Catia Renzi Rizzo
Pisa, Lucca, i Longobardi e il mare (secoli VII-VIII)
[A stampa in «Un filo rosso». Studi antichi e nuove ricerche sulle orme di Gabriella Rossetti in occasione dei suoi
settanta anni, (Pisa, 2-3 maggio 2005), Pisa 2007, pp. 26-41 © dell’autrice
Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”]
A. Introduzione
All’indomani della sconfitta dei Longobardi ad opera di Carlo Magno alcune fonti testimoniano in modo chiaro ed univoco che Pisa, durante quasi un secolo e mezzo di dominazione longobarda, non aveva perso l’antica capacità di andare per mare, e anzi, aveva conservato una struttura portuale affidabile anche per imbarcazioni di lunga percorrenza. Esse documentano infatti:
- la partenza di Adelchi dal porto di Pisa per Costantinopoli (a.774)1,
- la disponibilità di una flotta da parte del duca di Lucca, il longobardo Allone2 e
- la frequentazione delle coste tirreniche da parte bizantina anche successivamente alla conquista longobarda3, secondo quella lettera del pontefice Adriano I a Carlo Magno già valorizzata da G.
Rossetti nel lontano1971.
A partire dalla metà circa dell’VIII secolo abbiamo inoltre per certo che l’aristocrazia longobarda, laica ed ecclesiastica, aveva utilizzato uno o più porti della Tuscia per raggiungere i propri possedimenti in Corsica4, e che da tali porti, Luni, ma soprattutto Pisa, ubicata su due fiumi
navigabili, le giungevano per vie d’acqua interne le merci necessarie: grano e sale dalla Maremma5,
e oggetti di lusso dall’Oriente, come i preziosi tessuti bizantini rinvenuti nelle tombe longobarde di Piazza del Duomo6.
1 Continuatio Romana della Historia Langobardorum, ed. G. Waitz, in MGH, Scriptores Rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI-IX, Hannoverae 1878 (rist. anast. 1964), pp. 200-203, p. 201; questa e molte delle fonti utilizzate
di seguito utilizzate sono raccolte in Pisa e il Mediterraneo. Antologia di fonti scritte dal secolo VII alla metà del XII, scelte da M. Campopiano e C. Renzi Rizzo, con Presentazione di M. Tangheroni, a cura del servizio Editoriale Universitario, Pisa 2004 e ora anche in linea su «Reti Medievali», all’indirizzo
http://www.storia.unive.it/_RM/didattica/fonti/pisa/presentazione.html. Il cronista Andrea da Bergamo sembra alludere alla disponibilità di una flotta propria da parte di Adelchi: “Adelchis (…) navium praeparans, ultra mare egressus est”; cfr. ANDREAE PRESBYTERI BERGOMATIS Chronicon, ed. H. Pertz, in MGH, Scriptores, III, Hannoverae 1849 (rist. anast. 1963), pp. 231-238, alla p. 233.
2 Codex Carolinus, ed. W. Gundlach, in MGH, Epistolae, III, Epistolae Merowingici et Karolini aevi, I, Berolini 1957,
n. 59, pp. 584-585; si tratta della lettera di papa Adriano I a Carlo Magno (a. 776), già presa in esame da Gabriella Rossetti in uno dei suoi lavori per me più suggestivi: G. ROSSETTI, Società e istituzioni nei secoli IX e X: Pisa, Volterra,
Populonia, in Atti del V Congresso Internazionale di Studi sull'alto medioevo. Lucca - 3-7 ottobre 1971, Spoleto 1973,
pp. 209-337, in particolare alle pp. 216-226. Sulla fonte sono tornata più volte anche io: v. da ultimo: C. RENZI RIZZO,
Pisa e il mare nell’Alto Medioevo, in Pisa e il Mediterraneo. Uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici, a cura di M.
TANGHERONI, Cinisello Balsamo (MI) 2003, pp. 121-125. Il duca Allone aveva appena sostituito Tachiperto: D. BARSOCCHINI, Memorie e documenti per servire all’istoria del ducato di Lucca, IV, 1, Lucca 1818, n. 79, p. 129; A. FALCE, La formazione della Marca di Tuscia (secc. VIII-IX), Firenze 1930, p. 127; Codice Diplomatico Longobardo, a cura di L. Schiaparelli, (d’ora in poi CDL), II, Roma 1933, (Fonti per la Storia d’Italia, 63), n. 286, pp. 414-416; S. GASPARRI, I duchi longobardi, Roma 1978, pp. 48-49, 62.
3 Alla testimonianza della fonte scritta, la lettera del papa Adriano I a Carlo Magno già citata, si può aggiungere un
reperto rinvenuto all’interno di una delle tombe longobarde scavate nell’area antistante un lato della cattedrale; cfr. da ultimo, C. RENZI RIZZO, Pisa nell’Alto Medioevo: alcune considerazioni in margine al dibattito sulle città nei secoli
VI-VIII, in «Bollettino Storico Pisano», LXXIV(2005), in memoria di Marco Tangheroni, pp. 479-502 e relativa
bibliografia.
4 Codice Diplomatico Longobardo, a cura di L. Schiaparelli, I, Roma 1929, (Fonti per la Storia d’Italia, 62), n. 114, pp.
333-336, n. 116, pp. 337-352; Carte dell’Archivio di Stato di Pisa, I, (780-1070), a cura di M. D’Alessandro Nannipieri, Roma 1978, (Thesaurus Ecclesiarum Italiae, VII, 9), n.1, pp. 3-7.
5 Codice Diplomatico Longobardo, II, cit, n. 223, pp. 260-262. Per il sale estratto dalla zona di Roselle e inviato a
Chiusi, cfr. ivi, nn. 263-264, pp. 362-367.
6 Cfr. testo corrispondente alla nt. 3. Sui resti di broccati intessuti d’oro all’interno di corredi funerari di età
merovingia v. B. EFFROS, Caring for body and soul. Burial and the afterlife in the merovingian world, Pennsylvania, 2002, pp. 16-25. Sulla circolazione dei doni e delle merci preziose nell’Alto Medioevo, v. C. RENZI RIZZO, Annotazioni
In realtà, malgrado l’eccezionalità delle fonti disponibili negli archivi lucchesi, poco sappiamo ancora oggi su taluni aspetti della Tuscia longobarda e soprattutto sulla natura dei rapporti politico-istituzionali intercorsi tra il ducato di Lucca, certamente il più importante della Toscana7,
e la civitas di Pisa.
Se è da respingere l’idea –com’è stato già fatto- che il duca di Lucca “abbia avuto veri poteri su scala regionale”, è vero che non si può fare la storia della Toscana longobarda ignorando “il successivo esito istituzionale della Tuscia in età carolingia, con la nascita della Marca di Toscana facente centro” proprio “su Lucca”8.
È pertanto all’interno di questo presupposto -che ritengo essenziale- che in questa sede cercherò di concentrare la mia analisi sulle modalità e sulla cronologia del passaggio di Pisa in mano
longobarda, ovviamente limitandomi a delinearne lo status quaestionis.
