essere assolutamente trascurabile, anzi è doveroso agire per la conservazione di questi tesori inestimabili».

22 Ibidem. 23 Ibidem.

24 Balzani 2003, p. 15.

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Cuma, «uno speciale ufficio di ricerche archeologiche», per l’Italia in generale, la promulgazione della legge Rosadi il cui iter, all’epoca, non era stato ancora concluso26. Nel 190927, è il volume I Campi Flegrei pubblicato nella collezione

di Monografie illustrate dell’Italia Artistica28 a rinnovare l’attenzione di tanti su

Cuma. Le riviste, come le colonne di giornale, negli anni di cui stiamo parlando, furono

le sedi privilegiate di discussione e promozione della tutela e della protezione del territorio naturalistico. […] Spazi in cui idee e progetti presero forma catalizzando attorno a sé il consenso delle forze politiche, tanto da riuscire ad arrivare nei corridoi dei ministeri e delle aule parlamentari. […] Gli intellettuali italiani […] intrapresero in questi anni l’originale esperienza di giornalisti-letterati, intenti a gestire quella parte del quotidiano “altra” rispetto alla politica: attraverso l’accesso ai grandi quotidiani del paese, quindi, essi si accreditarono presso il grande pubblico come i nuovi opinion makers. Fu una sorta di

legittimazione dell’arte e della cultura tout court proprio grazie all’attività di chi, nascendo come “tecnico”, si affermava poi come “specialista”, partendo dall’esperienza quotidiana, dalla prassi cioè dei beni culturali […] s’incentiva la conoscenza del territorio nazionale e si forma una sensibilità condivisa per località e visioni prima patrimonio di pochi, ora luoghi eletti che richiedevano invece forme di tutela, salvaguardia e riconoscimento29.

Il volume I Campi Flegrei ricco di quelle straordinarie immagini (147

illustrazioni e 5 tavole) che furono una delle innovazioni dell’Italia Artistica

(«realtà presentata ai lettori»), s’inserisce tra i titoli riservati “all’Italia Ignota”. L’opera pensata «un po’ per contentare tutti i gusti, un po’ per non lasciar sfruttare ai forestieri le nostre città famose» – riesce a catalizzare attorno a sé attenzione politica e mediatica e promuovere una diversa azione di protezione del territorio.

26 L’articolo segnala l’impegno della locale soprintendenza che si evince anche dalla

documentazione archivistica conservata presso l’Archivio storico del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, da ora in poi ASMANN, in particolare nel faldone C16. Registra, infatti che, «per iniziativa del Museo nazionale di Napoli, la piccola valle di Cuma, sino a ieri deserta, si va popolando di funzionari dello Stato. Sono Commissari, Delegati di pubblica sicurezza, Ispettori dei Monumenti e Sovrastanti degli Scavi che vanno non diciamo solo ad ispezionare, ma a vivere per qualche settimana e forse per qualche mese sul suolo sacro alla nostra civiltà primitiva. E tutti fanno a gara nel contendere alle iene antiquarie il poco che nella divina pianura cumana è loro sfuggito». Non escludo che l’articolo, senza autore, sia stato fortemente sollecitato da Ettore Gabrici cui furono in un primo momento assegnati gli scavi. Il 14 novembre dello stesso anno, Gabrici aderisce infatti alla petizione dell’Associazione per la difesa di Firenze antica (componente della rete di sodalizi culturali cui appartiene il giornale) ritenendo patriottica la sua opera e sollecitando in Senato la discussione della legge sulle antichità e belle arti. «I funzionari dei Musei – scrive Gabrici– che hanno il delicato incarico di far osservare la legge sugli scavi archeologici, comprendono bene l’importanza del compito, che la S.V. Ill.ma e i suoi illustri collaboratori della Commissione si assumono» (Balzani 2003, p. 266).

27 Merita di essere ricordata, ma non ho avuto modo di seguire adeguatamente questa strada, la

fondazione, nel 1909, del «Bollettino Flegreo» che «intendeva dare alla regione Flegrea un proprio organo di cultura, d’informazione scientifica e artistica». Cfr. Maiuri 1984, pp. 120-121.

28 De Lorenzo 1909.

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Ettore Gabrici30 e Vittorio Spinazzola31 (figg. 1, 2) ossia gli uomini che, nella

Soprintendenza napoletana, lavorano per Cuma, sono strettamente legati all’élite culturale e politica che promuove le azioni sopra descritte. Con le loro ricerche e le loro attività32 spingono per l’inserimento di questo bene nella memoria culturale

collettiva, “producono le energie” e, di conseguenza, “le risorse – necessarie alla conservazione”33. Esito della rete d’informazione creata è la ripresa della

ricerca di Stato a Cuma. Nel 1910, gli scavi rientrano finalmente in un più vasto programma d’indagine sulle città della Magna Grecia: «Non importava se per raggiungere la rocca di Cuma bisognava quasi prenderla d’assalto, aggrapparsi alle ginestre, agli sterpi e alle querce, attraversare campi e vigneti», la città, e soprattutto la sua acropoli che «archeologicamente e storicamente prometteva migliori risultati»34, andava scavata, conosciuta e protetta. Se ne occuperà

dapprima Ettore Gabrici, poi, qualche mese dopo, il nuovo Soprintendente Vittorio Spinazzola. La legge del 1909 dava allo Stato e ai suoi enti periferici nuovi strumenti d’intervento sulle aree archeologiche, dettava una puntuale disciplina degli scavi e consentiva, soprattutto, l’esproprio per pubblica utilità. Corredata, nel 1913, da un dettagliato regolamento, la nuova legge preoccupa, sin da subito, i possessori dei fondi flegrei. Alla spinta mediatica nazionale si contrappone quella locale che considera gli scavi di Cuma «francamente, una pazzia bella e buona» poiché nessun ritrovamento di valore artistico ed archeologico poteva mai aversi «per esserne stato il sottosuolo frugato in tutti i sensi e modi non molti anni addietro»35. Evidentemente, quanti, per enfiteusi o

altro tipo di contratto (figg. 3, 4), sfruttavano economicamente i terreni cumani appartenenti alla Real tenuta di Licola (sfruttamento che sarà a lungo uno dei maggiori ostacoli alla piena conoscenza dell’area) esercitano pressione sulla stampa locale per ridurre, agli occhi dell’opinione pubblica, il valore dei luoghi. L’accento locale è furbescamente posto sul possibile ritrovamento di singoli oggetti da museo, l’attenzione mediatica nazionale guarda invece ai luoghi e alle potenzialità di un nuovo polo archeologico diverso da quello pompeiano dotato di straordinarie possibilità di racconto. I tempi non erano ancora abbastanza maturi e, purtroppo, proprio su queste possibilità, incombono nuovi rischi. Uno degli affari che avrebbero potuto arricchirmi – scriverà nei suoi Ricordi Vittorio

Spinazzola – è stato quello del Monte di Cuma. I miei scavi fortunati mi avevano permesso di

30 Cfr. Barbanera1998.

31 Per Vittorio Spinazzola, cui andrebbero dedicati approfonditi studi, rimando a Scotto di

Freca 2012.

