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L'implementazione sistematica dei "giri per la sicurezza" per l'evoluzione verso un approccio proattivo alla Sicurezza del Paziente in AOUP

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Scuola di Medicina

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

____________________________________________________________

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA/MAGISTRALE IN SCIENZE

INFERMIERISTICHE E OSTETRICHE

L'implementazione sistematica dei “giri per la sicurezza” per

l’evoluzione verso un approccio proattivo alla Sicurezza del Paziente in

Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana

RELATORE

Chiar.mo Prof. Gaetano P. Privitera

CANDIDATA

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INDICE

Introduzione pag. 1

Definizioni pag. 3

CAPITOLO 1

1.1 Il Governo Clinico pag. 5

1.2 Definizione di Sicurezza del paziente, Evento Avverso ed

Evento Sentinella pag. 6

1.3 Clinical Risk Management pag. 8

1.4 Incident Reporting pag. 8

1.5 L’approccio sistemico pag. 9

CAPITOLO 2

2.1 La sicurezza del paziente: dagli esordi ad oggi pag. 13

2.2 La situazione internazionale pag. 14

2.3 L'approccio italiano alla gestione del rischio e l'evoluzione

normativa pag. 19

2.4 Contesto regionale e aziendale pag. 30

CAPITOLO 3

3.1 L’infermiere e la sicurezza del paziente pag. 33

3.2 Le best practice nell’assistenza infermieristica pag. 37 3.3 Le malpractice nell’assistenza infermieristica pag. 40

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CAPITOLO 4

4.1 Safety walkaround: approccio storico pag. 43

4.2 Safety WalkRound: strumento di analisi del rischio pag. 44

CAPITOLO 5

5.1 PWSA: un supplemento non un’alternativa pag. 47

5.2 Promozione della sicurezza del paziente pag. 47

5.3 Progetto pag. 49

5.4 Obiettivo pag. 52

5.5 KCL pag. 55

5.6 LASA pag. 57

5.7 Prevenzione delle cadute del paziente nelle strutture

sanitarie: scala RETOS pag. 59

5.8 Scheda Terapeutica Unica pag. 61

5.9 Check list di sala operatoria pag. 63

CAPITOLO 6

6.1 Conclusioni pag. 66

ALLEGATI

Procedura aziendale n°114 pag. 69

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INTRODUZIONE

La sicurezza dei pazienti è uno dei fattori determinanti la qualità delle cure e pertanto è uno degli obiettivi prioritari che il Servizio Sanitario Nazionale si pone. Lo sviluppo di interventi efficaci è strettamente correlato alla comprensione delle criticità dell’organizzazione e dei limiti individuali, richiedendo una cultura diffusa che consenta di superare le barriere per l’attuazione di misure organizzative e di comportamenti volti a promuovere l’analisi degli eventi avversi ed a raccogliere gli insegnamenti che da questi possono derivare. La sicurezza dei pazienti quindi si colloca nella prospettiva di un globale miglioramento della qualità e, poiché dipende dall’interazioni delle molteplici componenti che agiscono nel sistema, deve essere affrontata attraverso l’adozione di pratiche di governo clinico che consentano di porre al centro della programmazione e gestione dei servizi sanitari i bisogni dei cittadini, valorizzando nel contempo il ruolo e la responsabilità di tutte le figure professionali che operano in sanità. Il sistema sanitario è un sistema complesso in cui interagiscono molteplici fattori, eterogenei e dinamici, tra cui si citano la pluralità delle prestazioni sanitarie, delle competenze specialistiche e dei ruoli professionali, tecnico-sanitari ed economico-amministrativi e l’eterogeneità dei processi e dei risultati da conseguire. Tutti gli elementi del sistema devono integrarsi e coordinarsi, per rispondere ai bisogni assistenziali del paziente ed assicurargli la miglior cura possibile.

Come in altri sistemi complessi, quali l’aviazione, le centrali nucleari o i sistemi di difesa militare, anche in ambito sanitario possono verificarsi incidenti ed errori.

Per molti anni si è tentato di trasferire in sanità le procedure di sicurezza progettate per gli altri settori, ma al contrario di essi, caratterizzati da una

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impronta prevalentemente “meccanicistica”, in quello sanitario prevale il “fattore umano”, nel contempo risorsa e criticità. Infatti, se da una parte l’adattabilità dei comportamenti, la dinamicità e la complessità delle relazioni interpersonali sono prerogative fondamentali delle risorse umane all’interno del sistema, esse costituiscono, nello stesso tempo, un fattore critico perché le dinamiche di lavoro sono complesse, la “performance” individuale variabile e, soprattutto, i risultati dei processi non sempre sono prevedibili e riproducibili.

Vanno pertanto progettati specifici modelli di gestione del rischio clinico, con l’obiettivo di prevenire il verificarsi di un errore e, qualora questo accada, contenerne le conseguenze.

Spesso la possibilità che si verifichi un evento avverso dipende dalla presenza, nel sistema, di “carenze latenti”, ovvero insufficienze o errori di progettazione, organizzazione e controllo, che restano silenti nel sistema finché un fattore scatenante non li rende manifesti in tutta la loro potenzialità, causando danni più o meno gravi. Infatti, è per lo più individuabile, come causa diretta e immediata di un evento avverso, un “errore attivo”, un errore umano, una procedura non rispettata, una distrazione o un incidente di percorso che ha direttamente consentito il verificarsi dell’evento stesso. Tuttavia l’individuazione dell’errore “attivo” non esonera dalla ricerca degli errori “latenti”, perché sono le insufficienze del sistema che devono essere rimosse se si vuole raggiungere un efficace controllo del rischio, ovvero ridurre la probabilità che si verifichi un errore (attività di prevenzione) e contenere le conseguenze dannose degli errori comunque verificatisi (attività di protezione).

Le politiche di gestione del rischio, volte sia alla prevenzione degli errori evitabili che al contenimento dei loro possibili effetti dannosi, e, quindi, in ultima analisi, alla garanzia della sicurezza dei pazienti, costituiscono il sistema di gestione del rischio clinico (Clinical Risk Management)

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DEFINIZIONI

Danno Alterazione, temporanea o permanente, di una parte del corpo o di una funzione fisica o psichica (compresa la percezione del dolore).

Errore Fallimento nella pianificazione e/o nell’esecuzione di una sequenza di azioni che determina il mancato raggiungimento, non attribuibile al caso, dell’obiettivo desiderato.

Evento (Incident) Accadimento che ha dato o aveva la potenzialità di dare origine ad un danno non intenzionale e/o non necessario nei riguardi di un paziente.

Evento avverso (Adverse event) Evento inatteso correlato al processo assistenziale e che comporta un danno al paziente, non intenzionale e indesiderabile. Gli eventi avversi possono essere prevenibili o non prevenibili. Un evento avverso attribuibile ad errore è “un evento avverso prevenibile”.

Evento evitato (Near miss o close call) Errore che ha la potenzialità di causare un evento avverso che non si verifica per caso fortuito o perché intercettato o perché non ha conseguenze avverse per il paziente.

Evento sentinella (Sentinel event) Evento avverso di particolare gravità, potenzialmente indicativo di un serio malfunzionamento del sistema, che può comportare morte o grave danno al paziente e che determina una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del servizio sanitario. Per la loro gravità, è sufficiente che si verifichi una sola volta perché da parte dell’organizzazione si renda opportuna a) un’indagine immediata per accertare quali fattori eliminabili o riducibili lo abbiamo causato o vi abbiano contribuito e b) l’implementazione delle adeguate misure correttive.

Governo clinico (Clinical governance) Sistema attraverso il quale le organizzazioni sanitarie si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dei loro servizi e garantiscono elevati standard assistenziali creando le

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condizioni ottimali nelle quali viene favorita l’eccellenza clinica (Scally G, Donaldson L J, BMJ, 4 July 1998).