B. Modi e tempi
In un saggio recente ho cercato di dimostrare che Pisa, come altri centri marittimi rimasti in mano bizantina fino ai primi decenni del VII secolo, ha evidenziato una superstite partecipazione ai circuiti marittimi di tipologia tardo-antica fino alla conquista longobarda, e l’assunzione progressiva, nel corso del VII-inizi dell’VIII, di tutti quei caratteri che denotano, agli occhi degli studiosi, la città altomedievale: necropoli all’interno del circuito murario; decadenza dell’edilizia pubblica e di quella privata ; utilizzo di materiali deperibili o di riuso; produzione artigianale di manufatti ceramici, ridotti per numero e per forme9. Una parabola, quindi, quella vissuta dalla
città tirrenica, simile a quella di molte altre città dell’Italia settentrionale, che hanno evidenziato una qualche continuità urbana solo quando siano riuscite a mantenere in vita almeno una delle funzioni indispensabili ai sovrani e ai ceti dirigenti locali, siano esse di carattere amministrativo, o residenziale, o produttivo, o portuale10.
Il destino di Pisa, a partire dalla conquista longobarda, sembra in realtà inscindibile da quello di Lucca11, ma i modi in cui questi stretti legami si siano determinati non è facile delinearli: dalla
famosa lettera scritta nel 603 da papa Gregorio Magno a Smaragdo, recentemente analizzata da Marco Tangheroni12, sulla città cade infatti un silenzio di oltre un secolo, flebilmente interrotto da
pochi ritrovamenti archeologici: tombe, riferibili ai primi decenni del VII secolo13 e una fornace per
ferro databile alla fine del VII-inizi dell’VIII14.
Uomini, merci e commerci nel Mediterraneo da Giustiniano all’Islam (VI-X sec.), Atti del Convegno (Bordighera, 3-4
dicembre 2004), in c.s.
7 Definito “ducato non regionale” esso viene tuttavia considerato come quello “in posizione dominante all’interno della
Tuscia” da S. GASPARRI, Il passaggio dai Longobardi ai Carolingi, in Il futuro dei Longobardi. Saggi, a cura di C.
Bertelli, G.P. Brogiolo, Ginevra-Milano 2000, p. 26.
8 S. GASPARRI, Il regno longobardo in Italia. Struttura e funzionamento di uno stato altomedievale in Langobardia, a
cura di S. Gasparri e P. Cammarosano, Udine 1990, pp. 237-305. Il saggio, con un ragionato Aggiornamento
Bibliografico, è ora anche in Il regno dei Longobardi in Italia. Archeologia, società e istituzioni, a cura di S. Gasparri,
Spoleto 2004, pp. 1-88: alla p. 80 la citazione.
9 Uno status quaestionis di carattere storico e archeologico ho già tentato di tracciare in Pisa nell’Alto Medioevo, cit;
ad esso rinvio per la bibliografia di riferimento.
10 Uno status quaestionis accurato, corredato da un’ampia bibliografia di riferimento in G.P. BROGIOLO, S. GELICHI, La città nell’alto medioevo italiano, Roma-Bari 1998.
11 A differenza di quanto asserisce P.M. CONTI, Il presunto ducato longobardo di Pisa, in «Bollettino Storico Pisano»,
XXXI-XXXII (1962-1963), pp. 145-174, alla p. 151.
12 M. TANGHERONI, Pisa, i Longobardi e la Sardegna, in Dal mondo antico all’età contemporanea. Studi in onore di Manlio Brigaglia offerti dal Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, Roma 2001, pp.171-190, ora anche in
G. BERTI, C. RENZI RIZZO, M. TANGHERONI, Il mare, la terra, il ferro. Ricerche su Pisa medievale (secoli VII-XIII), Pisa 2004, pp. 143-161: a questa edizione faccio riferimento d’ora in poi.
13 Il più recente articolo sull’argomento è di S. BRUNI, Nuovi-vecchi dati sulle tombe longobarde di Piazza del Duomo di Pisa, in «Archeologia Medievale», XXI (1994), pp. 665-677, a cui rinvio per la bibliografia. Ad esso è aggiunta, come Appendice, la scheda di E. ABELA, Resti di corredi longobardi da Pisa, su 4 oggetti oggi esposti nell’ingresso dell’hotel Kinzica in Piazza dell’Arcivescovado, recuperati, come sottolinea la studiosa, “in tempi e circostanze non conosciute”. Altre sepolture sconvolte furono rinvenute negli anni Ottanta vicino all’ingresso degli uffici della Primaziale e ne fu data solo una sommaria notizia: A. MAGGIANI, All’ombra della Torre 2500 anni di storia, in «Archeologia Viva», 20 (1990), p. 2. Una tomba con ceramiche di tipo pannonico tra il transetto sinistro della cattedrale e il Camposanto è stata rinvenuta nel 1991, durante i carotaggi per la torre: S. BRUNI, Prima dei miracoli. Aspetti e problemi
Le fonti riguardanti la Tuscia in generale, non offrono informazioni puntuali e si prestano ad interpretazioni controverse: Paolo Diacono e Agnello Ravennate danno per certo solo il fatto che negli anni immediatamente successivi al loro ingresso in Italia, i Longobardi entrarono in Toscana, la attraversarono e ne fecero oggetto di razzie15.
Lucca deve essere stata occupata in quegli anni, perché una testimonianza di papa Gregorio Magno fornisce un’utile indicazione: il vescovo di Populonia Cerbone, “cum Langobardorum gens (…)
cuncta vastassent”, riparò all’isola d’Elba, ma chiese ai suoi chierici di essere riportato a
Populonia, dopo la morte, e di fronte ai timori da essi mostrati per il ritorno in una terra dove i Longobardi facevano razzie, guidati dal duca Grimarit, egli li rassicura, dicendo che non avrebbero corso pericolo se avessero fatto in fretta e fossero ritornati velocemente sull’isola16. Siamo negli
anni compresi tra il 571 e il 575. Grimarit è riconosciuto pressoché unanimemente duca di Lucca17,
e stiamo assistendo quindi ad un primo tentativo di espansione nel Populoniese dei Longobardi lucchesi che avevano trovato in area costiera una zona ancora ben controllata dai presidi bizantini. E infatti Populonia finì “per qualche tempo” in mano longobarda, “agli inizi dell’ottavo decennio del secolo”, ma appare riconquistata dalle forze imperiali nel 591 allorché “Gregorio Magno scrive al vescovo di Roselle per affidargli la cura delle anime della popolazione di Populonia e per richiedergli la nomina di sacerdoti per la chiesa titolare (…) e per le tre chiese parrocchiali del suo territorio”, che evidentemente erano in quel momento “nelle mani dei Bizantini, giacché Gregorio Magno non si preoccupa mai delle cattedre episcopali nei territori occupati dai Longobardi”18.
Certamente la situazione era ancora di pericolo e di precarietà, se Gregorio non ritiene di nominarvi un nuovo titolare ma preferisce affidare temporaneamente quella sede al prelato rosellano19.
Ciò che sembra assodato, pur in assenza di una testimonianza precisa è che Lucca sia stata longobarda già dall’ultimo quarto del VI secolo20, e che, Pisa, al contrario, sia rimasta in mano
dell’insediamento antico nell’area della Piazza del Duomo, in Storia ed arte nella Piazza del Duomo. Conferenze 1992-1993, Quaderni IV, Pisa 1995, pp. 163-196, alla p. 174. Materiali inediti, riferibili a sepolture di età longobarda,
sono noti anche da via Maffi, angolo via San Tommaso (una lunga spada in ferro) e da via San Zeno (un’armilla): devo le informazioni alla cortese disponibilità di Stefano Bruni. L’ultimo ritrovamento edito è infine dovuto ad A. ALBERTI, M. BALDASSARRI, Per la storia dell’insediamento longobardo a Pisa: nuovi materiali dall’area cimiteriale di Piazza
del Duomo, in «Archeologia Medievale», XXVI (1999), pp. 369-375, alla p. 369.