32 L’esito delle attività di ricerca del primo confluì in Gabrici 1910 e 1913. L’attività editoriale di

Spinazzola fu rivolta per lo più a Pompei e al Museo di San Martino ma egli fu vivace collaboratore delle più importanti riviste italiane del tempo oltre che intimo amico di Benedetto Croce.

33 Balzani 2008, p. 310. 34 Gabrici 1910 p. 107.

35 Ne «Il Mattino» di Napoli del 19 aprile 1910. L’articolo è conservato presso la Fondazione

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ritrovare e individuare sul monte il grandioso tempio di Apollo. Or dopo questo ritrovamento della più alta importanza archeologica si venne a costituire una società che si propose lo sfruttamento del Monte di Cuma per crearvi una cava di prestito per il colmamento del lago di Licola, e per trasporto di altro materiale nella penisola sorrentina. Mi opposi nel modo più risoluto e fui irremovibile. Colui che era l’anima dell’affare tentò ogni via per vincere il mio rifiuto e mi disse di chieder tutto ciò che io volessi. Ebbe naturalmente la risposta che meritava36.

La bonifica del lago di Licola, connessa ai grandi lavori d’intervento sulle aree palustri che da Licola, attraverso il territorio del lago Patria, i Regi lagni, l’estuario del fiume Volturno, giungevano fino al Garigliano e oltre, era stata avviata dal Genio Civile sin dal 1875 anno in cui il lago era stato interessato da una prima colmata a braccia37. Una seconda colmata, più ampia

della precedente, ebbe luogo tra il 1906 e il 1916. È in quest’occasione che, per i massicci sterri eseguiti dalla Società di Bonifica del lago, sono scoperte numerose tombe, alcuni oggetti trasportati al Museo Nazionale, molti altri distrutti. La pubblicazione del regolamento della legge Rosadi consente alla Direzione del Museo nazionale di Napoli di entrare in azione nell’ultima parte dei lavori. Spinazzola, nel 1913, inoltra alla Direzione Generale di Antichità e Belle arti il progetto di esproprio dell’area del colle e dei terreni alle pendici del monte e la richiesta di riconoscimento dell’arce come Monumento Nazionale. Il Soprintendente è intimamente legato agli uomini che, in questi anni, stanno sostenendo una nuova idea di tutela e fruizione del patrimonio culturale. Il suo obiettivo è ottenere la dichiarazione di pubblica utilità e costruire tutt’intorno alla parte alta del monte una zona propria dell’Amministrazione38. In difesa di

Cuma torna «il Marzocco» (fig. 5). Il 12 aprile 1914, dalle pagine del giornale, si leva la poderosa denuncia di Angelo Conti: “Distruzioni e profanazioni. Il monte di Cuma”.

Avvenuta la vergognosa devastazione del suolo più ricco di tesori e più sacro, dopo il Campidoglio e dopo il Palatino, tra il Foro e le Terme di Caracalla, si è cominciato a distruggere ad un’ora da Napoli, uno dei luoghi più belli e più ricchi di leggende e di ricordi che ogni viaggiatore ansioso di grandi emozioni possa incontrare nel mondo. Parlo della montagna di Cuma39.

Nell’articolo di Conti, inizialmente, domina il ricorso alle suggestioni e ai rimandi letterari del luogo, fattori di legittimazione e fondamento alla tutela. Poi si precisa:

La strada più bella per giungere al monte di Cuma è quella che traversa la selva reale di Licola. La percorsi due o tre anni or sono, in compagnia di Giacomo Boni. Era primavera, e tutta la selva cantava, accompagnata dalla immensa orchestra del mare vicino ed invisibile.

36 Scotto di Freca 2012, p. 128. 37 Poggi 1887, pp. 103-111. 38 Sirleto, Vollaro 2012, p. 39. 39 Conti 1914.

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Andavamo in silenzio ascoltando i richiami aerei da albero ad albero, e cogliendo i bei fiori silvestri […] finché giungemmo a piè della montagna. Un vasto spazio sabbioso fra il mare e le rupi ci rendeva possibile contemplare. Quanto era40 bella quella montagna! Le sue rupi trachilitiche in alcuni punti quasi a picco, d’un colore quasi d’acciaio, taglienti, nude, senza sentieri, si componevano in una armonia di linee severe e grandiose, in un insieme monumentale, veramente degno di far da base al tempio di Apollo e di dare nei suoi fastigi una voce eterna alla Sibilla […] Queste rupi che hanno veduto l’approdo fra noi dei primi greci che vennero per poi fondare Roma […] questo monte di cui la storia e la gloria sono cantate dai poeti, è sembrato adatto ad essere trasformato in cava di pietre; e col permesso del Ministero della istruzione, da circa un mese la mina e il piccone lo stanno devastando. Il Ministero della Pubblica Istruzione che ha il preciso dovere di difendere e conservare le bellezze della natura, i monumenti dell’arte e della storia e di diffondere la cultura, non doveva permettere che il luogo della più antica storia d’Italia cadesse nelle mani d’ingordi speculatori, che lo considerano come un deposito di materiale da trasformare in argini per la bonifica del vicino lago di Licola41.

L’azione distruttrice dei lavori di bonifica è chiaramente esplicitata. E stavolta la devastazione non è l’esito di azioni abusive ma di scelte dello Stato. Meno di un mese dopo Cuma sarà oggetto di un’interrogazione parlamentare. Nella tornata del 6 maggio 1914, Antonio Scialoia, parlamentare eletto nel collegio di Pozzuoli, chiede:

per sapere se [il Ministro della Pubblica Istruzione] intenda far cessare, per i supremi interessi della cultura nazionale, la devastazione della zona archeologica del Monte di Cuma, trasformata in cava di materiale per i lavori della bonifica di Licola42.

Nella risposta di Rosadi – all’epoca sottosegretario di Stato per l’istruzione pubblica – l’evidente difficoltà ministeriale e la sostanziale, limitata, possibilità d’intervenire vigilando sullo scavo.