Rischio (Risk) Condizione o evento potenziale, intrinseco o estrinseco al processo, che può modificare l’esito atteso del processo. È misurato in termini di probabilità e di conseguenze, come prodotto tra la probabilità che accada uno specifico evento (P) e la gravità del danno che ne consegue (D); nel calcolo del rischio si considera anche la capacità del fattore umano di individuare in anticipo e contenere le conseguenze dell’evento potenzialmente dannoso (fattore K).

Giri per la sicurezza (GS) modalità organizzativa attraverso la quale vengono verificate la corretta applicazione delle procedure aziendali e l'adesione alle Raccomandazioni Ministeriali (RM) nonché alle Pratiche per la Sicurezza (PSP). Clinical Risk Manager (CRM) risk manager area clinica.

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CAPITOLO PRIMO

1.1 Il Governo Clinico

Il concetto di Governo Clinico, introdotto in Inghilterra dal Department of Health alla fine degli anni ’90, definisce il sistema attraverso il quale, le organizzazioni sanitarie, si rendono responsabili del miglioramento continuo della qualità dei loro servizi e garantiscono elevati standard assistenziali, creando le condizioni ottimali nelle quali far prosperare l’eccellenza clinica.

Per la sua messa in pratica esso implica la presenza di alcune condizioni necessarie, quali: la condivisione multidisciplinare, la responsabilizzazione degli operatori e la partecipazione degli utenti. Perché si concretizzi, inoltre, necessita dell’integrazione di alcuni determinanti che devono essere tra loro interconnessi e complementari: Formazione continua, Gestione del rischio clinico, Audit clinici, Medicina basata sull’Evidenza: Based Nursing, (EBM), Evidence-based Health Care (EBHC), Comunicazione e gestione della documentazione e Ricerca e sviluppo. (Fig.1) e (Fig.2)

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Figura 2

1.2 Definizione di Sicurezza del paziente, Evento Avverso ed Evento Sentinella

La Sicurezza del paziente non va intesa come la sola mancanza di errori, ma come la “Dimensione della qualità dell’assistenza che garantisce, attraverso l’identificazione, l’analisi e la gestione dei rischi e degli incidenti possibili per i pazienti, la progettazione e l’implementazione di sistemi operativi e processi che minimizzano la probabilità di errore, i rischi potenziali e i conseguenti possibili danni per i pazienti”.

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Affrontando questo tema, però, ci si scontra spesso con alcuni termini le cui definizioni talvolta sono sovrapposte e confuse.

Innanzitutto, il significato del termine rischio. Spesso, infatti, per motivi di consuetudine, si tende ad utilizzarlo come sinonimo di pericolo che indica, al contrario, una circostanza o situazione da cui può derivare un danno.

Il rischio equivale, invece, alla possibilità di subire un danno, o una perdita, come eventualità generica o per il fatto di essere esposti ad un pericolo.

In termini sanitari, il rischio clinico è la “Probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, subisca cioè un qualsiasi danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza, che causa un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte”.

L’evento avverso può essere prevenibile, se attribuibile ad un errore, o non prevenibile; inoltre, al suo interno sono posti sullo stesso piano sia gli eventi che hanno comportato un danno, sia quelli che oggettivamente non hanno portato a nessuna conseguenza alle persone coinvolte.

Degli eventi avversi fanno parte anche gli eventi sentinella ovvero, “un evento avverso di particolare gravità, potenzialmente indicativo di un serio malfunzionamento del sistema, che può comportare morte o grave danno al paziente e che determina una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del servizio sanitario.

Il verificarsi di un solo caso è sufficiente per dare luogo a un’indagine conoscitiva diretta ad accertare se vi abbiano contribuito fattori eliminabili o riducibili e per attuare le adeguate misure correttive da parte dell’organizzazione”.

Proprio per la loro particolare gravità il Ministero della Salute ha avviato, nel 2005, il monitoraggio degli eventi sentinella e, successivamente, ha avuto inizio l’attività dell’Osservatorio Nazionale sugli Eventi Sentinella attraverso il

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Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori in Sanità (SIMES), istituito con il decreto 11 dicembre 2009.

1.3 Clinical Risk Management

Il mezzo attraverso il quale può essere contenuto il rischio clinico è il Clinical Risk Management (gestione del rischio clinico).

Tale strumento, definito come un sistema fondato su una metodologia logica e sistematica, è realizzato attraverso fasi concatenate di identificazione, valutazione, analisi, comunicazione, ed eventualmente eliminazione e monitoraggio dei rischi, consentendo di migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie e garantire la sicurezza del paziente.

Perché siano efficaci, le iniziative di Clinical Risk Management vanno messe in atto a livello di singola struttura, a livello aziendale, regionale e nazionale e deve, dunque, prevedere strategie di lavoro integrate che includano la partecipazione di numerose figure che operano in ambito sanitario.

1.4 Incident Reporting

L’ Incident Reporting (IR) è il sistema più diffuso e maggiormente promosso per la gestione del rischio clinico.

Documentato in letteratura da oltre 25 anni, fonda le sue origini nel settore Aereonautico alla fine degli anni ’70, dove veniva utilizzato per le denunce

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volontarie. In seguito è stato trasferito nelle Organizzazioni Sanitarie di Australia nel 1996 e nel Regno Unito nel 2001.

Il Ministero della Salute lo ha definito come una modalità di raccolta, in modo strutturato, delle segnalazioni relative al verificarsi di eventi avversi e/o quasi eventi, allo scopo di rilevare le criticità del sistema o delle procedure, che presenta determinate caratteristiche quali: non punitiva, confidenziale, indipendente, analizzata da esperti, tempestiva, orientata al sistema e rispondente. Questo sistema di segnalazione, volontario e anonimo, previa compilazione di una scheda, non si sostituisce, ma affianca, i sistemi obbligatori di segnalazione di eventi avversi (farmacovigilanza, infezioni ospedaliere, vigilanza su dispositivi medici, eventi sentinella).

Esso permette di identificare i pericoli e i rischi presenti, le cause profonde sottostanti e indurre la conseguente riprogettazione dei processi che hanno manifestato dei difetti, per prevenire il ripetersi dell’evento.

Inoltre, la diffusione dei risultati consente di diffondere e acquisire informazioni su casi simili e di porre attenzione su nuovi pericoli.

L’unica tipologia di evento che non può essere segnalata è l’evento sentinella che, per gravità e importanza, segue un percorso diverso.

1.5 L’approccio sistemico

Il settore sanitario è un sistema altamente complesso, caratterizzato da molteplici dimensioni tecnico professionali e organizzativo - gestionali che bisogna armonizzare per espletare la funzione cui è preposto, ovvero il miglioramento dello stato di salute dei cittadini.

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Ma quando questo non avviene e il paziente subisce un danno, si assiste al fallimento non solo della prestazione, ma dell’intero sistema.

Subentra allora un fabbisogno di controllo del sistema cui alla base stanno diversi fattori, quali la richiesta crescente di sicurezza e di cura da parte dei pazienti, sempre più consapevoli ed esigenti, le aspettative di cura e di guarigione maggiormente elevate etc..

Partendo dal presupposto che ciò di cui ci si vuole occupare è l’errore, e non certo assumere la logica di additare i colpevoli ricercando la responsabilità individuale dell’operatore come avveniva in passato, bisogna allora considerare tutti gli elementi di complessità che sono ugualmente coinvolti nella generazione dell’errore, e imparare da essi secondo il celebre principio “que noche dolen” – “quello che fa male insegna”.

Accostandosi a questo pensiero, lo psicologo James Reason fu il primo a spingersi al di là del modello del fattore umano, sposando un nuovo approccio allo studio degli errori soprannominato “la teoria degli errori latenti”, o più comunemente “l’approccio sistemico”.

Esso si basa sul presupposto teorico che gli incidenti sono solo la punta dell’iceberg; vale a dire che per ogni incidente accaduto ce ne sono stati molti altri che non sono avvenuti solo perché qualcosa o qualcuno ha impedito che accadesse, i cosiddetti near-miss (quasi errore); questo approccio è stato chiarito anche attraverso la metafora del formaggio svizzero.