14 E. ABELA, S. BRUNI, Gli scavi in piazza dei Cavalieri:la trincea e i sondaggi preliminari, in Ricerche di archeologia medievale a Pisa, I, Piazza dei Cavalieri. La campagna di scavo 1993, a cura di S. Bruni, E. Abela, G. Berti, Firenze 2000, pp. 53-82, e A. CORRETTI, L’attività metallurgica, ivi, alle pp. 83-102.
15 Un’ipotesi ricostruttiva, ben corredata bibliograficamente, è in W. KURZE, C. CITTER, La Toscana, in Città, castelli e campagne nei territori di frontiera, Atti del V Seminario, Monte Barro 1994, a cura di G.P. Brogiolo, Mantova 1995,
pp. 159-186, alle pp. 159-161.
16 GREGORII MAGNI, Dialogi, liber IV, ed. a cura di U. Moricca, Roma 1924 (Fonti per la Storia d’Italia, 57), pp. 156-159.
Sulla conquista di Populonia da parte longobarda, e sulla possibile cronologia è molto interessante una lettera di papa Gregorio Magno, datata gennaio 591, che presenta una città ormai priva del suo vescovo e carente di ecclesiastici:
MGH, Gregorii I Papae Registrum Epistolarum, ed. P. Ewald et L. M. Hartmann, I-II, Berolini 1957, I, 15, p. 16. Per
la storia della diocesi di Populonia, v. G. GARZELLA, La diocesi suffraganea di Populonia-Massa Marittima, in Nel IX
centenario della metropoli ecclesiastica di Pisa, Atti del Convegno di Studi (Pisa, 7-8 maggio 1992), a cura di M.L.
Ceccarelli Lemut, S. Sodi, Pisa 1995 (Opera della Primaziale pisana, Quaderno n. 5), pp. 171-182, in particolare alle pp. 174-178 e EADEM, Da Populonia a Massa Marittima: problemi istituzionali, in Populonia e Piombino in età medievale
e moderna, Atti del Convegno di Studi (Populonia 28-29 maggio 1993), Pisa 1996, pp. 7-16.
17 Un’analisi ampia della fonte e relativa bibliografia in KURZE, CITTER, La Toscana, cit., alle pp. 159-161 e in particolare
alla nota 34; il riferimento cronologico è in CONTI, Il presunto ducato longobardo, cit., alle pp. 150-152, seguìto successivamente, più o meno puntualmente, da altri storici; ma era già stato proposto da G. Volpe nel lontano 1901:
Pisa e i Longobardi, in «Studi Storici», nella serie curata da Crivellucci e Pais, X (1901), pp. 369-419. Non è del tutto
convinto della identificazione di Grimarit con un duca lucchese GASPARRI, I duchi longobardi, cit., p. 57, n.29.
18 Per tutto questo v. E. ZANINI, Il Vignale tardoantico e i suoi contesti, in Materiali per Populonia, 3, a cura di M.L.
Gualandi e C. Mascione, Firenze 2004, pp. 302- 313: la citazione è a pp. 308-309.
19 La lettera a Balbino, vescovo di Roselle è l’Ep. I, 15 (gennaio 591): MGH, Gregorii I Papae Registrum Epistolarum,
ed. P. Ewald et L. M. Hartmann, I-II, Berolini 1957, I, p. 16.
20 Da ultimo: M. RONZANI, Dalla regione romana alla Marca di Tuscia, in Storia della Toscana 2, a cura di E. Fasano
Guarini, G. Petralia, P. Pezzino, Bari 2001, pp. 24-46, alle pp. 25-26 e P. DELOGU, Longobardi e Romani: altre
congetture, in Longobardia, cit., pp. 111-168; il saggio è ora disponibile, con un ragionato Aggiornamento Bibliografico, in Il regno dei Longobardi in Italia. Archeologia, cit., alle pp. 93-171, alla p. 155, che reputa la Toscana
bizantina fino almeno al 603, seppure in un regime di forte autonomia -come ha sottolineato Marco Tangheroni - a giudicare da quella laconica e pur accorata asserzione del pontefice Gregorio Magno, secondo la quale, malgrado i suoi tentativi di tregua, “i dromoni dei Pisani erano pronti a partire”21.
Rotari, tra il 639 e il 643-644 conquistò quanto ancora in mano imperiale della Maritima
Italorum22, il distretto militare bizantino che si estendeva, prima dell’occupazione longobarda,
dalla Liguria alla Toscana centro-meridionale23 e la cui denominazione sembra essere rimasta a
definire geograficamente quella parte della maritima venuta in possesso dei Longobardi dopo il 593 e comprendente il territorio di pertinenza di quattro iudiciarie diverse: Tuscania, Sovana, Roselle e Populonia24.
Pisa non viene nominata dalla fonte: è logico dedurne che essa fosse già longobarda, ma l’intervallo in cui può essere avvenuta la conquista è ampio: 40 anni, che possiamo rischiarare solo con piccoli indizi quali, ad esempio, le cronologie di riferimento dei reperti di Piazza del Duomo, in gran parte compatibili con l’idea di una conquista avvenuta entro il terzo decennio del VII secolo25.
Ammettiamo dunque, come ipotesi di lavoro, che la conquista sia avvenuta entro il 630: chi avrebbe potuto effettuarla? Il duca, insediato nella vicina Lucca o un sovrano?
P.M. Conti, in un articolo che ha avuto un grande consenso tra gli storici, propendeva per una conquista ad opera regia. Basava la sua ipotesi sulla presenza di ampie terre fiscali nel territorio pisano e sul mancato impianto ducale della città: un mezzo, a suo parere, per contenere le ambizioni dei duchi da parte regia ed esercitare un controllo politico-territoriale più stretto26.
La ricerca storica degli ultimi trent’anni ha tuttavia potuto appurare che fare la storia dei duchi longobardi significa in realtà ricostruire, anche e soprattutto, la diversificazione dei gruppi in cui si
da annoverare tra le regioni conquistate dai duchi durante l’interregno, piuttosto che da Alboino come scrive Paolo Diacono.
21 L’episodio pare inserirsi all’interno del conflitto fra l’esarca Smaragdo e l’ex esarca Callinico: così GASPARRI, Il regno longobardo in Italia. Struttura e funzionamento, cit., p. 279. Per un’analisi accurata del testo v. TANGHERONI, Pisa, i
Longobardi, cit.
22 PAOLO DIACONO, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Vicenza 1992, IV, 45, pp. 228-229; per la cronologia v. E.
ZANINI, Le Italie bizantine. Territorio, insediamenti ed economia nella provincia bizantina d’Italia (VI-VIII secolo), Bari 1998, p. 82, nota 240. Sulla Liguria bizantina di fronte ai Longobardi, v. T. S. BROWN, Gentlemen and Officers:
Imperial Administration and Aristocratic Power in Byzantine Italy (AD 554-800), Hertford 1984, p. 43; N. CHRISTIE,
The limes bizantino reviewed: the defence of Liguria, AD 568-643, in «Rivista di Studi Liguri», 55 (1989), pp. 5-38,
alle pp. 8-11; IDEM, Byzantine Liguria: an imperial province against the Longobards, A. D. 568-643, in «Papers of the British School at Rome», LVIII. n.s., XLV(1990), pp. 230-271, alle pp. 233-235; ZANINI, Le Italie bizantine, cit., pp. 49, 234, 239-244.
