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Vittorio Frajese, La censura in Italia. Dall’Inquisizione alla polizia, Roma, Bari, Laterza, 2014

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Bibliothecae.it, 5 (2016), 2, 448-449 DOI <10.6092/issn.2283-9364/6411>

Vittorio Frajese, La censura in Italia. Dall’Inquisizione alla polizia, Ro-ma-Bari, Laterza, 2014, 239 p. (Quadrante, 195), ISBN 978-88-581-1100-0, € 17.

In 11 capitoli l’autore svolge una serrata e tuttavia nutrita storia della censura, dapprima ecclesiastica poi statale, applicata in Italia dal Cinquecento alla formazione dello Stato unitario, convalidandola da un imponente apparato di precisi riferimenti bibliografici e docu-mentari. Da una attenta e dettagliata storia dei più significativi fra gli

Indices Librorum Prohibitorum e dalle complesse vicende delle due

spesso concorrenti e confliggenti Congregazioni, rispettivamente del Sant’Ufficio e dell’Indice, emergono gli interventi spesso fortemente autoritari dei corrispondenti Pontefici, che non si limitarono a colpire gli scritti di dubbia ortodossia o di esplicita immoralità, tra cui le ac-cuse di sodomia nei confronti di Campanella, ma spesso condannaro-no anche in tutto o in parte opere esplicitamente letterarie di Petrarca e di Boccaccio – che trovarono subito editori disponibili in Inghilterra – ma imposero dei tagli persino al Cortegiano di Baldassarre Castiglio-ne, e all’Orlando Furioso dell’Ariosto, tormentando inoltre il povero Torquato Tasso con un vaglio incessante e critico della sua

Gerusalem-me liberata. Un caso del tutto particolare fu poi quello di Copernico e

di Galileo, condannati in sostanza in seguito ad uno scontro ideologi-co fra Domenicani e Gesuiti.

Oltre ai casi singoli viene illustrata la complessa rete di rapporti politici e di scontri fra gli interessi anzitutto economici degli altri stati

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italiani che non fossero quello della Chiesa, in particolare quelli della Serenissima che cercava di proteggere la propria fiorente industria editoriale, e del Ducato di Toscana. Ancora nel Cinquecento, per in-tervento del cardinale Gabriele Paleotti, si tentò di istituire anche una censura delle immagini in base ad un minuzioso codice di proibizio-ni, ma l’impresa venne abbandonata pur approvando le aggiunte di brache sui nudi della Sistina ed auspicando una maggiore attenzione iconologica sulle figure sacre.

Con l’Illuminismo si fece sempre più stridente il controllo preven-tivo sulla stampa, ma ci vollero la Rivoluzione Francese e poi in con-creto Napoleone per dichiarare soppressa la censura preventiva; an-che se il potere civile – ora di polizia – controllava e vietava qualsiasi espressione a stampa che potesse danneggiare lo Stato e le autorità di governo. La stessa linea venne acquisita anche dall’Austria, con gli effetti più marcati in Italia sulle province di Milano e di Venezia che rappresentavano anche i centri della più cospicua attività editoriale. La stessa condizione venne assunta anche nello Stato italiano unitario, e il problema della censura rientrò nelle competenze della polizia e della magistratura.

Il lavoro di Frajese, ben scritto e ottimamente documentato, è an-che di gradevole lettura. Dispiace, dal mio punto di vista, an-che non siano state messe in luce le difficoltà e le inefficienze dovute alle ina-deguate testimonianze di ordine bibliografico che impedivano che il controllo di censura ottenesse la necessaria accuratezza e precisione onde poter risultare effettivamente efficaci.

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