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Qualita' della vita in pazienti con esiti di ictus in fase cronica

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Academic year: 2021

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Ringraziamenti

Ringrazio il Dott. Francesco Tramonti per aver permesso che io partecipassi a questo studio e per il tempo che ha dedicato alla mia tesi.

Ringrazio le specializzande del reparto di Neuro Riabilitazione per l’aiuto che mi hanno fornito nella collaborazione dei pazienti a questo studio.

Ringrazio la mia famiglia che in tutti questi anni ha sempre creduto fermamente che io potessi raggiungere questo obiettivo.

Ringrazio Valentina che mi è stata accanto sempre, nei momenti più duri e in quelli più felici, permettendomi di arrivare a questo importante traguardo.

Ringrazio Martina, senza la quale questo percorso non sarebbe stato possibile, per il suo sostegno ma, soprattutto, per la profonda amicizia che è nata e che, vicine o lontane, credo durerà nel tempo.

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A) Riassunto 3

B) Introduzione al lavoro di tesi 5

C) Revisione della letteratura 8

C.1) La condizione medica 8

C.2) La Qualità della vita 11

C.3) Impatto della comorbidità sulla Qualità della Vita 15

C.3.1) Depressione post-stroke 16

C.3.2) Ansia post-stroke 20

C.3.3) Apatia 21

C.4) Influenza del supporto sociale 23

C.5) Qualità della Vita dalla fase acuta a quella cronica 27

D) Fase sperimentale 35 D.1) Materiali e metodi 35 D.1.1) Soggetti 35 D.1.2) Valutazione psicologica 35 D.1.3) Analisi statistiche 39 D.2) Risultati 41 D.3)Discussione 47 E) Conclusioni 50 F) Appendice 52

F.1) Scale di valutazione psicometrica 52

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3 A) Riassunto

Lo scopo del presente studio è quello di valutare diverse misure di qualità della vita (patient-centred e health-related) in pazienti con esiti di ictus in fase cronica, e correlare tali misure con variabili quali le strategie di coping, il supporto sociale e il distress psicologico. L'ictus, comunemente chiamato con il termine anglosassone stroke, è un evento vascolare che può comportare gravi conseguenze, da vari gradi di limitazioni fisiche sino alla morte. Nelle persone che sopravvivono all'evento, una volta superata la fase acuta, la riabilitazione e il recupero dell'autonomia nelle attività della vita quotidiana sembrano incidere significativamente sulla qualità della vita (QoL) e sul recupero funzionale (Kim, K., Kim, Y. M. & Kim, E. K., 2014). Anche in pazienti con gravi limitazioni fisiche, il recupero di una parziale indipendenza nelle attività quotidiane sembra favorire un minore carico assistenziale nei familiari e influenzare positivamente la QoL (Takemasa et al., 2014). Tuttavia, il rapporto tra stato funzionale e qualità della vita appare ben più complesso quando si tengono in maggior conto gli aspetti più personali e soggettivi della qualità della vita. Ciò, probabilmente, spiega l'estrema variabilità nei risultati delle ricerche sulla qualità della vita nei pazienti con esiti di ictus e rende ragione del ruolo dei fattori psicosociali nell' influenzare la percezione soggettiva della qualità della vita dopo l'evento (Tramonti, Fanciullacci, Giunti, Rossi & Chisari, 2014).

La prima parte di questo lavoro di tesi si occupa di una accurata revisione della letteratura esistente, che conferma la complessità dell'argomento e dei risultati correlati.

La seconda parte della tesi si occupa, invece, di descrivere uno studio che, a partire dalle evidenze suddette, punta ad ottenere una visione più approfondita e dettagliata su questo argomento. Nello specifico, questo studio vuole evidenziare gli indici di

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4 correlazione delle scale e sottoscale somministrate e confrontare i punteggi con i dati normativi disponibili in merito alla valutazione dello stato funzionale, del distress psicologico, del coping, del supporto sociale e della qualità di vita patient-centred e health-related.

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5 B) Introduzione al lavoro di tesi

Il concetto di Qualità di Vita è noto, ormai, essere di fondamentale importanza in tutte le discipline che si occupano di salute. Nell’ambito delle malattie cardiovascolari, che comprendono nella definizione sia le malattie cardiache che quelle cerebrovascolari e delle grandi arterie, e che costituiscono in Italia e nel mondo la più importante causa di mortalità, morbilità e disabilità, l'attenta valutazione di tutti gli aspetti riguardanti la qualità di vita, assume particolare rilevanza.

Sul piano sperimentale, le numerose ricerche hanno evidenziato come la “qualità della vita” sia un costrutto multidimensionale e per questo assai complesso da studiare. Nella patologia cerebrovascolare, questa componente è inficiata non solo dalle sue dirette conseguenze, soprattutto fisiche, ma anche dalla dimensione psicologica che si manifesta in comorbidità.

In questa ottica, alcuni autori (Algurén, Fridlund, Cieza, Sunnerhagen, & Christensson, 2012; Hackett, Duncan, Anderson, Broad, & Bonita 2000) suggeriscono che la QoL sia influenzata, in maniera differente, nel corso delle diverse fasi successive l'insorgenza di malattia.

Se nella fase acuta sembra pesare maggiormente il grado di disabilità fisica, nella fase cronica assumono maggiore rilevanza fattori psicologici e psicosociali.

In uno studio di Algurén e collaboratori (2012) viene evidenziata l'importanza rispetto alla HRQoL delle componenti “Funzioni corporee”, “Attività” e “Partecipazione” entro i 3 mesi dall'evento cerebrovascolare, e di un impatto maggiore ad 1 anno della componente “Fattori ambientali” (Algurén, Fridlund, Cieza, Sunnerhagen, & Christensson, 2012).

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6 Una revisione sistematica che si sofferma maggiormente sui fattori psicologici, mostra come già a 6 settimane problemi temperamentali e di personalità incidano negativamente sulla HRQoL. In particolar modo, pazienti con alti punteggi di nevroticismo hanno una QoL più bassa perché tendono a focalizzarsi sui loro sintomi (van Mierlo et al., 2014).

Per quanto riguarda la fase cronica, lo studio di Hackett, Duncan, Anderson, Broad e Bonita (2000) mette ben in evidenza come la QoL di pazienti a 6 anni dallo stroke sia percepita ugualmente in maniera positiva, rispetto alla popolazione generale. Infatti, nonostante più della metà dei pazienti non recuperi pienamente il suo precedente funzionamento quotidiano, e quindi sia dipendente da un’altra persona, questi mostrano una sufficiente capacità di adattamento alle conseguenze della patologia e alla loro nuova vita (Hackett, Duncan, Anderson, Broad & Bonita, 2000).

Per quanto concerne il supporto da parte dei caregivers, Baumann, Couffignal, Le Bihan e Chau (2012) hanno osservato come coloro che partecipavano a gruppi di lavoro finalizzati al miglioramento del problem-solving, avendo più strumenti e preparazione, riportavano maggiori livelli di soddisfazione e di QoL che correlano positivamente con quella dei loro assistiti (Baumann, Couffignal, Le Bihan, & Chau, 2012).

I risultati tuttavia sono spesso discordanti, a causa della soggettività del costrutto che stiamo analizzando.

Il seguente lavoro di tesi si prefigge quindi:

di analizzare, tramite una attenta revisione della letteratura, le principali variabili che influenzano la QoL health-related e patient-centred.

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7 di valutare, attraverso uno studio pilota, l’impatto di tali variabili

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8 C) Revisione della letteratura

C.1) La condizione medica

Le malattie cardiovascolari, che comprendono nella definizione sia le malattie cardiache che quelle cerebrovascolari e delle grandi arterie, costituiscono in Italia la più importante causa di mortalità, morbilità e disabilità.

Tra queste, gli accidenti cerebrovascolari (ictus) rappresentano la principale causa di invalidità e la seconda causa di demenza con perdita dell’autosufficienza, sia in Italia che nei Paesi occidentali.

In Italia si verificano circa 200.000 nuovi ictus ogni anno. Di questi, circa l’80% è rappresentato da nuovi episodi.