Ogni fetta, paragonata a una difesa del sistema, rappresenta le barriere per contrastare il verificarsi di errori, che a volte possono presentare dei buchi, cioè delle perdite o punti critici (Fig.3).

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Figura 3

Queste lacune sono dovute a due tipologie di errori: errori attivi (active failure) o errori latenti (latent failure).

I primi sono gli errori commessi dagli operatori che sono in diretto contatto con il paziente, probabilmente errori di esecuzione (slips e lapsus), mentre quelli latenti rappresentano gli errori remoti nel tempo e riferibili a decisioni di progettazione del sistema, come errori di pianificazione (mistakes).

Errori che da soli non sono pericolosi ma che, connessi ad altri fattori eziologici e in condizioni facilitanti, possono trasformarsi in evento avverso; è perciò importante eliminarne quanti più possibile per ridurre il verificarsi di eventi.

La presenza dei buchi nel sistema di per sé non è sufficiente al verificarsi di un incidente ma quando, in seguito ad un susseguirsi di azioni e condizioni, essi si allineano e quindi sono nella condizione (traiettoria) delle opportunità, si ha il superamento di tutte le difese e l’incidente si verifica.

Poiché gli errori attivi sono una componente inevitabile degli esseri umani che non possiamo cambiare, bisogna agire quindi su ciò che si può modificare, ovvero le criticità latenti, come le condizioni di lavoro.

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Inoltre, bisogna prevedere in anticipo delle difese atte ad arginare le conseguenze degli incidenti che si sono verificati.

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CAPITOLO SECONDO

2.1 La sicurezza del paziente: dagli esordi ad oggi

Il rischio clinico e la sua gestione, anche detta Clinical Risk management, hanno trovato applicazione in ambito sanitario da non più di cinquant’anni, ma le sue origini risalgono a molto tempo prima. Infatti, seppur in termini diversi, la problematica veniva messa in luce già nella metà dell’800 quando Florence Nightingale affermava, con chiarezza d’intenti, la necessità di evitare al paziente ulteriori sofferenze causate dalle indesiderate conseguenze dell’assistenza loro prestata, in aggiunta a quelle derivanti dalla malattia.

La questione è riemersa poi con maggiore chiarezza negli anni ’70 negli Stati Uniti, come risposta alla crisi del “malpractice”.

Gli Ospedali e altre strutture sanitarie si trovarono, infatti, a fronteggiare un preoccupante aumento della tendenza dei ricorsi legali da parte dei pazienti che avevano subito “incidenti clinici” non previsti, avvenuti durante i trattamenti sanitari ricevuti, portando al conseguente incremento dei premi assicurativi.

Per far fronte al problema, l’allora presidente Nixon, formò una commissione governativa che, esaminando le denunce, stabilì due principi che ancora oggi sono ritenuti fondamentali per il risk management ovvero: non tutti i danni sono dovuti a negligenza, non tutti i danni sono prevedibili.

La piena affermazione della sicurezza arrivò, però, nel 1999 con la pubblicazione del noto rapporto statunitense dell’Institute of Medicine (IOM) “To Err is Human. Building a safer health system.”, che metteva in luce come il fenomeno avesse un’alta rilevanza e costi sociali elevatissimi.

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Lo scalpore suscitato condusse a ritenere che il miglior modo per far fronte al problema fosse quello di sviluppare un sistema di prevenzione degli errori per tutti gli ospedali.

Da questo momento in poi si è assistito ad un progressivo aumento degli studi sull’argomento, facendo sì che la sicurezza del paziente divenisse nel tempo una problematica di rilevanza nazionale e internazionale che interessa vari settori dell’assistenza, oltre a porsi quale obiettivo prioritario dei Sistemi e dei Piani Sanitari Nazionali.

2.2 La situazione internazionale

La sicurezza del paziente è un problema che riguarda i sistemi sanitari di tutto il mondo. In numerose nazioni sono stati condotti studi epidemiologici, in particolare nel periodo che va dal 1984 al 2000, dimostrando una marcata relazione fra numero di ricoveri e incidenza di eventi avversi. (Fig.4)

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La rilevanza maggiore è stata registrata in un ospedale australiano nel 1992 nel quale, a seguito di 14179 ricoverati oggetto di studio, si sono segnalati circa 2353 casi di eventi avversi anche gravi.

Negli anni successivi, in altre strutture sanitarie, sono emersi i seguenti dati: Nuova Zelanda 12,9% -1998, Svezia 12,3% - 2006 e Regno Unito 10,8% - 1999. Il tasso di eventi avversi più basso è stato registrato negli stati di Utah e Colorado 2,9% - 1992 e negli Stati Uniti 3,7% - 1984. Si sono mantenuti comunque sotto il 10% anche Danimarca 9% - 1998, Spagna 8,4% - 2005, Canada 7,5% - 2000, Francia 5,1% - 2004 - Paesi Bassi 5,7% - 2006 e Italia 5,17 % (Fig.5).

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Tutti questi Paesi hanno, e stanno tuttora continuando ad affrontare la sicurezza del paziente con proprie iniziative Soprattutto nei contesti sanitari più avanzati (Stati Uniti, Canada, Australia, Gran Bretagna) diversi sono i sistemi in atto volti a contenere il rischio clinico. Sono stati istituiti centri e programmi dedicati alla promozione della sicurezza che hanno costruito sistemi di sorveglianza e prodotto raccomandazioni e iniziative d’intervento e formazione.

Per quanto riguarda lo scenario europeo, mentre negli altri paesi (Spagna, Francia, Irlanda e Germania) si registravano solo sporadiche iniziative, nel Regno Unito il problema degli errori è esploso dopo la pubblicazione del rapporto “An organization with a memory” del giugno 2000.

Nel luglio 2001 è nata la National Patient Safety Agency (NPSA), con l’intento di realizzare un sistema per la denuncia dei danni, degli eventi sfavorevoli e delle situazioni di “quasi - errore”, e trovare perciò soluzioni affinché si potesse bloccare l’errore umano prima che il danno si verifichi.

Nel 2007, il National Health System britannico ha progettato una campagna per la sicurezza, la “Patient Safety First”, lanciata nel giugno 2008 e conclusa a marzo 2010.

Occorre ricordare altresì che la sicurezza del paziente è uno dei 6 obiettivi inclusi nella strategia nazionale per il Miglioramento della Qualità in Sanità pubblicata nel marzo 2011 dal Dipartimento di Salute e Servizi Umani.

Per quanto riguarda il resto d’Europa, in Francia il problema è emerso nei primi anni novanta con il concetto di Sécurité sanitaire (sicurezza sanitaria delle persone contro i rischi terapeutici di qualsiasi natura), scaturita nella nascita di vari enti e agenzie responsabili della sicurezza.

In Danimarca, è in vigore una legge sulla malpractice compensation già dal 1997, imponendo alle Contee di coprire i danni relativi alle denunce.

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È però con la partecipazione alla conferenza sul Risk Management del British Medical Journal del 2000 che è emersa l’evidenza che la sicurezza doveva occupare un ruolo centrale. Nel dicembre 2001 fu quindi istituita la Danish Society for Patient Safety (DSPS), che ha realizzato diverse azioni formative e campagne.

Per quanto riguarda il resto del mondo, in Australia opera l’Australian Patient Safety Foundation (APSF) che, dal 1988, è impegnata in diverse collaborazioni a livello nazionale e internazionale per migliorare gli esiti per i pazienti.

Tra il 2000 e il 2001 sono stati costituiti alcuni organismi, tra cui il Consiglio Australiano per la sicurezza e la qualità dell’assistenza sanitaria (ACSQHC) per dare vita alle azioni nazionali.

In Nuova Zelanda è stato finanziato uno studio dalla Zelaand Quality of Healthcare Study (NZQHS), con l’obiettivo di individuare il verificarsi, la causalità, l’impatto e la comprensione della qualità dell’assistenza sanitaria e migliorare la qualità delle cure ricevute dai pazienti in ospedale.

In Canada, è avviato dal 1958 l’Accreditation Canada. È presente, inoltre, il Canadian Patient Safety Institute (CPSI), un’associazione senza fini di lucro fondata dall’Health Canada nel 2003.

Nello stesso anno, il Canadian Council on Health Services Accreditation (CCHSA) si è impegnato nello sviluppo di un documento, contenente alcune raccomandazioni, che ha esplorato il programma di accreditamento in materia di sicurezza dei pazienti. Negli Stati Uniti, grazie all’attività dell’Agency for Healthcare Research and Quality (AHRQ) è stato promosso, nel 2001, l’impiego diffuso di diverse misure, stanziando fondi per la ricerca e fornendo formazione.

Dagli anni ‘80 vi operano, inoltre, due associazioni non governative quali la Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organizations (JCHAO) e l’Institute for Healthcare Improvement (IHI) di Boston.

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Quest’ultimo ha lanciato nel 2005 una campagna per incrementare la sicurezza e l’efficacia negli ospedali. Anche molti organismi internazionali si sono messi in azione per affrontare la problematica, prima fra tutte l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che, il 27 ottobre 2004, ha costituito la World Alliance for Patient Safety.

Questa si è fatta promotrice di diverse iniziative, come il programma del 2005 “Global Patient Safety Challenge”, e diverse campagne tra cui: “Clean Care is Safer Care” del 2006, “Safe Surgery Saves Lives” per il periodo 2007-2008 e infine la terza sfida, iniziata nel 2009 e sancita nel 2010, focalizzata sul problema crescente della resistenza agli antibiotici. Nel gennaio 2006, ha inoltre pubblicato la dichiarazione di Londra, “Patients for Patient Safety”, e nel 2009 ha elaborato, avvalendosi della collaborazione dell’APSF, la “Classificazione Internazionale per la Sicurezza del Paziente (ICPS)”, costruendo una tassonomia standardizzata per i concetti chiave della sicurezza del paziente. Infine, nell'ottobre 2011, ha rilasciato il nuovo “Curriculum Multi - professionale. Guida alla sicurezza del paziente.” per promuovere il bisogno di educazione rispetto la problematica.

Altresì nel 2005, l’European Society for Quality in Healthcare (ESQH), ha elaborato la “Stakeholders’ Position Paper On Patient Safety” che presenta Raccomandazioni concordate dalle più rappresentative associazioni europee di pazienti e operatori. Nell’aprile dello stesso anno la Commissione Europea, con la “Luxembourg Declaration on Patient Safety”, ha riconosciuto che l'accesso alle cure sanitarie di qualità è un diritto umano fondamentale, che deve essere valorizzato dall'Unione europea, dalle sue istituzioni e dai cittadini europei.

In seguito, nel 2009, con l’aiuto del Gruppo ad Alto Livello sulla sicurezza dei pazienti, ha elaborato una raccomandazione nella quale si considera “la sicurezza del paziente come una questione sempre più preoccupante per i sistemi sanitari di tutto il mondo”.

Nel 2006, all’interno del Consiglio d’Europa, sono state redatte le “Raccomandazioni del Comitato dei Ministri sulla gestione della sicurezza del

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paziente e la prevenzione di eventi avversi in ambito sanitario” ed, infine, l'OCSE/OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha rilasciato, nel 2008, un nuovo documento (OECD Health Technical Paper) che fornisce un manuale per facilitare le comparazioni nazionali di indicatori per la sicurezza dei pazienti.

2.3 L'approccio italiano alla gestione del rischio e l'evoluzione normativa

Nel nostro paese si è iniziato a parlare di errori in medicina in seguito ai dati delle segnalazioni di eventi sfavorevoli del Tribunale dei diritti del Malato nel 2000, quando studi nazionali completi non c’erano ancora.

Proprio questo ente ha promosso alcuni importanti impegni italiani allo scopo di favorire la fiducia con i cittadini, tracciando le linee guida attorno alle quali si devono organizzare le Unità di gestione del rischio.

Successivi dati ricavati dalla rivista “Rischio sanità” nel 2001 indicavano che, ogni anno, il 4% circa delle persone ricoverate usciva dall’ospedale riportando danni e malattie dovuti a errori nelle cure o a disservizi ospedalieri.

Si è così sviluppata una progressiva attenzione al tema della sicurezza delle cure, cui il Ministero della Salute fa da cabina di regia. Quest’ultimo, infatti, ha realizzato diverse normative e azioni. Inizialmente, con il D.M. 5 marzo 2003, è stata istituita la Commissione tecnica sul rischio clinico, che ha prodotto il documento “Risk management in sanità. Il problema degli errori”.

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Avvalendosi del supporto di questo gruppo sono state avviate numerose attività, tra cui: il monitoraggio e l’analisi degli eventi avversi; la stesura e diffusione delle “Raccomandazioni”, volte a fornire indicazioni per prevenire il verificarsi degli eventi avversi; la formazione, attraverso la diffusione di strumenti di studio, come il documento “Sicurezza dei pazienti e gestione del rischio clinico: Manuale per la formazione degli operatori sanitari” del settembre 2007.

Con il Decreto del febbraio 2006 è stato nominato il Gruppo di lavoro per la Sicurezza dei Pazienti. In seguito, è stato attivato il Sistema Nazionale di Riferimento per la Sicurezza dei Pazienti (Decreto del 10 gennaio 2007), garantendo anche l’attività dell’Osservatorio per la Sicurezza del paziente e del gruppo di lavoro.

Il Ministero si è attivato, altresì, per coinvolgere i cittadini, e ha creato delle guide rivolte alle strutture sanitarie per migliorare la qualità delle cure che rientrano nella campagna ‹‹Uniti per la sicurezza››.

È emerso che presumibilmente la metà delle strutture sanitarie pubbliche non è in grado di mappare correttamente e completamente il numero e la tipologia degli errori che si commettono o che potrebbero essere commessi, riducendo in questo modo, al minimo, la propria capacità di prevenzione.

Infine, i dati della Commissione parlamentare sugli errori in sanità, raccolti da aprile 2009 al 30 settembre 2011, indicano che in Italia, in media, ogni mese si contano 16 casi di presunta malasanità: circa uno ogni due giorni.

La prima ricerca realizzata in Italia, promossa e finanziata dal Ministero della Salute e realizzata dalla Regione Toscana.

Analizzando 10mila cartelle cliniche di cinque grandi policlinici italiani e valutando i risultati delle cure, è emerso che il tasso di eventi avversi è del 5,17%. Un dato che però non deve far abbassare la guardia è quello che riguarda la

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“prevenibilità degli eventi avversi” che in Italia è più alta in confronto a quella riscontrata in altri Paesi: 56,7% rispetto al 43,5%. (Fig.6) e (Fig.7)

Figura 6

Figura 7

La legge 24/2017 definita “Legge Gelli” affronta e disciplina i temi della sicurezza delle cure e del rischio sanitario, della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria e della struttura sanitaria pubblica o privata, delle modalità e

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caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, nonché degli obblighi di assicurazione e dell’istituzione del Fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria.

Fra gli obiettivi, quello di ridurre il contenzioso, civile e penale, avente ad oggetto la responsabilità medica, al tempo stesso garantendo un più efficace sistema risarcitorio nei confronti del paziente.

La nuova legge agisce su tre fronti, amministrativo, penale e civile; essa anzitutto chiarisce all’articolo 1 che la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute, la quale assume così un vero e proprio valore costituzionale alla luce dell’art. 32 della Costituzione.

Legge 08 marzo 2017, n.8, articoli da 2 a 5: novità di carattere amministrativo Le norme successive istituiscono una serie di nuovi organi. In particolare, è creata la figura del Garante del diritto alla salute (articolo 2), funzione che potrà essere affidata dalle Regioni all’Ufficio del Difensore civico.

Esso potrà essere adito gratuitamente dai destinatari di prestazioni sanitarie per la segnalazione, anche anonima, di disfunzioni nel sistema dell’assistenza sanitaria e socio-sanitaria, ed agirà ove necessario a tutela dell’interessato.

Viene poi contemplata l’istituzione in ogni Regione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, del Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, cui è affidato il compito di raccogliere i dati regionali sui rischi ed eventi avversi e sul contenzioso e di trasmetterli annualmente all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza in sanità istituito e disciplinato dal successivo articolo 3.

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Tale osservatorio, ricevuti i dati predetti, individua idonee misure per la prevenzione e gestione del rischio sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure, nonché per la formazione e aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie.

L’articolo 4 sottopone all’obbligo di trasparenza le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. n. 196/2003), obbligando la direzione sanitaria a fornire in tempi rapidi la documentazione sanitaria relativa al paziente.

Viene infine previsto che le medesime strutture sanitarie pubbliche e private debbano pubblicare sul proprio sito Internet i dati relativi ai risarcimenti erogati nell’ultimo quinquennio.

L’articolo 5 regola un aspetto di importanza fondamentale, per ciò che specialmente riguarda la responsabilità penale degli esercenti la professione sanitaria. Esso da un lato stabilisce che tali soggetti debbano attenersi alle buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida e dall’altro lato impone che un elenco completo ed esaustivo delle stesse buone pratiche e linee guida sia istituito e regolato con Decreto ministeriale ed inserito nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG). Si tratta di una novità ragguardevole, giacché rende accessibili e conoscibili con precisione le indicazioni mediche fornite dalla comunità scientifica.

Legge 08 marzo 2017, n.8, articolo 6: responsabilità penale del medico

Nel corso degli ultimi decenni e fino a questa riforma, la natura penale della responsabilità del medico ha visto tre distinte stagioni.

La prima, collocabile sino agli anni ottanta del secolo scorso, aveva reso un orientamento del tutto benevolo nei confronti dei sanitari che cagionavano per colpa eventi criminosi. Si sosteneva infatti, in ragione della complessità del mestiere, che

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per ascrivere a tali soggetti una responsabilità penale, dovesse rilevare soltanto l’errore grossolano e macroscopico, l’errore inescusabile.

Questo ragionamento poggiava sull’applicazione dell’art. 2236 cod.civ., il quale stabilisce la responsabilità civile del prestatore d’opera solo per dolo o colpa grave, qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.; essa condusse ad una repressione delle condotte colpose decisamente a maglie larghe.

Nei successivi decenni, il predetto orientamento cedette il passo ad una seconda ed opposta visione, che negò l’applicabilità della citata norma civile, se non nei casi di oggettiva speciale difficoltà, parametro da accertare in concreto caso per caso.

Per il resto, ciò che si considerava rilevante per la determinazione della colpa penale era il solo articolo 43 codice penale, con la conseguenza che anche la colpa lieve poteva senz’altro assumere rilevanza criminale. Siffatta tendenza ebbe ben presto l’effetto di aumentare il contenzioso passivo nei confronti dei medici con un conseguente e sensibile accrescimento delle condanne penali; si rese pertanto necessario l’intervento del Legislatore.

Quest’ultimo avvenne solo nel 2012, con la nota legge Balduzzi (l. n. 189/2012) che segnò la terza stagione della responsabilità criminale dei sanitari. L’atto normativo in parola prevedeva due requisiti per l’irrilevanza penale del fatto illecito colposo commesso dal medico.

Da un lato, vi era il rispetto delle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, dall’altro lato l’assenza di colpa grave (art. 3, legge cit.).

Le linee guida e le buone pratiche non hanno natura di norme cautelari, perché si tratta di direttive generali, istruzioni di massima, che vanno necessariamente applicate e modellate al caso concreto.

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Per conseguenza, il comportamento del medico può essere colposo anche ove perfettamente rispettoso delle suddette indicazioni scientifiche.

La colpa deve essere lieve e non grave. In tal modo essa finisce per assumere un duplice rilievo: per un verso è parametro per determinare la gravità del fatto e dunque la misura della pena (art. 133 cod. pen.), per altro verso essa costituisce il discrimine tra rilevanza ed irrilevanza penale.

Nell’operare tale discrimine occorre svolgere un giudizio basato sulle peculiarità del caso concreto (conoscenze scientifiche del tempo, caratteristiche dell’atto e dell’agente, grado di scostamento dallo standard del professionista modello, ecc.).

La giurisprudenza del tutto prevalente riteneva poi che la legge Balduzzi prevedesse la scriminante della colpa lieve nei soli casi di imperizia, e non di negligenza o imprudenza. Tale conclusione, avanzata dalle sentenze Pagano e Cantore, poggiava sull’assunto che le linee guida e le buone pratiche contenessero esclusivamente regole di perizia. In altre parole, il medico che, pur seguendo le indicazioni della comunità scientifica, cagionasse un evento criminoso per negligenza o imprudenza, sarebbe penalmente responsabile per colpa, sia essa lieve o grave.

L’odierna riforma costituisce il recepimento dell’orientamento giurisprudenziale prevalente formatosi sull’art. 3 della legge Balduzzi, al contempo provvedendo ad abrogare tale ultimo articolo. A fronte dell’abrogazione è inserito nel codice penale il nuovo articolo 590-sexies, rubricato “Responsabilità colposa per

morte o lesioni personali in ambito sanitario”.

Ed il testo è del seguente tenore: “(comma 1) Se i fatti di cui agli articoli 589

e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. (comma 2) Qualora l’evento

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si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Come si vede, è scomparso ogni riferimento al problematico concetto di colpa grave e la scriminante oggi opera solo in caso di colpa (grave o lieve) per imperizia, con ciò dando seguito alle citate sentenze Cantore e Pagano. Resta fermo il rispetto delle linee guida e buone pratiche, di cui va fatto un uso confacente al caso concreto: ove occorrano debbono essere applicate, diversamente corre l’obbligo di disapplicarle.

Ma vi è di più; da un lato infatti si precisa che la speciale irrilevanza penale opera solo con riferimento ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose, mentre la legge Balduzzi sul punto non disponeva (con ciò, almeno in astratto, lasciando intendere che tutti i reati propri della professione medica fossero scriminati; vedi ad es. il delitto di interruzione colposa di gravidanza).

Dall’altro lato, come più sopra illustrato, le linee guida e buone pratiche sono finalmente “definite e pubblicate ai sensi di legge”, ed in particolare ai sensi dell’articolo 5 della legge in commento, già visto più sopra. Così, la norma penale ne guadagna senz’altro in termini di precisione e determinatezza.

Legge 08 marzo 2017, n.8, articolo 7: La responsabilità civile del medico e della

struttura sanitaria

Benché non sia questa la sede per una analisi approfondita degli aspetti civili della responsabilità medica, è tuttavia interessante spendere poche parole sulle novità introdotte in questo ambito dalla legge in commento; esse costituiscono infatti un

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vero e proprio “cambio di rotta” rispetto alla tradizionale impostazione giurisprudenziale.

L’art. 7 infatti stabilisce una netta bipartizione delle responsabilità dell’ente ospedaliero e della persona fisica per i danni occorsi ai pazienti.

La struttura sanitaria assume una responsabilità di natura contrattuale ex art. 1218 cod.civ., mentre il medico, salvo il caso di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, risponde in via extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ..

Affatto secondarie le conseguenze pratiche di tale qualificazione; sul fronte probatorio anzitutto, poiché nel primo caso al paziente danneggiato basta provare il titolo (che dimostri il ricovero e dunque l’assunzione dell’obbligazione da parte dell’ospedale) ed allegare l’inadempimento, il resto spettando all’ente convenuto, mentre nel secondo caso l’onere dell’attore abbraccia tutti gli elementi della pretesa, e dunque tanto quello oggettivo, nella sua triade condotta – evento – nesso di causa, tanto quello soggettivo, consistente nella colpa. La descritta bipartizione agisce altresì sul piano della prescrizione dell’azione, decorrendo quella contrattuale nell’ordinario termine decennale (art. 2946 cod. civ.) e quella aquiliana nel più breve termine quinquennale (art. 2947 cod. civ.).

