GIARDINI E LA CULTURA CATALANA
Cesare Giardini (Bologna 1893-Milano 1970) è stato un poligrafo dagli interessi vari e diversificati e dalla pro-duzione incontenibile: traduttore, scrittore, storico, gior-nalista, editore. Negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso scrive per «La Stampa» e collabora anche con «La Fiera Lettera-ria»; traduce dall’inglese, dal francese, dallo spagnolo, dal danese, dall’armeno e dal catalano; gli si devono svariati contributi sulla storia della Francia, in particolare sul pe-riodo successivo alla Rivoluzione e sull’Impero napoleoni-co; contestualmente, dirige la casa editrice milanese Alpes. La sua abbondante attività di curatore inizia nel 1926, con la pubblicazione di questa Antologia dei poeti
catala-ni contemporanei 1845-1925, e prosegue negli ancatala-ni, senza
soluzione di continuità, fino alla morte. Tra le curatele di maggior rilievo, vanno ricordate almeno Sisifo, Procuste &
C. Miti e moralità contemporanei (1930), Il tragico destino di Don Carlos (1545-1568) (1933), Lettere d’amore di Napo-leone a Maria Luisa (1810-1814) (1935, con Charles de la
Roncière), Il carro di Tespi: commedie celebri di tutti i tempi (1959), I più celebri drammi moderni: storie di re e di
guer-rieri, I racconti di Molière e I racconti di papà Goldoni: com-medie di Carlo Goldoni (1960) e I grandi avventurieri (1966).
Giardini però si dedica anche alla narrativa: scrive
L’Ar-gante ovvero dei luoghi di perdizione (1928) e L’ArL’Ar-gante se-condo o delle favole antiche (1930), Uriele o l’angelo malato
drammatur-gia, in particolare al teatro di burattini, come testimoniano
Realtà dei burattini (1925), Arlecchinate (1926) e Le avven-ture di Arlecchino servo sciocco con Battifiacca e Cordalenta emeriti bricconi alla ricerca del cavallo Pegaseo (1934).
Gli interessi storiografici, invece, si concretizzano in alcuni saggi, tra i quali I processi di Luigi XVI e di
Ma-ria Antonietta (1793) e Varennes: la fuga di Luigi XVI (1791) (1932), L’“affare” d’Enghien e la congiura realista dell’anno XII (1799-1804) (1939), La rivoluzione del 1789
(1940-1942, in due volumi, con Philippe Sagnac e Jean Robiquet), La fine di Luigi XVI e di Maria Antonietta (1943), La Comune e la guerra del 1870-1871 (1956),
Ri-chelieu (1967), La vita e il tempo di RiRi-chelieu (1970).
Un altro filone della prolifica attività di Giardini ri-manda, come anticipato, all’ambito della traduzione: dal 1924 pubblica una sessantina di versioni (quattro delle quali apparse postume). Ancora una volta, la curiosità per l’area catalana emerge in modo netto: la prima opera tradotta è La nazionalità catalana (1924) di Enric Prat de la Riba e una trentina di anni dopo – nel 1958 – pubblica per i tipi della casa editrice Feltrinelli quella che è ancora l’unica versione in italiano de La spedizione dei
Catala-ni in Oriente tratta dalla CròCatala-nica (1325-1328) di Ramon
Muntaner (capp. 199-244). Nello stesso anno dà alle stampe Tre poemi di Hrand Nazariantz, dall’armeno; ne-gli anni successivi lavora su autori quali Rudolph Stratz, Maurice Renard, Henry Wade, Earl Derr Biggers, Robert Alfred Walling, Edmund Clerihew Bentley, Antoine de Saint-Exupéry, Edgard Wallace, Claude Aveline, George Bernards Shaw, André Gide, Joris-Karl Huysmans, Jean Albert, Pierre Véry, Henry Draguerches, Ellery Queen, Thomas Sigismund Stribling, Herman Melville, Vicki Baum, Mignon Good Eberhart, Margery Allingham, Joaquín Arrarás, Rufus King, André Siegfried, Mau-rice Paléologue, Eva Curie, Anatole de Monzie, Henri Daniel-Rops, Giulia Danzas, Jean Héritier, Pedro
Riba-deneira, Hans Christian Andersen, Gérard de Nerval, Fëdor Dostoevskij, Jacques Le Goff, Stendhal, Robert Louis Stevenson, Dominique Aubier, Manuel Tuñón de Lara, Franz Villier, Serge Sauneron, Aldous Huxley. Gli si deve anche la prima traduzione de Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, apparsa nel 1936 col titolo
Gatsby il magnifico.