23 Itineraria Romana, II, Ravennatis Anonymi Cosmographia et Guidonis Geographica, a cura di J. Schnetz, Leipzig
1940 (ed. ster., Stoccarda 1990), IV, 29, p. 66: “Maritima Italorum, quae dicitur Lunensis et Vigintimiliis et ceterarum civitatum. Quae provincia iuxta mare Gallicum confinalis existit”. Sulle fonti del Ravennate vi è ora l’accurato saggio di L. DILLEMANN, La Cosmographie du Ravennate, Bruxelles 1997.
24 Dell’argomento si sono occupati molti studiosi, da più di un trentennio: P.M. CONTI, La iudiciaria longobarda di ‘Maritima’, in «Bollettino Storico Pisano», XL-XLI (1971-1972), pp. 1-5; G. ROSSETTI, Società e istituzioni, cit., pp. 248-252; M.L. CECCARELLI LEMUT, Scarlino: le vicende medievali fino al 1399, in Scarlino, I. Storia e territorio, Ricerche di archeologia altomedievale e medievale, a cura di R. Francovich, 9/10, Firenze 1985, pp. 19-74, alla p. 21; S.
COLLAVINI, “Honorabilis domus et spetiosissimus comitatus”. Gli Aldobrandeschi da “conti” a principi territoriali
(secoli IX-XIII), Pisa 1998, p. 52; G. PRISCO, Castelli e potere nella Maremma grossetana nell’Alto Medioevo, Grosseto 1998, pp. 64. Propongono una spiegazione che a me pare convincente, nel senso indicato nel testo, gli interventi recenti di S. PATITUCCI, Evidenze archeologiche della Provincia Maritima bizantina in Toscana, in Società
multiculturali nei secoli V-IX. Scontri, convivenza, integrazione nel Mediterraneo occidentale, Atti delle VII giornate
di Studio sull’età romano-barbarica, a cura di M. Rotili, Napoli 2001, pp. 191-222 e C. CITTER, E. VACCARO, Le costanti
dell’urbanesimo altomedievale in Toscana (secoli IV-VIII), in III Congresso nazionale di Archeologia Medievale (Salerno, 2-5 ottobre 2003), a cura di R. Fiorillo, P. Peduto, Firenze 2003, pp. 309-313, in particolare alla p. 309, con
integrazione bibliografica. Riprendono entrambi una delle ipotesi prospettate dal Conti, che cioè, i fines maritimenses, testimoniati da alcuni documenti toscani di VIII secolo, avessero tratto la loro designazione “dalla restrizione dell’antica e generale denominazione delle terre rivierasche”: cfr. CONTI, La iudiciaria longobarda, cit., p. 4. Resta ovviamente da definire la natura giuridica di tali fines, come precisa anche Citter, ivi, p. 309. Per le testimonianze v:
Maritima locus, in CDL, II, n. 167, p. 121; finibus Maretima, ivi, n. 203, p. 208; de finibus Maritimae, ivi, n. 223, p.
261.
25 Per tutto questo mi permetto di rinviare all’analisi da me fatta in Pisa nell’Alto Medioevo, cit., alle pp. 496-502. 26 CONTI, Il presunto ducato longobardo, cit., in particolare alle pp. 166-169 e 170.
articolava la classe dirigente e le modalità, variabili e mutevoli, in cui essi si rapportarono, nel tempo, all’azione regale, tendente, certamente, alla loro omologazione in una classe di funzionari fedeli. E dalle ricerche, in particolare, sull’identità etnica della popolazione longobarda e sulle dinamiche complesse messe in atto dalle diverse componenti, che in essa si erano concentrate già prima della discesa in Italia, siano esse storiche27 o archeologiche28, è stato possibile individuare
un processo assai diverso da quello ipotizzato dal Conti, che vede i duchi, soprattutto al tempo della conquista e dell’insediamento in Italia, attori di iniziative contrastanti, frutto, in realtà, di un frazionamento politico preesistente. Ma nella sua sostanza, “il duca longobardo, inteso nel suo significato generale, era una carica derivante dal re”29 e a parte la vicenda dei ducati di Spoleto e di
Benevento, che solo nel corso dell’VIII secolo riconobbero il loro legame con il regno, i ducati dell’Italia centro settentrionale rappresentarono, almeno dalla metà del VII secolo, delle unità circoscrizionali sia politico-militari sia amministrativo-fiscali sotto l’egida, più o meno efficace, del re longobardo30. Non ritengo quindi che si possa oggi ipotizzare una conquista regia di Pisa sulla
base del ragionamento del Conti, il quale peraltro, aveva supposto un’organizzazione giuridico-amministrativa di Pisa pre-longobarda “non provata” dalle evidenze archeologiche attualmente disponibili.
La riteneva infatti aggregata “all’apparato difensivo viciniore” - per usare le sue parole - e cioè “quello versiliese e della Valdera anteriormente, e quello versiliese-carfaniense successivamente, i cui centri erano, secondo lo studioso, a castellum Aghinulfi e a castellum Faolfi, il primo, a
castellum Aghinulfi e a castellum de Carfaniana il secondo31.
27 Sull’argomento vi è ormai una bibliografia ampia e variegata nelle sue conclusioni; ne riporto una selezione
personale, rinviando ai singoli contributi per un eventuale completamento; cfr., da ultimo: D. HARRISON, The early
state and the towns: forms of integration in Lombard Italy, AD 568-774, Lund 1993, pp. 36-53; W. POHL, The Empire and the integration of barbarians e IDEM, The Empire and the Lombards: traties and negotiations in the sixth
century, in Kingdom of the Empire: the integration of barbarians in late Antiquity Lombards, ed. by W. Pohl,
Leiden-Boston, Köln 1997 (The Transformation of the Roman World. European Science Foundation, 1), pp. 1-12, 75-33; S. GASPARRI, Prima delle nazioni. Popoli, etnie e regni fra Antichità e Medioevo, Roma 1997; per gli aspetti di carattere più prettamente socio-politico, v. IDEM, Telling the difference: Signs of ethnic identity e B. POHL-RESL, Legal
practice and ethnic identity in Lombard Italy e D.HARRISON, Political rhetoric and political ideology in Lombard
Italy, tutti e tre in Strategies of Distinction. The Construction of Ethnic Communities, 300-800, edd. by W. Pohl with
Helmut Reimitz, Leiden-Boston, Köln 1998 (The Transformation of the Roman World. European Science Foundation, 2), pp. 17-70, 205-220, 241-254, rispettivamente. Sui processi di acculturazione e/o di etnogenesi v., J. JARNUT, I
Longobardi nell’epoca precedente all’occupazione dell’Italia, in Longobardia, cit., pp. 3-34; P. DELOGU,
Transformation of the Roman World: Reflections on current research, in East and West: Modes of communications. Proceeding of the first Plenary Conference at Merida, edd. by E. Chrysos-I. Wood, Leiden-Boston, Köln 1999 (The
Transformation of the Roman World. European Science Foundation, 5), pp. 243-257, in particolare alle pp. 246-248; altri saggi di W. Pohl raccolti in Le origini antiche dell’Europa. Barbari e romani tra antichità e medioevo, Roma 2000; J. JARNUT, Gens, Rex and Regnum of the Lombards, in Regna and Gentes. The Relationship between Late
Antique and Early Medieval Peoples and Kingdoms in the Transformation of the Roman World, edd. by H.-W. Goetz,
J. Jarnut and W. Pohl, with the collaboration of S. Kaschke, Leiden-Boston, Köln 2003 (The Transformation of the Roman World. European Science Foundation, 13), pp. 409-427.