Si diceva, questo nuovo assetto normativo si pone in regime di discontinuità rispetto al passato. Il lettore avrà contezza che tanto la Suprema Corte quanto la giurisprudenza di merito in via del tutto prevalente usavano qualificare la responsabilità della struttura sanitaria e del medico come vera e propria responsabilità contrattuale ex artt. 1218 e 1228 cod. civ. (si veda ex plurimis Cass. civ. SS.UU. n. 577/2008).

La prima discendeva direttamente dal cd. contratto di spedalità stipulato con il paziente, mentre la seconda si faceva risalire alla terza delle fonti di obbligazioni

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previste dall’art. 1173 cod. civ., diversa dal contratto e dal fatto illecito, e consistente in “ogni altro fatto o atto idoneo a produrle”.

Si sosteneva infatti che, all’atto di ricovero, tra medico e paziente si stabilisce un contatto sociale qualificato (in ciò che esso non è casuale, ma voluto d’ambo le parti), per effetto del quale il primo assume specifici obblighi di protezione nei confronti del secondo; ad avviso dell’interprete, dunque, la violazione di tali obblighi imponeva il risarcimento del danno nelle forme prescritte dall’art. 1218 cod. civ..

Ora, una qualificazione identica della responsabilità di medico ed ospedale, per di più con i descritti vantaggi processuali in capo al danneggiato, aveva avuto l’effetto inaccettabile di ripartire equamente il rischio risarcitorio in capo a tali soggetti, senza considerare le ben diverse capacità finanziare di costoro.

La riforma in commento intende dunque diversificare in modo netto le due posizioni, spostando il rischio sul soggetto maggiormente capiente. Ciò, a ben vedere, va a vantaggio tanto dell’esercente la professione sanitaria, il quale risponde solo dei danni integralmente provati dal paziente, tanto del paziente medesimo che viene invitato ad agire contro chi più facilmente può ristorare i danni.

Legge 08 marzo 2017, n.8, articoli 8 e 9: Riduzione del contenzioso e azione di

rivalsa

Tali norme sono specificamente volte a ridurre il contenzioso per i procedimenti di risarcimento da responsabilità sanitaria.

In particolare, l’articolo 8 prevede l’introduzione di un tentativo obbligatorio di conciliazione a carico di chi intenda esercitare in giudizio un’azione risarcitoria.

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Nello specifico, viene disposta l’applicazione dell’istituto del ricorso presso il giudice civile competente per l’espletamento di una consulenza tecnica preventiva ai sensi dell’art. 696-bis c.p.c., ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.

La domanda giudiziale è procedibile, solo se la conciliazione non riesce o il relativo procedimento non si conclude entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso.

L’articolo 9 reca un’ulteriore disposizione, a completamento del nuovo regime della responsabilità sanitaria, che disciplina l’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa della struttura sanitaria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, in caso di dolo o colpa grave di quest’ultimo, successivamente all’avvenuto risarcimento (sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale) ed entro un anno dall’avvenuto pagamento.

Legge 08 marzo 2017, n.8, articoli 10-11: Obblighi assicurativi

Infine, la riforma introduce precisi obblighi assicurativi in capo alle strutture sanitarie ed agli esercenti la professione sanitaria. Ciò, a ben vedere, allo scopo di rendere effettiva l’eventuale condanna di tali soggetti al risarcimento dei danni cagionati ai pazienti.

In particolare, è previsto anzitutto l’obbligo di assicurazione per la responsabilità contrattuale (ex artt. 1218 e 1228 c.c.) verso terzi e verso i prestatori d’opera, a carico delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, anche per i danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso le strutture medesime.

In secondo luogo, si stabilisce l’obbligo, per le strutture in esame, di stipulare una ulteriore polizza assicurativa per la copertura della responsabilità

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extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie, per l’ipotesi in cui il danneggiato esperisca azione direttamente nei confronti del professionista.

Infine, è fatto obbligo di assicurazione a carico del professionista sanitario che svolga l’attività al di fuori di una delle predette strutture o che presti la sua opera all’interno della stessa in regime libero-professionale, ovvero che si avvalga della stessa nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente, per i rischi derivanti dall’esercizio della medesima attività.

2.4 Il contesto regionale e aziendale toscano

A livello di singole Regioni si è provveduto istituendo programmi e unità operative specifiche, costituendo in molte Aziende sanitarie Unità di gestione del rischio clinico, gruppi interdisciplinari e multiprofessionali, per coordinare le attività di identificazione del rischio clinico e sviluppare procedure preventive e migliorative.

Con modalità diverse, ad occuparsene sono state prevalentemente le Agenzie Regionali della Sanità in Emilia Romagna, che ha intrapreso un’esperienza significativa sulla gestione del rischio clinico a partire dall’anno 2000, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Piemonte (in collaborazione con l’Università), Campania e Toscana.

La Regione Toscana, in particolare, è stata una delle prime ad aver istituzionalizzato la gestione del rischio clinico nel SSN e difatti, anche grazie al lavoro svolto dal 2003, ora vi opera un sistema per la gestione del rischio clinico (GRC) organizzato secondo criteri e obiettivi comuni in tutte le aziende.

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Il Centro Gestione Rischio Clinico e Sicurezza del Paziente (Centro GRC) della regione Toscana promuove la cultura della sicurezza e soprattutto dell'imparare dagli errori, condizioni imprescindibili per un sistema sanitario più sicuro.

Il Centro opera secondo una vision partecipata della sicurezza: condivide e sperimenta sul campo le pratiche per la sicurezza, le adatta alla realtà operativa e ne evidenzia efficacia e criticità. Istituito nel 2003 con la delibera di Giunta regionale n. 1179 del 10 novembre, riconosciuto organismo del governo clinico dalla legge regionale 40 del 2005 "Disciplina del servizio sanitario regionale", il GRC si avvale di professionisti di differenti aree disciplinari e di un comitato scientifico istituito con Decreto del Presidente della Giunta regionale n. 115/2010 (Fig.8).

In base alla delibera di Giunta regionale n. 62 del 3 febbraio 2014, il centro ha organizzato la sua attività in tre coordinamenti di area vasta. Dal 2016 il Centro Gestione Rischio Clinico e Sicurezza del Paziente è "Collaborating Centre" dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

A livello della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana con la delibera del Direttore Generale n°1122 del 22 dicembre 2004 viene costituita l'Unità per la gestione integrata del rischio clinico e del contenzioso al fine di un crescente fabbisogno specifico di sicurezza dell'attività svolta nei confronti del paziente da indirizzare attraverso lo sviluppo di sistemi di gestione dei rischi.

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CAPITOLO TERZO

3.1 L’infermiere e la sicurezza del paziente

La sicurezza del paziente è, per l’infermiere, un valore ed un impegno operativo da perseguire in ogni ambito del proprio agire, dall’assistenza diretta alla promozione dei cambiamenti culturali ed organizzativi, necessari per la gestione del rischio e la prevenzione degli errori. Per assumere a pieno titolo il proprio ruolo in questa tematica, questo professionista deve disporre di una piena consapevolezza e cultura della sicurezza, intesa come impegno che coinvolge tutti i livelli di un’organizzazione, dalla direzione al personale in prima linea: la conoscenza e la coscienza del rischio sono il primo passo verso la sicurezza.

Come si evince dell’articolo 29 del codice deontologico: “L'infermiere

concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell'assistito e dei familiari e lo sviluppo della cultura dell’imparare dall’errore. Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico”.

Gli infermieri devono acquisire, perciò, informazioni pertinenti sul Clinical Risk Management all’inizio del loro percorso ed essere educati ad affrontare il problema degli errori con una visione sistemica considerandoli, in altre parole, fonte di apprendimento e stimolo per il miglioramento.

Ma come ciò debba avvenire è tutt’oggi una questione aperta; l’acquisizione di competenze sulla sicurezza del paziente va sviluppata sin dalla formazione di base.

Esiste, quindi, un bisogno urgente per i programmi di laurea in infermieristica, di rafforzare la qualità e la conoscenza della sicurezza nel loro curriculum, cosicché gli infermieri, nel momento della loro assunzione, possiedano già delle nozioni di base che gli facilitino successivamente di tradurre

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queste informazioni nella pratica quotidiana; in questo modo sarebbe possibile modellare il ruolo degli infermieri in linea con gli odierni obiettivi del SSN i quali, prevedono come fondamentale, che: “la sicurezza dei pazienti dovrebbe far parte integrante dei programmi di studio universitari e post-universitari del personale sanitario, ovvero coloro che forniscono le cure in prima persona”, così da creare e rafforzare una forma mentis diffusa, idonea alla gestione del rischio clinico.

Inoltre, sarebbe opportuno, in considerazione della rilevanza del tema, che i programmi formativi fossero omogenei sul territorio nazionale per contenuti, modalità didattica e durata.

In Italia, le decisioni riguardanti la didattica e i programmi di insegnamento, sono disciplinati dal Decreto interministeriale Università-Salute del 19 febbraio 2009.

Quest’ultimo ha riformato gli Ordinamenti del precedente Decreto 2 aprile 2001, sempre garantendo la possibilità di riservare una buona parte della formazione a peculiarità specifiche di ogni Ateneo e di ogni profilo professionale.

Tale modifica, consente alle singole Università di adattare i corsi considerando eventuali esigenze sanitarie o del mercato delle professioni tenendo conto, se considerato utile, delle realtà locali.

Questa possibilità da un lato garantisce, in parte, la personalizzazione del percorso di studio dall’altra, però, può rischiare di non assicurare una sufficiente omogeneità sul territorio nazionale.

Infatti, alcune Università sembrano preparare alle sfide e alle problematiche organizzative, mentre altre alla competenza clinica ed altre ancora agli aspetti umanistici.

Presso l’Università di Pisa è previsto un percorso didattico di rischio clinico e sicurezza del paziente durante le varie fasi del percorso didattico (Laurea triennale, Laurea Magistrale e Master in management per le funzioni di

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Coordinamento) delle Scienze Infermieristiche durante il quale vengono insegnati il concetto di rischio clinico e sicurezza per la salute del paziente.

Un ruolo importante è rivestito anche dal tirocinio clinico, poiché rappresenta un'opportunità per applicare sul campo le conoscenze teoriche ed apprendere e implementare le proprie capacità tecniche e manuali.

Con l’affiancamento di infermieri esperti, che espletino la necessaria supervisione durante il periodo di tirocinio, essi possono supportare lo studente nell'individuare le situazioni di rischio, a prevenire e a discutere gli errori, così da stimolare lo studente a riflettere sui potenziali errori commessi cosicché diventino un punto di partenza per migliorarsi e non un freno formativo.

La necessità di una formazione infermieristica sulla sicurezza del paziente ha trovato ampia condivisione altresì a livello mondiale.

Il contributo determinante degli infermieri nel migliorare la sicurezza del paziente è stato riconosciuto anche dall’OMS che, tra gli indirizzi strategici per il rafforzamento dei servizi infermieristici 2011-2015, ha inserito l’importanza di standardizzare i programmi educativi e di sviluppare l’istruzione della formazione infermieristica, al fine di rafforzarne le competenze e il contributo e sostenere la realizzazione dei programmi nazionali.

Altresì, la Commissione Europea con la Luxembourg Declaration on Patient Safety del 2005, ha chiesto di inserire la promozione della sicurezza dei pazienti nella formazione universitaria degli operatori sanitari.

Successivamente, nel maggio 2006, il Consiglio d’Europa, con la raccomandazione Management of Patient Safety and Prevention of Adverse Events in Health Care, ha incoraggiato la promozione dello sviluppo di programmi di formazione per tutto il personale sanitario.

Da una verifica formativa internazionale sulla sicurezza del paziente, è emerso come le scuole che dimostrano un maggior numero di iniziative formative

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sulla sicurezza siano in paesi come la Gran Bretagna, dove l’attenzione a questo tema si è sviluppata da tempo.

Altre nazioni come Danimarca, Irlanda, Francia, Olanda e Svizzera, propongono invece una preparazione specifica solo a livello di Master o di corsi brevi, classificabili come Executive Education.

Negli Stati Uniti, come in Gran Bretagna, si inserisce questo tipo di formazione già nel corso di laurea, utilizzando metodiche quali la simulazione del paziente, strategia raccomandata anche nel rapporto dello IOM, con effetti positivi sull’apprendimento.

Altresì, il progetto Quality and Safety Education for Nurses (QSEN), lavora all’obiettivo di aiutare la formazione infermieristica nel cambiamento, per creare infermieri preparati con le competenze per assicurare il miglioramento della qualità e della sicurezza.

In Canada, invece, è l'attenzione esclusiva sui singoli errori, e non sugli errori di sistema, che è di preoccupazione per quanto riguarda la formazione infermieristica e la sicurezza del paziente.

La formazione va ritenuta quindi una leva strategica, in primo luogo per creare la necessaria sensibilità al problema. Inoltre, essa ha la funzione di creare: un cambiamento culturale (dall’errore individuale ad organizzazione che apprende dagli errori); la formazione di una “massa critica” competente (conoscenze, abilità, atteggiamenti) per gestire la sicurezza a tutti i livelli dell’organizzazione; il miglioramento della percezione del rischio (riconoscimento e segnalazione delle situazioni pericolose per la sicurezza del paziente); la modifica dei comportamenti e dei processi decisionali individuali.

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3.2 Le “Best practice” nell’ assistenza infermieristica

Negli ultimi anni anche gli infermieri hanno avvertito l'esigenza di fondare l'assistenza alla persona, le tecniche e le procedure inerenti il proprio operare, su una solida base scientifica, su studi controllati che ne attestino l'efficacia.

Sull'esempio dei Paesi anglosassoni, è cresciuta anche negli infermieri italiani l'attenzione per l'EBN (Evidence Based Nursing).

Per EBN si intende il processo per mezzo del quale gli infermieri assumono le decisioni cliniche utilizzando le migliori ricerche disponibili, la loro esperienza clinica e le preferenze del paziente, in un contesto di risorse disponibili.

Questa maggiore sensibilità degli infermieri verso le tematiche dell'evidence-based si è tradotta in un incremento di lavori scientifici, nella pubblicazione di interessanti testi sull'argomento, nella sensibilizzazione e formazione specifica degli operatori.

Per “buona pratica” si intende ogni attività, procedura o comportamento riguardante percorsi assistenziali, basata su standard di qualità e sicurezza. Questi standard sono basati sull’ evidenza scientifica della letteratura e/o da organizzazioni sanitarie. Una buona pratica necessita di indicatori specifici da monitorare nel tempo.

La “call for good practice” dell’ Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali è una iniziativa volta a rilevare gli interventi/ esperienze attuati dalle organizzazioni sanitarie che abbiano dimostrato un miglioramento della sicurezza dei pazienti (suddivisi per tipologia in “raccolta dati”, “coinvolgimento del paziente”, “cambiamenti specifici”, “interventi integrati”) che rispondono ai seguenti criteri: attuati a livello regionale, aziendale o di unità operativa; basati su evidenze di letteratura; realizzati secondo i principi del miglioramento continuo della qualità e rappresentati in accordo con linee guida internazionali (SQUIRE) con particolare attenzione alla metodologia di valutazione

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dell’efficacia e dei costi) sostenibili nel tempo potenzialmente riproducibili/trasferibili in altri contesti.

Le pratiche per la sicurezza del paziente (Fig.9) elaborate dal Gruppo Rischio Clinico (GRC) della Regione Toscana sono:

• PEWS - Riconoscimento precoce del deterioramento delle condizioni cliniche dei pazienti pediatrici (escluso periodo perinatale)

• Scheda Terapeutica Unica (STU): prevenzione degli errori di terapia • Scheda Terapeutica Unica per il SERT

• Prevenzione e il monitoraggio delle cadute dei pazienti pediatrici • Prevenzione errori dovuti a interruzioni

• Missione di soccorso in Emergenza Territoriale • Gestione farmaci in emergenza territoriale

• Prevenzione, identificazione e gestione del Delirium • Misura e gestione del dolore

• Adesione alla rete di sorveglianza microbiologica • Gestione dei chemioterapici antiblastici (CTA) • Utilizzo cateteri venosi centrali

• Prevenzione e trattamento delle ulcere da pressione

• Riconoscimento precoce del deterioramento delle condizioni cliniche dei pazienti

• Le mani pulite

• Uso corretto degli antibiotici

• Reporting and learning system (RLS)

• Segnalazione degli eventi con danno (eventi sentinella) • Introduzione di un braccialetto identificativo

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• Prevenzione e gestione emorragia post-partum • Prevenzione e gestione della distocia di spalla • Prevenzione del rischio nutrizionale

• Farmamemo

• Prevenzione delle cadute dei pazienti nei contesti sanitari

• Gestione della relazione e della comunicazione interna, con il cittadino e con familiari per gli eventi avversi

• Ckeck list di sala operatoria

• HANDOVER - Passaggio di consegne fra equipe medico assistenziali all'interno di un percorso clinico

• Prevenzione polmonite associata a ventilazione meccanica (VAP) • Prevenzione errori incompatibilità AB0

• Prevenzione del tromboembolismo venoso in ortopedia e traumatologia

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La dirigenza infermieristica gioca un ruolo importante nella politica della sicurezza; ai numerosi operatori che da essa dipendono deve comunicare cosa la direzione dell’azienda si attende da loro in termini di qualità delle prestazioni e di sicurezza per gli utenti. Fra tali aspettative ci saranno certamente le seguenti:

 che tutti i dipendenti operino in modo prudente e ragionevole in ogni circostanza;

 che si impegnino al rispetto degli standard delle varie attività. In molti casi, la dirigenza dovrà preliminarmente definire tali standard con la partecipazione del personale interessato,

 che non compaiano azioni che vanno oltre la loro personale competenza, ma si rivolgano a chi li può aiutare.

Inoltre, l’infermiere dirigente ha il compito di motivare i collaboratori alla ricerca della più elevata qualità dell’assistenza. A tale scopo deve esercitare una leadership positiva e partecipativa e potenziare le proprie capacità comunicative. Deve, infine, mantenersi costantemente aggiornato sui dati relativi agli eventi avversi in azienda.

3.3 Le malpractice nell’assistenza infermieristica

Si è visto fin qui come la dimensione degli errori sia una problematica che investe tutti gli operatori sanitari ivi compresi gli infermieri che, in particolar modo negli ultimi anni, hanno vissuto una graduale evoluzione, acquisendo sempre maggiori competenze e responsabilità.

Con il termine “nursing malpractice” sono rappresentati l’insieme di eventi avversi che avvengono durante l’espletamento dell’assistenza infermieristica. Esso è strettamente correlato a casi di negligenza, imperizia e incapacità

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professionale da parte degli operatori sanitari nel fornire un’adeguata assistenza al malato, risultante in un danno a colui che riceve la prestazione.Tutt’oggi non esiste ancora una banca dati nazionale relativa agli errori degli infermieri.

Gli unici esempi provengono dalla casistica giudiziaria, in particolare quella statunitense; L’American Nurses Association stima che ci sono 1 - 3000000 errori sanitari negli ospedali degli Stati Uniti ogni anno.

A partire dal 2001, pertanto, anche gli infermieri sono stati chiamati sempre con maggiore frequenza come imputati in cause legali.

Ciò legato anche all’aumento del carico di lavoro dovuto alla carenza di infermieri che molti paesi, come Belgio, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Australia e Scandinavia, a eccezione della Spagna, hanno e ancora accusano.

Di conseguenza ai turni lunghi e pesanti, si crea un maggior affaticamento del personale, con l’aumentare dell’eventualità del verificarsi dell’errore.

Una ricerca americana (pubblicata da Accident Analysis and Prevention) afferma, infatti, che il maggiore rischio di errore (il 20 % di tutti gli errori) deriva da un aumento dell’orario di lavoro.

Altresì, uno studio sulla relazione tra numero di personale infermieristico ed eventi avversi del 1988 di Kovner e Gergen ha dimostrato come, ad un aumento di 0,5 ore di assistenza infermieristica per giorno di degenza/paziente, è associata una riduzione: del 4.5% di infezioni tratto urinario, del 4.2% di polmoniti, del 2.6% di trombosi, dell’1.8% di problemi polmonari.

Viceversa, i campi in cui si verificano maggiormente gli errori degli infermieri, come documentato dall’American Society of Hospital Pharmacy, sono: errori di terapia, errore trasfusionale, errore nella raccolta di campioni biologici, errori che arrecano infezioni, ulcere da pressione ed errori che arrecano cadute.

Oltre ad errori di “manualità”, il termine nursing malpractice si riferisce anche alla mancata individuazione e registrazione di bisogni assistenziali, come

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la mancata osservanza di ordini del medico, ritardare le cure del paziente e/o incapacità di monitorare il paziente, non corretta esecuzione di una procedura, o tentativo di eseguire una procedura senza formazione. In Italia, come negli altri paesi, le principali cause di errore, rilevate attraverso una ricerca internazionale sui near misses, sono riferibili a: stanchezza, doppi turni di lavoro, diminuzione del personale, aumento dei carichi di lavoro, turn over del personale, comunicazioni errate od omesse, interferenze ambientali, deficit strumentali e organizzativi.

Attualmente gli infermieri italiani dimostrano un atteggiamento positivo e attivo: si attrezzano per combattere il rischio di errori non intervenendo sull’errore compiuto ma prevenendolo, operando opportunamente sull’area degli errori mancati.

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CAPITOLO QUARTO

4.1 Safety Walk Around: approccio storico.

Nel maggio del 2000 l’Institute for Health care Improvement di Boston (IHI) riunì un gruppo di esperti per progettare un sistema di cure che fosse molto più sicuro ed economico di quello allora presente. Il progetto, chiamato Idealized Design of the Medication System (IDMS), vide l’impegno di 30 esperti tra medici, infermieri, farmacisti ed altri professionisti, provenienti da diverse organizzazioni.

Tra questi il Dottor Allan Frankel, anestesista e allora responsabile per la Patient Safety Partners HealthCare System di Boston, Massachusetts.

Durante i vari meeting emerse un elemento di rilevante importanza: la necessità di trovare soluzioni che permettessero di diffondere la cultura della sicurezza nel sistema sanitario e, nel contempo, di coinvolgere attivamente il gruppo dirigenziale nella promozione della sicurezza del paziente.

Fu proprio questa duplice esigenza a far nascere in Allan Frankel l’idea del Patient Safety WalkRounds (PSWR): migliorare la sicurezza del paziente deve essere fra le priorità di ogni sistema sanitario.

Questo obiettivo diventa perseguibile solo se alla base vi è una diffusa cultura della sicurezza e diventa raggiungibile se si condividono alcuni valori fondamentali come la trasparenza, la collaborazione tra operatori, la comunicazione, l’impegno per il miglioramento continuo della qualità e la disponibilità a mettere in discussione le proprie convinzioni e il proprio operato.

Un aspetto fondamentale nella promozione della sicurezza del paziente è che tutti i soggetti di una organizzazione sanitaria vengano direttamente coinvolti e interagiscano in forma sinergica.

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