Così, la passione per il mondo catalano si manifesta precocemente in Giardini, con la ricordata traduzione de
La nazionalità catalana, saggio scritto dal politico Enric
Prat de la Riba e pubblicato nel maggio del 1906, apparsa nel 1924 per i tipi della casa editrice Alpes. Nel saggio, le cui finalità sono politiche e non storiografiche, Prat de la Riba riflette sul concetto di ‘nazione’, che considera uno stato naturale, mentre vede nello Stato un’entità ar-tificiale, frutto dell’impulso di ogni nazione a costituirsi appunto come Stato. Secondo l’autore, la Spagna è uno Stato plurinazionale e ogni nazione che la integra è iden-tificata da componenti identitarie peculiari – in primis la lingua, il diritto e l’arte – e auspica, quindi, un’organizza-zione politica del Paese di tipo federale.
Si tratta, è evidente, di un testo chiave per la progres-siva ridefinizione e riaffermazione identitaria catalana: dopo l’auge socio-politico e artistico-culturale che aveva caratterizzato la storia della Contea di Barcellona prima e della Corona catalano-aragonese poi in epoca medie-vale, fino alla fine del XV secolo1, si apre una parentesi
1 Cfr. la Història de la literatura catalana, dirigida per À. Broch,
vol. I, Literatura medieval (I) Dels orígens al segle XIV, L. Badia dir., Barcelona, Enciclopèdia Catalana-Editorial Barcino-Ajuntament de Barcelona, 2013; vol. II, Literatura medieval (II) Segles XIV-XV, 2014; vol. III, Literatura medieval (III) Segle XV, 2015. Per un quadro sto-rico, cfr. almeno l’ormai classica F. Valls i Taberner e F. Soldevila, Hi-stòria de Catalunya, Barcelona, PAM, 20146; e J. Sobrequés i Callicó,
pluri-secolare iniziata convenzionalmente con l’unifica-zione delle Corone a seguito del matrimonio tra Isabella di Castiglia e Fernando d’Aragona2, con l’orientamento
dei traffici mercantili verso il Nuovo Mondo e dunque col predominio commerciale delle rotte atlantiche a di-scapito della centralità del Mediterraneo, nel quale si era espansa e consolidata la ‘talassocrazia’ catalana, con la chiara percezione e quindi con la consapevolezza del ruolo strategico della lingua come elemento di coesio-ne e di affermaziocoesio-ne socio-politica3, che però a questo
punto non è più il catalano ma il castigliano, per i motivi storico-politici appena ricordati, divenuto lingua veico-lare in ogni ambito della vita pubblica nelle due Corone ora unificate4. La situazione si inasprisce con la Guerra
dels Segadors (1640-1652), la sollevazione causata dalle
2 Già durante il regno di Pere III el Cerimoniós (1336-1387)
ini-ziano a emergere elementi di crisi: cfr. R. Abadal, Pere el Cerimoniós i els inicis de la decadència política de Catalunya, Barcelona, Edicions 62, 19872. In seguito, con l’ascesa al trono dei Trastámara, la
situa-zione politica si indebolisce ulteriormente: nel 1410 Martino l’Uma-no muore senza eredi e con il Compromesso di Caspe del 1412 (un arbitrariato fra nobili catalani, valenziani e aragonesi per stabilire la successione al trono) Fernando I Trastámara o di Antequera, se-condogenito di Juan I di Castiglia, riceve la Corona d’Aragona e del Regno di Sicilia, dando origine al primo ramo cadetto della dinastia; gli succede nel 1416 il primogenito Alfonso il Magnanimo, che alla sua morte – nel 1458 – lascia la Corona d’Aragona al fratello Joan I, cui succede nel 1479 Fernando il Cattolico che unificherà le Corone catalano-aragonese e castigliana sposando Isabella di Castiglia.