28 Come sopra, rinvio solo ad alcuni contributi recenti e di discorde posizione: le comunicazioni di C. LA ROCCA, L.
PAROLI, M. RICCI, S. LUSUARDI SIENA, G.P. BROGIOLO, e le Conclusioni di P. DELOGU, in L’Italia centro-settentrionale in
età longobarda, Atti del Convegno (Ascoli Piceno, 6-7 ottobre 1995), a cura di L. Paroli, Firenze 1997, rispettivamente
alle pp. 31-54, 91-112, 239-274, 365-376, 413-424, 425-433; L. PAROLI, La cultura materiale della prima età
longobarda, in Visigoti e Longobardi, Atti del Seminario (Roma 28-29 aprile 1997), a cura di J. Arce e P. Delogu,
Firenze 2001, pp. 257-304; C. LA ROCCA, L’archeologia e i longobardi in Italia. Orientamenti, metodi, linee di ricerca, in Il regno dei Longobardi in Italia. Archeologia, cit., pp. 173-233; ad essi rimando per l’esaustiva bibliografia di riferimento.
29 GASPARRI, I duchi longobardi, cit., pp. 20-28; 20 per la citazione.
30 Per un quadro esauriente dell’evoluzione del potere regale longobardo v. P. DELOGU, Il regno longobardo, in Storia d’Italia, I, UTET, Torino 1980, pp. 3-216, alle pp. 38-44, 58-61; GASPARRI, Il regno longobardo in Italia. Struttura e
funzionamento, cit., pp. 254-262; S. GASPARRI, La regalità longobarda, in Visigoti e Longobardi, cit., pp. 305-328.
31 CONTI, Il presunto ducato longobardo, cit., pp. 160-161, 163-165; seguìto da W. KURZE, Un «falso documento» autentico del vescovo di Pisa. Contributo al problema dei falsi, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il
In realtà i Bizantini scelsero di difendere i loro territori sul mare con una maglia di punti fortificati di altura e sono state riconosciute archeologicamente alcune fortificazioni pre-longobarde dislocate lungo la costa tirrenica32, ma non ma non quelle indicate dal Conti.
Il castellum Aghinulfi (collocato sopra l’odierno abitato di Montignoso, a sud di Massa Carrara), indagato da uno scavo stratigrafico pluriennale e con analisi effettuate al radiocarbonio, non ha evidenziato fasi insediative precedenti allo scorcio finale dell’età longobarda33. Se vi furono, e la
pratica del recupero di fortificazioni più antiche da parte dei Longobardi è stata accertata in molti casi34, esse non sono oggi in alcun modo leggibili, né sulle carte né sul terreno: è pertanto corretto
metodologicamente eliminarle –io ritengo- quale presupposto di ogni possibile ipotesi ricostruttiva.
Quanto al castellum Faolfi, identificato nell’attuale località di Castelfalfi, nell’alta Valdera, vi è la possibilità che l’insediamento possa aver preso il nome da quell’eminente Faolfo, inumato nella necropoli di Chiusi, e rinvenuto con un anello-sigillo datato alla prima età longobarda35. Ma ciò
che mi sembra interessante qui valutare, nell’ambito di quell’eventualità, è l’ipotesi formulata da Giulio Ciampoltrini, sulla base dell’evidenza archeologica, che i toponimi costituiti da un nomen
loci, - sia esso vicus o castellum - e da un antroponimo longobardo, siano nuove fondazioni
longobarde e non rioccupazioni di siti precedentemente bizantini. In questa categoria rientrerebbero infatti, senza forzature, sia i castella Aghinolfi e Faolfi di cui ci stiamo occupando, sia tutta una serie di altri insediamenti dislocati intorno a Lucca che, prima della definitiva conquista della Tuscia da parte longobarda potrebbero avere garantito alla città il confine con la bizantina Luni, la via verso la Padania e quella verso Siena e Chiusi.
Quanto al castellum de Carfaniana, da localizzarsi nell’area dell’attuale Piazza al Serchio, piccoli contesti archeologici di VI-VII secolo rinvenuti sia a Sala, sia sulla vicina altura di Monte Croci, rendono ancora incerta l’esatta ubicazione della fortificazione, ma sono comunque compatibili con un riferimento all’età bizantina e una rioccupazione in età longobarda36.
Rileggiamo, allora, a questo punto, le fonti scritte tardoantiche disponibili:
32 Per un quadro dettagliato dei siti indagati, delle risultanze e della bibliografia v. CHRISTIE, The limes bizantino reviewed, cit.; IDEM, Byzantine Liguria, cit; G. CITTER, L’epigrafe di Orbetello e i Bizantini nell’Etruria marittima fra
Ombrone e Fiora, in «Archeologia Medievale», XX (1993), pp. 617-632; PATITUCCI, Evidenze archeologiche della
Provincia Maritima, cit., pp. 215-216. Sul problema delle frontiere nell’Italia altomedievale, la loro consistenza, la loro
fluttuabilità v. le considerazioni, che condivido, di S. GASPARRI, La frontiera in Italia (sec.VI-VIII). Osservazioni su un
tema controverso, in Città, castelli e campagne nei territori di frontiera, cit., pp. 9-18.
33N. GALLO, Un possibile utilizzo dell’infrarosso nell’analisi dei paramenti murari, in «Archeologia dell’Architettura»
Supplemento ad Archeologia Medievale, I (1996), pp. 75-79; IDEM, Il contributo del radiocarbonio nell’analisi delle
strutture murarie: il castello Aghinolfi di Montignoso (MS), in «Archeologia dell’Architettura», II (1997), pp. 63-71;
IDEM, C14 e archeologia: il problema delle malte, in «Archeologia dell’Architettura», III (1998), pp. 87-88; IDEM, Ricerche archeologiche e archeometriche sul mastio ottogonale di Castello Aghinolfi (MS), in «Archeologia
dell’Architettura», V (2000), pp. 17-23; IDEM, C14 e archeologia del costruito:il caso di Castello Aghinolfi (MS),in
«Archeologia dell’Architettura», VI (2001), pp. 31-35. Per la pertinenza con la curtis regia lucchese v. CONTI, Il
presunto ducato longobardo, cit., p.170.
34 A. SETTIA, Le fortificazioni dei Goti in Italia, Atti del XIII Congresso di Studi sull’Alto Medioevo su Teodorico il Grande e i Goti d’Italia (Milano 1992), Spoleto 1993, p. 102; G. CIAMPOLTRINI, Ville, pievi, castelli: due schede
archeologiche per l’organizzazione del territorio della Toscana nord-occidentale fra tarda antichità e alto medioevo,
in «Archeologia Medievale», XXII(1995), p. 567; A. AUGENTI, Dai castra tardoantichi ai castelli del secolo X: il caso
della Toscana, in Castelli. Storia e archeologia del potere nella Toscana medievale, a cura di R. Francovich e M.
Ginatempo, I, Firenze 2000, p. 32.
