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Confronto delle prestazioni su banchi a risonanza per prove di fatica e sviluppo di sistemi di controllo integrati per il monitoraggio del comportamento dei campioni in prova

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Academic year: 2021

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Tesi di laurea

Candidato:

Giovanni Palazzese

Relatori:

Prof.ssa Paola Forte Prof. Ciro Santus Prof. Marco Gabiccini Cristiano Mannucci

Confronto delle prestazioni su banchi a

risonanza per prove di fatica e sviluppo di sistemi

di controllo integrati per il monitoraggio del

comportamento dei campioni in prova

Sessione di Laurea del 06/06/2014

Archivio tesi Laurea Specialistica in Ingegneria dell’Automazione Anno accademico 2013/2014

(2)

Sommario

La tesi è stata svolta in collaborazione con Continental Automotive S.p.A. (Conti PSA) presso la sede di S. Piero a Grado (PI) per il periodo dal 16/12/2013 al 06/06/2014 e tratta una campagna di prove a fatica su componenti di iniettori, per la precisione sul sotto-componente sede. L'analisi sperimentale è stata ef-fettuata su una macchina di fatica in risonanza (RFM) Rumul Mikrotron 20kN ed ha previsto uno studio sulla resistenza a fatica di questi componenti a sol-lecitazioni alternate in compressione. L'obiettivo di questa tesi è stato eettuare una correlazione funzionale con altre macchine simili utilizzate in precedenza per questo tipo di test, e generare ussi operativi che permettano l'azionamento della macchina anche da parte di operatori inesperti.

Inoltre è stata migliorata la conoscenza della macchina e lo svolgimento dei test che sono stati rivolti principalmente alla conferma dei risultati ottenuti dalle prove svolte dalle università di Pisa (UNIPI) e Trento (UNITN) sulla medesima macchina ed all'accumulo di un'importante quantità di dati.

Abstract

This work has been developed in cooperation with Continental Automotive S.p.A. (Conti PSA) in the plant of S. Piero a Grado (PI) for the period of time from 16/12/2013 to 06/06/2014 and is about a series of fatigue tests on injector's com-ponents, such as the seat. The experimental analysis was made on a Resonance Fatigue Machine (RFM) Rumul Mikrotron 20kN and it was focused on the fatigue life of those components, tested with oscillating loads in compression. The tar-get of this thesis has been to perform a functional correlation with other similar machines previously used for this type of test, and generate operating ows that allow even inexperienced operators to operate the machine.

Furthermore, has been improved the knowledge of the machine, and all the tests was designed essentially to conrm the results obtained from the tests carried out by the universities of Pisa (UNIPI) and Trento (UNITN) on the same machine.

(3)

1.3.3 Team Validation . . . 23

2 Introduzione alla fatica 26 2.1 Concetti di base . . . 26

2.2 Le curve S-N . . . 29

2.2.1 I cicli temporali di sollecitazione . . . 32

2.2.2 Il rapporto nominale di ciclo R . . . 34

2.3 Fattori che inuenzano le curve S-N . . . 35

2.3.1 Dimensione e direzione del grano . . . 35

2.3.2 Tensioni residue . . . 36

2.3.3 Temperatura . . . 38

2.3.4 Corrosione . . . 39

2.4 Eetto della tensione media . . . 40

3 Hardware per prove a fatica 43 3.1 Macchina a fatica in risonanza RUMUL Mikrotron 20 kN . . . 43

3.1.1 Generalità sulla RUMUL Mikrotron 20 kN . . . 44

3.1.2 Descrizione del funzionamento della RUMUL Mikrotron 20 kN . . . 46

3.1.3 Software di controllo RUMUL . . . 50

(4)

3.2 Componenti testati . . . 50

3.2.1 Sedi di iniettori . . . 50

3.2.2 Stop choc . . . 52

3.3 Fixture utilizzate sulla RUMUL Mikrotron 20 kN . . . 52

3.3.1 Fixture per i test su sedi di iniettori . . . 53

3.3.2 Fixture per i test su stop choc . . . 55

3.4 Procedura per l'accensione e montaggio\smontaggio di pezzi . . . 56

3.4.1 Accensione della macchina . . . 56

3.4.2 Smontaggio xture sulla macchina . . . 58

3.4.3 Montaggio xture sulla macchina . . . 61

3.5 Procedura di avvio di una generica prova . . . 63

3.5.1 Chiusura, salvataggio e creazione nuovo test . . . 64

3.5.2 Avvio di un nuovo test . . . 67

3.6 Test Setup . . . 70

4 Esperimenti eettuati 71 4.1 Tipologie di prove eettuate . . . 71

4.1.1 Test Staircase . . . 72

4.1.2 Test su n livelli di carico . . . 74

4.1.3 Determinazione parametro di stop macchina, delta frequency 75 4.2 Test svolti dall'università di Trento . . . 76

4.2.1 Staircase 10Mio su sedi design 1 cliente 1 dell'università di Trento . . . 77

4.2.2 Staircase 1Mio su sedi design 1 cliente 1 dell'università di Trento . . . 78

4.2.3 Test su 4 livelli di carico su sedi design 1 cliente 1 dell'uni-versità di Trento . . . 79

4.3 Staircase 10Mio . . . 81

4.4 Staircase 1Mio . . . 85

4.5 Test su 4 livelli di carico . . . 88

4.6 Staircase 1Mio con xture di UNITN . . . 91

4.7 Test su 4 livelli di carico con xture di UNITN . . . 95

4.8 Test su 5 livelli di carico . . . 98

4.9 Test su Stop choc . . . 106

(5)

1.7 Stabilimento di Fauglia, veduta esterna. . . 16

1.8 Continental Automotive, eventi principali della storia dello stabil-imento pisano. . . 18

1.9 Continental Automotive, prodotti principali dello stabilimento pisano. 19 1.10 Iniettori SDI e PDI, veduta esterna. . . 19

1.11 Esempi di iniettori bottom feed e top feed. . . 21

1.12 Fuel rail, schema di asseblaggio. . . 22

1.13 Fuel rail, esempi per applicazioni in bassa pressione e in alta pres-sione. . . 23

1.14 Collocazione del Team Validation nell'organigramma aziendale. . 24

2.1 Bande di scorrimento [6]. . . 28

2.2 Supercie di rottura. . . 29

2.3 Curve S-N generalizzata per un acciaio. . . 31

2.4 Possibili cicli di sollecitazione. . . 33

2.5 Denizione del rapporto di ciclo R in una sollecitazione ad ampiezza costante. . . 35

2.6 Eetto della dimensione del grano per una lega di alluminio. . . 36

2.7 Eetto dei trattamenti superciali su un acciaio. . . 38

(6)

2.8 Eetto della temperatura su una lega di alluminio. . . 39

2.9 Eetto della corrosione su un acciaio. . . 40

2.10 Inuenza della tensione media. . . 42

3.1 RUMUL Mikrotron 20kN. . . 44

3.2 Comparazione costi RUMUL. . . 46

3.3 Schema semplicativo RUMUL Mikrotron 20kN. . . 47

3.4 Modalità di risonanza. . . 48

3.5 Frequenze di funzionamento. . . 49

3.6 Sedi, schema. . . 51

3.7 Fixture per RUMUL Mikrotron 20kN. . . 52

3.8 Fixture per il test delle sedi. . . 54

3.9 Portasede, schema. . . 55

3.10 Fixture per Stop choc. . . 56

3.11 Accensione Macchina. . . 57

3.12 Tasto READY. . . 57

3.13 Remote Control. . . 58

3.14 Blocco superiore. . . 59

3.15 Blocco superiore. . . 59

3.16 Rimozione battente superiore. . . 60

3.17 Blocco inferiore. . . 60

3.18 Rimozione battente inferiore. . . 61

3.19 Rimozione coupling inferiore. . . 61

3.20 Montaggio coupling inferiore. . . 62

3.21 Montaggio blocco superiore. . . 62

3.22 Montaggio e allineamento blocco superiore. . . 63

3.23 Stato del campione. . . 64

3.24 Chiusura progetto. . . 64

3.25 Caricamento progetto. . . 65

3.26 Scelta del progetto da caricare. . . 65

3.27 Selezione del test. . . 66

3.28 Creazione di un nuovo test. . . 66

3.29 Rinominazione del test. . . 67

3.30 Avvio del carico statico. . . 68

(7)