Il tasso di prevalenza di ictus nella popolazione anziana italiana (età 65-84 anni) è del 6,5%, ed è leggermente più alto negli uomini (7,4%) rispetto alle donne (5,9%). L’incidenza desunta dai dati di vari studi europei di popolazione, simili dal punto di vista metodologico, è risultata pari a 8,72 per 1000 nelle persone di età compresa tra 65 e 84 anni. Per ciò che riguarda più specificamente l’Italia, sono disponibili tassi grezzi di incidenza sulla popolazione generale in diverse località, che variano tra 1,54 (Isole Eolie) e 2,89 (Aosta II) per 1000, anche in rapporto alla variabilità dell’età media delle popolazioni considerate (Sacco et al., 2006 - Tabella 1). Infatti l’ictus colpisce, sia pure in misura minore, anche persone giovani e si stima che ogni anno il numero di persone in età produttiva (<65 anni) colpite da ictus sia intorno a 27.000. La mortalità a 30 giorni dopo ictus ischemico è pari a circa il 20%, mentre quella a 1 anno è pari al 30% circa. La mortalità a 30 giorni dopo ictus emorragico è pari al 50%. In altri termini, per l’Italia e per il mondo occidentale, l’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, causando il 10-12% di tutti i decessi

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9 per anno e si stima che, entro l’anno 2020, la mortalità per ictus incrementerà a causa dell’aumento degli anziani e della persistenza dell’abitudine al fumo di sigaretta (Consoli et al., 2010).

Tabella 1. Tassi annui di incidenza grezzi (per 1000) in diversi Registri italiani

Studio Anni Durata

(anni)

Popolazione Ictus totali Incidenza

Perugia Aosta Belluno Aosta Vibo Valentia L’Aquila Isole Eolie 9/1986-8/1987 1989 6/1992-5/1993 11/1996-10/1997 1996 1994-1998 7/1999-6/2002 1 1 1 1 1 5 3 49.101 114.322 11.389 118.723 179.186 297.838 13.431 108 254 474 343 321 4353 62 2,54 2,23 2,24 2,89 1,79 2,93 1,54

Come detto in precedenza, il termine ictus si riferisce ad una sindrome neurologica improvvisa, espressione di una malattia cerebrovascolare. La malattia cerebrovascolare è dovuta, a sua volta, a processi patologici come l'occlusione del lume per embolo o trombo, la rottura di un vaso, un'alterazione della permeabilità della parete vasale oppure l'aumento della viscosità del sangue, che vanno a caratterizzare diverse tipologie di ictus: (i) ischemico, dovuto ad occlusione o drastica riduzione pressoria di perfusione (ii) emorragico, dovuto ad emorragia intracranica non traumatica e (iii) criptogenico, dovuto ad origine indeterminata.

Nella sua forma più grave l'ictus può portare ad emiplegia e perfino coma; nella forma più lieve, invece, può comportare un deficit neurologico banale tale da non destare preoccupazione. Lungo questo continuum la caratteristica determinante è sicuramente la componente temporale, riguardante sia l'esordio che l'evoluzione.

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10 Quest'ultima, in particolare, quando tende rapidamente a regredire (durata inferiore a 24h), caratterizza l'attacco ischemico transitorio (TIA).

Il conseguente deficit neurologico riflette sia la localizzazione che le dimensioni dell'area interessata da infarto o emorragia. Il più classico è l'emiplegia, ma vi possono essere associati anche confusione mentale, intorpidimento, afasia, alterazioni del campo visivo, diplopia e disartria. Si vanno così a delineare sindromi neurovascolari che possono far identificare con estrema precisione la loro origine. Ci sono casi, però, in cui questa identificazione è resa difficile da disturbi funzionali silenti o che, all'opposto, rendono difficile la raccolta anamnestica per grave afasia o anosognosia. Oggi questi ostacoli sono facilmente superabili grazie alle tecniche di imaging, come TC e RM, e all’EEG.

I fattori di rischio più importanti riguardanti l'ictus sono: l'ipertensione, le cardiopatie, la fibrillazione atriale, il diabete mellito, iperlipidemia e l'abitudine al fumo di sigaretta. Numerosi studi hanno dimostrato che l'utilizzo di farmaci che riducono i livelli di colesterolo e provvedimenti di sanità pubblica mirati alla riduzione dei fattori di rischio, rappresentano i metodi più efficaci per la prevenzione della patologia cerebrovascolare (Ropper & Brown, 2005).

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11 C.2) Qualità della Vita

Anche se il concetto di “buona vita” e di “salute” sono stati da sempre considerati da filosofi, teologi e scienziati, il concetto di “Qualità della Vita” è stato introdotto solo nel 1975 come una parola chiave negli indici medici e studiato in maniera sistematica dai primi anni '80 nell'ambito dell'oncologia.

Il protrarsi dell'aspettativa di vita, grazie alle nuove cure, ha infatti sollevato dubbi sulle conseguenze che questo comporta (Demyttenaere, Fruyt & Huygens, 2002), andando quindi a delineare una distinzione tra la durata della vita e la sua qualità. Più di recente, il concetto di QoL (quality of life) si è affiancato ai termini “mortalità” e “sintomi” nelle investigazioni cliniche e nella cura del paziente, sottolineando un crescente interesse rispetto alla soddisfazione dell'individuo rispetto ai trattamenti, oltre che agli esiti.

In questo nuovo panorama la WHO scrive: “Con qualità della vita si intendono le percezioni che gli individui hanno della propria collocazione nella vita in relazione al contesto culturale e al sistema di valori in cui vivono e rispetto ai propri obiettivi, aspettative, standard e interessi. Si tratta di un concetto molto ampio che ricomprende, in modo complesso, lo stato di salute fisico e psicologico di ogni singolo individuo, il livello di indipendenza, le relazioni sociali, le credenze personali e il rapporto con le caratteristiche salienti dell’ambiente.” (WHOQOL Group, 1994).

In base a questa definizione, la valutazione della QoL diventa un utile strumento nella pratica clinica per far comprendere ai medici le priorità dei pazienti, migliorare la comunicazione medico-paziente e individuare le aree problematiche. Se questi però sono i punti di forza, il fatto di essere un costrutto individuale rischia di condurre a valutazioni vaghe ed approssimative (Berlim & Fleck, 2003). Spesso infatti, nelle

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12 valutazioni della QoL viene sottolineata la componente sociale, ambientale oppure funzionale fisica o psicologica, a seconda del modello teorico preso in riferimento. Si sono andati a creare di conseguenza, innumerevoli strumenti (Berlim & Fleck, 2003):

• Scale soggettive (patient-centred) Vs Scale oggettive (health-related) • Scale generiche Vs Scale malattia-specifiche

• Con approccio funzionale Vs Con approccio basato-sui-bisogni

Tra questi strumenti i più usati in ricerca, senza dubbio, sono le scale oggettive, che fanno riferimento alla Qualità di vita Health-related (HRQoL).

Per HRQoL si intende “la percezione individuale o di gruppo della salute mentale e fisica, nel tempo”. A livello individuale, il termine include le percezioni di salute, fisica e mentale, e i suoi correlati, come i rischi, lo stato funzionale, il supporto sociale e lo stato socio-economico. A livello collettivo, include le risorse, le condizioni, le politiche e le pratiche che influenzano le percezioni della popolazione sulla salute e sullo stato funzionale.

Misurare la HRQoL può aiutare a determinare il carico delle malattie prevenibili, delle lesioni e della disabilità e può fornire nuove preziose conoscenze sui rapporti tra i fattori di rischio e HRQOL (Centers for Disease Control and Prevention).

Tuttavia, questa dimensione rimane strettamente legata ad un modello biomedico che oggi è messo in discussione dalla cosiddetta “medicina centrata-sul-paziente”.

Più in armonia con questo nuovo modello è la definizione di Qualità della Vita Patient-centred.

Uno dei primi ad affrontare questa nuova prospettiva è stato Calman, già nel 1984, riferendosi non solo all'impatto del trattamento terapeutico o delle reazioni avverse, ma anche al riconoscimento del paziente come individuo, nella sua interezza: il corpo,

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13 la mente e lo spirito. Secondo l'autore una buona QoL è presente quando le speranze e le aspettative di un individuo sono integrate e soddisfatte dalla sua esperienza e questo può avvenire solo se le sue priorità e i suoi scopi sono realistici, quindi modificabili in base all'età e all'esperienza. Calman include in questo costrutto anche i termini soddisfazione, contentezza, felicità e capacità di fronteggiamento per sottolineare l'importanza della crescita personale.

Nella pratica clinica migliorare la QoL del paziente significa diminuire la distanza esistente tra speranze e aspettative, e ciò che accade nel presente (Calman, 1984). Ciò che lo rende possibile è l'identificazione, da parte del paziente stesso, dei problemi e delle priorità nelle cosiddette “aree della vita” che sono particolarmente importanti per lui (Flaningan, 1982).