35 G. CIAMPOLTRINI, L’anello di Faolfo. Annotazioni sull’insediamento longobardo in Toscana, in «Archeologia
Medievale», XVII (1990), pp. 689-693. Sull’importanza degli anelli-sigillo e sul loro valore simbolico cfr. N. CHRISTIE, I
Longobardi. Storia ed archeologia di un popolo, Oxford 1995, vers. ital. Genova 1997, p. 120. e C. LA ROCCA,
L’archeologia e i Longobardi in Italia. Orientamenti, metodi, linee di ricerca, in Il regno dei Longobardi in Italia, Archeologia, cit., pp. 173-233, alle pp. 218-233.
36 G. CIAMPOLTRINI, Piazza al Serchio (LU): lo scavo dei resti della “Pieve vecchia”. Notizia preliminare, in
«Archeologia Medievale», XI (1984), pp. 297-307; IDEM, L’anello di Faolfo, cit., pp. 690-693; IDEM, Ville, pievi,
Agazia, che registra gli avvenimenti della guerra greco-gotica, e, per ciò che ci riguarda, l’autoconsegna in mano bizantina di alcune polis della Tuscia, enumera Luni, Pisa, Firenze, Volterra, Centumcellae e, appena più tardi, anche Lucca37.
Giorgio di Cipro, che ha lasciato una Descriptio dell’Italia bizantina riconducibile agli ultimi due decenni del VI secolo (coeva quindi ai tempi dell’imperatore Tiberio II, 578-582) elenca, tra i siti della Eparchia Urbicaria: Luni, da nord; un castrum Eourìas, in successione, che Conti ha interpretato come Castrum Versiliae e identificato col noto castello Aghinolfi38; Centumcellae e
Portus Romae, lungo la costa; inoltre, all’interno, un castrum Soréon e infine, un castrum Ilbas.
Studi successivi a quello del Conti hanno offerto individuazioni così discordanti circa il castrum
Eourìas, da non consentire una ragionevole alternativa ma comunque inficiare la proposta dello
studioso ligure39. Quanto poi al castrum Soréon, comunemente localizzato, non solo dal Conti,
nell’attuale area insediativa di Sorano-Filattiera, in Lunigiana, esso non è stato ancora riportato alla luce malgrado un pluriennale scavo stratigrafico40e c’è chi ha ipotizzato sia da collocarsi nella
Tuscia meridionale, in corrispondenza dell’attuale insediamento di Sorano, nel Grossetano41.
Quanto infine al castrum Ilbas, non vi sono riscontri archeologici ancora disponibili, ma la fuga di S. Cerbone all’Elba, negli anni settanta del VI secolo, sembra comunque una testimonianza decisamente confortante ai fini della sua esistenza. Le restanti indagini archeologiche utili per la nostra zona hanno localizzato siti fortificati di VI-VII secolo, oltre a quelli che abbiamo già evidenziato, soltanto a Cosa, Talamonaccio e Poggio Cavolo, nella Tuscia meridionale e a Monte Castello, in Lunigiana42.
Questo dunque il quadro al momento ricomponibile dell’assetto difensivo della Tuscia costiera tra VI-inizi VII secolo. Pisa, come abbiamo visto, non è nell’elenco di Giorgio Ciprio e alcuni studiosi, da Conti ieri a Tangheroni oggi, hanno motivato quest’assenza con la mancata trasformazione della città a insediamento fortificato43. A riscontro della bontà dell’ipotesi vi è la testimonianza
dell’Anonimo Ravennate, il geografo di tardo VII secolo-inizi VIII che, basandosi su fonti a lui anteriori illustra una realtà insediativa incentrata sia sui castra sia sulle civitates, ed enumera una serie di località, tra cui Pisa, disposte lungo l’Aurelia44.
Penso anch’io, alla fine, che Pisa non disponesse allora di fortificazioni affidabili, (fors’anche fidando nella capacità di respingere del suo suolo acquitrinoso45 e nella lontananza del porto
37 AGATHIAS, The Histories, translated with an Introduction by J.D. Frendo, Berlin-New-York 1975 (Corpus Fontium
Historiae Byzantinae, II A, Series Berolinensis), I, 11, 6 e I, 12, 1, p. 19.
38 Georgii Cyprii descriptio orbis romani, a cura di H. Gelzer, Leipzig 1887, pp. 28-29; P.M. CONTI, L’Italia bizantina nella «Descriptio orbis romani» di Giorgio Ciprio, in «Memorie della Accademia Lunigianese di Scienze “Giovanni
Capellini”, vol. XL, 1975, pp. 38-40.
39 Da ultimo, sull’argomento, v. AUGENTI, Dai castra tardoantichi ai castelli, cit., p. 26, nt. 3.
40 Da ultimo: E. GIANNICHEDDA, Filattiera-Sorano:l’insediamento di età romana e tardoantica. Scavi 1986-1995,
Firenze 1998; AUGENTI, Dai castra tardoantichi ai castelli, cit., p. 27.
41 Ivi, p. 26, nt. 5.
42 Per tutto questo e le complesse problematiche ancora aperte: ivi, pp. 26-32.
43 CONTI, Il presunto ducato longobardo, cit., pp. 158-159; IDEM, Osservazioni storiche su alcuni toponimi della regione pisana, in «Bollettino Storico Pisano», XXXIII-XXXV (1964-1966), pp. 82-89; CHRISTIE, The limes bizantino, cit., pp. 8-12, 17-20, 26, 31-32; IDEM, Byzantine Liguria, cit., pp. 233-234, 242: l’autore denuncia la difficoltà di ricostruire l’organizzazione castrale della Liguria orientale nell’età bizantina e individua come siti fortificati Luni e Filattiera, pur ridimensionando l’effettiva portata delle strutture difensive ivi approntate; ZANINI, Le Italie bizantine, cit., pp. 145-154, nota 143, in particolare; TANGHERONI, Pisa, i Longobardi, cit., p. 147, nota 19.
44 Itineraria Romana, II, Ravennatis Anonymi Cosmographia, cit., IV, 32, p. 70 e V, 2, pp. 85-86.
Sui centri con funzioni militari in età tardoantica e sulla bibliografia di riferimento, ampia e controversa, v. tra gli ultimi: G P. BROGIOLO, S. GELICHI, Nuove ricerche sui castelli altomedievali in Italia settentrionale, Firenze 1996, pp. 7-22, 35-39; ZANINI, Le Italie bizantine, cit., pp. 49, 117-120 per lo slittamento terminologico da ‘città’ a castrum; 209-290 per l’evoluzione delle strutture difensive in età bizantina e l’ampia bibliografia di riferimento.
45 A questo probabilmente pensava Marco Tangheroni, allorché riteneva che andassero riprese le osservazioni già fatte
dal Conti sull’importanza dei porti lagunari nell’Alto Medioevo: Pisa, i Longobardi, cit., p. 146, nota 18; sulla validità delle lagune costiere ai fini della resistenza bizantina all’occupazione longobarda accenna anche CHRISTIE, Byzantine Liguria, cit., p. 234. Sulla modestia delle fortificazioni nei secoli VI-VIII, e soprattutto sulla predilezione per i confini
naturali, peraltro contrassegnati da “una forte compenetrazione umana, territoriale ed economica”, v. GASPARRI, La
frontiera in Italia, cit., p. 16 per la citazione. Sulla permeabilità della frontiera bizantina, che assume spesso una
marittimo dall’insediamento urbano) e per questo già qualche decennio prima si fosse consegnata nelle mani di Narsete46. Era verosimilmente un luogo di riferimento ancora significativo dal punto
di vista marittimo-portuale, in grado di gestire, attraverso una pluralità di scali marittimi una superstite rete di traffici, ma aveva alle spalle una città già degradata, come le sepolture in ambito urbano e l’avvenuto tracollo del porto fluviale di S. Rossore sembrano indicare47.