4.7 Staircase 1Mio. . . 86

4.8 Confronto Staircase 1Mio. . . 87

4.9 Interpolazione Staircase 1-10Mio. . . 88

4.10 Confronto curve SN Test 4 livelli di carico. . . 90

4.11 Supporto per la sede. . . 92

4.12 Staircase 1Mio Fixture UNITN. . . 93

4.13 Confronto Staircase 1Mio utilizzando lo stesso portasede. . . 94

4.14 Confronto tra gli staircase. . . 94

4.15 Confronto tra curve SN, Test 4 livelli di carico utilizzando lo stesso portasede di UNITN. . . 97

4.16 Confronto tra curve SN, Test 4 livelli di carico. . . 98

4.17 Confronto curve SN, Test 5 livelli di carico. . . 101

4.18 Confronto curve SN, interpolazione dei tratti S1S4e S4S5. . . 102

4.19 Calcolo della dispersione. . . 104

4.20 Confronto tratto S4S5 con tratto Staircase1-10Mio. . . 105

4.21 Comportamento frequenzione dello Stop Choc. . . 106

4.22 Curva SN Stop Choc. . . 108 4.23 Confronto tra curve SN di design 1 cliente 1 e design 2 cliente 2. 111

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Elenco delle tabelle

3.1 Legenda di Fig. 3.3. . . 47

4.1 Risultati delle prove con metodo Staircase 10Mio di UNITN. . . . 78

4.2 Risultati delle prove con metodo Staircase 1Mio di UNITN. . . . 79

4.3 Risultati delle prove con metodo 4 livelli di carico di UNITN. . . 80

4.4 Valor medio e std del numero di cicli a rottura metodo 4 livelli di carico di UNITN. . . 80

4.5 Risultati delle prove con metodo Staircase 10Mio. . . 82

4.6 Risultati delle prove con metodo Staircase 1Mio. . . 87

4.7 Risultati delle prove con metodo 4 livelli di carico. . . 89

4.8 Valor medio e std del numero di cicli a rottura metodo 4 livelli di carico. . . 90

4.9 Risultati delle prove con metodo Staircase 1Mio con Fixture UNITN. 93 4.10 Risultati delle prove con metodo 4 livelli di carico con xture UNITN. 96 4.11 Valor medio e std del numero di cicli a rottura con xture UNITN. 96 4.12 Risultati delle prove con metodo 5 livelli di carico. . . 100

4.13 Valor medio e std del numero di cicli a rottura. . . 100

4.14 Pendenze curve SN. . . 103

4.15 Pendenze curve SN. . . 105

4.16 Risultati delle prove con metodo 3 livelli di carico per Stop Choc. 107 4.17 Valor medio e std del numero di cicli a rottura per Stop Choc. . 108

4.18 Risultati delle prove con metodo 5 livelli di carico. . . 110

4.19 Valor medio e std del numero di cicli a rottura. . . 110

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Storicamente scoperta e studiata come fenomeno prettamente metallurgico (quindi nell'ambito dei materiali metallici), in seguito il termine "fatica" è stato usato anche per le altre classi di materiali, come i materiali polimerici o i materiali ceramici.

La fatica è il fenomeno responsabile della grande maggioranza dei cedimenti in esercizio di organi di macchine (oltre il 90%)[4].

Nel primo capitolo sono riassunte alcune nozioni sull'azienda Continental, azienda leader nel settore Automotive in tutto il mondo, nel paragrafo 1.1 si riportano i principali dati dell'azienda, le varie suddivisioni interne per la sem-plicazione delle informazioni ed inne le varie sedi del mondo su cui opera, nel paragrafo 1.2 si approfondisce l'aspetto legato alla sede di Pisa ed illustra ab-bastanza schematicamente le tappe dell'evoluzione della sua fondazione ai giorni nostri, nel paragrafo 1.3 sono riportati i prodotti realizzati nello stabilimento pisano di Continental, cioè iniettori e fuel rails per sistemi di iniezione diretta e indiretta ad alta e bassa pressione per motori a benzina.

Nel secondo capitolo è riportata una descrizione dei concetti fondamentali dei test di fatica, necessari per capire le analisi fatte nei capitoli successivi e tutte le immagini di questo lavoro di tesi,il paragrafo 2.1 riporta i concetti teorici di base delle prove di fatica, la storia, la loro utilità ed inne una breve

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tazione degli stadi che attraversa un generico campione sottoposto ad una verica qualsiasi di fatica, nel paragrafo 2.2 sono descritte le curve SN o di Wölher, un mezzo potente e veloce per confrontare le varie tipologie di metalli. Sono inoltre elencate tutte le varie sollecitazioni con le quali è possibile testare un campione, nel paragrafo 2.3 sono riportati i principali fattori che inuenza il tracciamento delle curve menzionate di sopra, nel paragrafo 2.4 viene fatta luce sull'eetto che la tensione media di sollecitazione può dare quando si va a tracciare il graco SN. Nel terzo capitolo vengono riassunte tutte le componenti hardware utilizzate nel periodo di svolgimento del tirocinio, il paragrafo 3.1 descrive le caratteristiche della macchina a fatica in risonanza che è stata utilizzata durante le prove svolte presso lo stabilimento di S. Piero a Grado, inoltre sono accennate le potenzialità del suo software di controllo, nel paragrafo 3.2 sono riportati gli schemi dei com-ponenti testati, il paragrafo 3.3 riguarda la descrizione delle xture utilizzate per testare i componenti degli iniettori sulla macchina RFM, nel paragrafo 3.4 è de-scritta la procedura per l'accensione della macchina, il montaggio e lo smontaggio delle xture, nel paragrafo 3.5 è riportata invece, la procedura per l'avvio di una nuova prova, la chiusura e il salvataggio di un progetto, nel paragrafo 3.6 sono mostrati i setup nali per le varie prove.

Nel quarto capitolo vengono elencati tutti i test eettuati nel periodo di del tirocinio, nel paragrafo 4.1 si riportano le varie tipologie di test eettuati, il para-grafo 4.2 raccoglie i risultati dei vari test eettuati a Trento, nel parapara-grafo 4.3 sono riportati i risultati dello staircase su 10Mio di cicli su sedi design 1 cliente 1, nel paragrafo 4.4 sono riportati i risultati dello staircase su 1Mio di cicli su sedi design 1 cliente 1, nel paragrafo 4.5 ci sono i dati e le curve SN del tese su 4 livelli di carichi su su sedi design 1 cliente 1, nel paragrafo 4.6 e 4.7 sono riportati i risultati ed i confronti con le precedenti prove eettuate nel paragrafo 4.4 e 4.5, il paragrafo 4.8 è un'estensione del test descritto nella sezione 4.5 con lo scopo di abbassare il carico per avere un nuovo punto sulla curva SN del componente, è stato fatto anche un test sul componente stop choc, riportato nel paragrafo 4.9, nel paragrafo 4.10 sono riportati i risultati e le curve SN dell'ultima generazione di sedi, il design 2.

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su cui opera.

Nello specico, nel paragrafo 1.2 si approfondisce l'aspetto legato alla sede di Pisa ed illustra abbastanza schematicamente le tappe dell'evoluzione della sua fondazione ai giorni nostri.

Nel paragrafo 1.3 sono riportati i prodotti realizzati nello stabilimento pisano di Continental, cioè iniettori e fuel rails per sistemi di iniezione diretta e indiretta ad alta e bassa pressione per motori a benzina.

1.1 Cenni sull'azienda

Il periodo di tirocinio ed il lavoro di tesi si sono svolti presso la Continental Au-tomotive, divisione della Continental Corporation, azienda presente sul mercato da 140 anni nella produzione di componenti elettrici e meccanici per il comparto automobilistico, con oltre 250 stabilimenti adibiti alla produzione e alla ricerca e sviluppo collocati in 46 paesi nel mondo.

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Figura 1.1: Continental Corporation, settori di riferimento.

Il gruppo Automotive (come evidenziato dal riquadro verde nella Fig. 1.1) si occupa dello sviluppo di diversi componenti inseriti nel sistema automobile, tra i quali il telaio, il sistema frenante, il motore, il sistema di trasmissione e il sistema di alimentazione.

La divisione Powertrain è impegnata nello sviluppo di sistemi di guida e-cienti ed innovativi; la vision è basata sul motto della Clean Power, che si re-alizza rendendo gli autoveicoli più ecocompatibili e assicurando una guida più confortevole.

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Figura 1.2: Continental Corporation, struttura della divisione Automotive. La Business Unit Engine Systems (evidenziata in Fig. 1.2 con un riquadro rosso) è leader mondiale nella realizzazione di sistemi di iniezione piezoelettrica e nelle unità di controllo del motore per veicoli commerciali; la vasta gamma di prodotti comprende principalmente i componenti per sistemi di iniezione a benzina e diesel, assieme ad altri componenti fondamentali per i sistemi motore degli autoveicoli.

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I siti produttivi del ramo Engine Systems sono dislocati in tutto il mondo per rispondere al meglio alle esigenze dei diversi clienti. In particolare, oltre agli stabilimenti tedeschi, i principali si trovano nelle seguenti località:

ˆ Pisa, rivolta principalmente al mercato europeo e lead plant per la proget-tazione e produzione sistemi di iniezione diretta in benzina (un dettaglio dei sistemi e componenti sviluppati e prodotti è evidenziato in celeste nella Fig. 1.3).

ˆ Newport News, Virginia (USA): punto di riferimento per il mercato Nord e Sud americano.

ˆ Chang-Chun (Cina) e Amata City (Tailandia): stabilimenti nati per rispon-dere alle richieste del sempre più vasto mercato asiatico [1, 2].

Figura 1.4: Distribuzione geograca degli stabilimenti Continental.