Da questa definizione si sono sviluppati diversi strumenti, che affiancano quelli health-related, come il Patient Genereted Index (PGI) e la Schedule for the evaluation of individual quality of life (SEIQoL).

Per superare questa dicotomia, oggi sta emergendo un nuovo modo di affrontare la pratica medica, e non solo: la Medicina Narrativa.

La medicina narrativa (NBM) è un modello che arricchisce le cure attraverso l’attenzione e l’utilizzo, anche in senso terapeutico, dei racconti dei pazienti, dei medici, degli infermieri e di quanti operano nel sistema sanitario, valorizzando in particolare la prospettiva e la visione della malattia del soggetto e dei suoi familiari. Questo modello, sviluppato presso la Harvard Medical School da B.J. Good , sottolinea l'importanza delle “storie” nel valutare la qualità delle cure e del rapporto medico-paziente (Virzì et al., 2011).

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14 La Medicina Narrativa non vuole, quindi, sostituire la medicina basata sull’evidenza, ma piuttosto integrarsi ad essa per mettere al centro la persona, assumendo un approccio centrato sul significato che la malattia porta con sé.

Attraverso la narrazione, o l’intervista sulla propria storia, il paziente può giungere ad una rielaborazione personale della malattia e della sofferenza che essa comporta (Murri, Aloisi, Bossola & Tomasini, 2008). È stato dimostrato, infatti, che scrivere riguardo le proprie esperienze di vita stressanti, migliora le valutazioni mediche e gli indici oggettivi di gravità della malattia nei pazienti affetti da malattie croniche (Smyth, Stone, Hurewitz & Kaell, 1999).

Unendo la ricerca quantitativa a quella qualitativa, si può ottenere un valido ed esaustivo metodo per analizzare le varie dimensioni della qualità di vita, ed anche le ricerche puramente quantitative possono avvalersi di strumenti utili per una valutazione più approfondita degli aspetti più soggettivi e personali, quali ad esempio le interviste semi-strutturate come la sopramenzionata SEIQoL.

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15 C.3) Impatto della comorbidità sulla Qualità di Vita

L'ictus è un evento vascolare che compare improvvisamente, portando spesso a conseguenze molto significative sul piano funzionale, sia a livello fisico che psicologico.

Esiste una complessa rete di fattori che può influenzare l’adattamento dei pazienti dopo un ictus. Il background sociale, la compromissione neurologica, il tempo che trascorre tra l’evento e la sua valutazione, la disabilità, la compromissione cognitiva, l’umore, gli stili di coping e il supporto sociale sono predittori significativi della QoL (Carod-Artal & Egido, 2009). Rispetto alle persone sane, coloro che sopravvivono ad un ictus riferiscono un minore senso di benessere e sono più propensi ad avere un numero superiore di comorbidità (Clarke, Marshall, Black & Colantonio, 2002). L’età, le ridotte risorse socio-economiche, la comorbidità e la ridotta funzione degli arti superiori sono variabili solitamente associate a maggiori limitazioni fisiche (Nichols-Larsen, Clark, Zeringue, Greenspan & Blanton, 2005). La fatica post-stroke, intesa sia in senso fisico che psicologico, ha una significativa associazione con le attività della vita quotidiana strumentali (IADL) e la HRQoL, e può essere confusa con sintomi depressivi e debolezza motoria (van de Port, Kwakkel, Schepers, Heinemans & Lindeman, 2007).

Mentre oggi è relativamente facile la diagnosi delle ripercussioni fisiche, non è altrettanto semplice includervi quelle relative alla sintomatologia psicopatologica. Disturbi del linguaggio e disturbi cognitivi, insieme a sintomi fisici e comportamentali come lentezza, inappetenza e perdita di espressività facciale, possono essere fuorvianti, per esempio, nella diagnosi di alterazioni dell'umore. Sebbene siano disponibili definizioni diagnostiche “gold standard” è quindi necessario modificarne

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16 l'utilizzo quando si tratta di pazienti con ictus (Anderson, Hackett & House, 2004). Inoltre, non vanno sottovalutate le conseguenze cognitive e psicologiche dell’attacco ischemico transitorio (TIA) o dell’ictus minore. Queste condizioni con sintomi di breve durata comportano rapide dimissioni e le linee guida si focalizzano, soprattutto, sulla prevenzione secondaria dell’ictus. Tuttavia, come mostrato da Moran et al. (2014), i pazienti possono manifestare conseguenze cognitive e psicologiche residue, che spesso non vengono trattate opportunamente. In particolar modo, i soggetti manifestano soprattutto sintomi di deterioramento cognitivo lieve (MCI) e depressione che vanno riducendosi col tempo, e sintomi di fatica che, invece, rimangono stabili (Moran et al., 2014). Il rischio di una loro cronicizzazione può avere un notevole impatto sulla QoL ed è necessario valutarli attentamente.

C.3.1) Depressione post-stroke

Da una recente revisione sistematica della letteratura (Ayerbe, Ayis, Wolfe & Rudd, 2013) è emerso, in maniera evidente, come la depressione sia uno dei fattori di comorbidità più frequenti dopo un ictus, con una incidenza cumulativa fino al 52% nei primi 5 anni e una prevalenza sommersa del 29%, stabile nei primi 10 anni. Ayerbe e colleghi (2013) hanno osservato come la disabilità post-stroke e la presenza di depressione prima dell'ictus, siano i predittori di Depressione post-stroke (PSD) maggiormente riportati negli studi, seguiti da impoverimento cognitivo, gravità dell'ictus, ansia e mancanza di supporto, sia sociale che familiare.

A spiegare la forte associazione tra depressione pre e post-stroke, sarebbero importanti soprattutto i fattori di rischio non connessi direttamente all'ictus, come per esempio la suscettibilità genetica. La gravità dell'evento vascolare, invece, sarebbe

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17 connessa in maniera indiretta, gravando sulla disabilità conseguente, mentre l'impoverimento cognitivo sembra avere rapporti bidirezionali con la depressione. In sostanza, i risultati suggeriscono che la PSD sia maggiormente associata all'esperienza e alle conseguenze che l'ictus stesso comporta.

Afanasiev , Aharon-Peretz e Granot (2013) ipotizzano, invece, che il rischio di sintomi di depressione post-stroke, e di una peggiore QoL, siano legati alla tendenza ad assumere comportamenti di “evitamento del danno” (personalità harm avoidance), tratto che potrebbe essere usato quale segno distintivo per identificare pazienti a rischio (Afanasiev, Aharon-Peretz & Granot, 2013).

A questo proposito, la revisione sistematica di Visser, Aben, Heijenbrok-Kal, Busschbach e Ribbers (2014) sottolinea come depressione e stile di coping siano variabili importanti che interagiscono e che possono influenzare la Qualità della vita Health-related (HRQoL).

Nel loro lavoro essi fanno riferimento a due principali strategie di coping riprese da Brandtstädter e Renner (1990): strategia assimilativa e strategia accomodativa.

La strategia assimilativa viene chiamata anche “tenace perseguimento dell'obiettivo” e si riferisce ai pazienti il cui scopo è di adattare la situazione alle loro preferenze, cercando di condurre la vita come era prima dell'evento patologico; la strategia accomodativa, chiamata anche “regolazione flessibile dell'obiettivo”, si riferisce a pazienti che adeguano le loro preferenze personali alla situazione, accettando le conseguenze di un evento (Brandtstädter & Renner, 1990).

Visser e colleghi (2014) hanno evidenziato come in pazienti con ictus in fase acuta sia maggiormente adottata la strategia assimilativa e nella fase cronica sia più frequente l'uso della strategia accomodativa: quest'ultima, come la prima, ha un influenza positiva sul dominio “salute psicologica” della HRQoL, indipendentemente dalla

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18 presenza di sintomi depressivi, ma sugli altri domini (salute fisica, relazioni sociali e ambiente), pur avendo influenza positiva, sembra essere legata all'umore flesso. Gli autori concludono, quindi, che entrambe le strategie abbiano un’influenza positiva sulla salute psicologica e che un training mirato, sin dalla fase acuta, all'utilizzo della strategia accomodativa o delle due combinate, possa migliorare il processo di accettazione delle conseguenze dell'ictus, influenzando positivamente la HRQoL in seguito all'evento (Visser, Aben, Heijenbrok-Kal, Busschbach & Ribbers, 2014) . In un recente lavoro, Visser et al. (2015) si sono soffermati, oltre che sulle strategie di coping adottate da pazienti con depressione post-stroke, anche sulle capacità di problem-solving e su come queste variabili influiscano sulla HRQoL dei soggetti (Visser et al., 2015).

Il problem-solving, infatti, va distinto dalle strategie di coping in senso lato poiché può essere considerato uno dei possibili processi di adattamento, messi in atto dall’individuo per trovare una soluzione ad uno specifico problema (D'Zurilla & Maydeu-Olivares, 1995). Lo studio di Visser e colleghi (2015) ha sottolineato come alti livelli di depressione incidano negativamente sulla HRQoL in generale e come, sia con alti che con bassi punteggi di depressione, la strategia di problem-solving “orientamento positivo al problema” fosse un fattore indipendente che influiva positivamente sulla HRQoL generale e sul dominio psicosociale. Gli autori propongono quindi un training specifico orientato anche alle strategie positive di problem-solving per i pazienti con esiti di ictus (Visser et al., 2015).

Le implicazioni della PSD, quindi, si riflettono su una più bassa Qualità di Vita, sulla disabilità e sull'aumento dei tassi di mortalità, rendendo quindi necessaria, per la pratica clinica, una particolare attenzione verso i pazienti maggiormente a rischio (Ayerbe, Ayis, Wolfe & Rudd, 2013).

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19 Secondo Ellis, Grubaugh e Egede (2012) la depressione avrebbe ripercussioni in particolar modo sulla prevenzione secondaria. Questi autori hanno sottolineato come essa vada a diminuire notevolmente la tendenza ad impegnarsi in attività fisica, che costituisce uno dei fattori più importanti per la prevenzione secondaria nell'ictus e per la salute cardiovascolare in generale, e come si associ anche alla diminuzione di comportamenti di salute preventivi genere-specifici (mammografia e pap-test), che può avere un effetto devastante e costoso sullo stato di salute a lungo termine delle donne sopravvissute ad ictus (Ellis, Grubaugh & Egede, 2012).

Sebbene siano numerosi gli studi sulla Depressione post-stroke, non sono altrettanto numerosi quelli che la studiano in stretta relazione a Stanchezza e Dolore.

Naess, Lunde e Brogger (2012) evidenziano come questi tre sintomi si manifestino spesso insieme, andando a creare un vero e proprio cluster, e come questo incida, nel lungo termine, sulla HRQoL.

In particolar modo, la stanchezza si manifesta in circa il 40% dei pazienti al follow-up e il dolore varia dal 20% al 50%. Gli autori hanno osservato come la maggior parte dei pazienti con un sintomo, ne manifestassero almeno un altro: il cluster più frequente si è dimostrato essere quello formato da “Stanchezza-Dolore”, seguito dal cluster “Depressione-Stanchezza-Dolore”, mentre quello “Depressione-Dolore” risulta raro. Dalle loro analisi è emerso come stanchezza, depressione, dolore, stato funzionale, e disturbi del sonno, al follow-up, rappresentino fino al 83% della variabilità dell'HRQoL, a seconda della valutazione utilizzata, e come l'incremento della frequenza del cluster “Depressione-Stanchezza-Dolore”, in ogni paziente, sia altamente associata al suo peggioramento.

Per l'evidente sovrapporsi di questi sintomi, individuare un trattamento ottimale può risultare difficile. Valutare quale tra tutti i sintomi pesa maggiormente sul singolo

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20 individuo ed agire su di esso, pare essere il modo più efficace per ottenere maggior effetti benefici sulla HRQoL (Naess, Lunde, & Brogger, 2012).

Sempre nell'ambito dello spettro dei disturbi dell'umore, Chen, Wong, Mok, Ungvari e Tang (2011) si sono soffermati sull'Incontinenza Emotiva post-stroke (PSEI), definita come episodi incontrollati di pianto, riso o entrambi, che compaiono poche settimane dopo l'ictus e perdurano anche per anni. Pur essendo poco indagata, la PSEI è una complicazione comune in seguito ad ictus, che inficia la HRQoL, avendo un impatto significativo sia sugli aspetti di salute fisica che mentale.

Dallo studio emerge che i pazienti con PSEI sono timorosi nei contatti sociali e frequentemente tendono ad isolarsi, nonostante abbiano recuperato le condizioni fisiche. Questo impoverimento funzionale, sia emotivo che sociale, interferisce quindi anche sull'aspetto riabilitativo (Chen, Wong, Mok, Ungvari & Tang, 2011).

C.3.2) Ansia post-stroke

Altro fattore di comorbidità in seguito ad ictus è l'Ansia: nel loro studio, Tang, Lau, Mok, Ungvari & Wong (2013) hanno evidenziato che l'Ansia post-stroke ha una prevalenza dal 23 al 29% ed è associata a sintomi depressivi e compare più spesso nel genere femminile.

Sebbene le sue implicazioni siano sempre state legate allo stato di salute generale, gli autori hanno mostrato come i sintomi d'ansia abbiano un maggior impatto sulla salute psicosociale, intendendo umore, personalità e capacità cognitive. In particolar modo, il dominio “umore” rifletterebbe l'interrelazione tra depressione ed ansia e la correlazione con le limitazioni occupazionali del paziente.

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21 cambiamenti nei loro cari, con un aumento di irritabilità ed impazienza. In effetti l'ansia viene definita uno stato emozionale e comportamentale di personalità, che si caratterizza, tra i vari tratti, anche per la labilità emotiva.

Le forti ripercussioni psicosociali portano alla conclusione che l'Ansia post-stroke ha un impatto negativo sulla qualità della vita dei pazienti con esiti di ictus, in particolar modo in quella health-related (Tang, Lau, Mok, Ungvari & Wong, 2013).

C.3.3) Apatia

In un lavoro successivo, Tang, Lau, Mok, Ungvari & Wong (2014) hanno esaminato invece la presenza di apatia. La nosografia psicopatologica e le manifestazioni cliniche dell'apatia si sovrappongono ai disturbi affettivi, in particolare alla depressione, e tale sintomatologia è piuttosto comune anche nella demenza e nella fase cronica della schizofrenia.

Differenziare tra apatia e depressione può essere difficile. Anche se entrambe le sindromi possono presentare diminuita iniziativa, disperazione e stanchezza, la depressione in genere include sentimenti di colpa, ansia, e mancanza di insight, mentre l'apatia è più probabile che sia dominata da una risposta emotiva attenuata e da indifferenza.

La prevalenza di apatia dopo un ictus varia dal 27 al 38% ed è associata ad età avanzata, bassa scolarità, impoverimento cognitivo e delle abilità fisiche, sintomi depressivi e lesioni localizzate. Non è, invece, associata al genere, alla gravità dell'evento o alla sua storia.

L'apatia ha un’influenza negativa sul recupero, in particolar modo in termini di funzionamento quotidiano e cognitivo. I risultati dello studio suggeriscono che nel

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22 tempo tende a diminuire in alcuni pazienti, anche se in altri pazienti non-apatici questa si sviluppa nell'arco dei 15 mesi successivi allo stroke (Tang, Lau, Mok, Ungvari & Wong, 2014).

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23 C.4) Influenza del supporto sociale

Molti studi hanno evidenziato diversi fattori che influenzano la qualità della vita, in particolare health-related: fattori demografici, fattori specifici alla malattia e deficit fisici. Tuttavia, questi spiegano solo una piccola parte della varianza di questo costrutto, rendendo necessaria l’analisi di altre variabili, tra cui il Supporto Sociale. Il supporto sociale può essere definito come qualsiasi sostegno dato al di fuori di ambienti istituzionalizzati (Campbell, Wynne-Jones & Dunn, 2011). Essendo una definizione piuttosto vaga, Langford, Bowsher, Maloney & Lillis (1997) hanno elaborato un’analisi concettuale che ha individuato 4 diverse accezioni: (i) supporto emotivo, che riguarda il prendersi cura dell’altro, l’empatia, l’amore e la fiducia, (ii) supporto strumentale, che include la fornitura di servizi e beni materiali, (iii) supporto informativo, cioè le informazioni fornite da altri che mirano al problem-solving e (iv) supporto valutativo, cioè quelle comunicazioni importanti per l’autovalutazione piuttosto che per il problem-solving. Ognuna di queste quattro definizioni rende il supporto sociale utile e protettivo per chi lo riceve (Langford, Bowsher, Maloney & Lillis, 1997).