E allora: quando e come, è finita in mano longobarda? Ritengo nei primissimi anni del VII secolo, durante il regno di Agilulfo, dopo che i duchi di Lucca e di Chiusi con l’occupazione delle terre da Populonia a Sovana a Roselle, avevano privato Pisa di ogni sostegno navale e logistico che potesse arrivarle da sud48 e il completamento della conquista dell’Italia centrale da parte regia aveva
precluso, a lei e anche a Luni, ogni possibile collegamento con il retroterra Appenninico49.
L’eccessiva vicinanza di Lucca e la facilità di percorrenza delle vie d’acqua interne devono avere inoltre consentito una pressione forte, continua e ravvicinata sulla nostra città e mi pare possibile che una comunità abituata a muoversi più per mare che per terra, abbia in qualche modo scelto e concordato la sua resa, come già ai tempi di Narsete50: la potenzialità marittima può essere stata la
vera merce di scambio con una gens che, giustappunto ai tempi di Agilulfo, mostra di avere acquisito la capacità di costruire imbarcazioni e di sapersi muovere sull’acqua in caso di necessità51.
Il silenzio delle fonti mi sembra indizio di un’annessione ducale piuttosto che regia, ma ho presente e faccio mia l’opinione di Gasparri secondo cui, a quella data, il potere ducale era ormai generalmente controllato, con pochissime eccezioni, da quello regio e soprattutto se ad esercitarlo era un sovrano della statura e della linea politica di Agilulfo, caratterizzata dall’accentuazione di tratti romanizzanti della regalità e dalla rivendicazione di sovranità su tutta la penisola52.
Un ulteriore indizio a favore di un’annessione ducale, potrebbe essere la drastica contrazione territoriale subita dalla diocesi pisana in età longobarda, proprio nel suo confine nord-occidentale e a esclusivo vantaggio di quella lucchese53.
E, da ultimo, mi sembrano significative chiavi di lettura per le modalità della conquista, l’esercizio della giurisdizione fino ai lidi del mare da parte del duca Allone, che si evince con grande chiarezza
46 AGATHIAS, The Histories, cit., I, 11, 6, p. 19.
47 S. BRUNI, Il porto urbano di Pisae e i relitti del complesso ferroviario di “Pisa San Rossore”, E. ABELA, Anfore africane di età tarda, D. STIAFFINI, Vetri, tutti e tre in Le navi antiche di Pisa. Ad un anno dall’inizio delle ricerche, a
cura di S. Bruni, Firenze 2000, rispettivamente alle pp. 21-79, p. 33 in particolare; pp. 154-160; pp. 264-289.
48 Cfr. KURZE, CITTER, La Toscana, cit. pp. 166.
49 PAOLO DIACONO, Storia dei Longobardi, cit., IV, 8, pp. 186-187. Per un’analisi articolata delle fasi della conquista e
della politica forte ed accentratrice di Agilulfo, v. P. DELOGU, Longobardi e Romani, cit., pp. 105-111, 117-119, 153-158, 160.
50 AGATHIAS, The Histories, cit., I, 11, 6, p. 19.
51 L’ipotesi di un “ingresso patteggiato (…) nel regno” è in GASPARRI, Il regno longobardo in Italia. Struttura e funzionamento, cit., p. 279; e lo riteneva possibile anche Tangheroni, sulla base delle analisi già fatte dal Conti:
TANGHERONI, Pisa, i Longobardi, cit., p. 149, nota 26; del resto già Volpe aveva supposto “una lenta immigrazione” longobarda nella città tirrenica piuttosto che una conquista: ivi, pp. 147-148. Per la dimestichezza con navi e navigazione da parte dei re longobardi, v. PAOLO DIACONO, Storia dei Longobardi, cit., IV, 3, pp. 148-151 e IV, 20, pp.
198-199. In merito all’attenzione “particolare” avuta dai Longobardi nei confronti della Sardegna, v. le considerazioni in ZANINI, Le Italie bizantine, cit., p. 86 e in TANGHERONI, Pisa i Longobardi, cit., pp. 153-161.
52 Cfr. GASPARRI, I duchi longobardi, cit., p. 23; P.M. CONTI, La Tuscia e i suoi ordinamenti territoriali nell’alto medioevo, in Atti del V Congresso Internazionale di Studi sull'alto medioevo, cit., pp. 61-116, alle pp. 102-103;
DELOGU, Longobardi e Romani, cit., pp. 105- 111; GASPARRI, La regalità longobarda, cit., pp. 312-315.
53 Per i confini della diocesi, il riferimento alle fonti e la bibliografia disponibile v., da ultimo: S. SODI, La diocesi di Pisa dalle origini all’alto medioevo, in Nel IX Centenario della metropoli ecclesiastica di Pisa, Atti del Convegno di
Studi (Pisa, 7-8 maggio 1992), Pisa 1995, pp. 45-57, che reputa la riduzione avvenuta nei decenni anteriori alla conquista; M.L. CECCARELLI LEMUT, S. SODI, Un « falso documento» falso, in «Quaderni Storici», n.s., 93, a. XXXI, n.3,
dicembre1996, pp. 607-630; M.L. CECCARELLI LEMUT, S. SODI, Per una riconsiderazione dell’evangelizzazione della
Tuscia: La Chiesa pisana dalle origini all’età carolingia, in «Rivista della Chiesa in Italia», I (1996), pp. 9-56; per gli exclaves v. M.L. CECCARELLI LEMUT, Il Valdiserchio, in La pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, pp. 228-240, alle pp. 228, 232-238 e fonti e bibliografia di riferimento; M.L. CECCARELLI LEMUT, S. SODI, La natura e l’uomo nelle valli dell’Auser e del Serchio in età medievale, in «Archivio
dalla lettera di papa Adriano I a Carlo Magno54 e, soprattutto, la successiva organizzazione
territoriale della Tuscia. È stato scritto che le fonti consentono di assistere, nel periodo longobardo, alla “fase incoativa (…) del processo di costruzione di un ducato regionale (…), un processo evolutivo guidato dalla monarchia” a conforto di “un’egemonia politica chiara e indiscutibile, esercitata dal duca di Lucca”55. Aggiungo e sottolineo il ruolo determinante dell’ars
navigandi, tenacemente conservata dalla città tirrenica nell’età tardoantica, che le consentì di
mettere a disposizione della nuova classe dominante consolidati approdi e un prezioso know-how: i documenti testimoniano infatti un’apprezzabile crescita della civitas pisana nel corso dell’VIII secolo56 e la presenza nel suo territorio - e specialmente nel Valdiserchio - di vasti beni pubblici in
mano a viri devoti, a fideles regis “che per la loro attività, funzione o condizione erano in diretto rapporto col sovrano”57.