1.2 Continental Automotive, sede di Pisa

La sede di Pisa della Continental Automotive fa capo alla divisione Engine Sys-tems e si occupa della progettazione e produzione di componenti del sistema di

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Figura 1.5: Continental Automotive, clienti principali.

Continental opera sul territorio pisano attraverso due stabilimenti:

ˆ San Piero a Grado (Fig. 1.6); stabilimento nato nel 1987 nel quale avviene la produzione degli iniettori ad alta pressione per motori benzina ad iniezione diretta.

ˆ Fauglia (Fig. 1.7); stabilimento nato nel 1996 nel quale avviene la pro-duzione di iniettori a bassa pressione per motori benzina ad iniezione indi-retta.

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Figura 1.6: Stabilimento di San Piero a Grado, veduta esterna.

Figura 1.7: Stabilimento di Fauglia, veduta esterna.

Il gruppo Continental ha rilevato gli stabilimenti di San Piero a Grado e Fauglia all'inizio del 2008, quando erano di proprietà della Siemens Automotive. L'ingres-so di Siemens in Italia avviene con la costruzione del sito di San Piero nel 1987 da parte della Ventec, società del gruppo Alfa Romeo specializzata nella realizzazione di componentistica per automobili, con l'obiettivo di sviluppare e produrre elet-troiniettori a benzina. Nel 1988 viene aggiunto il know-how della Bendix Elec-tronics, società americana, con sede a Newport News in Virginia, specializzata nella realizzazione del DEKA I, un particolare tipo di elettroiniettore.

Le conoscenze ed esperienze acquisite nel campo fanno prendere a Siemens la decisione di lanciare in Italia la produzione di un nuovo elettroiniettore bot-tom feed (con alimentazione dal basso) che viene chiamato DEKA II. Il 1989 è l'anno in cui, grazie a questa scelta, lo stabilimento di San Piero viene dotato delle strutture e delle attrezzature necessarie alla produzione su larga scala di questi componenti; l'innovazione principale risiede nell'installazione delle Clean

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9000 / ISO 9000; la Siemens diventa la prima azienda in Italia ad ottenere questa certicazione di qualità, allineandosi alle richieste delle 3 maggiori case automo-bilistiche americane: Chrysler, Ford e General Motors. Nel 1999 Siemens ottiene anche la certicazione ISO 14000 per il sistema di gestione ambientale.

Nel 2000 viene avviata la produzione di una famiglia evoluta di elettroiniettori, i DEKA IV ed è già avviato il progetto di un nuovo tipo di iniettori ad alta pressione denominati HPDI (High Pressure Direct Injection).

Alla ne degli anni '90, l'unione delle associazioni dei costruttori di auto-mobili europei ed americani (IAFT  International Automotive Task Force) ha redatto una specica tecnica che viene accettata come equivalente internazionale alle diverse certicazioni nazionali in campo automobilistico, venendo denominata ISO/TS; Siemens ottiene la suddetta certicazione nel 2001, contemporaneamente al trasferimento da Newport News a Pisa della produzione di un tipo di iniettore a solenoide di nuova generazione, chiamato XL1. Nel frattempo viene avviato lo sviluppo del Piezo, una nuova tecnologia per iniettori ad alta pressione basata su materiali piezoelettrici comandati elettricamente, in sostituzione dell'azionamento elettromagnetico a solenoide; l'iniettore piezoelettrico verrà messo in produzione nel 2006.

Nel 2002 viene lanciata la produzione di una nuova generazione di iniettori a bassa pressione, i DEKA VII; inoltre viene avviato lo sviluppo di un nuovo tipo di iniettori Swirl ad alta pressione, la cui produzione verrà lanciata nel 2006 con la denominazione XL2.

Nel 2003 Siemens ottiene le certicazioni ISO 9001:2000 e ISO/TS 16949:2002. Dopo l'acquisizione di Siemens da parte di Continental Automotive, la divi-sione pisana ha mantenuto la produzione e l'assemblaggio delle famiglie di iniettori DEKA, XL e Piezo e di alcuni loro componenti, suddividendo il lavoro tra i due

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stabilimenti. Inoltre sono in fase di sviluppo nuovi prodotti e nuove tecnologie allo scopo di soddisfare le sempre più evolute richieste del mercato in materia di ottimizzazione delle prestazioni energetiche dei motori degli autoveicoli e di un utilizzo sempre più frequente ed ecace di carburanti alternativi al petrolio.

La Fig 1.8 illustra schematicamente le tappe dell'evoluzione della sede di Pisa della Continental [1, 2].

Figura 1.8: Continental Automotive, eventi principali della storia dello stabilimento pisano.

1.3 Prodotti

I prodotti realizzati nello stabilimento pisano di Continental sono iniettori e fuel rails per sistemi di iniezione diretta e indiretta ad alta e bassa pressione per motori a benzina.

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Figura 1.9: Continental Automotive, prodotti principali dello stabilimento pisano.

1.3.1 L'iniettore

Gli elettroiniettori sono componenti del sistema di alimentazione di un motore ai quali viene fornita corrente elettrica per l'avviamento di un meccanismo di aper-tura e chiusura di un otaper-turatore, allo scopo di erogare una portata controllata di carburante a monte della valvola di aspirazione, nel caso di iniezione indiretta, o direttamente nella camera di combustione, nel caso di iniezione diretta. Si tratta, quindi, dell'attuatore del sistema di alimentazione, con attuazione elettromeccani-ca, per gli iniettori a solenoide, o piezoelettrielettromeccani-ca, per gli iniettori Piezo. Altro com-pito dell'iniettore è la nebulizzazione del carburante, che favorisce la combustione ed indirizza ecacemente il carburante stesso verso le valvole di aspirazione.

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Il sistema di attuazione dell'iniettore a solenoide prevede una bobina eccitata con una corrente elettrica alternata che genera il campo magnetico responsabile del movimento traslatorio alternato dell'otturatore. L'otturatore ha una forma ad ago con tenuta su una sede piana o conica e la posizione di riposo è normalmente chiusa; la forza magnetica generata dall'impulso elettrico deve essere in grado di vincere il carico elettrostatico, il carico di riposo della molla e la forza di attrito. Il carburante auisce al condotto interno dell'iniettore, attraversa i ltri anti-contaminazione ed esce da un ugello, denominato orice disk, la cui funzione è quella di generare un getto di combustibile con determinati parametri di portata e direzione.

L'iniettore piezoelettrico dierisce dall'iniettore a solenoide per la diversa modal-ità di generazione del movimento dell'otturatore; viene sfruttata la proprietà dei materiali piezoelettrici di subire deformazioni meccaniche in presenza di una dif-ferenza di potenziale. Quindi, la corrente elettrica di alimentazione dell'iniettore genera una variazione di volume in una colonna di materiale piezoelettrico all'in-terno del componente, provocando il conseguente moto alternato dell'otturatore. In denitiva, la quantità di carburante iniettato dipende dai seguenti parametri: ˆ Velocità del motore.

ˆ Apertura della valvola a farfalla di alimentazione del carburante. ˆ Condizioni ambientali di temperatura e pressione.

ˆ Tensione di alimentazione.

Gli iniettori possono essere classicati in base al punto di ingresso del carburante: nei bottom feed injectors l'ingresso del carburante è dal basso, mentre nei top feed injectors avviene dall'alto. Continental produce iniettori di entrambi i tipi: ad esempio, il DEKA I è di tipo top feed, mentre il DEKA II è di tipo bottom feed (in Fig. 1.11 è riportato il DEKA I sulla sinista e il DEKA II sulla destra).

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Figura 1.11: Esempi di iniettori bottom feed e top feed.

Esempi di iniettori bottom feed e top feed Le principali modalità di guasto di un iniettore sono le seguenti:

ˆ Perdita di benzina per usura dell'otturatore.

ˆ Perdita di benzina per contaminazioni o per difetti della saldatura.

ˆ Variazione della portata di carburante per usura della zona di contatto ago-sede.

ˆ Interruzione del funzionamento per mancanza di alimentazione elettrica alla bobina.

ˆ Blocco dell'otturatore in posizione aperta o chiusa per contaminazioni o depositi.

La caratteristica più importante dell'iniettore nell'ottica dell'appetibilità del prodot-to per il cliente risiede nelle elevate capacità di dosatura del carburante iniettaprodot-to in tutto il range di funzionamento del motore. Attualmente, il mercato richiede parametri sempre più restrittivi in relazione all'iniezione di carburante, in quanto gli obiettivi principali delle case automobilistiche costruttrici di motori sono la riduzione delle emissioni inquinanti e dei consumi e l'aumento delle prestazioni di coppia e potenza.

Vista la delicatezza dell'iniettore in termini di modalità di guasto, che possono portare a inciare l'intero funzionamento del sistema motore, e vista l'evoluzione

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sempre più spinta del componente per rispondere alle esigenze del mercato, si rende necessario eettuare i processi di assemblaggio e taratura degli iniettori in atmosfera controllata. Le clean room, unità produttive dove avvengono i suddetti processi, vengono mantenute in leggera sovrapressione (0.2 bar) per evitare l'in-gresso dall'esterno di polveri e altri agenti contaminanti; l'accesso al loro interno è consentito soltanto indossando indumenti protettivi sterili (guanti, cue e cap-pine) e tutti i parametri ambientali (temperatura, umidità relativa e pressione) vengono costantemente monitorati e mantenuti. Tutti questi controlli qualita-tivi sulla produzione permettono a Continental di rispondere ecacemente alle prescrizioni della norma ISO/TS [1, 2].

1.3.2 Il fuel rail

Il fuel rail è un elemento a struttura tubolare con funzione di distribuzione del carburante negli iniettori e di supporto meccanico degli iniettori stessi. Si tro-va a tro-valle del serbatoio e l'elemento di connessione attraverso il quale passa il carburante è l'inlet tube (uno schema semplicato di assemblaggio è dato in Fig. 1.12).

Figura 1.12: Fuel rail, schema di asseblaggio.

E' dotato di sedi (cup) per l'istallazione degli iniettori, che vengono mantenuti nella corretta posizione conferendo rigidità all'intero sistema. Gli iniettori

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ven-regolatore di pressione, punto di partenza per il ritorno al serbatoio. Il fuel rail può essere realizzato in diversi materiali; il più comune ed usato dalla Continental è l'acciaio inossidabile, che combina caratteristiche qualitative e prestazionali in linea con le necessità dell'azienda e con l'esperienza acquisita sul prodotto. Le ap-plicazioni del fuel rail possono essere sia su sistemi ad alta che a bassa pressione (come riportato in Fig. 1.13) [1, 2].

Figura 1.13: Fuel rail, esempi per applicazioni in bassa pressione e in alta pressione.

1.3.3 Team Validation

Come evidente dalla descrizione dell'azienda presente al paragrafo 1.1, la struttura organizzativa della Continental Corporation è di tipo prevalentemente divisionale: il management suddivide il proprio lavoro su diversi settori di mercato (Tires,

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Au-tomotive ecc.) e ad ognuno vengono dedicati investimenti e risorse indipendenti, senza rilevanti connessioni o interscambi di informazioni.

E' invece possibile descrivere la struttura organizzativa di ogni stabilimen-to, come per la Continental Automotive di Pisa, di tipo misto: in presenza di una macrostruttura funzionale, ogni funzione fornisce persone e risorse a diversi progetti, creando una complessa e articolata organizzazione matriciale.

Il lavoro di tirocinio e tesi si è svolto all'interno del Validation Team, facente parte della funzione Engineering dello stabilimento di Pisa (la cui collocazione nell'organigramma aziendale è ragurato in Fig. 1.14).

Figura 1.14: Collocazione del Team Validation nell'organigramma aziendale.

Il team è composto da 7 persone la cui attività principale consiste nella piani-cazione ed esecuzione di test sui componenti con l'obiettivo della validazione del design (Design Validation) degli iniettori a benzina e dei fuel rail per l'avviamento alla produzione o per lo sviluppo del prodotto stesso (Product Validation).

I test eettuati sono di tre tipi:

ˆ Durata (endurance test): il componente viene sottoposto a cicli di lavoro che riproducono le condizioni di utilizzo dell'applicazione su cui verranno

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I macchinari e le attrezzature per la realizzazione dei test sono ubicati negli sta-bilimenti Continental di San Piero e Fauglia e presso fornitori italiani e tedeschi [1, 2].

(26)

Capitolo 2

Introduzione alla fatica

In questo capitolo è riportata una descrizione dei concetti fondamentali dei test di fatica, necessari per capire le analisi fatte nei capitoli successivi e tutte le immagini di questo lavoro di tesi.

Il paragrafo 2.1 riporta i concetti teorici di base delle prove di fatica, la storia, la loro utilità ed inne una breve argomentazione degli stadi che attraversa un generico campione sottoposto ad una verica qualsiasi di fatica.

Nello specico, nel paragrafo 2.2 sono descritte le curve SN o di Wölher, il mezzo più potente e veloce per confrontare le varie tipologie di metalli. Sono inoltre elencate tutte le varie sollecitazioni con le quali è possibile testare un campione.

Nel paragrafo 2.3 sono riportati i principali fattori che inuenza il tracciamento delle curve menzionate di sopra.

Nel paragrafo 2.4 viene fatta luce sull'eetto che la tensione media di sol-lecitazione può dare quando si va a tracciare il graco SN.

2.1 Concetti di base

Le strutture e, molto spesso, gli organi delle macchine sono soggetti a sollecitazioni che si ripetono per un numero di cicli molto elevato, anche per milioni di volte. Per descrivere l'insieme di sollecitazioni ripetute nel tempo si usa il termine fatica. Storicamente il primo ricercatore ad arontare in modo sistematico il fenomeno della fatica fu un ingegnere tedesco Wöhler, che lavorava presso le ferrovie dello stato. Egli notò come gli assali dei treni manifestassero nel tempo delle rotture

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cioè quelli in cui gli organi meccanici vengono sottoposti a sollecitazioni ripetute o a vibrazioni. Le rotture per fatica sono molto insidiose perché possono avvenire anche dopo un tempo breve di esercizio senza alcun segno premonitore. Per questo aspetto si potrebbe pensare che le rotture a fatica si avvicinino a quelle di tipo fragile: in realtà ne dieriscono per cause e velocità di propagazione [4].

Le rotture per fatica hanno origine da deformazioni plastiche ripetute come la rottura di un lo di ferro che viene ripetutamente piegato. Se il lo si rompe dopo poche ripetizioni, la rottura per fatica avviene tipicamente dopo migliaia o perno milioni di ripetizioni di piccole plasticizzazioni a livello microscopico. Siccome le deformazioni plastiche localizzate possono innescare rotture per fatica occorre focalizzare l'attenzione su tutte quelle zone potenzialmente pericolose come fori, lettature, spigoli vivi, punti di corrosione e così via.

Sfruttando il fenomeno dello snervamento il materiale può aumentare la re-sistenza alla fatica se la deformazione plastica locale è sucientemente piccola, in presenza invece di livelli di deformazione plastica locale più elevata i successivi cicli di carico causeranno una perdita locale di duttilità, nche la deformazione ciclica imposta al materiale non potrà essere sostenuta senza rottura [5].

E' certo che la rottura dei materiali per fatica abbia origine con la formazione di una microfessura, che ingrandendosi si propaga no a che la sezione resistente non eguaglia la sezione critica di rottura. La rottura per fatica si evolve secondo 3 stadi:

ˆ Innesco ˆ Propagazione ˆ Rottura nale

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La fase di innesco occupa una porzione più o meno piccola della vita a fatica del materiale, generalmente essa ha luogo sulla supercie del pezzo dove sono presenti difetti nella geometria (fori, lettatura, etc.) o nel materiale (inclusioni). Quando sulla supercie di un componente non sono presenti difetti, le sollecitazioni cicliche muovendo le dislocazioni all'interno producono delle bande di scorrimento (visibili in Fig. 2.1) che fuoriescono dal pezzo creando dei microintagli, a testimonianza di ciò si è notato che lappando periodicamente il pezzo la vita a fatica aumenta sensibilmente.

Figura 2.1: Bande di scorrimento [6].

La seconda fase (propagazione) è governata dalla tensione normale presente nelle vicinanze dell'apice della cricca [6]. Durante la fase di trazione si assiste ad un apertura della cricca e ad un allungamento della medesima, durante la fase di compressione invece la cricca si chiude ma non si recupera l'allungamento che si era formato precedentemente; ripetendo ciclicamente questo processo si assiste alla propagazione della fessura.

La supercie, durante la fase di propagazione, è caratterizzata da ripetute striature dette linee di spiaggia (o beach mark) che testimoniano il progressivo propagarsi della cricca.

(29)

Figura 2.2: Supercie di rottura.

La rottura nale avviene perché la sezione resistente è troppo piccola per sopportare il livello di carico imposto, in realtà questo meccanismo avviene di rado, infatti la rottura è prevalentemente fragile e si verica in accordo con i criteri imposti dalla meccanica della frattura.

2.2 Le curve S-N

I dati che si prelevano dalle prove di fatica vengono riportati sotto forma di curve S-N o curve di Wölher. Le curve S-N riportano in ordinata lo stato di tensione a cui è soggetto il provino durante la prova e in ascissa il numero di cicli a rottura, generalmente queste curve vengono fornite in coordinate semi-logaritmiche anche se non è raro trovale in coordinate bi-logaritmiche, soprattutto quest'ultimo modo di rappresentarle mette maggiormente in evidenza una caratteristica fondamentale delle curve, il ginocchio, che in Fig. 2.3b è evidenziato all'interno del cerchio rosso.

Si distinguono nella curva di Wölher tre zone denite come:

1. zona a fatica oligociclica o campo della resistenza quasi statica (N < 103 );

2. zona a fatica ad alto numero di cicli o campo della resistenza a termine (103−4 < N < 106);

(30)

3. zona a durata indeterminata o a vita innita (N > 106): campo

paralle-lo all'asse orizzontale o con lieve pendenza. Il passaggio a questa zona è rappresentato dal ginocchio della curva.

Per la maggior parte degli acciai e per alcune leghe non ferrose, come le leghe di titanio, intorno ad un milione di cicli si nota nelle curve S-N una variazione di pendenza detta appunto ginocchio (o slope) e un conseguente andamento asin-totico che porta all'introduzione di un concetto fondamentale del fenomeno della fatica, ovvero il limite di fatica. Numerose prove hanno permesso di stabilire che i materiali ferrosi mostrano un limite di fatica, denito come il livello più alto di tensione alternata che può essere sopportato indenitamente senza rottura.

Le deviazioni standard sul limite di fatica sono solitamente comprese tra il 4% e il 9% del valore nominale, spesso quando non si hanno informazioni speci-che si usa l'8% del limite nominale di fatica come una stima cautelativa della deviazione standard [5]. Come si può facilmente capire dalle immagini di Fig. 2.3 la dispersione nella resistenza a fatica corrispondente ad una data durata è piccola; la dispersione nella durata a fatica corrispondente ad un dato livello di tensione è grande. Perno in prove accuratamente controllate, questi valori di durata possono variare di 5 o 10 volte.

I risultati delle molte prove di fatica condotte negli ultimi anni ha permesso di individuare alcuni relazioni generali. Se si prende in esame l'acciaio si è notato che conoscendo la resistenza a rottura a trazione è possibile ottenere rapidamente con discreta approssimazione l'andamento della curva S-N e della resistenza a fatica a un milione di cicli che per l'acciaio vale approssimativamente 0,5 volte la tensione di rottura a trazione, ma non solo con una prova non distruttiva può essere stimata la resistenza a rottura che, sempre per l'acciaio, vale approssimativamente 500 volte la durezza Brinell; pertanto una stima cautelativa del limite di fatica risulta essere intorno a 250 HB. Quest'ultima relazione può ritenersi valida per valori non superiori a 400 HB, al disopra di tale limite non è detto che l'aumento di durezza comporti un aumento del limite di fatica.

(31)

(a) coordinate semi-logaritmiche. (b) coordinate bi-logaritmiche.

Figura 2.3: Curve S-N generalizzata per un acciaio.

Finora sono stati portati esempi solo per l'acciaio, ovviamente esistono altri materiali metallici che hanno grande importanza strutturale e che spesso vengono utilizzati in applicazioni dove la resistenza a fatica risulta un fattore importante. La ghisa, ad esempio, ha un comportamento simili all'acciaio, tranne per il fatto che il limite di fatica corrisponde approssimativamente a 0,4 volte la tensione di rottura a trazione.

Le leghe di alluminio che hanno una fondamentale importanza strutturale soprattutto in campo aeronautico e aerospaziale, come molte leghe non ferrose, hanno una caratteristica fondamentale ovvero l'assenza di un ginocchio ben deni-to nelle curve S-N e di conseguenza la mancanza di un asindeni-todeni-to e di un vero e proprio limite di fatica.

Tutti quello che è stato detto nora, non ha tenuto conto, o meglio ha omesso un fattore molto importante ovvero il tipo di carico e di conseguenza il tipo di sollecitazione a cui è soggetto il pezzo o il generico provino sottoposto a fatica. Prima di tutto quello che si è detto è riferito a prove eettuate con la macchi-na di R. R. Moore, ovvero sottoponendo il provino a sollecitazioni di essioni rotante ma come si può ben capire esistono altre forme di sollecitazioni aaticanti e di conseguenza di prove di fatica. Se un provino montato orizzontalmente, con una estremità ssa viene dall'altra spinto alternativamente in basso e in alto si dice sottoposto a essione alternata. A dierenza delle sollecitazioni di essione rotante, queste dieriscono perché il valore massimo della tensione si ha solo in due punti della supercie (sulla bra estrema superiore e inferiore) e siccome la

(32)

fatica ha origine nel punto più debole della supercie c'è una più bassa probabilità che questi coincide con i punti di massima tensione. Prove di fatica hanno con-fermato che la resistenza a fatica di provini soggetti a essione rotante è minore della resistenza a fatica a essione alternata.

Con un discorso simile al precedente richiamando sempre il concetto di prob-abilità è facile vericare che la resistenza a fatica di provini soggetti trazione-compressione è ancora più bassa, per il semplice fatto che la zona in cui la tensione è massima è tutta la sezione resistente del provino. Prove di fatica hanno con-fermato questa tendenza è hanno mostrato che provini soggetti a sollecitazioni di trazione-compressione hanno una resistenza a fatica all'incirca del 10% più bassa di quella di provini soggetti a essione rotante.

Per sollecitazioni di torsione alternata, se ci si basa sul criterio dell'energia di distorsione, è facile vericare che la resistenza a fatica di provini soggetti a torsione alternata è 0.58 (circa 1/√3) volte la resistenza a essione rotante.

Nelle prove riportate in questo lavoro di tesi saranno riportati esclusivamente test di sollecitazione di compressione, e per la precisione, i vari campioni da testare saranno disposti sulla parte inferiore della macchina di prova, mentre la parte superiore di essa, servirà per sollecitare il pezzo sotto test.

2.2.1 I cicli temporali di sollecitazione

L'esistenza di una sollecitazione periodica è una condizione necessaria per il veri-carsi della rottura a fatica. L'andamento delle sollecitazioni può essere ricondotto a uno dei casi fondamentali:

ˆ Sollecitazione alternata simmetrica ˆ Sollecitazione alternata asimmetrica ˆ Sollecitazione oscillante dall'origine

(33)

Figura 2.4: Possibili cicli di sollecitazione.

In questi casi è ipotizzabile un andamento sinusoidale degli sforzi nel tempo che costituisce quindi una semplice idealizzazione del fenomeno di fatica, che ap-prossima notevolmente tali andamenti: di solito possono essere assai più complessi soprattutto nei casi di sollecitazione dovuta a vibrazioni.

I quattro casi di andamenti elencati sopra possono essere ricondotti a una legge matematica di tipo sinusoidale, e per ogni istante t il valore della tensione può essere espresso dalla relazione, dove ω è la frequenza della sollecitazione:

σ = σm+ σa· sin ωt (2.1)

Da queste relazioni si ricava che la tensione media σm vale:

σm =

σmax+ σmin

2 (2.2)

Mentre, si ottiene un valore di semiampiezza σa

σa=

σmax− σmin

2 (2.3)

Tornando ai quattro cicli temporali elencati sopra si ha: ˆ Sollecitazione alternata simmetrica,

(34)

σmax = −σmin = σa, con σm = 0

ˆ Sollecitazione alternata asimmetrica,

σm 6= 0, σmax > 0, σmin < 0, con σm < σa

ˆ Sollecitazione oscillante dall'origine,

σmax/2 = σm = σa con σmin = 0

ˆ Sollecitazione pulsante,

σm 6= 0, kσmax− σmink < 0, con σm > σa

Le rotture per fatica si possono vericare con sforzi normali, sforzi di es-sione (rotante, alternata o piana) o sforzi torsionali, nonché con loro combinazione (esso-torsione).

2.2.2 Il rapporto nominale di ciclo R

Si è detto che la curva di Wöhler viene determinata per una tensione media nulla. Ma come appare chiaro dalla Fig. 2.5, il comportamento a fatica non dipende solo dall'ampiezza della sollecitazione alternata σa, ma anche dalla tensione media σm

che spesso è diversa da zero (come verrà approfondito dal paragrafo 2.4).

E' stato introdotto perciò un altro valore, denito come il rapporto tra il valore minimo e il valore massimo di tensione durante i cicli analizzati, il quale da ora in poi si riferirà ad esso come R-Ratio o più semplicemente R. Si ha che dunque:

R = σmin σmax

= σm− σa σm+ σa

(2.4) Il rapporto R-Ratio può variare tra +1 quando σa = 0 (sollecitazione statica

(35)

Figura 2.5: Denizione del rapporto di ciclo R in una sollecitazione ad ampiezza costante.

2.3 Fattori che inuenzano le curve S-N

I fattori che inuenzano il comportamento a fatica dei materiali e di conseguenza l'andamento delle curve S-N, sono molteplici, nei paragra seguenti (dal 2.3.1 al 2.3.4) verranno trattati solo alcuni di essi, nella fattispecie ci occuperemo della dimensione del grano, dell'orientamento del grano rispetto al carico, della presenza di tensioni residue, della temperatura e della corrosione, senza però dimenticare che esistono altri fattori meno frequenti ma non meno importati come il fretting, la presenza di saldature e così via.

2.3.1 Dimensione e direzione del grano

Come era facile prevedere la dimensione e la direzione dei grani all'interno del materiale inuenzano il comportamento a fatica e di conseguenza anche le curve S-N.

Solitamente i materiali che hanno grano ne mostrano delle proprietà a fat-ica superiori rispetto ai materiali con grani grossi, ovviamente la risposta a sol-lecitazioni aaticanti è diversa a seconda del materiale, ad esempio la dimensione

(36)

del grano nell' acciaio ferritico ha un inuenza minore rispetto all'acciaio austeniti-co e alle leghe di alluminio dove la diminuzione di resistenza a fatica è più marcata quando il grano si ingrossa [6], come è apprezzabile dalla Fig. 2.6.

Figura 2.6: Eetto della dimensione del grano per una lega di alluminio.

La bontà di avere un grano ne diventa meno importante quando la temper-atura aumenta e ad elevate temperature l'eetto è addirittura trascurabile.

Nei componenti estrusi o laminari il grano risulta ovviamente allungato nella direzione di estrusione o laminazione, questo inuenza ovviamente il comporta-mento a fatica del materiale. In generale si sa che con carichi nella direzione dei grani allungati la resistenza a fatica è superiore rispetto a carichi nella direzione trasversale ai grani.

2.3.2 Tensioni residue

Tensioni residue sulla supercie di un componente, indotte intenzionalmente o accidentalmente, giocano un ruolo importante nelle proprietà a fatica del ma-teriale. In generale se le tensioni residue sono di compressione, la resistenza a fatica aumenta, mentre se le tensioni residue sono di trazione la resistenza a fatica diminuisce [6].

Esistono vari metodi per indurre uno stato di tensione di compressione sulla supercie di un pezzo, i più usati sono la rullatura a freddo, la pallinatura, e la nitrurazione. La rullatura a freddo e la pallinatura sono trattamenti superciali di

(37)

maggior incrudimento del materiale.

Il trattamento di nitrurazione o quello di cementazione come ogni altro tratta-mento termochimico ha lo scopo di indurire la supercie e di creare uno stato di tensione di compressione al di sotto della supercie, a dierenza della pallinatura però lo stato di compressione non viene raggiunto per una leggera deformazione plastica della supercie ma per l'eetto di diusione di un elemento (l'azoto nel caso di nitrurazione e il carbonio nel caso di cementazione) sulla supercie del pezzo.

Nella Fig. 2.7 seguente è mostrato l'eetto di tali trattamenti nel compor-tamento a fatica del materiale e si mette in evidenza l'eetto di una rullatura a freddo sulla resistenza a fatica di un acciaio, è importante notare come si ottengono buone migliorie anche in presenza di provini intagliati (notched).

(38)

Figura 2.7: Eetto dei trattamenti superciali su un acciaio.

2.3.3 Temperatura

La temperatura ha un eetto signicativo sulla resistenza a fatica dei materiali, generalmente le resistenza a fatica aumenta a temperature sotto la temperatura ambiente e diminuisce al di sopra. Nella Fig. 2.8 seguente sono riportate le curve S-N per una lega di alluminio per valori di temperatura che oscillano tra −140◦C

(39)

Figura 2.8: Eetto della temperatura su una lega di alluminio.

Molte leghe come l'acciaio che presentano un limite di fatica, quando si supera la temperatura ambiente perdono questa importante caratteristica il che rende più problematica la progettazione quando non si è a conoscenza dello stato della temperatura dell'ambiente dove il generico componente si trova a lavorare.

È importante anche sottolineare che la temperatura elevata produce un eetto sinergico di danneggiamento con lo scorrimento viscoso, per questo è più corretto parlare di resistenza a termine, mentre l'eetto della bassa temperatura tende ad aumentare la fragilità e la sensibilità all'intaglio del materiale.

2.3.4 Corrosione

L'azione combinata della corrosione e di carichi aaticanti produce generalmente la rottura in tempi minori rispetto a quelli ipotizzabili sulla base dei due eetti considerati agenti separatamente. Questo fenomeno prende il nome di fatica-corrosione [5]. La fatica-corrosione è un fenomeno complesso ed ancora non com-pletamente compreso. Una spiegazione semplicata parte dalla considerazione dei crateri (pits) di corrosione i quali agiscono come punti di concentrazione delle tensioni. Gli strati protettivi, formati in seguito alla corrosione stessa, sono soli-tamente fragili e caratterizzati da una bassa resistenza. Pertanto, essi vengono distrutti dalla deformazione ciclica imposta. Questa rottura espone zone non

(40)

pro-tette di metallo, che si corrodono rapidamente, formando un altro strato, che viene a sua volta rotta dalla deformazione ciclica, e così via. Di conseguenza il cratere di corrosione iniziale diviene una frattura di fatica che si propaga più rapidamente di quanto ci si potrebbe attendere dalla considerazione degli eetti della corrosione e del carico ciclico agenti separatamente [5].

La resistenza alla fatica di componenti sottoposti a fenomeni corrosivi dipende dal tempo trascorso oltre che dalla tensione ciclica e dal tipo di agente corrosivo, pertanto le proprietà a fatica che si trovano con le normali prove di fatica sono inuenzate dalla frequenza di applicazione del carico.

Nella Fig. 2.9 seguente sono riportate diverse curve S-N per una acciaio testato prima in aria (a) e poi in presenza di acqua per un giorno (b), 2 giorni (c), 6 giorni (d) e 10 giorni (e).

Figura 2.9: Eetto della corrosione su un acciaio.

2.4 Eetto della tensione media

Solitamente i componenti di macchine non sono soggetti a tensioni completamente alternate, ma a quest'ultime si sommano tensioni statiche, si parla allora di ten-sioni uttuanti. Per denire una tensione uttuante si fa generalmente uso della sua componente media σm e della sua componente alternata σa, esistono però

(41)

∆σ = σmax− σmin

R = σmin σmax

La presenza di una tensione media ha un eetto signicativo sulla risposta del materiale a sollecitazioni aaticanti. In generale si può aermare che uno stato di tensione di trazione diminuisce la vita fatica del materiale.

Se è presente la tensione media di trazione, le rotture per fatica sono general-mente governate dalla tensione massima [6]. Dalla Fig. 2.10 si può notare come per un certo valore di tensione massima incrementando la tensione media si au-menta la vita a fatica. Per un certo valore della tensione minima, increau-mentando il valore assoluto della tensione media di compressione la vita a fatica aumenta, anche se l'eetto è piccolo. La conclusione, riportata nella Fig. 2.10 è la seguente: incrementando il valore della tensione media diminuisce la tensione alternata che può essere applicata a parità di durata a fatica [6].

(42)
(43)

procedure necessarie per le varie operazioni di macchina.

Il paragrafo 3.1 descrive le caratteristiche della macchina a fatica in risonanza che è stata utilizzata durante le prove svolte presso lo stabilimento di S. Piero a Grado, inoltre sono accennate le potenzialità del suo software di controllo.

Nel paragrafo 3.2 sono riportati gli schemi dei componenti testati.

Il paragrafo 3.3 riguarda la descrizione delle xture utilizzate per testare i componenti degli iniettori sulla macchina RFM.

Nel paragrafo 3.4 è descritta la procedura per l'accensione della macchina, il montaggio e lo smontaggio delle xture.

Nel paragrafo 3.5 è riportata invece, la procedura per l'avvio di una nuova prova, la chiusura e il salvataggio di un progetto.

Inne, nel paragrafo 3.6 sono mostrati i setup nali per le varie prove.

3.1 Macchina a fatica in risonanza RUMUL Mikrotron

20 kN

La macchina che è stata utilizzata per i test è prodotta da una piccola azienda svizzera con soli 15 dipendenti, ma con oltre 40 anni di esperienza nel settore, la RUMUL, azienda attualmente riconosciuta come market leader in questo campo;

(44)

nello specico il modello è il RUMUL Mikrotron 20kN (mostrata in Fig. 3.1). L'interesse principale di RUMUL è lo sviluppo e la progettazione di sistemi di test in risonanza e macchine per prove dinamiche su materiali [7].

Figura 3.1: RUMUL Mikrotron 20kN.

3.1.1 Generalità sulla RUMUL Mikrotron 20 kN

La RUMUL Mikrotron 20kN è una macchina piccola e compatta rispetto ad al-tri grossi ed ingombranti apparati con le stesse caratteristiche operative, e viene utilizzata nei test di materiali e componenti per prove dinamiche. Utilizzi tipici sono le prove con carichi ripetuti (a fatica) e prove di meccanica della frattura su provini. I dispositivi di bloccaggio e i raccordi consentono di adeguare la macchina a diversi utilizzi e tipi di carichi. Il motore oscillante lavora secondo il principio di risonanza e consente di eseguire le prove ad alta frequenza e a basso consumo energetico. Ad un carico statico (trazione o compressione) può essere sovrapposto un carico sinusoidale e dinamico, per cui possono essere eseguite su queste

(45)

mac-basso (inferiore a 600kg) per una macchina di risonanza di questo tipo (solo il 30% in confronto agli altri sistemi disponibili sul mercato).

Grazie al particolare design della macchina la gamma di applicazioni è pres-sochè innita.

La frequenza di funzionamento va da 40Hz no a 250Hz, e dipende dalla rigidezza del campione testato e dal sistema di masse oscillanti, intercambiabili (vedere Fig. 3.4a) [7].

I pregi quindi risultano essere svariati:

ˆ La grande accuratezza sulle misure e di conseguenza sul controllo.

ˆ Durate dei singoli test più brevi grazie alle alte frequenze di funzionamento. ˆ Test universali, grazie al controllo dinamico.

ˆ Grande spazio per i test, grazie al tavolo di prova fornito di scanalature di ancoraggio.

ˆ Costi operativi irrisori (1%-2% rispetto alle macchine servo-idrauliche della stessa categoria, di cui un esempio è riportato in Fig. 3.2).

ˆ Manutenzione minima ed a costi molto bassi. ˆ Nessun pacchetto addizionale necessario.

(46)

Figura 3.2: Comparazione costi RUMUL.

3.1.2 Descrizione del funzionamento della RUMUL Mikrotron

20 kN

La RUMUL Mikrotron 20kN è una macchina di prova dinamica che opera in piena risonanza. La frequenza di funzionamento è data dal sistema molla-massa. Il carico sul campione è una combinazione di una forza statica e di una forza dinamica. Entrambe le parti sono controllate separatamente:

ˆ Il carico statico è applicato da un albero motore (10 in Tab. 3.1) tramite una doppia molla precaricata, che è azionata da un servomotore. Grazie a questa doppia molla il carico statico può essere regolato anche durante il funzionamento dinamico, nel range completo del carico nominale (no al 100% in compressione o in trazione).

ˆ La parte dinamica è principalmente costituita dalla massa oscillante m1 (4

in Tab. 3.1), la contro-massa m0 (8 in Tab. 3.1), l'elemento elastico c (6

in Tab. 3.1) del campione e tutti gli altri elementi elastici e masse entro il usso di carico dinamico. Queste parti formano il sistema oscillante che è controllato dalla macchina ed eccitato tramite il magnete e la molla, e guidato alla sua frequenza di risonanza. Il rapido usso di carico tra la due

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Figura 3.3: Schema semplicativo RUMUL Mikrotron 20kN.

N° componente N° componente

1 magnete per carico dinamico 7 cella di carico

2 traversa 8 contro-massa m0 (piano di lavoro)

3 molla precaricata per carico statico 9 albero con servo-motore

4 massa oscillante m1 10 traversa mobile

5 colonne mobili 11 vite a mandrino

6 campione testato

Tabella 3.1: Legenda di Fig. 3.3.

Il fenomeno della risonanza spesso è un fenomeno nocivo e per questo in-desiderato perché inuisce negativamente sui sistemi che ne risentono, provocando disturbi e disagio a tutto quello che rientra nel loro raggio d'azione: a persone, strutture portanti e macchinari. La losoa della RUMUL è invece quella di sfruttare il fenomeno a proprio favore ed in maniera controllata, in modo da avere il massimo risparmio di energia. Una schematizzazione molto chiara del fenomeno

(48)

di risonanza è ragurata in Fig. 3.4a, dove le due masse sono fatte oscillare in controfase con pulsazione

ω = r

c ·m0+ m1 m0· m1

(3.1) in cui il parametro c rappresenta l'elasticità del campione, qui ragurato come una semplice molla.

Nella Fig. 3.4b invece si può notare come più ci si avvicina a frequenze di lavoro prossime alla frequenza di risonanza, più aumenta l'amplicazione della forza di eccitamento.

(a) Sistema a due masse oscillanti. (b) Frequenza di risonanza, ampli-cazione della forza di eccitazione.

Figura 3.4: Modalità di risonanza.

Come è stato già detto in precedenza la frequenza di risonanza cambia con la stiness del componente sotto test e con la massa oscillante m1, la quale può

essere intercambiata. La Fig. 3.5 mostra i possibili range di frequenza in cui è possibile lavorare con la RFM, in funzione della stiness del campione. Infatti per la massa m1basta semplicemente ssare un nuovo peso di quelli forniti dall'azienda

(49)

Figura 3.5: Frequenze di funzionamento.

Il carico viene misurato per mezzo di una cella di carico RUMUL, le quali hanno dimostrato la loro adabilità nel corso degli anni. Oltre alla loro durata a fatica illimitata le loro caratteristiche sono di elevata rigidità a carichi di trazione, compressione, essione, taglio e torsione. Le celle di carico possono essere ssate sul piano di lavoro o sulla testa di un'ulteriore cella. Le celle di carico RUMUL sono munite di trasduttore di accelerazione per la compensazione delle forze d'in-erzia risultanti [7]. Sono disponibili presso il sito dell'azienda 3 tipi di celle di carico, in base al carico massimo nominale desiderato:

ˆ la cella da 20kN, che è in dotazione con la macchina ed è adatta alle applicazioni che richiedono dei carichi nominali più elevati;

ˆ la cella da 5kN, che è stata acquistata dall'azienda per esigenze di una maggiore precisione, senza penalizzare troppo il carico massimo applicabile; ˆ la cella da 1kN, adatta alle prove di maggiore precisione (questa è l'unica cella che non è disponibile presso Continental, ed è quella che è stata montata negli esperimento svolti a Trento) [7].

(50)

3.1.3 Software di controllo RUMUL

L'unità di controllo TOPP (Testing with Optimized Power and Precision) mantiene il traco di dati costante tramite il software TestLab. Inoltre se c'è software ag-giuntivo in esecuzione sul computer, esso garantisce che le risorse siano sempre sucienti per l'esecuzione di TestLab correttamente.

Questo sistema di controllo ha molti pregi:

ˆ è stabile, preciso, veloce e soprattutto adabile;

ˆ è universale grazie ad una rapida acquisizione dati (8kHz di frequenza di campionamento) e tecnologia multi-canale (8 uscite ed ingressi digitali, 4 ingressi analogici e 2 uscite analogiche);

ˆ i risultati dei test sono adabili a causa di una particolare sistema di rileva-mento delle cricche dovuta ad una precisa misura della frequenza di lavoro (0, 001Hz);

ˆ facilitazione delle operazioni attraverso il software scritto in Labview, con un utile oscilloscopio per visualizzare e salvare i dati;

ˆ dispone di un utile telecomando per il controllo remoto, con un display integrato che visualizza i più importanti parametri d'interesse.

3.2 Componenti testati

I componenti testati sono stati essenzialmente le sedi per gli iniettori e gli stop choc.

3.2.1 Sedi di iniettori

1

La sede (mostrata sulla sinistra in Fig. 3.6) è un componente molto piccolo dell'iniettore, ma allo stesso tempo tecnologicamente molto avanzato, ed una delle parti più delicate del sistema nella sua interezza, in quanto responsabile dell'atomizzazione del carburante in camera di combustione.

1Per problemi di condenzialità del prodotto, non è possibile divulgare i nomi

(51)

il semplice fatto della larga disponibilità di materiale da testare. Presenta una calotta di diametro di d1;

ˆ Sedi design 2 cliente 2, sulle quali è stato eettuato solamente un test, data la limitata quantità disponibile. Presenta una calotta di diametro di d2 più

grande, con d2− d1 = 0, 2mm.

Tra di loro, le sedi evidenziano sostanziali dierenze, dovute ai dierenti design e alle speciche richieste delle case costruttrici di motori. Tra queste due sedi una delle più importanti dierenze è proprio nel diametro della calotta che in teoria dovrebbe comportare delle migliori proprietà meccaniche per il componente (la conferma di questo punto è uno dei principali obiettivi di questa tesi).

(52)

3.2.2 Stop choc

Lo stop choc è un importante componente dell'iniettore, il suo compito è essen-zialmente di sostegno sulla struttura e anti-vibrazione.

3.3 Fixture utilizzate sulla RUMUL Mikrotron 20

kN

A seconda della cella di carico utilizzata, essendo le forze in gioco sensibilmente dif-ferenti, devono essere utilizzati i componenti specici per l'aggancio ed è necessario ssare le xture che saranno installate in modo corretto.

In particolare la cella da:

ˆ 1kN o 5kN è compatibile con gli inserti lettati M10, M6, M4 oppure M3 (Fig. 3.7a);

ˆ 20kN è compatibile con gli inserti lettati M22, M16 oppure M10 (Fig. 3.7b).

(a) Fixture per cella da 1 e 5kN. (b) Fixture per cella da 20kN.

(53)

superiore;

ˆ l'otturatore (ball) che rappresenta l'unico punto di vero contatto tra il battente superiore e la sede;

ˆ la sede, già desctitta nel paragrafo 3.2.1;

ˆ il portasede, che viene descritto successivamente nel paragrafo 3.3.1;

ˆ il battente inferiore, che rappresenta il supporto per il portasede con il cam-pione da testare inserito. Sono possibili due dierenti congurazioni, quella compatibile con la cella da 20kN richiede lettatura M22x1, mentre quella compatibile con la cella da 5kN (o eventualmente 1kN) deve essere realizzata con lettatura M10x1, 5.

(54)

Figura 3.8: Fixture per il test delle sedi.

Sono state create queste xture idonee a fungere da supporto stabile della sede stessa, riducendo al minimo le vibrazioni relative tra sede e portasede; dis-allineamento che risulterebbe deleterio per i risultati. Inoltre è stato necessario progettare due dierenti design di portasede per i dierenti tipi di sede testati (vedere sulla destra di Fig. 3.8).

Non è risultato necessario aggiungere alcun componente per centrare il por-tasede sul battente inferiore, dato che una volta che l'otturatore è inserita nella sede, l'allineamento dei componenti è automatico.

Nella Fig. 3.9 sono mostrate le xture utilizzate nelle prove che saranno de-scritte nel capitolo 4. Sono state messe due immagini per il fatto che sono state usate due diversi design per le xture:

ˆ In Fig. 3.9a è mostrato il portasede progettato dall'università di Pisa ed utilizzato dall'università di Trento, che presenta un foro per l'alloggiamento della sede di diametro d1, adatto per le sedi design 1 cliente 1. Esso presenta

un ulteriore foro con sola funzione di scarico tornitura.

ˆ In Fig. 3.9b è mostrato il portasede che è stato utilizzato da Continental il quale presenta un foro per l'alloggiamento della sede di diametro d2,

(55)

com-(a) Portasede UNITN, foro da d1. (b) Portasede Continental, foro da d2. Figura 3.9: Portasede, schema.

Il setup nale è visibile in Fig. 3.33.

3.3.2 Fixture per i test su stop choc

Per eettuare il test sul componente Stop Choc è stato anche in questa occasione progettata una specica xture, della quale viene mostrato un disegno tecnico in Fig. 3.10. Esso è suddiviso in due parti:

ˆ la parte inferiore (Fig. 3.10a) è ssata alla cella di carico da 20kN, quindi con la lettatura M22x1 per conferirgli la massima stabilità (essendo la lettatura dal diametro maggiore), e presenta un gradino a forma di calotta circolare sulla quale va adagiato il pezzo da testare;

ˆ la parte superiore (Fig. 3.10b) è ssata alla macchina sempre con la let-tatura M22x1 ed ha la funzione di applicare il carico dinamico oscillante sul pezzo disposto sulla parte inferiore della xture.

(56)

(a) Parte inferiore. (b) Parte Superiore.

Figura 3.10: Fixture per Stop choc.

3.4 Procedura per l'accensione e montaggio\smontaggio

di pezzi

Per un corretto funzionamento della macchina e per limitare la quantità di er-rori riguardanti il montaggio di nuovi pezzi, è stata stilata una lista di azioni da compiere per facilitare e velocizzare il compito dell'operatore che agisce sulla macchina. Le immagini si riferiscono nello specico alla procedura riguardante il montaggio e smontaggio della xture utilizzata per il test delle sedi, ma può essere estesa senza perdita di validità e precisione anche per tutti i componenti e sub-componenti di iniettori di questo tipo (cioè che non devono essere ssati da due lati, come ad esempio la xture per Stop Choc).

3.4.1 Accensione della macchina

1. Premere il pulsante di accensione della Workstation sulla quale è stato precedentemente installato dalla casa costruttrice il programma di controllo (TestLab.exe ).

(57)

Figura 3.11: Accensione Macchina.

3. Attendere qualche secondo (no a che il LED READY  rimane sso, vedere Fig. 3.12), e successivamente eettuare un doppio click sull'icona del pro-gramma TestLab.exe per avviare la macchina (se non si attende il termine dell'intermittenza del LED, il software non rileverà la connessione).

(58)

3.4.2 Smontaggio xture sulla macchina

1. Se necessario, azzerare il valor medio (mean) del carico statico della forza; 2. Accendere il controllo remoto (pulsante Remote Control On), oppure

pre-mere il pulsante Crosshead via software.

Figura 3.13: Remote Control.

3. Alzare dapprima lentamente (premendo il pulsante Cross-head Up, no a far separare le due parti) e subito dopo velocemente (premendo contempo-raneamente il pulsante Cross-head Up + Quick Cross-head Movement) il battente superiore no ad avere uno spazio di circa 10 cm tra il pezzo superiore ed inferiore.

4. Spegnere il controllo remoto (tramite il pulsante RemoteControl O ), oppure chiudere la nestra Crosshead via software.

5. Rimuovere, eventualmente, il campione sotto test dal blocco inferiore. 6. Sbloccare il blocco superiore con le chiavi apposite (senso antiorario, Fig.

(59)

Figura 3.14: Blocco superiore.

7. Iniziare a svitarlo con una mano, reggendo blocco e pezzo superiore con l'altra (Fig. 3.15).

Figura 3.15: Blocco superiore.

8. Rimuovere il pezzo superiore dal blocco e svitare il coupling dal pezzo superiore (Fig. 3.16).

(60)

Figura 3.16: Rimozione battente superiore.

9. Sbloccare il blocco inferiore con le chiavi apposite (senso antiorario), svitarlo e rimuoverlo (Fig. 3.17).

Figura 3.17: Blocco inferiore.

10. Rimuovere il pezzo inferiore dal blocco e svitare il coupling dal pezzo inferiore (Fig. 3.18 e 3.19).

(61)

Figura 3.18: Rimozione battente inferiore.

Figura 3.19: Rimozione coupling inferiore.

3.4.3 Montaggio xture sulla macchina

1. Montare il coupling inferiore (che supporta la lettatura M16) sul pezzo inferiore facendo attenzione a lasciare uno spazio di 0, 5 − 1mm, per evitare contraccolpi una volta che la macchina è in funzione (Fig. 3.20).

(62)

Figura 3.20: Montaggio coupling inferiore.

2. Appoggiare il pezzo in posizione sulla struttura inferiore (Fig. 3.19). 3. Inserire, avvitare e serrare il blocco inferiore (senso orario) (Fig. 3.18 e

3.17).

4. Montare il coupling superiore ( che supporta la lettatura M22) sul pezzo superiore, lasciando sempre uno spazio di 0, 5 − 1mm (Fig. 3.21).

(63)

Figura 3.22: Montaggio e allineamento blocco superiore.

6. Serrare il blocco superiore (senso orario) (Fig. 3.14). 7. Inserire il campione sul blocco inferiore.

8. Accendere il controllo remoto (pulsante Remote Control On), oppure pre-mere il pulsante Crosshead via software (Fig. 3.13).

9. Abbassare velocemente (premendo contemporaneamente il pulsante Cross-head Down + Quick Cross-Cross-head Movement, no a far avvicinare le due parti).

10. Spegnere il controllo remoto (pulsante Remote Control O ), oppure chi-udere la nestra Crosshead via Software (Fig. 3.13).

3.5 Procedura di avvio di una generica prova

Una volta avvenuto correttamente il montaggio della xture adatta al campione da testare, bisogna elencare le operazioni da svolgere via software per chiudere, salvare ed avviare un nuovo test.

(64)

3.5.1 Chiusura, salvataggio e creazione nuovo test

1. Una volta terminata la precedente prova appare la schermata di Fig. 3.23. Selezionare not failed se il componente testato ha raggiunto il limite di cicli massimi prestabiliti (impostati per default a 10Mio di cicli, ma variabili in ottemperanza al test utilizzato). Selezionare invece failed se la macchina è stata interrotta per la rottura, completa o parziale, del pezzo. Lasciare comunque vuoto il campo Remarks.

Figura 3.23: Stato del campione.

2. Come in Fig. 3.24, cliccare sul percorso File -> Project close per salvare i dati dell'ultima prova (é l'unico modo per salvare i dati. Senza eettuare questo passaggio, i dati rimangono salvati in memoria temporanea, e non sono accessibili).

(65)

Figura 3.25: Caricamento progetto.

4. Scegliere il progetto (in questo caso di nome Test, che è salvato in formato .zip) per continuare i test come in Fig. 3.26.

Figura 3.26: Scelta del progetto da caricare.

(66)

Figura 3.27: Selezione del test.

6. Si può procedere ora con la creazione di un nuovo test (Fig. 3.28).

Figura 3.28: Creazione di un nuovo test.

7. E rinominare il test in base al piano di lavoro utilizzato, in questo caso erano testate delle sedi (Fig. 3.29).

(67)

3.5.2 Avvio di un nuovo test

1. Catalogare il campione appena testato in una bustina sigillata, e identicarlo con i parametri ritenuti utili (come in numero di cicli a rottura, il carico al quale è stato sottoposto e naturalmente il tipo di campione testato, etc.). 2. Inserire correttamente il nuovo campione da testare all'interno del portasede,

e il tutto sul blocco inferiore della macchina.

3. Accendere il controllo remoto (pulsante Remote Control On).

4. Abbassare velocemente (premendo contemporaneamente il pulsante Cross-head Down + Quick Cross-Cross-head Movement, no a far avvicinare le due parti).

5. Spegnere il controllo remoto (pulsante Remote Control O ).

6. Settare le impostazioni del Controller dynamic load sui valori desiderati. 7. Settare le impostazioni del Controller static load sui valori desiderati. 8. Attivare il carico statico, in modo da centrare la sede e sottoporre il campione

al precarico. Attendere qualche secondo no allo stabilizzarsi della forza (Fig. 3.30).

(68)

Figura 3.30: Avvio del carico statico.

9. Premere il pulsante di Start Test posto nella parte sinistra della schermata in Fig. 3.30.

10. Nella schermata di Fig. 3.31 impostare i parametri di interesse e dare il via alla prova cliccando ancora una volta su Start test.

(69)

Figura 3.31: Avvio del test.

11. La macchina parte immediatamente alla ricerca della frequenza di risonanza, come in Fig. 3.32.

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