Il supporto sociale può essere anche analizzato da un punto di vista qualitativo (soddisfazione), quantitativo (la dimensione della rete di sostegno) o anche dalla fonte da cui proviene (amici, familiari, partner). Può essere, poi, distinto in maniera più oggettiva in supporto sociale ricevuto o, in maniera soggettiva, in supporto sociale percepito.

Morris, Robinson, Raphael & Bishop (1991) suggeriscono l’importanza del supporto sociale percepito come fattore protettivo, sia per l’insorgenza sia per il progredire dell’umore depresso (PSD), che sappiamo essere una delle più frequenti conseguenze

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24 dell’ictus. Infatti, i soggetti che, in seguito alla patologia, non percepivano alcun supporto sociale, si mostravano più suscettibili allo sviluppo di depressione e, una volta depressi, lo rimanevano più a lungo (Morris, Robinson, Raphael & Bishop, 1991).

Dalla revisione sistematica di Kruithof, van Mierlo, Visser-Meily, van Heugten & Post (2013) emerge la relazione tra supporto sociale e la HRQoL nei pazienti con esiti di ictus, seppur non in modo significativo. Gli autori hanno osservato come, dagli studi da loro raccolti, non sia possibile stabilire una relazione causale tra i due costrutti; tuttavia, nonostante vengano utilizzati diversi modelli teorici e non sia ancora chiaro il legame tra supporto sociale e HRQoL, i risultati mostrano che sia ragionevole presumere che la presenza di supporto sociale migliori la qualità di vita dei pazienti. Il sostegno, sia emotivo che pratico, media la percezione della disabilità e dei bisogni dei pazienti; la sua mancanza è considerata un ostacolo per l’autonomia nelle attività della vita quotidiana e per la partecipazione sociale.

Mantenere una rete sociale per questi pazienti, infatti, può essere molto difficile a causa delle ripercussioni fisiche, cognitive, comunicative, di mobilità e di stanchezza cronica, che rendono gravosa la loro presa in carico (Kruithof, van Mierlo, Visser-Meily, van Heugten & Post, 2013). A tre anni dall’ictus, i pazienti mantengono contatti con i figli, ma quelli con amici o vicini sono molto minori rispetto alla popolazione generale, a parità di età (Astrom, Asplund & Astrom, 1992).

Il supporto sociale percepito è, quindi, strettamente legato a come i cosiddetti “caregivers informali” vivono il loro ruolo e i cambiamenti che sopraggiungono a livello familiare, in seguito all’evento ictale.

Nel loro studio, Klinedinst et al. (2009) si sono soffermati ad analizzare le caratteristiche dei caregivers che influenzano la qualità della vita collegata alla salute

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25 dei pazienti dopo ictus: analizzando 5 diverse variabili (sintomi depressivi, stanchezza, salute fisica, comunicazione e problem-solving), i loro risultati dimostrano che solo la presenza di sintomi depressivi nei caregivers correla con una più bassa qualità della vita dei loro congiunti, probabilmente perché, nel percorso di recupero, la loro rinnovata esigenza di partecipazione in attività sociali viene difficilmente accolta, quando chi li assiste mostra una flessione dell’umore (Klinedinst et al., 2009).

Un altro interessante punto di vista, può essere quello che considera la diade “caregiver-paziente” come una singola unità.

La soddisfazione della diade sembra essere strettamente legata all’impatto dell’ictus percepito sulla vita quotidiana e al carico assistenziale, ma, il dato interessante, è che il grado di “mutualità”, intesa come condivisione di sentimenti e pensieri comuni, può essere in grado di modularla. Questa, quindi, può essere un indice di potenziale vulnerabilità/protezione da valutare lungo il percorso riabilitativo (Bergstrom, Eriksson, von Koch & Tham, 2011).

La revisione sistematica qualitativa di Walsh, Galvin, Loughnane, Macey, & Horgan (2014) pone l’accento sull'importanza dei fattori sociali per la reintegrazione nella comunità. Due temi da loro analizzati riguardano “senso di appartenenza versus stigmatizzazione” e “sostegno e dipendenza”.

Il primo tema evidenzia come la partecipazione ad attività significative con gli altri possa incrementare il senso di appartenenza e come un luogo di lavoro “collaborativo” (flessibilità d’orario e carico di lavoro adeguato) possa aiutare il paziente a ridimensionare, in maniera adattiva, le proprie capacità.

Il secondo tema mette in luce aspetti nuovi relativi al sostegno e al sentimento di dipendenza. Che il supporto da parte di familiari e amici sia estremamente

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26 importante, non è messo in dubbio ma, l’analisi qualitativa, mostra come questo possa portare a sentimenti negativi legati al fatto di essere dipendenti da qualcun altro e, quindi, a tensioni nelle relazioni, specialmente quando la rete sociale è piuttosto ristretta.

Al contrario, l’essere dipendenti, che di per sé è limitante per il reinserimento, può essere vissuto come una sfida verso l’autonomia. Una buona soluzione può essere, perciò, un giusto bilanciamento tra indipendenza e reciprocità.

Gli autori hanno evidenziato anche temi riguardanti il sostegno informativo, così come definito dal gruppo della Langford (1997). Una delle prime occasioni di supporto, infatti, è quella che riguarda la presa in carico e il rapporto con la figura del medico: il ritardare le terapie di riabilitazione o il non preparare adeguatamente alle dimissioni, può creare nei pazienti una perdita di iniziativa verso il recupero. Anche la chiarezza delle informazioni sembra essere essenziale nel momento in cui il paziente si trova ad affrontare da solo il percorso riabilitativo, poiché evita sentimenti di incertezza e di timore.

Infine, il successo del recupero dipende molto da quanto il paziente sente che il percorso riabilitativo deciso dal medico sia in linea con le esigenze che egli ha espresso (Walsh, Galvin, Loughnane, Macey & Horgan, 2014).

È evidente che il concetto di supporto sociale va ben oltre il semplice sostegno emotivo e che tutte le sue sfaccettature, implicano ripercussioni sulla qualità della vita dei pazienti. Emerge la necessità, sempre più impellente per chi si occupa della pratica clinica, di focalizzarsi su una sua attenta valutazione.

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27 C.5) Qualità della Vita dalla fase acuta a quella cronica

In letteratura non sono presenti numerosi studi longitudinali che evidenziano i cambiamenti che avvengono dalle dimissioni ospedaliere, alla fase riabilitativa fino alla fase cronica.

Dal loro studio prospettico, Hopman e Verner (2003) hanno confermato che la riabilitazione ospedaliera ha un forte e positivo impatto sulla QoL, in particolare health-related. Le evidenze di significativi miglioramenti riguardanti gli aspetti fisici, cognitivi, emozionali e sociali del funzionamento dei pazienti e del loro benessere vengono, tuttavia, seguite da rilevanti prove di declino a 6 mesi dalle dimissioni, suggerendo che questi soggetti, probabilmente, non riescono a continuare la riabilitazione una volta tornati a casa. Questo dimostra che l'adattamento in seguito ad ictus riguarda molto di più che il semplice recupero della funzione fisica e, che il ritorno all’ambiente domestico e familiare, può rendere consapevoli del grado di perdita funzionale e d'indipendenza.

Questo aspetto, perciò, ha portato gli autori ad includere anche una valutazione dei caregivers, mostrando come spesso le due parti (pazienti versus caregivers) sono focalizzate su problemi differenti, dalle quali dipende la loro QoL.

D’altro canto, però, è emerso come coloro che sarebbero stati dimessi per tornare a casa, mostrassero maggiori miglioramenti, rispetto a coloro che sarebbero stati istituzionalizzati, confermando come il supporto sociale percepito possa essere una potente variabile.

Hopman e Verner (2003) hanno mostrato che la lateralizzazione dell’accidente cerebrovascolare e l’età non influenzano la HRQoL. Il genere, invece, sembra essere un fattore rilevante nel tempo: all’ammissione in reparto non sono state rilevate

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28 differenze; si rafforzavano alle dimissioni, peggiorando nelle donne, per diventare significative a 6 mesi. Come confermano successivi lavori (Bushnell et al., 2014; Franzen-Dahlin & Laska, 2012), gli autori sostengono che questo dato sia legato al difficile recupero del tradizionale ruolo di casalinga (Hopman & Verner, 2003).

In merito al genere, tuttavia, ci sono dati discordanti: studi longitudinali hanno mostrato che gli uomini hanno una peggior QoL tra i 3 e i 12 mesi (Muus, Petzold & Ringsberg, 2010) o che, nonostante la QoL migliori dai 4 ai 16 mesi, negli uomini rimane peggiore (Jönsson, Lindgren, Hallström , Norrving & Lindgren, 2005).

Nello studio già citato in precedenza, Algurén e colleghi (2012) hanno esaminato in maniera più approfondita l’associazione tra HRQoL e fattori biopsicosociali della International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF), valutando i pazienti all’ammissione, a 6 settimane, a 3 mesi e ad 1 anno dopo l’evento, soffermandosi sulle categorie “ Funzioni corporee” (FC), “Attività e Partecipazione” (AP) e “Fattori ambientali” (FA).

In accordo con lo studio di Hopman e Verner (2003), gli autori hanno osservato che, nei primi 3 mesi, “Funzioni corporee” e “Attività e Partecipazione” erano i parametri principali che spiegavano quasi tutta la varianza della HRQoL ma, ad 1 anno, solo la metà della varianza poteva essere spiegata dalle categorie “Funzioni corporee” e “Fattori ambientali”. Ancora più in dettaglio, andando ad analizzare le varie componenti delle categorie ad 1 anno, quelle riguardanti AP e, ancor meno, FC non influivano più così fortemente, lasciando spazio, invece, al significativo impatto dei facilitatori ambientali (FA). Nel complesso, limitazioni in attività ricreative e nel tempo libero, di energia e delle funzioni motorie (ad esempio fatica), compromissione nell’andatura e delle funzioni di personalità, erano fattori indipendenti associati ripetutamente ad una minor HRQoL nell’arco di 1 anno dopo l'ictus.

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29 Un altro recente studio (Chou, 2015) ha analizzato meglio l’impatto di quella che, in generale, viene definita “disabilità” sulla HRQoL specifica nell’ictus, facendo sempre riferimento alle dimensioni Funzioni Corporee, Attività e Partecipazione della ICF e prendendo in esame pazienti con ictus moderato in condizioni di stabilità clinica da almeno 6 mesi. Questo tipo di pazienti, infatti, viene spesso escluso dalle ricerche, determinando così risultati poco sensibili alla varietà della sintomatologia possibile. Correlando i punteggi della HRQoL specifica per l’ictus con 5 tipi di fattori (variabili sociodemografiche, caratteristiche cliniche, severità dei sintomi e fattori fisici, neurocognitivi e psicosociali), l’autore ha confermato una stretta relazione con i fattori psicosociali e, inoltre, con i fattori inerenti alla severità della patologia. Tra i fattori psicosociali, la partecipazione sociale è la componente che in questo studio è risultata incidere maggiormente sulla HRQoL specifica; tra i fattori di severità della patologia, sono invece risultati correlati alla HRQoL lo stato funzionale e i livelli di performance nelle attività della vita quotidiana (ADL) (Chou, C. Y., 2015).

La valutazione della qualità di vita non può prescindere da una valutazione della dimensione temporale e dal decorso della condizione medica. Vi è poi un’evoluzione sul piano dei processi psicologici di adattamento, che spesso riflette i cambiamenti individuali nei valori, degli standard interni e delle aspettative che influenzano il processo di recupero (Algurén, Fridlund, Cieza, Sunnerhagen & Christensson, 2012). A questo proposito, secondo Barclay-Goddard, Lix, Tate, Weinberg e Mayo (2011) il cambiamento nella percezione del significato della qualità della vita correlata alla salute, da loro nominato “Spostamento della risposta” (Response shift), sarebbe proprio basato sull’esperienza e sulle aspettative e comporterebbe cambiamenti della HRQoL.

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30 Il cambiamento dei valori e delle priorità dovuto all’adattarsi ad una malattia cronica, infatti, può determinare una modificazione nell’importanza data ai domini misurati nelle scale HRQoL o addirittura al concetto in generale.

Secondo gli autori, la presenza di Response shift in merito alle funzioni fisiche ad 1 anno dall’ictus, può migliorare il livello di HRQoL e dovrebbe essere un obiettivo della riabilitazione, specialmente nei soggetti che non recupereranno a pieno le loro abilità (Barclay-Goddard, Lix, Tate, Weinberg & Mayo, 2011).

Darlington et al. (2007) hanno analizzato la relazione tra QoL e strategie di coping, e come queste ultime cambino nel tempo in seguito all’ictus. Riprendendo il modello di coping di Brandtstädter e Renner (1990), gli autori hanno confermato l’importanza di entrambe le strategie (assimilativa e accomodativa) nel determinare una buona QoL ma, soprattutto, hanno osservato come queste sembrassero non giocare un ruolo principale fino a 5 mesi (T3) dopo le dimissioni. Prima di questo periodo (T1 e T2) la QoL è principalmente determinata dal funzionamento generale; quando, invece, i miglioramenti diminuiscono facendo emergere i danni permanenti e i loro effetti nelle ADL, diventano fondamentali per un buon adattamento entrambe le strategie di coping (Darlington et al., 2007).

Come abbiamo fin qui riportato, è evidente che il ritorno a casa dopo la degenza è una delle fasi più delicate per un buon adattamento alla malattia.

Baumann, Le Bihan, Chau, K. e Chau, N. (2014) si sono interessati a quanto la QoL, nei 2 anni successivi all’insorgenza della patologia, fosse associata allo stato socio-economico (SES) e all’insoddisfazione per le informazioni e all’assistenza ricevute. Dai loro risultati, è emerso che in questo periodo la QoL dei pazienti era notevolmente bassa per i domini inerenti ai sintomi depressivi, valutati con la Newcastle Stroke-specific Quality of Life Measure (Buck, Jacoby, Massey, Steen, Sharma & Ford, 2004),

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31 e che le alterazioni erano fortemente associate con l’insoddisfazione per le informazioni e l’aiuto ricevuti, per la mancanza di coordinazione tra i servizi e per la possibilità di ricevere aiuto quando fosse necessario. La bassa QoL dei soggetti rifletteva le conseguenza di un’ampia varietà di compromissioni funzionali, la presenza di basso livello di educazione, basso reddito o perdita del lavoro (Baumann, M., Le Bihan, E., Chau, K., & Chau, N., 2014).

Gli studi che si sono occupati di verificare la QoL oltre i due anni dall’evento ictale, sono piuttosto discordanti.

Lo studio condotto da Hackett, Duncan, Anderson, Broad e Bonita (2000) ha comparato la HRQoL di pazienti, che avevano avuto un ictus da 6 anni, con la popolazione generale, utilizzando la SF-36 (Ware & Sherbourne, 1992). Dai loro risultati emerge che, nonostante la maggior parte dei soggetti non recuperi a pieno le proprie abilità, la percezione della loro salute mentale era buona quanto quella della popolazione generale. Inoltre, anche osservando la salute generale, che comprende sia quella mentale sia quella fisica, la maggioranza dei casi aveva un punteggio positivo (55-75); solo nei pazienti più anziani e disabili il punteggio era peggiore (˂50) confermando l’impatto della compromissione fisica che emerge anche dai punteggi della SF-36 (funzionamento fisico). Gli autori, quindi, concludono che in generale i pazienti nel lungo termine hanno una buona qualità di vita.

Arrivano a conclusioni diverse due studi più recenti. Paul et al. (2005) hanno osservato che, a 5 anni dallo stroke, la maggior parte dei soggetti aveva una HRQoL molto bassa e che i fattori indipendenti predittivi erano l’età, lo status socio-economico basso e la severità dell’ictus. Il genere non rientrava tra questi fattori poiché nel lungo termine il tasso di mortalità, molto alto nelle fasi iniziali soprattutto nelle donne, va stabilizzandosi, andando a ridurre la differenza (Paul et al., 2005).

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32 Patel et al. (2006) hanno stimato la relazione tra grado di disabilità, handicap e HRQoL fino a 3 anni dall’ictus. Dai loro risultati viene confermato il fatto che la prevalenza di disabilità e handicap a tre anni rimane alta e che la percezione del dominio fisico della HRQoL è persistentemente basso. Gli autori confermano, come in Hackett et al. (2000), che la percezione della salute mentale a tre anni dall’evento è soddisfacente. Viene sottolineata, quindi, una relazione graduale tra HRQoL e compromissione fisica (Patel et al., 2006).

Un recente studio si focalizza, invece, su un nuovo metodo di valutazione adottato per gli investimenti medico-sanitari (Luengo-Fernandez, Gray, Bull, Welch, Cuthbertson & Rothwell, 2013). L’analisi dei rapporti tra costi ed efficacia dei trattamenti utilizza una misura di incremento dell’aspettativa di vita media corretto per la qualità della stessa, per quantificare gli effetti dei progetti sanitari: il QALY (Quality Adjusted Life Years), che ha punteggi che vanno da 0 (morte) a 1 ( anno di perfetta salute) include cambiamenti sia quantitativi (longevità/mortalità) sia qualitativi (morbilità, psicologici, funzionali, sociali, e di altri fattori) della vita (National Institute for Health and Care Excellence, 2013).