Si tratta di carte ben conosciute, di cui vorrei sottolineare soltanto una particolarità:
- Lo Schiaparelli ha segnalato, in un articolo del 1924, il rinvenimento di una memoria su un “Orazionale Mozarabico” conservato nella Biblioteca Capitolare di Verona: si tratta del più antico manoscritto noto in scrittura visigotica e risale al principio del secolo VIII58. Un’annotazione
registra la firma di “Maurezo canevarius”, fideiussore per un’anfora di vino “de bonelli, in XX anno Liutprandi regis” e il personaggio fu a ragione identificato dallo stesso Schiaparelli con quel Maurizio canavarius regis che in un atto di vendita del luglio 730, rogato a Pisa59, acquistò da due
fratelli, una terra “de fivvadia” da loro detenuta con “aliis coliverti” ad Arena, in Val di Serchio60.
Si trattava di terreni appartenenti al patrimonio fiscale regio, in questo caso pascoli comuni61, che
generalmente venivano ceduti come appannaggi temporanei legati all’esercizio di una carica o alla remunerazione di un servizio62. Il documento è interessante sotto molti aspetti: non ultimo, la
gestione del publicum pisanum da parte di un funzionario - come il nostro Maurizio - il cui ufficio di responsabile dei magazzini reali trova un corrispettivo solo nell’ambito della curtis di Pavia63.
Insomma, un amministratore un po’ speciale, che in quegli anni dimorava a Pisa, e che ebbe la possibilità di accedere al codice e di apporvi la sua firma: secondo l’analisi paleografica dello Schiaparelli, il manoscritto, di provenienza spagnola (Tarragona o Toledo), sarebbe transitato per Cagliari e approdato a Pisa, probabilmente in occasione di quella missione, voluta da Liutprando, per recuperare le reliquie di S. Agostino minacciate dalle incursioni saracene64. La ricerca più
recente ha messo in relazione la ‘memoria’ con altre “note avventizie fra loro simili in un preciso gruppo di manoscritti di origine spagnola che conta i più antichi esempi di minuscola visigotica” e sembra rinviare alla “presenza fisica di ecclesiastici spagnoli e dei loro libri”, in Borgogna e
54 ROSSETTI, Società e istituzioni, cit., p. 226.
55 Per tutto questo v. GASPARRI, Il regno longobardo in Italia. Struttura e funzionamento, cit., p. 298, da cui sono
tratte anche le citazioni.
56 Mi permetto di rinviare a quanto già scritto in RENZI RIZZO, Pisa e il mare nell’Alto Medioevo, cit.
57 Cfr. P. M. CONTI, “Devotio” e “Viri Devoti” in Italia da Diocleziano ai Carolingi, Padova 1971, p. 205, da cui è tratta
la citazione e il più recente HARRISON, The early state, cit., pp. 168-169.
58 L. SCHIAPARELLI, Sulla data e provenienza del cod. LXXXIX della Biblioteca Capitolare di Verona (l’Orazionale Mozarabico), in «Archivio Storico Italiano», LXXXII (1924), I, pp. 106-117.
59 Codice Diplomatico Longobardo, I, cit., n. 49, pp. 161-163.
60 GASPARRI, Il regno longobardo in Italia. Struttura e funzionamento, cit., p. 291, in questo senso; di recente è stata
ribadita l’identificazione da A. PETRUCCI, C. ROMEO, L’orazionale visigotico di Verona: aggiunte avventizie,
indovinello grafico, tagli maffeiani, in «Scrittura e civiltà», XXII (1998), pp. 13-30, alle pp. 23-24.
61 Cfr. W. BRUCKNER, Die Sprache der Langobarden, Strassburg 1895, p. 204 per la traduzione e interpretazione del
vocabolo fivvadia, testimoniato solo nella fonte citata alla nota 43.
62 GASPARRI, Il regno longobardo in Italia. Struttura e funzionamento, cit., pp. 261-262.
63 Sulla corte pavese, affollata dai personaggi più diversi: canavarii, medici, gastaldi, duchi, ecc…cfr. S. GASPARRI, Pavia longobarda, in Storia di Pavia, II, Milano 1987, pp. 19-65, alla p. 53; HARRISON, The early state, cit., p.190, nota 66; M. ASCHERI, Istituzioni medievali, Urbino 1995, p. 105.
64 PAOLO DIACONO, Storia dei Longobardi, cit., VI, 48, pp. 348-349; Ekkeardi Cronicon Universale, in MGH, Scriptores, VI, ed. G. Pertz, Hannoverae 1844 (rist. anast. Stuttgart-New York 1963), p. 157. Sull’episodio v. le
considerazioni e la più recente bibliografia di riferimento in C. ZEDDA, Bisanzio, l’Islam e i Giudicati: la Sardegna e il
nell’Italia centro-occidentale del secolo VIII65: un fenomeno paleografico complesso che riguarda
la trasmissione, la diffusione e lo studio di testi e autori spagnoli, ma anche raccolte liturgiche e canoniche e investe alcune aree specifiche della cultura europea altomedievale, come Lucca e, appunto, la Spagna e la Borgogna, cioè due paesi che si affacciano su quel Mediterraneo occidentale su cui Pisa ebbe modo di realizzare le vicende importanti testimoniate dalle fonti già nei primi decenni del IX secolo66.
È uno scenario affascinante e possibile, quello suggerito, seppure indirettamente, dai documenti disponibili: di cui non possediamo prove ma solo indizi consistenti che evocano scambi culturali e precocità, veicolati dalla navigazione nel Mediterraneo occidentale.
Ciò che appare significativo, in qualunque direzione vada la ricerca, è il ruolo nodale giocato dall’attività portuale di Pisa nei confronti della dirigenza longobarda, sia a livello ducale sia regio. Era un ruolo che si esplicava all’interno di un rapporto di subordinazione giuridico-amministrativa in entrambi i casi, ma che consentì la ripresa e la progressiva crescita della città tirrenica: come appare chiaramente, pur dai pochi documenti di VIII secolo, Pisa si presenta alla vigilia della conquista franca, con una marcata fisionomia economico-politica, di cui è segno ulteriore, visibile e importante, la capacità di monetazione autonoma da essa raggiunta, al pari della vicina città ducale67.
65 Per tutto questo v. A. PETRUCCI, C. ROMEO, Scriptores in urbibus: alfabetismo e cultura scritta nell’Italia altomedievale, Bologna 1992, pp. 109-125, alle pp. 110-111, 113; IIDEM, L’orazionale visigotico di Verona, cit., pp. 29-30, nota 53 per la citazione e il rinvio all’interessante R.E. REYNOLDS, Visigothic-script remains a Pandect Bible and
the “Collectio Canonum Hispana” in Lucca, in «Mediaeval Studies», LVIII (1996), pp. 305-311.
66 Mi riferisco all’impresa significativa compiuta da una piccola flotta “toscana”, guidata dal conte Bonifacio II di
Lucca, nell’anno 828; navigando dapprima alla volta della Sardegna, egli arruolò marinai esperti di quella rotta e quindi, sbarcando tra Utica e Cartagine, aggredì il nemico e fece un ingente bottino: Annales Regni Francorum, qui
dicuntur Annales Laurissenses Maiores et Einhardi, post editionem G.H. Pertzii recognovit F. Kurze, in MGH, Scriptores Rerum Germanicarum in usum scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis separatim editi, VI,
Hannoverae 1895 (rist. anast. 1950), p. 176.
67 Sul significato economico della monetazione longobarda in generale e di quella toscana in particolare v. le
considerazioni di HARRISON, The early state, cit., pp. 119-123, e di A. ROVELLI, La moneta nell’Italia longobarda: