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Azione cardioprotettiva svolta da un estratto di semi di Eruca Sativa e dai suoi metaboliti secondari, glucoerucina ed erucina, in un modello in vivo di infarto del miocardio. Indagine del meccanismo mitocondriale.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

AZIONE CARDIOPROTETTIVA SVOLTA DA UN ESTRATTO DI

SEMI DI ERUCA SATIVA E DAI SUOI METABOLITI SECONDARI,

GLUCOERUCINA ED ERUCINA, IN UN MODELLO IN VIVO DI

INFARTO DEL MIOCARDIO. INDAGINE DEL MECCANISMO

MITOCONDRIALE.

Relatori:

Prof. Vincenzo Calderone

Prof.ssa Lara Testai

Correlatore: Candidato:

Dott.ssa Eugenia Piragine Houda Jessica El Afia

ANNO ACCADEMICO 2017/2018

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INDICE

1 INTRODUZIONE ... 1

1.1 BIOSINTESI DEI GLUCOSINOLATI ... 3

1.2 IDROLISI DEI GLUCOSINOLATI ... 4

1.2.1 RUOLO DELLA MICROFLORA INTESTINALE ... 6

1.3 ASSORBIMENTO, METABOLISMO ED ESCREZIONE DEI GLUCOSINOLATI... 9

1.4 GLUCOSINOLATI ED ISOTIOCIANATI NELLE CONDIZIONI PATOLOGICHE ... 12

1.4.1 PROTEZIONE CONTRO LA CANCEROGENESI ... 12

1.4.2 PROTEZIONE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE ... 18

1.4.3 PROTEZIONE CONTRO LE COMPLICANZE VASCOLARI NEL DIABETE ... 19

1.4.4 AZIONE SULLA SINDROME METABOLICA ... 20

1.4.5 PROTEZIONE CONTRO LE INFEZIONI DA HELICOBACTER PYLORI ... 21

1.5 TOSSICITA’ DEI GLUCOSINOLATI ... 21

1.6 GLUCOSINOLATI E RISCHIO CARDIOVASCOLARE ... 22

1.7 SULFORAFANO NEL DANNO DA ISCHEMIA E RIPERFUSIONE ... 25

1.8 PROPRIETÀ H2S-DONOR DEGLI ISOTIOCIANATI ... 27

1.9 EFFETTI DELLA COTTURA SUL SISTEMA MIROSINASI- GLUCOSINOLATO ... 29

2 SCOPO DELLA RICERCA ... 31

3 MATERIALI E METODI ... 32

3.1 ANIMALI ... 32

3.2 INFARTO IN VIVO ... 33

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3.2.2 INDUZIONE DELL’ISCHEMIA CARDIACA ... 33

3.2.3 ANALISI DEI DATI... 35

3.3 ANALISI MITOCONDRIALE ... 35

3.3.1 ISOLAMENTO DEI MITOCONDRI CARDIACI ... 35

3.3.2 VALUTAZIONE DELLE VARIAZIONI DEL POTENZIALE DI MEMBRANA MITOCONDRIALE ... 38

3.3.3 VALUTAZIONE DELLE VARIAZIONI DELL’UPTAKE DI Ca++ ... 40

3.3.4 VALUTAZIONE DEI MOVIMENTI DI K+, UTILIZZANDO UNA SONDA Tl+-SENSIBILE ... 41

3.3.5 ANALISI DEI DATI... 42

3.3.6 SOSTANZE ... 42

3.4 STRUMENTI ... 43

4 RISULTATI E DISCUSSIONE ... 44

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1

1 INTRODUZIONE

LE BRASSICACEAE

Le Brassicaceae, o Cruciferae, sono un’ampia famiglia di piante erbacee comprendente circa 340 generi e 3700 specie (Pedras e Yaya, 2010). All’interno di questa famiglia il più importante è il genere Brassica, il quale include diverse specie come Brassica oleracea L., Brassica napus L., Brassica rapa L. (Cartea et al., 2010). Queste assumono un ruolo importante nell’alimentazione, in quanto sono tra i vegetali più consumati non solo a livello europeo, ma anche a livello mondiale. Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che un regolare consumo delle Brassicaceae esercita effetti benefici sulla salute, come la riduzione del rischio di malattie croniche, quali malattie cardiovascolari e diversi tipi di cancro. Questi effetti sono stati associati alla presenza, in tali piante, di note sostanze antiossidanti come fenoli, glucosinolati, carotenoidi, acido ascorbico, tocoferolo (Raiola et al., 2017). Gli effetti protettivi delle Brassicaceae sono attribuiti, in larga misura, al loro contenuto di glucosinolati (Shapiro et al., 2009). Essi sono una grande famiglia di composti contenenti solfuri ed azoto. Dal punto di vista chimico, i glucosinolati sono N-idrossisolfato β-tioglucosidi, con una catena laterale variabile (R) ed una porzione di β-D-glucopiranosio legata allo zolfo (Figura 1).

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I glucosinolati sono classificati in base alla struttura chimica della catena laterale; i gruppi più comuni sono aromatici, alifatici ed indolici (Angelino e Jeffery, 2014) (Figura 2).

Figura 2 Vari tipi di glucosinolati alifatici, aromatici ed indolici.

Il contenuto dei glucosinolati nella pianta è influenzato da vari fattori eco-fisiologici, come temperatura, irradiazione, nutrizione ed approvvigionamento idrico, da fattori biotici e da fattori intrinseci alla pianta, come influenze genetiche che possono determinare un’enorme variazione dei livelli di glucosinolati. Inoltre, i cambiamenti ontogenici possono causare fluttuazioni dei profili dei glucosinolati, a seconda dello stadio di sviluppo della pianta. Per esempio, i semi, generalmente, hanno un elevato contenuto di glucosinolati alifatici ed aromatici; dopo la germinazione tali livelli subiscono un’iniziale riduzione, per poi osservare un aumento di glucosinolati indolici (Verkerk et al., 2009; Mumm et al., 2008; Brown et al., 2003).

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1.1

BIOSINTESI DEI GLUCOSINOLATI

La biosintesi dei glucosinolati inizia con una N-idrossilazione di un amminoacido precursore, seguita da una decarbossilazione per formare un’aldossima. Il modello ampiamente accettato per la biosintesi dei glucosinolati prevede principalmente tre passaggi:

1) allungamento della catena laterale; 2) biosintesi del glicone;

3) modificazione della catena laterale.

La biosintesi, quindi, inizia dalla conversione di un amminoacido ad aldossima; in particolare, alanina, metionina, leucina, valina o isoleucina conducono alla formazione di glucosinolati alifatici; fenilalanina o tirosina, invece, consentono la formazione di glucosinolati aromatici ed infine il triptofano porta ai glucosinolati indolici. È stato recentemente dimostrato che il CYP450 catalizza la reazione di conversione ad aldossima. Le fasi successive prevedono: la trasformazione dell’aldossima in acido tioidrossimico, l’introduzione dello zolfo tioglucosidico dalla cisteina, una S-glucosinolazione mediante UDP-glucosio e, infine, una sulfoniltransferasi utilizza una molecola di 3’-fosfoadenosina-3’-fosfosolfato (PAPS) per catalizzare il legame fra il gruppo solfato con l’azoto del desulfoglucosinolato (Fahey et al., 2001) (Figura 3).

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1.2

IDROLISI DEI GLUCOSINOLATI

Nella pianta, i glucosinolati giocano un importante ruolo di difesa nei confronti dei fattori di stress biotici e agiscono contro numerosi agenti patogeni (Witzel et al., 2013). In condizioni normali, sono composti inattivi e sono localizzati all’interno dei vacuoli vegetali o in cellule S-specializzate. Quando il tessuto della pianta viene danneggiato, in seguito alla rottura, alla masticazione o ad una lavorazione meccanica, i glucosinolati sono idrolizzati rapidamente da un enzima β-tioglucoside glucoidrolasi, chiamato mirosinasi (Bones e Rossiter, 2006). Nel momento in cui vengono in contatto con le mirosinasi, questi sono trasformati in prodotti tossici (olio di senape) ed in altri prodotti biologicamente attivi (Halkier e Gershenzon, 2006). Il rilascio di alti livelli di tali composti nel danno tissutale rappresenta una difesa efficace contro alcuni erbivori generalisti (Winde e Wittstock, 2011). Quindi, all’interno della pianta i glucosinolati e le mirosinasi coesistono, rimanendo separati gli uni dagli altri. Elevate concentrazioni di glucosinolati, ad esempio, si trovano tra il floema e l’endoderma di Arabidopsis thaliana, invece la mirosinasi è concentrata nel parenchima limitrofo (Dinkova-Kostova e Kostov, 2012). La mirosinasi è localizzata in cellule di idioblasti specializzate prive di glucosinolati, chiamate cellule di mirosina (Kelly et al., 1998). Detto enzima catalizza la reazione di idrolisi dei glucosinolati, portando alla formazione di D-glucosio e di un intermedio aglicone instabile, tioidrossamato O-solfonato. La riorganizzazione spontanea di questo intermedio (riarrangiamento chimico di Lossen) provoca il rilascio di ioni solfato e la formazione di metaboliti, come isotiocianati, tiocianati, nitrili, epitionitrili, ossazolidin-2-tione e composti indolici. Le caratteristiche dei prodotti formati dipendono dal tipo di glucosinolato di partenza, dalle proteine associate alla mirosinasi (chiamate proteine modificatrici) e dalle condizioni di reazione, come pH e temperatura. Una volta formati, non è possibile un’interconversione fra i prodotti di idrolisi (Figura 4).

In Brassica napus sono stati identificate diverse sottofamiglie di mirosinasi, come MA, MB e MC. (Bones e Rossiter, 2006). In genere, MB e MC sono associate a proteine modificatrici e sono definite anche mirosinasi insolubili, a causa della formazione di complessi proteici (Travers-Martin et al., 2008).

La formazione dei nitrili è favorita da un pH acido, dalla presenza nell’ambiente di ioni ferrosi (Fe2+) e da una particolare proteina vegetale, chiamata proteina Epitiospecifica (ESP) (Williams et al., 2009). Inoltre, la presenza di un’insaturazione terminale nella

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catena laterale della molecola di glucosinolato porta alla formazione di epitionitrili. Un pH neutro, invece, favorisce la formazione di isotiocianati (ITC). Se la catena laterale ha una funzione β-idrossile, gli isotiocianati formati ciclizzano spontaneamente ad ossazolidin-2-tione (Grubb e Abel, 2006; Holst e Williamson, 2004; Fahey et al, 2001). Allo stesso modo, gli isotiocianati derivanti dall’idrolisi dei glucosinolati sono instabili e si dividono facilmente in ioni tiocianato e indolo-3-carbinolo (Barba et al., 2016)

La cinetica della reazione catalizzata dalla mirosinasi differisce ampiamente da una specie ad un’altra e forme multiple dell’enzima possono esistere anche all’interno della stessa pianta (James e Rossiter, 1991).

Uno dei glucosinolati più studiati per gli effetti biologici è la glucorafanina (GRP), che rappresenta il precursore dell’isotiocianato bioattivo sulforafano (Zhang et al., 1992a). Il gruppo solfossido della catena laterale della glucorafanina può subire un’ossidazione o

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una riduzione reversibile per formare, rispettivamente, glucoerisolina o glucoerucina, ognuna delle quali può subire una reazione di idrolisi da parte della mirosinasi con la formazione degli analoghi bioattivi del sulforafano, erisolina ed erucina. La riduzione della glucorafanina a glucoerucina e del sulforafano ad erucina può avvenire nel fegato, così come nel colon per intervento della microflora intestinale, dove può anche realizzarsi la riduzione di sulforafano-nitrile in erucina-nitrile (Kassahun et al., 1997; Saha et al., 2012) (Figura 5).

1.2.1 RUOLO DELLA MICROFLORA INTESTINALE

Diversi studi confermano che l’attività della mirosinasi non è presente solo all’interno delle Brassicaceae, ma un’attività mirosinasi-simile è presente anche nei funghi, batteri e microrganismi della microflora intestinale dei mammiferi (Reese et al., 1953; Li et al., 2011).

Figura 5 Interconversione metabolica fra i prodotti di idrolisi della glucorafanina. Erucin-Nitrile Glucoerucin Glucoraphanin Glucoerysolin Reductase Glucose H2O Thiohydrolase, Myrosinase Sulforaphane-Nitrile Erucin Sulforaphane Oxidase

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Molto frequentemente, i broccoli e le altre crucifere sono ingeriti cotti. La mirosinasi, tuttavia, è sensibile al calore, quindi i broccoli cotti non supportano l’idrolisi dei glucosinolati quando sono masticati o schiacciati, a meno che il processo di cottura non sia molto breve (Wang et al., 2012).

Diversi studi supportano la possibilità che l’idrolisi dei glucosinolati possa avvenire nell’intestino mostrando che, quando i soggetti consumano un piatto di broccoli cotti, nelle urine e nel plasma appaiono bassi livelli dei metaboliti del sulforafano (Conaway et al., 2001; Shapiro et al., 1998). È interessante notare come il basso livello di metaboliti urinari degli isotiocianati compare in ritardo, rispetto ai metaboliti derivati dai broccoli crudi, suggerendo un maggior tempo di transito nel tratto gastrointestinale inferiore prima dell’idrolisi. Questo è ulteriormente confermato da uno studio in cui alcuni soggetti sono stati trattati con antibiotici e un clistere prima di assumere un estratto cotto di germogli di broccoli, nel tentativo di rimuovere il microbiota intestinale. In questi soggetti, i livelli dei metaboliti urinari del sulforafano erano inferiori rispetto a quelli che non avevano subito il trattamento (Shapiro et al., 1998). In un’ulteriore ricerca, in cui è stata somministrata la sinigrina pura per via orale ai ratti, il tratto digestivo è stato sezionato dopo la somministrazione del glucosinolato. I risultati hanno mostrato un accumulo di allile isotiocianato a livello dell’intestino cieco e del colon, suggerendo di nuovo che il glucosinolato ha raggiunto il tratto gastrointestinale inferiore dove ha subito l’idrolisi (Elfoul et al., 2001). Successivamente, il sulforafano o la glucorafanina semi-purificata sono stati introdotti direttamente nel cieco di ratto legato in situ, per studiarne l’idrolisi e l’assorbimento. I risultati hanno mostrato che 150 µmol/kg di sulforafano appaiono nel sangue portale entro 15 minuti e mantengono un livello ematico di 150 µM per un’ora. Al contrario, quando viene somministrata la stessa dose di glucorafanina, il sulforafano raggiunge un livello plasmatico di 1/10 della concentrazione (9-12 µM) e non prima di un’ora. L’intestino cieco è stato legato distalmente e prossimalmente prima della somministrazione, in modo da rendere chiaro il ruolo del microbioma nella reazione di idrolisi. Tale analisi ha mostrato che il sulforafano può formarsi dalla glucorafanina ed essere assorbito dall’intestino inferiore. Tuttavia, la lenta comparsa del sulforafano in seguito alla somministrazione di glucorafanina, rispetto alla rapida comparsa in seguito alla somministrazione di sulforafano, suggerisce che l’idrolisi mediata dal microbiota rappresenta il vero passaggio limitante (Lai et al., 2010).

In un precedente studio, è stata osservata la formazione di allile isotiocianato quando il

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sui batteri isolati o batteri commensali, derivanti da feci umane o di ratto, mostrano la formazione di nitrili e non di isotiocianati (Llanos Palop et al., 1995). Una ricerca più recente riporta tracce dei prodotti di idrolisi dei glucosinolati, ma il segnale del sulforafano è minore dell’1% rispetto a tutti i prodotti formati, insufficiente a spiegare i livelli di sulforafano trovati nel plasma, a seguito dell’ingestione di glucorafanina, in assenza di mirosinasi (Saha et al., 2012). Una possibile spiegazione della mancata produzione di sulforafano dai batteri commensali in vitro è che la formazione dell’isotiocianato sia transitoria, a causa delle condizioni statiche delle colture batteriche

in vitro. Al contrario, le condizioni dinamiche dell’alimentazione in vivo o l’introduzione in situ direttamente nel cieco, consentono il passaggio rapido del sulforafano attraverso

la parete intestinale, dove gli enterociti coniugano gli isotiocianati con il glutatione, in modo da stabilizzarlo (Lamy et al., 2011; Mennicke et al., 1983). Il consumo frequente di vegetali appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae può alterare il profilo del microbiota, aumentando la frazione di batteri metabolizzanti i glucosinolati (Li et al., 2011).

Attraverso l’incubazione di colture miste o pure di batteri con glucosinolati in vitro è stato osservato che diverse specie batteriche, le quali risiedono nell’intestino umano, come

Escherichia coli, Bacteroides thetaiotaomicron, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Lactobacillus agilis, Peptostreptococcus spp. e Bifidobacterium spp., hanno la

capacità di metabolizzare i glucosinolati in coltura (Llanos Palop et al., 1995; Li et al., 2011).

Sono state osservate, in diversi studi sull’alimentazione, alcune differenze interindividuali nel metabolismo dei glucosinolati. In particolare, la quantità di isotiocianati escreti con le urine varia in modo sostanziale, in seguito all’assunzione delle stesse quantità di crucifere o di glucosinolati. È stato proposto che la differenza interindividuale nel metabolismo sia dovuta proprio a differenze nella composizione batterica dell’intestino (Shapiro et al., 1998; Shapiro et al., 2001).

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1.3

ASSORBIMENTO, METABOLISMO ED ESCREZIONE DEI

GLUCOSINOLATI

Una piccola parte dei glucosinolati viene assorbita ed escreta intatta, sebbene non sia ben chiaro il meccanismo di assorbimento (diffusione passiva o trasporto facilitato) (Bheemreddy e Jeffery, 2007). La glucorafanina può non essere degradata dalle α-amilasi e dalla pepsina gastrica nel tratto gastrointestinale superiore, né dalla pancreatina intestinale in vitro (Lai et al.,2010). La porzione di glucosinolati invece che arriva a livello dell’intestino inferiore viene convertita nei suoi metaboliti, fra cui gli isotiocianati (Nugrahedi et al., 2017; Martinez-Villaluenga et al., 2009).

Entrambe le frazioni di isotiocianati, sia quelle che derivano dall’azione della mirosinasi della pianta, sia quelle che si formano ad opera del microbiota intestinale, vengono assorbite a livello dell’intestino tenue o del colon. Il passaggio del sulforafano attraverso la parete intestinale avviene per diffusione passiva; una volta assorbito può essere secreto di nuovo nell’intestino attraverso i trasportatori di membrana, passare direttamente nel plasma per diffusione o attraverso dei trasportatori oppure essere metabolizzato negli enterociti (Angelino e Jeffery, 2014).

Il sulforafano e gli altri isotiocianati sono metabolizzati attraverso la via dell’acido mercapturico, sia nel fegato che negli enterociti (Egner et al., 2008; Zhang, 2012). Un’iniziale reazione fra il gruppo –N=C=S degli isotiocianati ed il gruppo sulfidrilico della cisteina del glutatione (GSH) può avvenire spontaneamente, ma è migliorata dall’enzima glutatione S-transferasi (GST) e porta alla formazione di un ditiocarbammato (coniugati GSH-ITC). La velocità con cui avviene questa reazione di coniugazione varia a seconda della struttura dell’isotiocianato. I coniugati subiscono successive modificazioni enzimatiche, prima con la γ-glutamiltranspeptidasi (GT), per formare il coniugato cisteinil-glicina-isotiocianato, poi attraverso la cisteinilglicinasi (CG) per formare il coniugato cisteina-isotiocianato ed infine, attraverso l’enzima N-acetiltransferasi (AT), si ha la formazione del coniugato N-acetilcisteina-isotiocianato (Figura 6).

L’escrezione urinaria degli acidi mercapturici può essere sfruttata per determinare la biodisponibilità degli isotiocianati, in quanto la loro escrezione riflette l’assunzione di glucosinolati, che corrisponde all’assorbimento di isotiocianati, in seguito al consumo di crucifere (Jiao et al., 1994).

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Un bolo di broccoli freschi omogeneizzati è stato introdotto nel digiuno di un volontario ed è stato visto che il sulforafano veniva assorbito, coniugato con il glutatione e secreto nuovamente nel lume. Questi dati suggeriscono che la coniugazione con il glutatione può avvenire già nel digiuno (Petri et al., 2003). Si ritiene che la secrezione nell’intestino

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avviene ad opera di trasportatori, come ad esempio la glicoproteina-P e la Multidrug Resistance Protein 2 (MRP2), i quali secernono xenobiotici e metaboliti fuori dagli enterociti nel lume intestinale per l’escrezione fecale (Ford e Hait, 1990). Sia il sulforafano che l’erucina sono risultati in grado di portare ad un significativo aumento della sintesi di MRP2 negli enterociti (Harris e Jeffery, 2008; Jakubikova et al., 2005). Il sulforafano, inoltre, si è mostrato capace di determinare un’up-regulation dell’enzima glutatione S-transferasi (Petri et al., 2003).

Questi diversi metaboliti del sulforafano possono trovarsi nel plasma e nelle urine, in seguito all’ingestione di broccoli o germogli di broccoli. Nel plasma, oltre il 50% dei metaboliti totali è rappresentato dal sulforafano-cisteina (SF-cys) e dal sulforafano libero, anche se il sulforafano-cisteinil-glicina (SF-cys-gly), il sulforafano-glutatione (SF-GSH) ed il sulforafano-N-acetilcisteina (SF-NAC) sono presenti e quantificabili (Al Janobi et al., 2006; Egner et al., 2008). Diversi studi hanno misurato i metaboliti plasmatici del sulforafano attraverso l’utilizzo del saggio di ciclocondensazione, il quale consente di quantificare non solo i metaboliti del sulforafano ed il sulforafano libero, ma anche tutti gli isotiocianati ed i loro metaboliti (Zhang et al., 1992b). Questo saggio ha il vantaggio di includere non solo l’erucina e gli altri metaboliti formati dalla riduzione reversibile del sulforafano, ma incorpora, anche, qualsiasi isotiocianato formato dagli altri glucosinolati dei broccoli, che potrebbe essere presente in concentrazioni troppo basse per essere quantificato singolarmente. Spesso, in vari studi, viene riportato come unico metabolita urinario il SF-NAC. Sebbene quest’ultimo sia il metabolita urinario principale, sono presenti anche il sulforafano libero, SF-cys e SF-cys-gly (Al Janobi et al., 2006). D’altra parte è possibile che il sulforafano libero, trovato nel plasma e nelle urine, derivi dai suoi metaboliti durante la preparazione del campione, tenendo in considerazione l’instabilità di questi composti (Conaway et al., 2001). Tuttavia, in uno studio condotto su circa 100 soggetti, a cui sono stati somministrati estratti di germogli di broccoli ogni giorno per 14 giorni, il sulforafano urinario era relativamente presente nell’ordine del 6% dei metaboliti, suggerendo che esso può essere presente naturalmente nelle urine (Fahey et al., 2012). In particolare è stato rilevato che, sebbene il SF-NAC sia preponderante durante tutte le 24 ore, durante le prime 4 ore altri metaboliti, come il GSH, SF, SF-cys e SF-SF-cys-gly, costituivano il 40% o 50%. Col passare del tempo, gli altri metaboliti sono diventati lentamente insignificanti, mentre l’escrezione del SF-NAC è rimasta relativamente costante (Al Janobi et al., 2006). Questo può essere interpretato

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considerando la N-acetilazione come il passaggio limitante, quando 100 g di broccoli sono stati introdotti nell’organismo (Angelino e Jeffery, 2014).

1.4

GLUCOSINOLATI ED ISOTIOCIANATI NELLE CONDIZIONI

PATOLOGICHE

Prove epidemiologiche suggeriscono che il consumo di crucifere è correlato ad effetti benefici sulla salute, come la riduzione del rischio di infarto del miocardio e dello sviluppo di tumori (Cornelis et al., 2007; Lam et al., 2009). Inoltre, i composti estratti da questi vegetali sono stati studiati anche per il trattamento di patologie neurodegenerative, diabete e aterosclerosi (Tarozzi et al., 2013). In particolare, gli isotiocianati sono altamente reattivi e presentano una potente azione in vivo come induttori di enzimi di fase II. Gli isotiocianati, inoltre, svolgono un’azione battericida, fungicida e fungistatica. In particolare, è stato dimostrato che il sulforafano svolge un ruolo protettivo nei confronti del danno mediato da stress ossidativo nella cellula e nel tessuto (Dinkova-Kostova e Kostov, 2012; Bhakkiyalakshmi et al., 2015).

1.4.1 PROTEZIONE CONTRO LA CANCEROGENESI

Le prime evidenze sugli effetti benefici degli isotiocianati sulla salute umana derivano da studi effettuati negli anni 1960-1970, in cui sono stati utilizzati modelli di cancerogenesi chimica sui roditori (Wattenberg, 1977). Uno studio epidemiologico riporta che il rischio di cancro al colon e al retto è aumentato nei soggetti che consumano bassi livelli di cavoli, cavoletti di Bruxelles e broccoli, rispetto ai soggetti che ne consumano grandi quantità. Gli isotiocianati, somministrati per via orale ai roditori, proteggono contro la cancerogenesi, sia nei modelli di predisposizione genetica, sia quando il cancro è causato dall’esposizione ad un numero di agenti diversi. Detta protezione non è organo-specifica ed è stata osservata nel polmone, nell’esofago, nello stomaco, nel colon, nella ghiandola mammaria, nella vescica, nel pancreas e nella pelle. Nel tentativo di capire il meccanismo

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d’azione degli isotiocianati, sono iniziati vari studi in parallelo su modelli animali di cancerogenesi. Ad oggi è ampiamente riconosciuto che i meccanismi d’azione sono multipli. Tra questi vi sono: alterazioni del metabolismo cancerogeno dovuto a cambiamenti dell’attività degli enzimi metabolizzanti i farmaci; induzione dell’arresto del ciclo cellulare e apoptosi; inibizione dell’angiogenesi e riduzione dello sviluppo di cellule metastatiche; cambiamenti nello stato di acetilazione dell’istone; attività antiossidante, antinfiammatoria e immunomodulatoria. Storicamente, la prima spiegazione plausibile del meccanismo d’azione degli isotiocianati è fornita degli studi di Paul Talalay e colleghi, i quali scoprirono che gli isotiocianati erano capaci di ridurre l’attivazione dei procancerogeni attraverso l’inibizione degli enzimi metabolizzanti i farmaci di fase I, l’induzione della trascrizione degli enzimi citoprotettivi (fase II) e la riduzione dei livelli di agenti cancerogeni capaci di mutare il DNA (Talalay et al., 1978). In studi successivi, l’induzione di proteine citoprotettive, in seguito al trattamento con isotiocianati, è stata dimostrata in vari organi di roditore, inclusi il fegato, intestino tenue, colon, stomaco, reni, pancreas, polmoni, vescica e pelle.

Gli enzimi di fase I effettuano delle reazioni di ossidazione e riduzione, rendendo le molecole più solubili in acqua; al tempo stesso, possono anche attivare dei composti, rendendoli più elettrofili, con una maggiore possibilità di danneggiamento del DNA. Ci sono numerose evidenze riguardo la capacità del sulforafano di inibire l’addotto del DNA e la cancerogenesi chimica attraverso l’alterazione dei livelli di alcune isoforme del CYP nei roditori, sia con un meccanismo di tipo competitivo, sia con una diretta modificazione di tipo covalente (Yang et al., 1994; Zhang e Talalay, 1994). Il pretrattamento con sulforafano causa una marcata riduzione, negli epatociti umani, dei livelli di CYP3A4, il più importante enzima espresso nel fegato (Maheo et al.,1997). Da varie osservazioni, è emerso che il sulforafano può causare l’inibizione enzimatica di alcuni enzimi del CYP; per quanto riguarda il CYP3A4, si ha un’inibizione sia della sua attività, sia della sua espressione (Gross-Steinmeyer et al., 2005; Zhou et al., 2007).

Un importante processo di chemioprotezione del sulforafano è rappresentato dalla modulazione dell’attività degli enzimi di fase II. Tali enzimi convertono gli agenti cancerogeni in composti inattivi, facilmente escreti dall’organismo, impedendo così la reazione con il DNA. Il sulforafano ha ricevuto molta attenzione nell’ultimo decennio, in quanto è considerato il più potente induttore naturale degli enzimi di fase II, sia negli animali che nell’uomo dove vi è una relazione inversa fra i livelli tissutali di questi enzimi e la suscettibilità alla cancerogenesi chimica (Talalay, 2000; Prochaska et al., 1992; Kwak

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et al., 2001). Il sulforafano in vitro è un potente induttore dell’enzima chinone reduttasi (NAD[P]H), del glutatione-S-transferasi (GST) e dell’UDP-glucoronosiltransferasi (UGT) (Juge et al., 2007).

Molti dei geni che codificano per le proteine citoprotettive condividono una comune regolazione trascrizionale attraverso la via Keap1-Nrf2-ARE (Taguchi et al., 2011; Nguyen et al., 2009). In condizioni basali, Keap1 (Kelch-like ECH-associated protein 1) lega Nrf2 (NF-E2-related factor 2), sequestrandola nel citoplasma. A questo livello, Nrf2 viene continuamente degradata attraverso un sistema di ubiquitazione. In particolare, è stato dimostrato che Keap1 si lega a Cul3, una proteina che fa parte del sistema di ubiquitazione, partecipando direttamente alla degradazione di Nrf2 (Kobayashi et al., 2006). Gli isotiocianati e gli altri composti reattivi tiolici (conosciuti come induttori) reagiscono con uno specifico residuo di cisteina di Keap1, annullando la sua azione su Nrf2 per l’ubiquitazione e la degradazione. Di conseguenza, Nrf2 si accumula e passa nel nucleo, dove eterodimerizza con un piccolo fattore di trascrizione, Maf, e si lega agli elementi di risposta antiossidante (ARE, specifiche sequenze di DNA nelle regioni regolatorie a monte dei geni citoprotettivi), regolando la trascrizione. Il carbonio centrale elettrofilo del gruppo isotiocianato reagisce, difatti, facilmente con i gruppi tiolici (Figura 7). È stato dimostrato nell’uomo che gli isotiocianati possono alterare il metabolismo e l’escrezione di procancerogeni ambientali. In particolare, gli estratti di broccoli possono proteggere dagli effetti dannosi delle tossine ambientali, favorendo la loro eliminazione (Kensler et al., 2012).

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Un secondo importante meccanismo di protezione contro la cancerogenesi è legato alla capacità degli isotiocianati di indurre l’arresto del ciclo cellulare e l’apoptosi delle cellule tumorali, riducendo in questo modo la crescita del tumore. La prima evidenza del meccanismo citostatico del sulforafano è stata riportata nelle cellule cancerose del colon umano, dove la vitalità delle cellule HT29 e Caco-2 è risultata diminuita in seguito al trattamento con, rispettivamente, 15 µM e 50 µM di sulforafano (Gamet-Payrastre, 2006). Diversi membri della famiglia delle caspasi, responsabili degli effetti apoptotici negli eucarioti, sono implicati nell’apoptosi indotta dagli isotiocianati.

La proteina p53, nota anche come “guardiano del genoma” per la sua azione soppressiva sul tumore, svolge un ruolo essenziale nel controllo della proliferazione cellulare. I livelli di tale proteina nella cellula di mammifero, normalmente, sono molto bassi, ma in seguito ad uno stress intracellulare o extracellulare si ha un accumulo di tale proteina nel nucleo, con delle modificazioni molecolari che portano alla sua attivazione e stabilizzazione. La p53 attiva funge da regolatrice dell’espressione di un’ampia varietà di geni coinvolti

Figura 7 Il sulforafano esercita la sua azione chemioprotettiva modulando l'espressione degli enzimi di fase I e di fase II. Si osserva un'inibizione degli enzimi di fase I, responsabili dell'attivazione degli agenti cancerogeni, ed un’attivazione degli enzimi di fase II, attraverso il fattore di trascrizione Nrf-2.

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nell’apoptosi e nell’arresto della crescita cellulare (Prives e Hall, 1999). La proteina p21 inibisce la CDK (chinasi ciclica dipedente), la quale regola il ciclo cellulare, inibendo il passaggio dalla fase G1 a S e da G2 alla mitosi (Tibbetts et al., 1999). È stato dimostrato che erucina è in grado di aumentare, in modo dose-dipendente, l’espressione proteica di p53 e p21 per inibire la proliferazione cellulare delle cellule A549 (carcinoma del polmone umano) (Melchini et al., 2009). L’arresto del ciclo cellulare nella fase G2/M e l’induzione dell’apoptosi da parte di erucina sono stati dimostrati sulle cellule Caco-2 (cellule umane di carcinoma del colon). La percentuale di cellule apoptotiche dopo trattamento con erucina è aumentata in modo dose-dipendente, mostrando quindi la correlazione fra la riduzione della sopravvivenza delle cellule Caco-2 e l’induzione dell’apoptosi (Jakubikova et al., 2005).

Ulteriori studi sul potenziale chemioprotettivo degli isotiocianati hanno portato alla scoperta della capacità degli isotiocianati di inibire NF-κB (Hayes et al., 2008). Questo è un fattore di trascrizione e mediatore centrale nella trascrizione dei geni coinvolti nel processo infiammatorio, come le citochine, chemochine, molecole di adesione ed altri fattori (Pahl, 1999). Per esempio, l’attivazione costitutiva della NF-κB è comune in vari tipi di tumori, come quello alla prostata, al colon, al fegato; inoltre porta ad un’up-regulation di numerose citochine, agenti anti-apoptotici e fattori di crescita (Clarke et al., 2008; Mantovani et al., 2008; Culig, 2011). È stato dimostrato che gli isotiocianati sono in grado di inibire i processi mediati da NF-κB, in vitro ed in vivo su modelli animali e, quindi, di ridurre l’infiammazione, fattore di rischio ben noto nella cancerogenesi. L’inibizione di NF-κB determina una ridotta espressione di numerosi geni bersaglio, come il fattore di necrosi tumorale α (TNFα), interleuchina 6 (IL-6), ciclossigenasi-2 (COX-2) (Clarke et al., 2008; Gilmore e Herscivitch, 2006; Karin, 2006).

Studi recenti hanno messo in evidenza la capacità gli isotiocianati di modificare alcuni eventi epigenetici (Hayes et al., 2008; Clarke et al., 2008). La regolazione epigenetica consiste nella modificazione del DNA senza cambiamenti a livello della sequenza, che si traduce in un cambiamento genetico o fenotipico. Una forma di regolazione epigenetica è rappresentata dalla modifica delle proteine istoniche. Quando gli istoni sono acetilati, il DNA è accessibile ai fattori di crescita; quando, invece, gli istoni sono deacetilati, ad opera dell’enzima istone deacetilasi, l’accesso dei fattori di crescita al DNA è limitato e, quindi, si ha una soppressione della trascrizione. Il coordinamento fra acetilazione e deacetilazione degli istoni è un meccanismo fondamentale per la regolazione dell’espressione genica. Nel cancro questo equilibrio è alterato ed i geni oncosoppressori

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sono ridotti (Fraga e Esteller, 2005). È stato dimostrato che gli isotiocianati sono in grado di inibire l’enzima istone deacetilasi, sia in vitro che in vivo su modelli animali, portando ad un’alterazione della cancerogenesi (Lu et al., 2008). È interessante notare come i metaboliti del sulforafano (suforafano-cisteina, sulforafano-N-acetilciseina), piuttosto che il sulforafano stesso, siano responsabili dell’inibizione, agendo probabilmente come inibitori competitivi (Myzak e Dashwood, 2006).

L’interazione degli ormoni estrogeni ed androgeni con i propri recettori può portare alla trascrizione di numerosi geni coinvolti nella proliferazione cellulare. Alcuni tipi di cancro, come quello al seno o alla prostata, sono stati correlati ad un’alterazione dell’espressione genica mediata da questi ormoni (Heinlein e Chang, 2004; Deroo e Korach, 2006). In uno studio recente, Kang et al. hanno dimostrato come gli isotiocianati siano in grado di reprimere il recettore degli estrogeni (ER) α nelle cellule di cancro al seno umano (Kang et al., 2009).

L’angiogenesi e le metastasi sono delle fasi fondamentali per lo sviluppo del cancro di tipo maligno. L’angiogenesi consente lo sviluppo di vasi ed è essenziale per i tumori di grandi dimensioni, in quanto è necessario rispondere all’aumentato bisogno della cellula tumorale di ossigeno e nutrienti. Esistono diversi studi che confermano l’attività anti-angiogenica degli isotiocianati (Cavell et al., 2011). Vi sono vari meccanismi con cui questi esplicano tale azione: si può avere una down-regulation dei geni pro-angiogenici, come il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF); l’inibizione della polimerizzazione della tubulina, promuovendo anche la degradazione della stessa nelle cellule tumorali (Jackson e Singletary, 2004; Smith et al., 2004; Mi et al., 2009; Yin et al., 2009).

La metastasi è la diffusione delle cellule tumorali attraverso i vasi, sia localmente che in luoghi distanti dal tumore. È stato dimostrato che gli isotiocianati inibiscono l’adesione cellulare, la migrazione e l’invasione in vitro e sopprimono le metastasi in vivo attraverso l’up-regulation degli inibitori tissutali della metalloproteinasi matrice (MMP) e attraverso la down-regulation della metalloproteinasi matrice (Hwang e Lee, 2006; Thejass e Kuttan, 2006) (Figura 8).

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Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’assunzione di crucifere è inversamente associata alla sopravvivenza di molti tumori e che le attività antinfiammatoria, antiossidante e immunomodulatoria degli isotiocianati sono alla base dei loro effetti protettivi (Tang et al., 2010; Chan et al., 2009; Dinkova-Kostova et al., 2012).

1.4.2 PROTEZIONE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

Come nella cancerogenesi e nelle patologie cardiovascolari, l’infiammazione cronica e lo stress ossidativo sono elementi centrali nella patogenesi delle patologie del sistema nervoso centrale. Gli effetti protettivi degli isotiocianati sono evidenti nei modelli di danno tissutale e neurodegenerazione.

La protezione del sulforafano è stata dimostrata su modelli animali di ischemia/riperfusione cerebrale, trauma cerebrale, emorragia cerebrale e lesione del midollo spinale. La somministrazione di sulforafano è in grado di ridurre l’area infartuata, l’edema del cervello o del midollo spinale e l’apoptosi corticale. Inoltre, il sulforafano determina una riduzione dei marcatori infiammatori e del danno tissutale, preserva la funzione della barriera ematoencefalica e diminuisce la presenza di deficit neurologici Figura 8 Il sulforafano agisce sul processo di cancerogenesi influenzando la fase iniziale, di promozione e di progressione, bloccando le fasi di angiogenesi e di metastasi.

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(Zhao et al., 2005; Noyan-Ashraf et al., 2005). In un modello di Parkinson murino, il sulforafano protegge i neuroni dopaminergici dalla morte cellulare, riduce l’astrogliosi, la microgliosi ed il rilascio di mediatori proinfiammatori nei gangli basali (Jazwa et al., 2011).

La somministrazione orale di sulforafano in modelli murini di Alzheimer porta ad una riduzione della perdita neuronale colinergica e ad una riduzione significativa dei livelli della placca beta-amiloide sia nell’ippocampo che nella corteccia cerebrale, suggerendo quindi che il sulforafano possa migliorare i danni causati dalla citotossicità della placca (Zhang et al., 2014a; Zhang et al., 2015).

Inoltre, in uno studio su modelli murini di compromissione della memoria indotta da scopolamina, il sulforafano ha rivelato un effetto neuroprotettivo contro il deficit colinergico ed il deterioramento cognitivo; è stato dimostrato, inoltre, che migliora l’attività del sistema colinergico mediante l’aumento dei livelli di acetilcolina e colina acetiltransferasi nelle regioni della corteccia cerebrale e dell’ippocampo ed una riduzione dell’attività dell’acetilcolinaesterasi, prevenendo l’instaurarsi e l’aggravamento della neurodegenerazione (Lee et al., 2014).

La somministrazione intratecale di sulforafano riduce lo stress ossidativo, l’espressione delle citochine proinfiammatorie causate da una transezione del midollo spinale ed inibisce lo sviluppo di dolore neuropatico (Kim et al., 2010). Oltre all’effetto acuto sul dolore neuropatico, sia la glucorafanina che il sulforafano sono in grado di ridurre lo sviluppo della neuropatia negli animali trattati con oxaliplatino (Lucarini et al., 2018). Inoltre, il trattamento con i glucosinolati ha mostrato una riduzione dell’attivazione degli astrociti nel midollo spinale, condizione che risulta essere correlata allo sviluppo e alla persistenza del dolore neuropatico (Di Cesare Mannelli et al., 2014; Galuppo et al., 2013).

1.4.3 PROTEZIONE CONTRO LE COMPLICANZE VASCOLARI NEL DIABETE

Recentemente, è stato scoperto che il sulforafano ha una capacità antiglicante; infatti, è in grado di inibire la formazione dei prodotti finali della glicazione avanzata (AGE) in

vitro e può sopprimere il recettore per il danno vascolare mediato dagli AGE (RAGE) nel

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una strategia terapeutica per prevenire le complicanze micro- e macrovascolari nel diabete, dato il ruolo patologico dell’asse AGE-RAGE nelle complicanze vascolari nel diabete (Sourris e Forbes, 2009; Yamagishi, 2012; Daffu et al., 2013; Fukami et al., 2014; Vlassara e Uribarri, 2014).

È stato dimostrato che il sulforafano ha la capacità di migliorare lo squilibrio metabolico nei ratti diabetici di tipo 1. In particolare, la somministrazione orale o sottocutanea di questo isotiocianato (12,5 o 0,5 mg/kg rispettivamente) svolge un ruolo protettivo contro la nefropatia diabetica, previene l’aumento dell’escrezione di albumina nelle urine, l’ispessimento della membrana basale glomerurale, l’espansione della matrice e la sclerosi; inoltre, determina una riduzione della generazione dello stress ossidativo nei ratti o topi con diabete indotto da streptozotocina (Zheng et al., 2011; Cui et al., 2012). Il sulforafano ha anche un’azione protettiva nei confronti della retinopatia e neuropatia diabetica, attiva la risposta antiossidante mediata da Nrf2 nei gangli della radice dorsale esposti ad alti livelli di glucosio e protegge contro le lesioni causate dallo stress ossidativo (Vincent et al., 2009). La velocità di conduzione dei nervi motori, il flusso sanguigno e le risposte al dolore nei ratti con diabete indotto da streptozotocina sono migliorati in seguito della somministrazione di sulforafano (Negi et al., 2011).

1.4.4 AZIONE SULLA SINDROME METABOLICA

An e colleghi hanno dimostrato che, utilizzando un modello di topo obeso, l’esposizione ad estratti etanoloci di Brassica rapa ha portato all’espressione dei geni correlati alla lipolisi negli adipociti bianchi, all’attivazione della proteina chinasi cAMP dipendente (AMPK) e all’induzione del segnale extracellulare regolato dalla chinasi, suggerendo che l’estratto può essere utilizzato come agente antiobesità sicuro ed efficace (An et al., 2010). In un ulteriore studio in vivo, sono stati usati estratti di Brassica rapa come parte della dieta di soggetti in sovrappeso per 10 giorni. Alla fine dell’esperimento, è stato osservato un significativo aumento della concentrazione di colesterolo lipoproteico ad alta densità (HDL) ed una riduzione significativa del rapporto colesterolo totale/HDL, del livello di acidi grassi liberi e di adipsina (Jeon et al., 2013). È stato provato, inoltre, che gli estratti di Brassica oleracea possono inibire la perossidazione lipidica nelle LDL isolate da volontari umani; e ancora, gli estratti di Brassica rapa possono sopprimere

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l’ipertrigliceridemia postprandiale nei topi, grazie alla presenza di sinigrina e gluconapina (Kural et al., 2011; Washida et al., 2010).

1.4.5 PROTEZIONE CONTRO LE INFEZIONI DA HELICOBACTER PYLORI

Le infezioni da Helicobacter pylori sono molto comuni e possono causare infiammazione gastroduodenale ed ulcera peptica, oltre a produrre un aumento del rischio di insorgenza di neoplasie gastriche (Fahey et al., 2002). I germogli di broccoli ricchi di sulforafano, somministrati a topi con infezione da H. pylori e alimentati con una dieta ad elevato contenuto di sale, riducono la colonizzazione batterica gastrica, attenuano l’infiammazione della mucosa e prevengono l’atrofia del corpo gastrico indotta dall’elevato contenuto di sale (Yanaka et al., 2009).

L’effetto antibatterico del sulforafano è correlato all’inattivazione dell’ureasi. La capacità di H. pylori di resistere all’ambiente acido dello stomaco dipende dalla generazione di grandi quantità dell’enzima ureasi. Quest’ultima neutralizza l’acidità dello stomaco e favorisce l’infiammazione e la proliferazione di H. pylori. Dunque, il sulforafano, per la sua capacità di inattivare l’ureasi, potrebbe ridurre la colonizzazione gastrica e l’infiammazione ad essa associata (Fahey et al., 2013).

1.5

TOSSICITA’ DEI GLUCOSINOLATI

Accanto ai benefici descritti sopra, l’assunzione di glucosinolati può provocare un’alterazione della funzione e della morfologia di varie cellule ed organi, ad esempio tossicità tiroidea o disfunzioni renali, come indicato in alcuni studi animali. Gli ioni tiocianato, alcuni isotiocianati e gli ossazolidin-2-tione sono stati associati ad effetti goitrogenici. Infatti, l’assunzione di crucifere può essere associata ad un ingrossamento della ghiandola tiroidea. Lo ione tiocianato compete con lo iodio per il trasporto tiroideo, con una conseguente riduzione dell’assorbimento di iodio. Lo ione ossazolidin-2-tione

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esercita un effetto anti-tiroide, interferendo con la sintesi degli ormoni tiroidei (Fenwick et al., 1983; Fahey et al., 2001; McDanell et al., 1988; Cartea et al., 2008; Jongen, 1996). L’alimentazione con glucosinolati isolati, come la sinigrina pura, porta ad ipertrofia epatica nei ratti. È stato dimostrato che la progoitrina provoca un ingrossamento epatico, renale e tiroideo nei ratti (Nugon-Baudon e Rabot, 1994; Verhoeven et al., 1997). Gli organi maggiormente colpiti dai derivati nitrilici sono il fegato ed il rene. Gli effetti tossici a questi livelli si manifestano sotto forma di ipertrofia, interruzione della normale struttura lobulare del fegato, proliferazione irregolare del dotto biliare e cambiamenti nelle cellule renali (Van Etten et al., 1969).

Alcuni isotiocianati hanno un potenziale genotossico con meccanismi molteplici, tra cui la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). In particolare, il gruppo –N=C=S degli isotiocianati, come l’allile isotiocianato, può subire una reazione redox che porta alla formazione di superossido, con conseguente danno a livello del DNA (Murata et al., 2000). Inoltre, i prodotti di idrolisi dei glucosinolati possono rapidamente accumularsi all’interno del citoplasma delle cellule, si legano al glutatione e ad altri tioli cellulari, con conseguente deplezione di glutatione intracellulare e generazione di ROS (Valgimigli e Iori, 2009; Overby et al., 2015).

Danni a livello mitocondriale sono stati osservati in vari studi e possono contribuire alla induzione di stress ossidativo da parte degli isotiocianati. È stato documentato, infatti, che l’esposizione ad alcuni isotiocianati provoca un’alterazione del potenziale di membrana, perdita del citocromo c ed inibizione della catena respiratoria (Tang e Zhang, 2005).

1.6

GLUCOSINOLATI E RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che l’aumentato consumo di crucifere è associato ad una ridotta incidenza di malattie cardiovascolari, cardiopatia ischemica aterosclerotica, disturbi infiammatori e stress ossidativo (Genkinger et al., 2004; Lockheart et al., 2007).

Lo stress ossidativo è un ben noto fattore che contribuisce in modo importante alla fisiopatologia delle malattie cardiovascolari (Molavi e Mehta., 2004). In particolar modo,

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il sulforafano ha mostrato un’attività protettiva nel sistema cardiovascolare contro lo stress ossidativo e l’infiammazione.

Noyan-Ashraf et al. hanno dato prova di come una dieta contenente germogli di broccoli diminuisca lo stress ossidativo nei ratti maschi spontaneamente ipertesi colpiti da ictus; inoltre, è stata dimostrata la capacità del sulforafano di ridurre la pressione sanguigna (Noyan-Ashraf et al., 2005; Senanayake et al., 2012). Per quanto riguarda il meccanismo alla base della protezione del sulforafano nell’ipertensione, vi sono delle evidenze su cellule di muscolatura liscia vascolare, in cui l’up-regulation degli enzimi di fase II, indotta dal sulforafano, riduce lo stress ossidativo. In uno studio successivo, Wu et al. hanno dimostrato che il sulforafano aumenta in modo significativo i livelli di GSH, diminuisce i livelli di GSH ossidato e la nitrosilazione proteica, aumenta l’attività di GR (glutatione reduttasi) e GPX (glutatione perossidasi). Questi cambiamenti sono correlati ad un miglioramento del rilassamento endotelio-dipendente dell’aorta e ad un significativo abbassamento della pressione arteriosa (Wu et al., 2004).

L’aterosclerosi, una delle cause delle malattie cardiovascolari, comprende un processo patologico molto complesso, caratterizzato da un accumulo nelle arterie di lipidi modificati, cellule endoteliali infiammate e leucociti (Packard e Libby, 2008). Alcuni studi di base, clinici ed epidemiologici hanno dimostrato che l’infiammazione e la successiva disfunzione endoteliale svolgono un ruolo chiave nello sviluppo e nella progressione dell’aterosclerosi (Pearson et al., 2003). Il processo aterosclerotico, infatti, inizia con un accumulo di particelle lipidiche e lipoproteiche a bassa densità (LDL) nell’intima e l’attivazione dell’endotelio; inoltre, si assiste ad un reclutamento di cellule infiammatorie, dalla circolazione alle cellule endoteliali, con una successiva migrazione nello spazio sub-endoteliale. Questo processo è mediato da vari eventi intracellulari che portano alla regolazione dell’espressione di diverse citochine pro-infiammatorie, come IL-8 (interleuchina-8) e MCP-1 (proteina chemiotattica monocitaria-1), e molecole di adesione, tra cui VCAM-1 (molecola di adesione vascolare-1), ICAM-1 (molecola di adesione intercellulare-1) e E-Selectina. Queste molecole svolgono un ruolo cruciale nell’adesione dei monociti alle cellule endoteliali attivate (Mayer et al., 2002; Carluccio et al., 2003). Anche il TNF-α ricopre un ruolo importante nella patogenesi dell’aterosclerosi; in particolar modo, media l’interazione dei monociti con le cellule endoteliali vascolari e può innescare numerosi eventi di segnalazione intracellulare che portano alla regolazione dell’espressione delle citochine pro-infiammatorie e delle molecole di adesione (Gerthoffer, 2007; Ridker et al., 2000). In uno studio è stato

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osservato che il sulforafano, a concentrazioni fisiologicamente rilevanti (0,5µM - 2µM), è in grado di sopprimere l’interazione fra le cellule endoteliali e i monociti, innescata dal TNF-α; inoltre, il sulforafano inibisce l’infiammazione sopprimendo la segnalazione di NF-κB, riduce l’espressione di VCAM-1 indotta dal TNF-α e l’infiltrazione dei macrofagi nell’aorta di topo (Nallasamy et al., 2014).

L’ipercolesterolemia è un fattore di rischio importante nell’aterosclerosi. Questa, infatti, può aumentare la produzione di radicali liberi dell’ossigeno che portano all’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità, fenomeno alla base dello sviluppo dell’aterosclerosi (Witztum e Steinberg, 1991). In uno studio clinico, il consumo di germogli di broccoli per una settimana ha ridotto i valori di LDL e colesterolo in soggetti sani (Murashima et al., 2004). Inoltre, un estratto di crescione d’acqua, somministrato a ratti ipercolesterolemici, ha mostrato una significativa attività ipolipemizzante dovuta al potenziale antiossidante di questo vegetale. Il trattamento con l’estratto nei ratti ipercolesterolemici ha aumentato significativamente i livelli di GSH, l’attività della CAT (catalasi) e SOD (superossido dismutasi) ed ha diminuito i marker di perossidazione lipidica (Yazdanparast et al., 2008).

Il sulforafano, somministrato per via sottocutanea 0,5 mg/kg al giorno, ha prevenuto in modo significativo la disfunzione cardiaca indotta dal diabete, l’ipertensione, l’ipertrofia e la fibrosi nei topi con diabete indotto da streptozotocina tramite l’attivazione di Nrf-2 (Bai et al., 2013). Zhang et al. hanno esaminato gli effetti di questo sull’accumulo dei lipidi cardiaci indotti dal diabete di tipo 2, osservando che il trattamento ha significativamente attenuato il rimodellamento e la disfunzione cardiaca ed ha inibito l’accumulo di lipidi cardiaci (Zhang et al., 2014b).

L’aggregazione piastrinica svolge un ruolo importante nella trombosi arteriosa. Chuang et al. hanno dimostrato che il sulforafano inibisce l’aggregazione piastrinica e riduce la formazione di trombi (Chuang et al., 2013). Esso, inoltre, riduce l’embolia polmonare indotta da collagene ed epinefrina, ma non influisce sul tempo di protrombina in vivo (Oh et al., 2013; Jayakumar et al., 2013).

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25

1.7

SULFORAFANO

NEL

DANNO

DA

ISCHEMIA

E

RIPERFUSIONE

La rappresentazione più importante dei disturbi cardiovascolari è l’ischemia, la quale porta ad ipossia tissutale, necrosi cellulare ed apoptosi nelle situazioni gravi e disfunzioni d’organo. Le specie reattive dell’ossigeno sono i fattori principali che causano il danno tissutale durante il periodo di ischemia/riperfusione (I/R) (Murphy e Steenbergen, 2008; Molavi e Mehta, 2004). È stato dimostrato che i broccoli proteggono il cuore dal danno da I/R attraverso il ciclo redox della superfamiglia delle tioredossine; l’azione cardioprotettiva del sulforafano è stata confermata dalla riduzione della produzione di ROS, dall’aumento della vitalità cellulare e dalla riduzione dei frammenti cellulari nei cardiomiociti neonatali (Angeloni et al., 2009).

In uno studio ex vivo è stato osservato che il sulforafano ha migliorato, in modo significativo, la LVDP (left ventricular developed pressure), la LVEDP (left ventricular end-diastolic pressure) ed il flusso coronarico a seguito del danno da I/R. Lo stesso riduce inoltre l’incremento dei livelli di LDH indotto dall’I/R e la dimensione dell’infarto. Il pretrattamento con un inibitore dei canali mitocondriali KATP attenua gli effetti cardioprotettivi del sulforafano. In particolare, utilizzando il 5HD quale inibitore selettivo di detti canali mitocondriali, si osserva un’attenuazione degli effetti del sulforafano sugli enzimi antiossidanti e sulle proteine apoptotiche. Questi risultati suggeriscono che tali effetti cardioprotettivi possono essere in parte ricondotti all’attivazione degli enzimi antiossidanti e all’apertura dei canali mitocondriali KATP. L’effetto protettivo del sulforafano contro il danno post-ischemico è stato osservato anche nel cervello, nel fegato, negli astrociti e nelle cellule delle isole pancreatiche (Yoon et al., 2008; Zhao et al., 2006; Danilov et al., 2009).

È stato riportato che il danno cardiaco post-ischemico è dovuto principalmente ad un sovraccarico del Ca2+ mitocondriale e ad una sovrapproduzione di ROS, i quali innescano l’apertura del poro di transizione della permeabilità mitocondriale nella riperfusione seguito dalla morte cellulare (Sadek et al., 2002; Kim et al., 2006). Il diazossido, un agonista dei canali mitocondriali KATP, mima il precondizionamento ischemico proteggendo così il cuore dal danno da I/R, mentre il 5-HD, antagonista degli stessi canali, annulla la cardioprotezione mediata dal diazossido (Garlid et al., 1997; Auchampach et al., 1992). Analogamente, il pretrattamento con 5-HD per 10 minuti sopprime i

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miglioramenti del sulforafano sui parametri di LVDP, LVEDP e sul flusso coronarico. Il trattamento con solo 5-HD non provoca effetti degni di nota sulle disfunzioni mitocondriali post-ischemiche. Quindi, da questi risultati si evince che gli effetti cardioprotettivi del sulforafano contro il danno post-ischemico possono essere in parte dovuti all’apertura dei canali mitocondriali KATP (Figura 9).

L’aumento del flusso coronarico mediato dal sulforafano può essere correlato ad una riduzione della generazione di ROS nella riperfusione. Le disfunzioni cardiache post-ischemiche sono dovute ad una riduzione dell’attività degli enzimi antiossidanti e ad un incremento dello stress ossidativo. È stato osservato che il sulforafano migliora gli effetti dell’I/R sui livelli degli enzimi antiossidanti, come ad esempio Mn-superossido dismutasi, catalasi ed eme ossigenasi 1 nel cuore. Inoltre, il sulforafano inibisce l’aumento, indotto dall’I/R, dei livelli di caspasi-3 e Bax e la riduzione di Bcl-2. L’attivazione degli enzimi antiossidanti indotta dal sulforafano è inibita dal 5-HD. È possibile quindi che il sulforafano non agisca come un fattore di trascrizione, ma che ogni suo effetto passi attraverso l’attivazione del canale mitoKATP (Piao et al., 2010).

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1.8

PROPRIETÀ H

2

S-DONOR DEGLI ISOTIOCIANATI

Nel 2013 è stato osservato che gli isotiocianati naturali, presenti nelle piante della famiglia delle Brassicaceae, mostrano effetti benefici sulla salute molto simili a quelli attribuiti ai donatori di H2S (Kashfi e Olson, 2013). Infatti, si è ipotizzato che gli effetti degli isotiocianati sul sistema cardiovascolare possano dipendere dalla loro capacità di rilasciare lentamente solfuro di idrogeno, in presenza di tioli organici come L-cisteina. Uno studio recente ha utilizzato metodi amperometrici per misurare la quantità di gas rilasciata nell’unità di tempo da alcuni isotiocianati naturali. Questo studio ha permesso di confermare che il gruppo funzionale isotiocianato (-N=C=S) rappresenta una porzione in grado di rilasciare lentamente H2S e di esercitare effetti benefici cardiovascolari, tipici del solfuro di idrogeno (Citi et al., 2014). In un ulteriore studio sono stati impiegati alcuni isotiocianati di sintesi per confrontarli con donatori di H2S di riferimento (NaHS, DADS, GYY4137). Specificatamente, sono stati utilizzati due isotiocianati, il fenilisotiocianato (PhNCS) ed il para-carbossifenilisotiocianato (p-COOHPhNCS), per valutare gli effetti sul sistema cardiovascolare, testandoli su anelli di aorta di ratto (Figura 10).

Questi composti sono stati in grado di inibire la vasocostrizione indotta dalla noradrenalina in modo concentrazione-dipendente. L’isotiocianato p-COOHPhNCS è stato poi testato su anelli di aorta di ratto con endotelio intatto ed ha mostrato una capacità vasorilasciante maggiore rispetto a quella esercitata sul modello di aorta privo di endotelio. Gli effetti di questi due isotiocianati sintetici sono annullati da XE-991, un bloccante dei canali Kv7su cui agisce il solfuro di idrogeno come attivatore. Quindi è possibile ipotizzare che il meccanismo d’azione degli isotiocianati sia attribuibile al

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rilascio di solfuro di idrogeno. Il gruppo -N=C=S quindi è considerato un potenziale H2 S-donor (Martelli et al., 2014).

È stato inoltre dimostrato che questo isotiocianato sintetico causa un’iperpolarizzazione di membrana delle cellule muscolari lisce di aorta, attraverso l’attivazione dei canali al potassio Kv7, i quali svolgono un ruolo importante nella vasodilatazione indotta da H2S (Martelli et al., 2013). Inoltre, i canali Kv7 (nello specifico, Kv7.4) sono stati recentemente riconosciuti nei mitocondri cardiaci, dove svolgono un ruolo cardioprotettivo (Testai et al., 2016a).

A tal proposito, l’isotiocianato p-COOHPhNCS, oltre agli effetti sul sistema vascolare, ha mostrato anche effetti cardioprotettivi su modelli sperimentali di I/R del miocardio. Questo composto ha migliorato i parametri funzionali del miocardio in seguito al danno ischemico ed ha limitato i danni tissutali, in cuori di ratto perfusi secondo la metodica Langendorff; inoltre, ha inibito marcatamente la produzione di ROS, suggerendo che la riduzione dello stress ossidativo sia un ulteriore meccanismo d’azione del p-COOHPhNCS nel danno da I/R. È probabile, inoltre, che l’attivazione dei canali mito KATP sia coinvolta nell’azione cardioprotettiva degli isotiocianati e di H2S. Utilizzando un bloccante dei canali mito KATP,il 5-HD, gli effetti del p-COOHPhNCS sono risultati inibiti, suggerendo che questo canale possa essere il target principale di questo isotiocianato per esplicare gli effetti anti-ischemici. Studi su mitocondri cardiaci isolati di ratti hanno dimostrato che il p-COOHPhNCS provoca una parziale depolarizzazione del potenziale di membrana (Testai et al., 2016b). Questo effetto viene inibito dall’ATP, suggerendo il coinvolgimento dei canali sensibili all’ATP. L’accumulo di calcio mitocondriale è un evento chiave che porta a morte cellulare in seguito a I/R; a questo proposito, l’inibizione dell’assorbimento del calcio mitocondriale mediata dal p-COOHPhNCS quindi è considerata un meccanismo fondamentale per l’azione anti ischemica di questo attivatore dei canali al potassio mitocondriali (Testai et al., 2015) (Figura 11).

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1.9

EFFETTI DELLA COTTURA SUL SISTEMA

MIROSINASI-GLUCOSINOLATO

Come già detto in precedenza, i vegetali appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae vengono, generalmente, consumati cotti; è stato dimostrato che la manipolazione, la lavorazione ed il processo di cottura influenzano in modo considerevole il contenuto di detti vegetali (Vallejo et al., 2002). Quando questi sono cotti, il sistema mirosinasi-glucosinolato viene alterato a causa dell’inattivazione parziale o totale della mirosinasi, della perdita dei cofattori enzimatici e della degradazione termica dei metaboliti. Questi cambiamenti variano a seconda del tempo e del metodo di cottura, del tipo di matrice cellulare e dell’estensione della sua distruzione cellulare e della struttura chimica dei glucosinolati (Dekker et al., 2000). Il meccanismo più comunemente riportato per la perdita di glucosinolati, durante la cottura, è la lisciviazione.

A tal proposito, Zhang e Hamauzu hanno dimostrato che, sia la cottura al microonde (600 W) che la cottura convenzionale (10 g di broccoli in 200 ml di acqua), influenzano l’attività antiossidante dei broccoli (Zhang e Hamauzu, 2004). D’altra parte, Turkmen et al. hanno dimostrato che, dopo cottura convenzionale ed al microonde, l’attività Figura 11 A sinistra: variazione del potenziale di membrana mitocondriale (ΔΨ) dopo incubazione dei mitocondri cardiaci con p-COOHPhNCS (300 µM) in assenza ed in presenza di ATP (200 µM); a destra: variazioni delle concentrazioni (µM) di Ca++ dopo l’aggiunta di mitocondri cardiaci in una soluzione contenente 100 µM di Ca++, in assenza ed in presenza del p-COOHPhNCS (100 o 300 µM).

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antiossidante totale dei broccoli rimane invariata (Turkmen et al., 2005). Una recente ricerca ha rilevato che il contenuto di glucosinolati viene mantenuto in seguito a cottura al vapore, microonde e processi di cottura in padella, ma subisce una perdita in seguito ad ebollizione, a causa della lisciviazione dei glucosinolati nell’acqua della cottura (Song e Thornalley, 2007). Queste controversie potrebbero essere parzialmente spiegate dalle diverse condizioni di tempo, dalla potenza del microonde e dall’acqua aggiunta (Lopez-Berenguer et al., 2007).

Il comportamento dei glucosinolati indolici ed alifatici cambia all’interno delle varietà di crucifere; i derivati indolici sono più sensibili al processo di lisciviazione rispetto agli alifatici (Ciska e Kozlowska, 2001; Vallejo et al., 2002). Tuttavia, è stato dimostrato che la termostabilità dei singoli glucosinolati varia in base alla temperatura utilizzata (Oerlemans et al., 2006). In particolare, il sulforafano subisce una degradazione di oltre il 90% se viene riscaldato a 90°C per 20 minuti (Van Eylen et al., 2007).

Anche l’attività della mirosinasi varia all’interno delle varietà di crucifere. È stato dimostrato che l’attività enzimatica della mirosinasi diminuisce con l’innalzamento della temperatura; la sua attività rimane stabile fino a 40°C, ma viene ridotta del 90% se riscaldata 10 minuti a 60°C (Ludikhuyze et al., 1999; Van Eylen et al., 2007).

È stato effettuato uno studio in cui un gruppo di ratti è stato alimentato con broccoli al vapore ed un altro gruppo con broccoli cotti. Dopo 30 giorni, i cuori dei ratti sono stati sottoposti ad un’ischemia di 30 minuti, seguita da una riperfusione di 2 ore. Sia i broccoli al vapore che quelli cotti hanno esercitato un effetto protettivo contro i danni da I/R, ma i broccoli al vapore hanno mostrato una maggiore azione cardioprotettiva rispetto a quelli cotti. Entrambi hanno ridotto l’infarto del miocardio in modo significativo rispetto al gruppo di controllo non trattato; in particolare, i broccoli al vapore hanno determinato una minore area ischemica rispetto a quelli cotti. Questo studio, quindi, ha dimostrato la maggiore azione cardioprotettiva dei broccoli al vapore rispetto a quelli cotti, come evidenziato dalla diminuzione dell’apoptosi dei cardiomiociti, dalla migliore funzionalità cardiaca e dalla riduzione dell’infarto miocardico (Mukherjee et al., 2010).

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2

SCOPO DELLA RICERCA

Le malattie cardiovascolari, come l’ischemia miocardica, sono le principali cause di mortalità nel mondo. In particolare, l’occlusione delle arterie coronarie determina una limitazione dell’afflusso sanguigno ai vari tessuti; di conseguenza, si assiste ad una riduzione dell’apporto di nutrienti e dell’ossigenazione con la successiva morte cellulare. Il danno da ischemia, tuttavia, è aumentato durante la riperfusione, in quanto, quest’ultima, provoca un aumento della produzione di ROS e di Ca++ intracellulare. Diversi studi hanno evidenziato una significativa riduzione di tale patologia in seguito al consumo prolungato di Brassicaceae. L’effetto cardioprotettivo di quest’ultime è stato attribuito alla presenza dei glucosinolati e degli isotiocianati, derivati da essi.

A tal proposito, la mia ricerca è volta a valutare l’azione cardioprotettiva di un estratto ottenuto dai semi di una Brassicacea, Eruca Sativa (titolata in Glucoerucina (95%) e Glucorafanina (5%)) e di Glucoerucina ed Erucina in vivo, su un modello di infarto del miocardio.

Un ulteriore scopo di questa ricerca è la valutazione del coinvolgimento dei canali al potassio mitocondriale e gli effetti sull’uptake di Ca++ nell’azione cardioprotettiva dei composti in esame.

In particolare, questi canali, presenti nella membrana interna mitocondriale, svolgono un ruolo fondamentale nelle condizioni ischemiche e rappresentano un target principale per ottenere una citoprotezione.

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3 MATERIALI E METODI

3.1 ANIMALI

La sperimentazione è stata eseguita su ratti albini del ceppo Wistar, di sesso maschile e con un peso compreso fra 300 g e 400 g (Figura 12).

Gli animali sono stati allevati in gabbie di dimensioni appropriate al peso ed al numero di individui, rifornite adeguatamente di cibo ed acqua, esposti a cicli di luce/buio di 12 ore, ad una temperatura media 22°C, in conformità con la normativa comunitaria Direttiva CEE 2010/63 (autorizzazione n° 909/2016-PR rilasciata il 04/10/2016 ai sensi dell’art. 31 del D. lgs 26/2014).

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3.2 INFARTO IN VIVO

3.2.1 TRATTAMENTO FARMACOLOGICO

I ratti hanno ricevuto un’iniezione intraperitoneale (i.p.) dell’estratto di Eruca Sativa

Mill., erucina o glucoerucina, ad una dose di 10 mg/kg, 2 ore prima dell’induzione

dell’infarto.

3.2.2 INDUZIONE DELL’ISCHEMIA CARDIACA

I ratti sono stati anestetizzati con pentobarbitale sodico (70 mg/kg i.p.) e, quando richiesto, con dosi di mantenimento di 10 mg/kg i.p., per mantenere il ratto in anestesia durante la procedura.

Dopo aver posto il ratto in posizione supina sul tavolo operatorio, sono stati inseriti nello strato sottocutaneo delle zampe anteriori e della posteriore destra gli elettrodi per il monitoraggio del tracciato elettrocardiografico (ECG). Successivamente, è stata effettuata una tracheotomia per la ventilazione forzata (1,2 mL di aria/100g di peso corporeo, con una frequenza di 70 atti/min). Tale procedura è necessaria in quanto la successiva apertura della cavità toracica provocherebbe un collasso polmonare compromettendo la funzionalità respiratoria.

Il cuore è stato poi esposto mediante toracotomia sinistra, il pericardio ed il timo sono stati asportati. L’occlusione dell’arteria coronaria discendente sinistra (left anterior discending artery, LAD), situata tra la base dell’arteria polmonare e l’atrio sinistro, è stata eseguita meccanicamente, facendo passare un filo da sutura 6-0 (13 mm, 3/8c) sotto l’arteria. Le estremità del filo sono state fatte passare all’interno di un tubo di polipropilene (PE50). Per far avvenire l’occlusione dell’arteria, il tubo è stato bloccato con una pinza emostatica. L’avvenuta occlusione è confermata dallo sbiancamento della parte sottostante la legatura dell’arteria e dalla comparsa di segni tipici di lesione miocardica sul tracciato ECG. La gabbia toracica è stata poi suturata con un filo chirurgico di propilene.

Il protocollo prevede 30 minuti di legatura della LAD e 120 minuti di riperfusione, realizzata attraverso la rimozione della pinza emostatica e l’allontanamento del tubo di propilene.

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Durante tutta la procedura sperimentale, il tracciato ECG viene monitorato e sono valutati sia gli elementi caratteristici di una lesione infartuale che la comparsa di vari tipi di aritmie. Al termine della riperfusione, il cuore viene isolato, incannulato sull’apparecchio Langendorff e perfuso per circa 10 minuti, a pressione costante, con la soluzione salina di Krebs (NaHCO3 25 mM, NaCl 118,1 mM, KCl 4,8 mM, MgSO4 1,2 mM, CaCl2·H2O 1,6 mM, KH2PO4 1,2 mM, Glucosio 115,5 mM), carbogenata e termostatata a 37°C, così da ripulire i vasi coronarici dal sangue. I cuori sono poi privati degli atri e del ventricolo destro, sono congelati a -20°C e, dopo 30-40 minuti, tagliati con il bisturi in 4 sezioni di 1-1,5 mm di spessore, utilizzate per l’analisi morfologica delle aree necrotiche.

La procedura usata per la valutazione dell’estensione dell’area necrotica prevede l’utilizzo del Trifeniltetrazolio Cloruro (TTC) come reattivo. Per misurare tale estensione, le sezioni del ventricolo sono immerse in una soluzione di TTC (1%) in un tampone fosfato (pH 7,4), termostatata a 37°C, per 20 minuti, al buio. Tale saggio colorimetrico permette di ottenere una diversa colorazione delle aree necrotiche e vitali, in quanto il TTC reagisce con il NADH in presenza di deidrogenasi, presenti nelle cellule vitali, formando un derivato del formazano.

Successivamente, le sezioni di ventricolo sono immerse in una soluzione acquosa di formaldeide al 10%, necessaria per fissare la colorazione, pressandole con un vetrino per ottenere uno spessore uniforme di ogni sezione. Il giorno seguente, tali sezioni sono immerse in acqua ossigenata (H2O2) per favorire la decolorazione delle aree necrotiche (Figura 13).

Figura 13 A sinistra: rappresentazione della legatura della LAD; a destra: sezioni di ventricolo in seguito ad ischemia.

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