I risultati di Luengo-Fernandez, Gray, Bull, Welch, Cuthbertson & Rothwell (2013) mostrano che l’efficacia dei trattamenti per i pazienti con stroke era più bassa, a 5 anni dal reclutamento, rispetto ai controlli. Di conseguenza la qualità-corretta era considerevolmente compromessa, portando i QALYs a 2.21 rispetto ai 5 anni. Gli autori hanno, però, mostrato come nel gruppo dei pazienti con ictus vi fosse un miglioramento dell’efficacia tra 1 e 6 mesi che si manteneva nei 5 anni successivi (Luengo-Fernandez, Gray, Bull, Welch, Cuthbertson & Rothwell, 2013).

Un altro interessante studio che adotta un approccio differente, è quello di Owolabi (2011). Gli obiettivi di questo studio erano di valutare l'impatto dell’ictus sulla HRQOL

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33 in due diverse culture (Nigeria e Germania) utilizzando una misura olistica (il questionario HRQOLISP) e confrontare la HRQOL tra pazienti e adulti sani per tutti i livelli di gravità.

Il HRQOLISP è una misura olistica multiculturale validata, basata su un modello che indaga in maniera approfondita il sistema di credenze dei pazienti con ictus e permette di catturare molti aspetti delle percezioni soggettive e culturalmente mediate della qualità di vita (Owolabi, 2010). Questo strumento, a differenza degli altri, ha tre domini riguardanti il funzionamento spirituale e, in generale, può essere suddiviso in due cluster: sfera fisica, che comprende il dominio fisico, psico-emozionale, cognitivo e socio-ambientale, e sfera spirituale, che include il dominio psicologico/personale, idealistico e delle relazioni spirituali.

Nonostante la diversa identità etnica e religione dei due paesi, i risultati mostrano per entrambi una significativa riduzione dei punteggi della HRQoL legati alla sfera fisica e un sostanziale risparmio di quella spirituale. Questa differenza sembra essere dovuta al ruolo centrale che la sfera spirituale occupa nel percorso di recupero, ristabilendo un senso di continuità dato dall’adattamento interno che coinvolge il senso d’identità, la motivazione, la ridefinizione dei valori e dei bisogni. Questo percorso culmina, perciò, nel miglioramento delle strategie di coping basato sulle risorse personali residue e recuperate. I risultati mostrano anche che con l’aumentare della severità dell’ictus i punteggi della sfera spirituale rimangono intatti, mentre vengono notevolmente influenzati quelli della sfera fisica. Se, quindi, la sfera fisica deve essere il primo obiettivo per una terapia riabilitativa, preservare la sfera spirituale può essere utile per migliorare altri aspetti della QoL (Owolabi, 2011).

In linea con quest’ultimo lavoro, sono interessanti alcuni temi estrapolati dalla ricerca fenomenologica di Secrest e Thomas (1999) in merito alla qualità della vita nei

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34 pazienti in seguito ad ictus. Andando ad analizzare le loro descrizioni delle esperienze di tutti giorni è emerso che il loro mondo si fonda sulla perdita e sugli sforzi fatti. A questi due concetti base si correlano tre temi principali: indipendenza-abilità /dipendenza-disabilità; avere il controllo/non avere controllo; essere connessi/disconnessi dagli altri.

I primi temi sono fortemente legati alla nostra cultura e non sorprende che vengano messi in rilievo. Tuttavia ciò che questi significano cambia a seconda dei pazienti: molti soggetti riferiscono di sentirsi disabili nonostante abbiano recuperato perfettamente; altri percepiscono di essere indipendenti, ma sentono di non essere visti come tali dagli altri. Il rapporto con gli altri, infatti, è un altro tema molto importante. La connessione/disconnessione dagli altri può portare a focalizzarsi sul senso di continuità con se stessi; spesso, infatti, è attraverso la percezione altrui che si manifesta la disabilità del paziente oppure grazie a questa, egli può trasformare la rottura della sua vecchia identità in un nuovo Sé (Secrest & Thomas, 1999).

Che si parli di dati oggettivi o soggettivi, è evidente che il percorso di recupero non può escludere un’attenta valutazione delle variabili che incidono soprattutto a lungo termine e che determinano l’adattamento ad una vita nuova per il paziente, ma anche per chi lo circonda. È necessario, tuttavia, continuare con studi longitudinali che possano far luce su aspetti discordanti che sono ancora presenti in letteratura.

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35 D) Fase Sperimentale

D.1) Materiali e Metodi

D1.1) Soggetti

In questo studio sono stati valutati 25 pazienti (9 donne e 16 uomini) con età compresa tra i 39 e i 78 anni (M= 62.5 ± 11.78), con esiti di ictus a distanza di almeno 6 mesi dall'evento critico(M= 82.68 ± 84.61), reclutati tutti presso gli ambulatori e il day hospital della U.O. di Neuroriabilitazione dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, a partire dal maggio 2014 fino al maggio 2015. Il campione è stato ricavato dall’arruolamento ad accesso consecutivo di 30 pazienti: 2 soggetti sono stati esclusi per grave deficit afasico e 3 soggetti hanno rifiutato di partecipare allo studio. Sono stati esclusi i soggetti con deficit cognitivi significativi mediante screening neuropsicologico (Mini mental state examination, punteggio <24). Ogni paziente ha firmato una scheda informativa e un foglio di consenso informato.

D.1.2) Valutazione psicologica

Tutti i partecipanti allo studio sono stati sottoposti ad un’intervista semi-strutturata durante la quale sono stati somministrati 6 test psicometrici, per la valutazione dello stato funzionale, del distress psicologico, del coping, del supporto sociale, della qualità di vita (patient-centred e health-related).

Valutazione dello stato funzionale:

o Barthel Index: L'Indice di Barthel fornisce un punteggio indicativo delle capacità del soggetto di alimentarsi, vestirsi, gestire l'igiene personale,

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36 lavarsi, usare i servizi igienici, spostarsi dalla sedia al letto e viceversa, deambulare in piano, salire e scendere le scale, controllare la defecazione e la minzione. Il punteggio assegnato per ogni funzione può essere 15, 10, 5 o 0. Per esempio, vengono assegnati 10 punti se il soggetto si alimenta autonomamente e 5 punti se richiede aiuto (per esempio tagliare il cibo). Per il controllo della minzione e defecazione si considera indipendente il paziente che gestisce autonomamente i propri bisogni; con aiuto se richiede l'aiuto (anche parziale) di altri per utilizzare strumenti quali pappagallo o padella; dipendente se usa il catetere o presenta episodi d’incontinenza, anche saltuari. Il punteggio massimo è assegnato solo se il paziente esegue il compito in modo completamente indipendente, senza la presenza di personale d'assistenza. Il punteggio massimo è 100 ed indica l'indipendenza in tutte le attività di base della vita quotidiana. (Mahoney & Barthel, 1965; traduzione italiana di Colombo validata da Shah).

Valutazione del distress psicologico:

o Hospital Anxiety and Depression Scale: È una scala di autovalutazione, che è stata sviluppata per rilevare gli stati di depressione, ansia e stress emotivo tra i pazienti in trattamento per problemi fisici (Zigmond & Snaith; 1983). La scala non è stata progettata per essere uno strumento clinico diagnostico, ma piuttosto come misura di screening del distress psicologico. In origine era composta da 8 domande relative alla depressione e 8 in materia di ansia. Oggi la scala finale ha un totale di 14 items. Alle risposte va assegnato un punteggio che va da 0 a 3, con 3 che sta ad indicare la frequenza dei sintomi più alta (Whelan-Goodinson , Ponsford

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37 & Schönberger, 2009). Il punteggio per ogni sottoscala (ansia e depressione) può variare da 0 a 21, con punteggi classificati come segue: normale (0-7), lieve (8-10), moderato (11-14), grave (15-21). Il punteggio totale (distress emotivo) va da 0 a 42, con punteggi più alti che indicano maggiore disagio. Prima di iniziare i pazienti sono invitati a "leggere ogni affermazione e segnare con una crocetta la sensazione che maggiormente si avvicina a come si è sentito/a in questa settimana" (Zigmond & Snaith, 1983; versione italiana di Costantini et al., 1999).