Per la bonifica del lago di Licola – si legge – fu destinata a cava di pietra una zona dello storico e fatidico colle di Cuma ma la Soprintendenza dei monumenti di Napoli fece sospendere i lavori non potendo consentire che per qualunque ragione fosse manomesso un rudero sacro e vetusto come quello. Aveva assunto l’impresa di escavazione della pietra la ditta Pantaleo, la quale di fronte all’ordine di sospensione dei lavori accampò ragioni o pretese, sostenendo che il Ministero dei lavori pubblici le aveva esplicitamente concesso la facoltà di sfruttare il colle Cumano secondo certi termini del contratto e che la Prefettura di Napoli gliene aveva dato esplicito consenso. Da queste condizioni di fatto sorse il dubbio che ricorressero i termini di una grave lite e che fosse prudente transigerla, e si venne alla risoluzione di transigerla con pacifico accordo tra le parti, secondo il quale furono limitati i confini in cui si permetteva di sfruttare il colle e fu dato incarico alla Soprintendenza dei monumenti di Napoli di vigilare affinché questi confini non fossero in alcun modo superati; di maniera che, così circoscritta la facoltà concessa all’impresa, si eviterà il danno e lo scempio che giustamente è stato segnalato dal collega Scialoja; e tutti potranno confidare che sotto la vigilanza della scolta artistica non sarà recato sfregio al colle Cumano, a

40 Il verbo è in corsivo nel testo. 41 Conti 1924.

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questo insigne monumento naturale, emergente dalla incantevole marma che col fascino de’ suoi ricordi e con delizia del suo aspetto risuscita la sublime poesia degli Elisi43.

Scialoja non si dichiarerà soddisfatto della risposta e lamentando la parziale esposizione dei fatti porrà nuovamente l’accento sulla duplice questione sottesa ai lavori di estrazione:

non si tratta soltanto di una questione di tutela di un paesaggio storico, che merita del resto tutta l’attenzione delle autorità competenti, ma si tratta anche di salvaguardare l’integrità di monumenti archeologici. Quindi le alterazioni del Colle di Cuma non nuocciono soltanto alla bellezza di quella zona meravigliosa, ma nuocciono anche ai monumenti che vi sono conservati; tanto è vero che col pretesto del diritto a sfruttare quel colle per cavarne pietre a colpi di dinamite, non solo si altera la configurazione del colle stesso, ma si vanno danneggiando necropoli antiche che finora erano ignorate. Vi è poi un’altra considerazione da fare, e cioè che, mentre può esser giusto porre limiti alla conservazione dei nostri monumenti quando si tratta di far fronte alle esigenze imprescindibili della civiltà e quando si tratta di opere di vero e grande interesse pubblico che non si possono condurre a termine in altro modo, qui il caso invece è diverso, perché questi danneggiamenti gravissimi sono fatti unicamente per cavar pietra dalla montagna, mentre con una modifica del capitolato o in qualche altro modo si può obbligare l’impresa a trovar e la pietra a qualche centinaio di metri più lontano; ed è poi anche molto dubbia l’utilità e la giustificazione della bonifica del lago di Licola, perché, come è noto, questa bonifica è fatta più che per quegli scopi igienici e agricoli che simili opere devono avere, per estendere la tenuta reale di Licola ed aumentare il territorio destinato alla caccia dei cinghiali. [Interruzioni] Non mi pare dunque che queste siano buone ragioni per passar sopra alla sacra tutela dei monumenti delle nostre antiche civiltà44.

La protesta del parlamentare puteolano non ebbe alcun seguito. È il segno del declino del “dilettantismo protezionista” di cui parla Balzani e il cui fallimento è stato prima citato:

L’esclusione dell’actio popularis dalla legge – ha scritto – aveva contribuito ad incrementare

il già alto tasso di passione ideologico-letteraria dell’associazionismo culturale, interlocutore privilegiato della triade Ricci-Rava-Rosadi, depotenziandone il pur generoso attivismo. Il mancato passaggio alla concretezza della tutela, riservata a un’amministrazione esigua e del tutto sbilanciata sul versante dei beni mobili e degli edifici monumentali, condannava una generazione di volenterosi borghesi […] a un dilettantismo senza prospettive […]. Dal grande ciclo riformatore d’inizio secolo, quindi, il paesaggio italiano, tanto celebrato a parole, sarebbe uscito alquanto malconcio45.

Cuma, o meglio l’area cumana protetta, si restringe all’acropoli che gode, almeno, di una maggior continuità di scavi pur restando “chiusa ed affogata tra gli stretti limiti in cui naturalmente la tengono le numerose proprietà private circostanti”46.

43 Ivi, pp. 4992 e 5175-5176. 44 Ibidem.

45 Balzani 2008, p. 322. 46 Ibidem.

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Le terre – scrive Spinazzola nel 1915 – venute fuori degli scavi in vario tempo, depositate provvisoriamente a breve distanza debbono essere sgomberate al più presto sia per rendere possibili nuove esplorazioni, sia per restituire ai vetusti avanzi monumentali tornati alla luce l’antico dominio del posto. Così per queste, così per altre ragioni di indole amministrativa, la Soprintendenza dei Musei e Scavi della Campania e del Sannio dove procedere d’urgenza alla espropriazione di alcuni terreni circostanti alla Masseria della Real casa, come risultano dall’allegato piano di espropriazione47.

Il piano, stando ai documenti conservati, appare molto dettagliato e Spinazzola (fig. 6), convinto della necessità di procedere in tal senso, prova ben due volte (nel 1913 e nel 1915) ad ottenere risultati significativi48. In realtà, sebbene già con

decreto 7 settembre 1916 si dichiari la pubblica utilità per l’espropriazione degli stabili che circondano il colle di Cuma49, è solo nel 1927 che si riuscirà ad arrivare

ad un’amichevole convenzione con i proprietari dei fondi oggetto dell’esproprio. Mancava, evidentemente, la giusta spinta. L’area di Cuma, intanto, nel 1919, si trova a fare i conti con una nuova difficoltà.

2. Il decreto 1792/1919

Con il Real decreto n. 1792, nel 1919, Vittorio Emanuele III retrocede al Demanio i beni della Corona. Molteplici le motivazioni sottese al provvedimento che, nato soprattutto per arginare le spese di Real casa per la gestione del patrimonio immobiliare di sua dotazione, viene presentato anche come una risposta alla necessità di “sistemare nel modo più conveniente il patrimonio artistico nazionale” e dare nuove terre e opportunità all’Opera nazionale Combattenti. Ancora tutto da studiare per i danni che inferse alla conservazione del patrimonio culturale italiano50, il decreto – che interessa molte delle più belle e antiche dimore italiane,

giardini e tenute – vede devoluti al demanio i Palazzi Reali di Napoli, Caserta e Capodimonte, alcune Casine borboniche, la Tenuta di Carditello, la tenuta degli Astroni e quella di Licola. Con quest’ultima, quindi, anche l’area dell’arce cumana che appartiene al Fondo di Casa Reale51.