Valutazione del coping:

o Brief COPE: è la versione ridotta del COPE e ha lo scopo di valutare le strategie di coping del soggetto. E’ costituito da 28 item, articolati in 14 scale composte, ciascuna delle quali formata da 2 item, che vanno a costituire il profilo di coping. In particolare, le scale si articolano in: ristrutturazione positiva, distogliere l’attenzione, espressione, uso del supporto strumentale, affrontare operativamente, negazione, religione, umorismo, disimpegno comportamentale, uso del supporto emotivo, uso di sostanze, accettazione, pianificazione ed autoaccusa. Ciascun item viene valutato con un punteggio da 1 “abitualmente non faccio assolutamente questo” a 4 “abitualmente faccio proprio così” (Carver, 1997; versione italiana di Sica, Novara, Dorz & Sanavio, 1997).

Valutazione del supporto sociale:

o The Multidimensional Scale of Perceived Social Support : Il questionario MsPSS valuta il supporto sociale percepito proveniente dalla famiglia, dagli amici e da una persona particolarmente significativa. È costituito da 12

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38 item su scala tipo Likert a sette punti: 1 “totalmente in disaccordo”, 2 “fortemente in disaccordo”, 3 “abbastanza in disaccordo”, 4 “neutrali”, 5 “abbastanza d'accordo”, 6 “fortemente d'accordo” e 7 “totalmente d'accordo”. Un punteggio elevato sulla scala indica la presenza di un buon supporto; un punteggio basso indica, invece, scarse risorse sociali presenti nella vita della persona (Zimet, Dahlem, Zimet & Farley, 1988; versione italiana Prezza & Principato, 2002).

Valutazione della Qualità della vita:

o Schedule for the Evaluation of Individual Quality of Life-Direct Weighting (SEIQoL-DW): è una scala somministrata sotto forma di intervista semi-strutturata. L'intervistatore per prima cosa chiede di individuare 5 aree della vita considerate molto importanti dall'individuo per determinare la sua qualità di vita. Vengono poi richiesti i livelli di importanza in generale e di soddisfazione al momento presente in ogni area, registrati tramite l'apposito modulo. Per determinare il punteggio sono necessari: (i) una definizione personale di ogni etichetta, (ii) i livelli d'importanza delle etichette, (iii) il peso che riveste ogni etichetta, (iv) l'indice SEIQoL. Quest'ultimo è essenzialmente una misura individuale ed è calcolato sommando ogni livello moltiplicato per il suo peso [ ∑ (livello x peso)]. La “Direct Weighting” è la forma ridotta della versione originale (O'Boyle et al.; 1993).

o Short-Form 36 : è un questionario sullo stato di salute del paziente che è caratterizzato dalla brevità e dalla precisione (lo strumento è valido e riproducibile). E' stato sviluppato a partire dagli anni '80 negli Stati Uniti

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39 d'America come questionario generico, multi-dimensionale articolato attraverso 36 domande che permettono di assemblare 8 differenti scale. Le 36 domande si riferiscono concettualmente a 8 domini di salute: AF-attività fisica (10 domande), RP-limitazioni di ruolo dovute alla salute fisica (4 domande) e RE-limitazioni di ruolo dovute allo stato emotivo (3 domande), BP-dolore fisico (2 domande), GH-percezione dello stato di salute generale (5 domande), VT-vitalità (4 domande), SF-attività sociali (2 domande), MH- salute mentale (5 domande) e una singola domanda sul cambiamento nello stato di salute. Il questionario SF-36 può essere auto-compilato, o può essere oggetto di una intervista sia telefonica, sia faccia-a-faccia. Tutte le domande dell'SF-36, tranne una, si riferiscono ad un periodo di quattro settimane precedenti la compilazione del questionario. Attualmente la SF-36 è una delle misure più utilizzate nello studio della HRQoL. In Italia il questionario è stato tradotto ed adattato culturalmente a metà degli anni '90 nell'ambito del progetto IQOLA (Ware & Sherbourne, 1992; versione italiana di Apolone & Mosconi, 1998).

D.1.3) Analisi statistiche

Le analisi statistiche sono state eseguite utilizzando il programma statistico Statistical Package for Social Sciences (SPSS) versione 16.0.

Sono stati calcolati i coefficienti di correlazione di Spearman per analizzare le relazioni esistenti tra tutte le scale e le sottoscale e tra queste e l’età e il tempo di insorgenza della condizione medica.

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40 condizione medica è stato applicato il test non parametrico per due campioni indipendenti Mann-Whitney.

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41 D.2) Risultati

Analizzando la relazione tra Barthel Index (BI) ed età, dal nostro studio emerge una correlazione significativa e di segno negativo (r = -.513; p .009). Come mostrato in Tabella 1, il BI correla invece positivamente sia con sottoscale della Short Form 36 riguardanti strettamente la dimensione fisica (AF, RF, DF), sia con sottoscale riguardanti aspetti psicologici (VT e AS). Correla, invece, negativamente con la sottoscala della HADS dell’ansia. Dal nostro campione non emergono correlazioni significative del BI con la scala SEIQoL-DW della qualità della vita patient-centred. Si osservano, invece, correlazioni negative con due sottoscale del Brief COPE: Espressione (r= -.418; p .038) e Supporto Emotivo (r= -.545; p .005).

La SEIQoL-DW correla significativamente in senso positivo con quasi tutte le sottoscale della SF36. Al di fuori del costrutto “Qualità di Vita”, l’unica correlazione significativa è con la sottoscala Ansia della HADS, in senso negativo (Tab.1).

La componente Ansia della HADS correla significativamente in senso negativo con tutte le sottoscale della SF36, ad esclusione della componente AF. Per quanto riguarda la componente Depressione i dati mostrano correlazioni significative con meno sottoscale della SF36, rispetto alla componente Ansia (Tab.1). Tuttavia, in Tabella 2 viene evidenziata la correlazione significativa con le strategie di coping, valutate con il Brief COPE.

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Tabella 1. Correlazioni tra Stato funzionale (BI), SF36, SEIQoL-DW e HADS.

Spearman's rho BI SF36 AF SF36 RF SF36 DF SF36 SG SF36 VT SF36 AS SF36 RE SF36 SM HADS-A HADS-D SF36 AF .836*** SF36 RF . 482* .449* SF36 DF .442* .245 .333 SF36 SG .324 .356 .324 .704*** SF36 VT .402* .414* .311 .528** .640** SF36 AS .574** .653*** .458* .417* .532** .739*** SF36 RE .313 .440* .613* .246 .342 .512** .726*** SF36 SM .183 .213 .165 .405* .596** .711*** .512** .306 HADS-A -.428* -.320 -.476* -.592** -.515** -.809*** -.720*** -.447* -.732*** HADS-D -,278 -.275 -.271 -.446* -.666*** -.662*** -.543** -.308 -.557** .644** SEIQoL-DW .285 .299 .528** .474* .482* .416* .412* .260 .171 -.502* -.335 *** p < 0.001 (two-tailed) ** p < 0.01 (two-tailed) * p < 0.05 (two-tailed)

Abbreviazioni: BI = Barthel Index; SF36-AF = Short form 36-Attività fisica; SF36-RF = Short form 36-Ruolo e Salute fisica; SFDF = Short form Dolore fisico; SFSG = Short form Salute generale; SFVT = Short form 36-Vitalità; SF36-AS = Short form 36-Attività sociali ; SF36-RE = Short form 36-Ruolo e stato emotivo ; SF36-SM = Short form 36-Salute mentale; HADS-A = Hospital Anxiety and Depression Scale-Ansia; HADS-D = Hospital Anxiety and Depression Scale-Depressione; SEIQoL-DW = Schedule for Evaluation of Individual Quality of Life-Direct Weighting.

Esaminando i rapporti tra Brief COPE e QoL, in Tabella 2 si nota come dal nostro campione non emergano correlazioni significative con la SEIQoL-DW, per quanto riguarda la qualità di vita patient-centred. Per la qualità di vita health-related, invece, vediamo come sia componenti della SF36 prettamente fisiche (DF e SG), sia più squisitamente psicologiche (VT, SM e per una sottoscala AS), correlino con diverse componenti del Brief COPE. In particolar modo, osserviamo correlazioni significative e di segno positivo con le sottoscale Ristrutturazione positiva, Operatività e Accettazione; abbiamo invece correlazioni significative di segno negativo con le sottoscale Distrazione, Espressione, Negazione, Disimpegno e Supporto emotivo.

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