Con lo stesso provvedimento s’istituisce anche il sottosegretariato di Stato per le antichità e le belle arti (il primo sottosegretario è Pompeo Molmenti che sarà

47 ASMANN, C16/16. 48 Ibidem.

49 Decreto Luogotenenziale 7 settembre 1916 n. 1267 col quale è dichiarata di pubblica utilità

l’espropriazione degli stabili che circondano il Colle di Cuma nel Comune di Pozzuoli.

50 Sulla dispersione di questo patrimonio la polemica fu forte e immediata ma, quasi sempre,

inefficace. Per i palazzi reali napoletani e per i parchi si alzerà con forza ma con risultati parziali, la voce di Benedetto Croce e della rivista «Napoli Nobilissima» mentre a livello nazionale porrà il problema Ugo Ojetti con il volume Ojetti 1921.

51 In una mappa catastale del 1902, l’arce viene indicata come appartenente alla Lista civile

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sostituito, nel 1920, da Giovanni Rosadi52 in carica fino al 1922) e s’individuano

due diversi destinatari dei beni reali: il Ministero della P.I. e l’Opera Nazionale combattenti rimandando, per la destinazione dei singoli beni, ad un nuovo provvedimento. Spinazzola, con Croce e Di Giacomo, sarà un protagonista del dibattito locale sul decreto ma, è giusto precisarlo, l’attenzione locale sarà rivolta ai palazzi reali e al patrimonio di oggetti mobili che rischiava di essere (e in gran parte lo fu) ampiamente disperso53. Anche a Napoli, evidentemente, prevale

quello “sbilanciamento” sul versante degli edifici monumentali e dei beni mobili già forte nell’anteguerra cui credo si sia aggiunto, per l’area di Cuma, l’effetto delle mobilitazioni contadine del “biennio rosso” e la vicinanza del gruppo di riferimento di Spinazzola (Saverio Nitti, in particolar modo) alle richieste dei reduci dell’Associazione nazionale combattenti. Di non poco conto e probabilmente connessa a tutto ciò, la differenza tra l’elenco approvato nella tornata del 18 settembre 1919 dalla camera dei Deputati (dove risulta assegnata al Ministero della P. I. l’intera Tenuta di Licola) e l’elenco pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16

giugno 1920 dove viene invece precisato come bene assegnato al Ministero P.I.: la

Masseria di Cuma nella Tenuta di Licola54. Un evidente restringimento dell’area

cui, comunque, non mancarono avversari. Dopo l’emanazione del decreto, Pietro Capasso55 parlamentare salernitano che aveva appoggiato le occupazioni delle

terre in Campania, firma un polemico articolo ne «Il Giornale d’Italia».

Solo per Napoli – scrive – che ha tanto bisogno di opere di vera e proficua civiltà e di assistenza sociale, il decreto ha subito le sue colpevoli deviazioni: E per dissipare nove milioni che si negano agli ospedali stremati, viene allegramente deliberato da un Ministero crepuscolante di destinare la Reggia a pessima sede di Museo e la Masseria di Cuma alle esplorazioni archeologiche e non alla intensificazione della cerealicultura in questi gravi tempi di grano a prezzo politico56. Riprenderà la polemica il «Roma» del 19 settembre 1920 chiedendo un’immediata riforma del decreto. La sottrazione della masseria alla coltivazione viene ritenuta un danno alla popolazione – ironicamente l’autore (che si firma con le iniziali s.f.) precisa «c’è tanta terra in Italia e così poco bisogno dei suoi prodotti!» – ma, almeno in questo caso, il colle di Cuma poté resistere agli attacchi57.

52 Rosadi resterà in carica fino al 1922. Il sottosegretariato viene soppresso con R.D. 29 aprile

1923, n. 953.

53 Cfr. per Napoli e Caserta, Barrella 2005 e 2010.

54 «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia», a. 1920, n. 141, p. 1900, «Masseria di Cuma nella

tenuta di Licola – Riservata alle esplorazione archeologica dell’antica Cuma».

55 Deputato al Parlamento eletto inizialmente fra i democratici giolittiani, Pietro Capasso si

avvicinò velocemente al PNF. Eletto a Salerno, nel 1920 è a fianco dei contadini che, anche in Campania, il cosiddetto “biennio rosso”. Cfr. Fonzo 2011.

56 L’articolo, datato 1920, è presente nella rassegna stampa conservata presso la Fondazione

Biblioteca “Benedetto Croce”, Fondo Croce, Miscellanea di scritti concernenti B.Croce, UA 18.

57 Occorrerebbe, in verità, una riflessione più ampia sull’attenzione generale ai Campi Flegrei

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3. Amedeo Maiuri e Cuma (1924-1939)

Vittorio Spinazzola, uomo di eccezionale valore, ma del tutto negato all’esercizio di quella gentilezza, cortesia e benignità […] avendo creato tanta esasperazione con il suo carattere eccessivamente volitivo, viene rimosso dalla Soprintendenza. Nel 1924 gli subentra Amedeo Maiuri che in un ufficio greve dei miasmi del passato, spalanca le finestre, facendo giungere in ogni angolo ventate di aria pura58.

Cuma sarà una delle sue prime preoccupazioni:

Quando fui chiamato alla soprintendenza di Napoli – scriverà in seguito l’archeologo – una delle note dolenti erano ancora gli scavi clandestini di Cuma. Fu il più caldo e paterno avvertimento che, giovane alle prime armi con il ricco mondo delle antichità napoletane, m’ebbi dal decano degli scavatori italiani, Paolo Orsi, che dissodava in Sicilia e in Calabria templi e necropoli e aveva allora assicurato al museo di Napoli la preziosa suppellettile cumana della collezione Stevens. Ed invero, una squadra abilissima e spericolata di cercatori di tombe, sfidando la palude e la malaria, continuava il suo occulto lavoro di frodo con una tecnica ingegnosa e adatta alle particolari condizioni del terreno. Senza affrontare scavi laboriosi di lunghe e profonde trincee, saggiavano il terreno palmo a palmo con un paletto e una modesta trivella di ferro, e dove incontravano il duro dei lastroni di copertura, tornavano la notte a scavare fossa dietro fossa alla luce d’una lanterna, con i piedi affondati nell’acqua e nella mota fangosa, alla disperata ricerca di vasi greci59.

Quella del giovane “picciotto”60 per Cuma non è una battaglia semplice,

piuttosto una lotta senza quartiere che vede il nuovo Soprintendente “danneggiare e spiantare vigne, a perlustrare all’aperto e al chiuso, a zappettare a ogni promettente indizio”61 tentando di ostacolare, con “appostamenti, inseguimenti

e fughe da drammi polizieschi,” la squadra dei “fossori” puteolani. Alla difficoltà dell’impresa archeologica su di un’area tanto vasta e complessa, Maiuri attribuisce la sua scelta iniziale di abbandonare lo scavo della necropoli e di concentrarsi sul “mistero di Cuma” (la Grotta della Sibilla) cercando di conciliare l’azione conoscitiva derivante dallo scavo sistematico, con la sua divulgazione e l’avvio di un percorso di fruizione dei luoghi.

Notissima tra gli addetti ai lavori e gli appassionati d’antichità l’intera area Flegrea presentava, agli inizi del “secolo breve” e nella maggior parte dei casi, siti archeologici abbandonati, celati dalla vegetazione e in uno stato di degrado tale da rendere difficile qualsiasi forma di godimento ampio e adeguato al nuovo

comprende, ovviamente anche le isole. Solo per ricordare la complessità di questi anni e la vivacità degli interventi si pensi al Convegno sul paesaggio che si tenne a Capri nel 1922 immediatamente dopo la promulgazione, Ministero Croce, della prima legge italiana sulla protezione del paesaggio (1922). Sul convegno cfr. Catalano 2016.

58 È la riflessione di Maggi 1974, p. 69. 59 Maiuri 1990, p. 102.

60 Così fu appellato da Orsi, il giovane Maiuri (ivi, p. 103). 61 Maggi 1974, p. 74.

(20)

turismo. Nella Guida del Pellerano, pubblicata nel 1906, a proposito di Cuma si legge quanto segue: «benchè interessante per la storia, non offre che delle rovine coperte di cespugli e qualche grotta o passaggio sotterraneo di poca importanza»62. L’itinerario segnalato ai turisti è tutt’altro che agevole:

proseguendo per la strada dopo l’Arco, in parte costruita sull’antica via Appia, di cui veggonsi ancora i ruderi del vecchio selciato: bentosto si scoprirà dirimpetto a poca distanza, il piccolo Monte di Cuma, a dr. del quale il Lago di Licola in via di bonificamento. Dopo pochi minuti per un viottolo a dr. Si discenderà a sin., passando per di sotto un ponte, a visitare la Grotta della Pace detta anche della Sibilla, fatta costruire da Agrippa per mettere Cuma in comunicazione diretta coi Laghi d’Averno e Lucrino, stazione navale dei Romani. Questo traforo in perfetto stato di conservazione è lungo più di 1000 passi, si può attraversarlo a piedi in 15 minuti con delle fiaccole, benché di tanto in tanto sia rischiarato da spiragli; passaggio poco divertente per le signore per la gran polvere che vi è. Si riprenda la vettura e si prosegua, dopo 5 min. pel secondo viottolo a destra scendendo di vettura, si andrà a piedi in 5 minuti ad una casa rurale a sinistra in mezzo alla campagna, dirigendosi al colono, che con una mancia di 50 cente, ad 1 L., vi condurrà in 15 minuti a traverso vigneti, al Monte di Cuma, ove degli avanzi di fabbricati, ricoperti di boscaglie e qualche grotta, sono tutto ciò che resta dell’antica città di che non ne varrebbe la pena di visitare, se si trattasse dei suoi ricordi storici63.

La risonanza mediatica di cui si è detto e gli scavi di Spinazzola non dovettero modificare di molto lo stato dei luoghi. Nel 1922, quando Salvatore di Giacomo pubblica la sua Nuova Guida di Napoli l’area dei Campi Flegrei è in parte

collegata alla città dalla Ferrovia Cumana e dal tramway elettrico. I riferimenti storici e la qualità del paesaggio continuano ad essere la principale ragione per la visita e la fruizione dei luoghi ma se alcuni di essi appaiono facilmente raggiungibili ed accessibili a tanti, l’area di Cuma resta ancora “malagevole”. Di Giacomo consiglia l’utilizzo di una carrozza, segnala la necessità di mance agli accompagnatori ma descrive, di fatto, un’area molto povera di attrattive (si sofferma per lo più sulla buona cucina del posto): «Non più rimane dei tempii di Apollo, di Diana, dei Giganti, ecc. In un vigneto sono le rovine del suo Anfiteatro»64.

Che l’azione di Spinazzola, sia pur utile per l’attività di scavo, avesse avuto uno scarsissimo esito in termini di godimento dell’area è confermato da Maiuri. Nel 1925, egli scrive:

quando attaccai la fortezza di Cuma arrivarci era un viaggio serio: Prima la “Cumana” a Montesanto che allora, tra il fumo della vaporiera, il puzzo delle gallerie e l’untume delle tende ai finestrine traballanti, ci preparava lo spirito e la mente al viaggio nell’oltretomba; poi a Cuma-Fusaro […] la carrozzella più sgangherata di tutta la contrada, con una bella manciata di gramigna a cassetta per il viatico di marcia del cavallo, e col vetturino più comprensivo della mia poco brillante situazione economica di funzionario in servizio. Lungo

62 Pellerano 1906, p. 161. 63 Ibidem.

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il cammino non mi riusciva, è vero, di far battere all’unisono il falso trotto treppicante del bucefalo flegreo, con il focoso scalpitare dei cavalli nel verso virgiliano […] ma, in compenso, potevo riposatamente contemplare il più dolce paesaggio mattinale fra la collina di Torre Gaveta e Cuma65.

Arrivati sul posto la situazione, se possibile, era ancora peggiore:

giunto alla masseria Poerio, si staccava il cavallo tra il festoso accorrere dei cani, la fuga delle galline e il grugnito dei maiali e si prendeva la via dell’acropoli a traverso la città antica sepolta e sommersa sotto una selva di vigne66.

Anche Spinazzola, come si è detto, aveva provato a rendere più agevole l’accesso all’arce cumana ed aveva predisposto il già citato piano di espropri a tal fine ma per Maiuri l’accessibilità diventa una priorità. Conosce molto bene il dibattito internazionale sulla necessità di modificare e ampliare la fruizione del patrimonio culturale a pubblici diversi e sente urgente il bisogno di agevolare la comprensione del passato non solo all’interno dello spazio museale67, ma, più

in generale, in tutti i luoghi della cultura. Cuma ha bisogno, tra l’altro, non solo di un accesso ma anche di un percorso di visita che trasformi il contatto con le antiche vestigia in racconto comprensibile. Affinché questo accada sono necessari l’ampio sostegno dello Stato e fondi per restauri, sterri, scavi e allestimenti. Il nuovo regime favorisce l’archeologia “romanocentrica” perché facile da connettere al bisogno del governo fascista di legittimarsi e di rafforzare l’identità nazionale. La Cuma magnogreca non può essere facilmente “fascistizzata” (la scelta di lasciare le necropoli potrebbe, verosimilmente, essere più legata a questa necessità) occorre dunque immaginare nuove motivazioni per favorire l’interesse per i suoi resti, liberarli e farli rientrare nella “scena della vita pubblica” della dittatura. Maiuri farà tutto questo con estrema intelligenza, mostrando di saper cogliere tutte le opportunità offerte dalla politica culturale fascista per avviare nuovi progetti d’intervento sul patrimonio culturale campano.

I tanti che hanno commentato la scelta iniziale di Maiuri di concentrarsi sull’esplorazione dell’antro della Sibilla hanno più volte sottolineato la sua eccessiva attenzione al testo letterario e il suo «condurre le ricerche archeologiche quasi sulla scorta delle testimonianze letterarie antiche alle cui lacune supplire con l’intuito. Così che le suggestioni virgiliane e massime quelle sulla vaticinante Sibilla condussero a qualche fraintendimento interpretativo»68.

Non entro nel dettaglio di quest’attenta valutazione del “mestiere” del nostro archeologo ma credo che l’attenzione al testo letterario e il voler ricercare con così tanto accanimento il percorso di Enea a Cuma abbia avuto anche altre motivazioni. Il suo dichiarar d’essere «incuorato dalla fede di Virgilio e mosso

65 Maiuri 1990, p. 104. 66 Ibidem.

67 Cfr. soprattutto i contributi di Prisco 2013 e 2016. 68 Guzzo 2006.

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dalla ricorrenza del bimillenario Virgiliano»69 merita di esser guardato anche

da un’altra prospettiva.

Nel 1926, Maiuri pubblica in Notizie scavi le prime riflessioni sullo scavo cumano:

il voto fervidamente e lungamente espresso da Enti ed Istituti scientifici e da quanti intendono che cosa significhi per il culto delle antichità patrie, per la religione e per i miti delle stirpi italiche e greche, l’esplorazione dell’antro della Sibilla sul colle di Cuma, ha finalmente avuto nel decorso anno 1925, il suo desiderato compimento con l’inizio dei lavori di scavo all’esterno e all’interno della grotta70.

È accaduto grazie al Ministro Pietro Fedele71 e alla “prossima ricorrenza del

bimillenario della nascita di Virgilio”.

È sembrato – scrive ancora l’archeologo – «che nessun maggiore onore potesse rendersi al sommo poeta di quello di far rivivere, entro le linee ed il colore del paesaggio del VI libro dell’Eneide, i monumenti più insigni della regione Cumana e, primo fra essi, l’antro oracolare della Sibilla che il poeta così particolarmente descrive, e che è punto di partenza dell’azione del viaggio di Enea agli inferi»72.

A ciò si unisce, ma

in un secondo tempo, l’esplorazione completa delle due terrazze principali dell’acropoli di Cuma, cioè della terrazza inferiore, dove sorgono gli avanzi tuttora imponenti del tempio di Apollo, messo in luce fin dal 1912, e della terrazza superiore del monte dove le costruzioni di un secondo tempio sono tuttora da esplorare73.

Il testo letterario, sicuramente anche viatico per lo scavo, sembra offrire al Soprintendente una straordinaria opportunità. L’avvio, nel 1924, del programma per il bimillenario della nascita di Virgilio (che sarà poi celebrato nel 1930) aveva messo in moto un complesso e ricchissimo programma di attività per una “una scadenza importante non solo in quanto primo esperimento di celebrazione culturale di massa sorretta da intenti politici” ma anche per il momento politico in cui si collocava. Luciano Canfora, ai cui studi farò ampiamente riferimento74,

ne ricorda la straordinaria importanza. È il momento di massima stabilizzazione e consenso intorno al regime, della riuscita della battaglia del grano, delle bonifiche che potenziano l’agricoltura, del “ruralismo” come antidoto alla crisi. Il poeta delle Georgiche «assurge a simbolo di questa via d’uscita del fascismo

69 Maiuri 1926, pp. 85-93. 70 Ivi, p. 85.

71 Il ministro, studioso di medioevo, fu coinvolto da Maiuri nel rinvenimento a Cuma di

un’importante iscrizione medievale contenente un riferimento a S. Massimo nel fonte battesimale della Chiesa cristiana nel Tempio di Giove a Cuma. Cfr. Rescigno 2012, p. 16 e ss.

72 Maiuri 1926, p. 85. 73 Ibidem.

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dalla crisi»; si presta anche al ribadimento del buon rapporto con la Chiesa e si ricollega alla faccia «pacifica e restauratrice del regime»75. Per le celebrazioni

virgiliane il regime mobilita ingenti risorse economiche e culturali, Maiuri cerca di trarne benefici significativi per Cuma. Molto interessante, soprattutto perché quasi coeva alla pubblicazione su «Notizie Scavi», la relazione dello stesso Maiuri nel «Bollettino d’arte» del 1926 dove precisa che «per quanto le esplorazioni e le campagne di scavo abbiano innegabilmente il fascino della ricerca del nuovo» è necessario dar la priorità a relazioni semplici e obiettive dei lavori di restauro, manutenzione e ripristino. Questo è indice del «buon funzionamento dei nostri Istituti» e «dovere verso il pubblico degli studiosi e di quanti si interessano alle sorti del nostro patrimonio monumentale!»76.

Le sorti di Cuma devono poter rientrare nel processo di “sacralizzazione della politica” voluta dal regime, nella sua “storicizzazione” e naturalizzazione ma tutto questo può e deve poter diventare anche tutela e valorizzazione. Il suo concentrarsi sulla Sibilla lo porta, come è noto, ad individuarla inizialmente su quella che, in seguito, riconoscerà come crypta romana77. Di questa ripulisce

e sistema il piano stradale oltre «alla recinzione dei pozzi verticali di luce per necessaria garanzia dei visitatori» e ne consolida «le parti dell’antico rivestimento distaccatesi dalla parete di tufo, senza le quali opere non sarebbe stato possibile raggiungere il piano antico della grotta e non sarebbe stato possibile riprendere e portare a compimento l’esplorazione sotterranea che tuttora resta da fare»78.

Con lo sterro del supposto Antro, Maiuri avvia un’ampia attività di comunicazione del significato complessivo dell’arce cumana:

Cessate le cause della difesa militare della regione Cumana che, con il disboscamento delle orride pendici del Lago di Averno e con l’impianto di cantieri ed arsenali marittimi aveva visto contaminata la religiosità del luogo, si volle, dobbiam pensare, da Augusto stesso riconsacrare il luogo sacro alla più antica religione italica con lavori di ampliamento e di abbellimento del tempio di Apollo sull’Acropoli di Cuma e di degna e stabile sistemazione dell’antro oracolare della Sibilla ministra del dio. Tali lavori, eseguiti, come abbiam supposto subito dopo la fine della guerra civile, dovettero avere il valore di una cerimonia di espiazione o di una propiziazione, di una vera cioè lustratio ad iter Averni79.

C’è molto dell’accento che, negli anni Venti, gli studiosi del regime pongono sulla spiritualità e la fede nei testi virgiliani che porterà, persino, a una lettura protocristiana di Virgilio e all’interpretazione dell’Eneide come il poema della pacificazione del mondo. Pubblicando la notizia dei ritrovamenti anche nella

75 Ivi, p. 470.

76 Maiuri 1927, p. 381.

77 Nel 1932 Maiuri (Maiuri 1932) pubblicherà gli esiti di una nuova azione di sterro che

porterà al riconoscimento del cosiddetto Antro della Sibilla. Sulle perplessità connesse a questo riconoscimento cfr. Pagano 1985-1986.

78 Maiuri 1990, p. 105. 79 Maiuri 1926, p. 91.

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rivista «Nuova Antologia» – Gli ultimi scavi di Cuma e l’epopea virgiliana80

l’insistere sulla spiritualità dei luoghi è ancora più evidente:

l’antro della Sibilla Cumana sarà più che un monumento un grande santuario della religione degli avi, perché intorno ad esso aleggia vivo ed eterno lo spirito del primo nostro grande poeta nazionale, di Virgilio e perché nelle sue vie tenebrose il poeta imperiale di Roma si fa maestro e duce al poeta della nuova stirpe italica e della nuova fede […] e a chi consideri questa ideale vicenda che accomuna l’animo pio di Virgilio con il fiero spirito di Dante, l’Italia pacificata da Augusto con il sogno imperiale del poeta ghibellino, può in verità sembrare che il divino poeta abbia anch’esso le sue profonde radici ed il suo vivo germoglio sul colle di Cuma nell’oscuro ed ancora inaccessibile mistero di questo antro da cui la Sibilla vaticino per bocca di Virgilio il suo più alto vaticinio, il carme messianico che Dante quasi religiosamente ripete “secol si rinnuova: Torna giustizia e primo tempo umano e progenie discende dal ciel nuova”81.

La vicenda cumana e la Tenuta di Licola nel suo insieme, possono diventare paradigma delle strategie del regime: la bonifica di aree insane, le terre offerte ai contadini, gli spazi di celebrazione della grandezza dell’impero e di Roma. Gli scavi svolti tra il 1925 e il 1930 sono rivolti a celebrare Augusto e l’Impero come “l’umana missione” e il “dovere da compiere” (la faccia pacifica e restauratrice del regime di cui dicevamo sopra) l’Eneide è il poema che glorifica tutto questo. L’insistere di Maiuri sul testo virgiliano mi sembra acquisti ben altro senso così come il suo precisare la presenza del vate nei luoghi che s’appresta a scavare: «Virgilio, possiamo perciò affermare, non solo ha conosciuto l’antro della Sibilla quale poeticamente egli descrive, ma l’ha visto restaurato per le cure di Agrippa e di Augusto, l’ha visto cioè quale ora, dopo un millenario interrimento torna ad apparirci»82. Si può, anzi si deve, far «rivivere, entro

le linee ed il colore del paesaggio del VI libro dell’Eneide, i monumenti più insigni della regione cumana»; Cuma è «il punto di partenza dell’azione del viaggio di Enea agli inferi», il percorso che il visitatore può rifare. La tendenza «all’immersione totale e l’abbattimento del diaframma temporale e spaziale»83

che Maiuri affinerà anche altrove (si pensi agli ambienti straordinari del Parco di Ercolano84 o agli allestimenti della grande Mostra Augustea della Romanità85)

sono il motivo conduttore anche nelle scelte cumane. Se ad Ercolano e nella grande mostra romana, com’è noto, potrà addirittura consentire al visitatore d’identificarsi con la quotidianità degli antichi romani attraverso ricostruzioni al vero delle case e degli arredi, a Cuma il “cortocircuito passato – presente” è ottenuto con la riproposizione del cammino e, soprattutto, l’immersione nella “cornice paesaggistica” dell’evento epico favorita dalla grande terrazza panoramica posta nei pressi del cosiddetto Tempio di Apollo (fig. 7).

80 Maiuri 1927, pp. 498-499. 81 Ibidem.

82 Ibidem.

83 Prisco 2016, p. 540.

84 Si veda per questi argomenti il bel volume Ercolano: 1927-1961. 85 Prisco 2013, pp. 261-286.

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Sostenuta ideologicamente dal Bimillenario Virgiliano, l’azione a Cuma di Maiuri trova il necessario sostegno economico nella presenza dell’Alto Commissario giunto a Napoli, nel 1925, per velocizzare i lavori pubblici ed avviare un ampio progetto di ammodernamento della città e della sua provincia rafforzandone anche il ruolo nelle rotte turistiche nazionali e internazionali86.

L’investimento nell’area Flegrea connetteva sicuramente più interessi: quello politico già citato, quello paesaggistico e quello turistico87. Negli anni in cui

il turismo in Italia comincia ad assumere connotati di un fenomeno di massa fortemente voluto dal regime, l’azione dell’Alto Commissariato, nel generale quadro di rinnovamento che portò avanti per conto dell’amministrazione centrale, dovette sicuramente tener conto delle nuove esigenze turistiche della nazione e i lavori condotti in tutta la provincia mirarono anche al potenziamento dell’offerta turistica e recettiva di siti come Capri, Sorrento, Pozzuoli88, Castellammare di Stabia, nonché delle stesse Pompei e Ercolano.

86 Istituito con Regio Decreto n. 1636 del 15 agosto 1925, l’Alto Commissariato si era visto

affidato dal governo un vasto programma di opere pubbliche e di interventi urbanistici nella città di Napoli che vennero illustrati in una relazione pubblicata a Napoli nel 1930 (vedi Napoli 1930) e oggi ristampata in Napoli 2006. Attraverso una serie di Decreti, pubblicati tra il 1925 e il 1926, l’Alto Commissariato divenne, di fatto, l’organo decentrato più completo per l’esecuzione e il coordinamento delle opere pubbliche eseguite dallo Stato dotato, tra l’altro, di fondi cospicui che «trasformarono per larga parte il volto della città, dotandola di infrastrutture e servizi mai visti in precedenza. Tuttavia dietro questo scenografico rinnovamento di strutture urbane, rimasero annidati i problemi di sempre, compreso, salvo qualche rara eccezione, quello dell’arretratezza architettonica della città» (Craveri, De Martini 2006, p. XXVII).

87 Nell’Italia degli anni Venti, sollecitata a riconoscere e a definire le località e i territori adatti

alla cura, al turismo e al soggiorno, Maiuri individua con molta chiarezza nei Campi Flegrei quel “territorio turistico” che si andava ricercando e che non era considerato coincidente con quello amministrativo culturale, bensì poteva essere costituito solo da una parte di un Comune ma anche interessare gruppi di Comuni o di frazioni contermini. Il suo spingere spesso in direzione di una pianificazione turistica dell’area è evidente nella documentazione archivistica e nei numerosi progetti messi in campo in tal senso. Evidentemente egli pensa in termini di sistema che, sia detto solo per inciso, non riuscirà in alcun modo ad ottenere. Nel 1930, a proposito dei Campi Flegrei, Annunziata Berrino (Berrino 2005, p. 52) ricorda che “languivano miseramente”. Il regime spingeva le masse verso nuove pratiche turistiche senza attrezzare le località ad accoglierle. Dinanzi alle pressioni delle nuove componenti sociali, le Aziende si presentavano di fatto prive di esperienza, essendo state concepite tardi, pensando a un turismo elitario che negli anni Trenta non interessava più, e che, soprattutto, non interessava più alla politica.

88 È sicuramente da approfondire l’attività di Raimondo Annecchino fondatore e Presidente

dell’Associazione per i Monumenti e il Paesaggio che, sempre nel 1928, riprende le pubblicazioni del «Bollettino Flegreo» per abbracciare nel suo programma «storia, arte, geofisica, turismo, usi e costumi popolari». Da questa associazione la nascita, nel 1929, della Commissione Flegrea per la tutela dei Monumenti e la proposta di istituzione di un Museo Civico Flegreo (che prenderà forma solo negli anni ’50). L’intera area Flegrea era, in realtà, priva di spazi di conservazione e di esposizione dei materiali provenienti da scavi o ritrovamenti fortuiti. Maiuri, per Cuma, dovette anche immaginare uno spazio espositivo in loco, un antiquarium di cui, tuttavia, sappiamo molto poco. È probabile che anche questo piccolo spazio espositivo fosse stato immaginato per favorire quella connessione tra opere e area di scavo che Maiuri tentò di realizzare anche altrove. Negli archivi della Soprintendenza esiste una nota di trasmissione al museo nazionale datata 1932 che elenca opere provenienti dall’antiquarium cumano. Venti pezzi, quasi sempre teste, anche di piccole

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Merita di essere ricordato che, nel 1927, con l’approvazione del Regio decreto legge n. 344, del 17 febbraio, il governo, ampliando ulteriormente le competenze dell’Alto commissariato, affida a questo la «gestione finanziaria ed amministrativa di tutti i lavori di scavo occorrenti a mettere in luce e sistemare le antichità e i monumenti classici di Ercolano, Baia e nell’isola di Capri»89.

Attraverso tale disposizione sono estese anche ai siti archeologici tutte le facoltà e i poteri di intervento che l’Alto commissariato già deteneva nel campo delle opere pubbliche, compresa la possibilità di dichiarare «indifferibili ed urgenti» gli espropri per pubblica utilità nelle aree interessate dai lavori di scavo90. Il

decreto dispone che la direzione «tecnica e scientifica degli scavi», nonché «la vigilanza sui lavori», resti affidata alla Direzione Generale delle Antichità e delle Belle Arti, l’organo del Ministero dell’Educazione Nazionale che, attraverso la Soprintendenza alle Antichità, provvede al concreto svolgimento dei lavori. All’Alto commissariato e al suo comitato tecnico, oltre all’approvazione dei piani elaborati dalla Soprintendenza, spettano le facoltà di consulenza e di esercizio del potere decisionale sui fondi da dedicare a ciascun intervento. Fondi ai quali, per disposizione del decreto (art. 4), si andavano ad aggiungere i guadagni ricavati delle tasse d’ingresso a tutti i siti della provincia «per i quali non siano ancora state imposte dallo Stato», compreso quello di Ercolano.

Nel testo del provvedimento si può espressamente leggere che «la decorosa e definitiva sistemazione di alcune zone monumentali della provincia di Napoli, oltre ad essere di alto interesse scientifico e nazionale, rappresenta altresì un vivo incremento delle industrie turistiche locali».

Cuma non è mai citata direttamente nel decreto ma ai fondi ad essa destinati ed alla tempistica degli scavi vengono dedicate alcune pagine interessanti della Relazione dell’Alto Commissario:

La campagna dei lavori, ispirata al fine essenziale di illustrare con la documentazione monumentale la concezione e la descrizione del Poeta, fu iniziata nel 1925 dalla Sopraintendenza alle Antichità, con fondi concessi dal Ministero dell’Educazione nazionale; ed è continuata a varie riprese, negli anni successivi, prima con contributi concessi dal predetto dicastero nell’ammontare totale di L. 470.000, e in quest’ultimo anno con somma offerta da un mecenate italiano91, riuscendo a mettere allo scoperto, oltre l’antro della Sibilla, i monumenti principali dell’acropoli e le vie principali di accesso. Così, nell’anno stesso della ricorrenza del bimillenario Virgiliano, i monumenti cumani, rimessi in luce e opportunamente collegati con le vie turistiche della zona, vengono a costituire nel loro complesso la più degna celebrazione che potesse auspicarsi per il nostro grande poeta nazionale.

dimensioni di cui ad oggi è difficile comprendere la funzione espositiva. Credo, in realtà, che fosse più un’ipotesi di antiquarium che uno spazio adeguatamente attrezzato. Cfr. ASMANN C16/16 e Maiuri 1984, pp. 117-121.

89 D.L. n. 344 del 17 febbraio 1927. Su questi argomenti cfr. Veronese 2012 e 2014, p. 29. 90 Ibidem.

91 Su questo mecenate, almeno finora, non ho trovato indicazioni. Appare, tuttavia, una traccia

Figura

Fig. 1. Vittorio Spinazzola in una foto del 1901 (da Scotto di Freca 2012)
Fig. 3. Il fondo reale nella Tenuta di Licola, Mappa del 1910 ca., ASMANN, C16/16
Fig. 5. La prima pagina de «Il Marzocco» dedicata a Cuma, 12 aprile 1914
Fig. 6. Prima pagina della proposta di costruzione di una nuova via d’accesso all’acropoli di  Cuma, V
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