3 Nel 1492 Elio Antonio de Nebrija pubblica la prima
gramma-tica del castigliano, che dedica ai Re Cattolici Fernando e Isabella; nell’introduzione Nebrija sottolinea il ruolo strategico della lingua per il consolidamento socio-politico del regno.
4 Cfr. la Història de la literatura catalana, vol. IV, Literatura
mo-derna. Renaixement, Barroc i Il.lustració, J. Solervicens dir., Barcelona,
Enciclopèdia Catalana-Editorial Barcino-Ajuntament de Barcelona, 2016; e, per i riferimenti storici, i due studi citati nella nota 1.
spoliazioni e dalle vessazioni delle truppe castigliane di stanza in Catalogna durante la Guerra dei Trent’Anni, che sfocia nel Trattato dei Pirenei (1659), con cui Francia e Spagna si spartiscono i territori catalani5. Meno di
mez-zo secolo dopo, con la Guerra di Successione spagnola (1701-1714) e con i conseguenti Decretos de Nueva
Plan-ta del 1716, Filippo V di Borbone abolisce le autonomie
locali e impone il castigliano come unica lingua ufficiale6.
5 Come conseguenza del conflitto, la Catalogna perse una parte
dei suoi possedimenti, cioè la Contea del Rossiglione, il Conflent, il Vallespir, il Capcir e una parte della Contea di Cerdanya, che passa-rono alla Francia.
6 Quando nel 1700 il re di Spagna Carlo II d’Asburgo, detto el
Hechizado, muore senza eredi la linea dinastica si estingue. La nomi-na testamentaria di Filippo di Borbone, duca d’Angiò, pronipote di Carlo II e nipote del re di Francia Luigi XIV, come successore al tro-no spagtro-nolo provoca l’intervento delle altre potenze europee, capeg-giate dall’Austria e dall’Inghilterra, che si coalizzano e danno inizio alla Guerra di Successione spagnola per scongiurare l’egemonia dei Borbone, sostenendo quindi l’ascesa al trono di Spagna dell’arciduca Carlo d’Asburgo. L’Aragona parteggia per il pretendente austriaco mentre Castiglia e Navarra sostengono l’aspirante borbonico. Con la vittoria di quest’ultimo, Filippo V di Borbone ascende al trono di Spagna e promulga quattro decreti (i Decretos de Nueva Planta, appunto) per punire i territori che si erano schierati con l’arciduca Carlo d’Asburgo: 1) nel 1707 emana i decreti per i regni di València e d’Aragona, che aboliscono una parte del diritto e delle consuetudini locali; 2) nel 1711 pubblica un nuovo decreto riguardante l’area ara-gonese, il cui assoggettamento è facilitato dall’assimilazione lingui-stica dell’aragonese al castigliano; 3) nel 1715 promulga un decreto per Mallorca e per le Baleari (ad eccezione di Minorca, allora sotto la sovranità inglese), caratterizzato da un’impostazione meno vessa-toria; 4) infine, nel 1716, emette il decreto per la Catalogna; al Prin-cipato, che aveva opposto una resistenza strenua, vengono riservate le condizioni più dure: soppressione di tutte le istituzioni politiche (Generalitat de Catalunya, Corts Catalanes, Consell de Cent), il vi-ceré è sostituito da un capitano generale, viene istituito un nuovo catasto per imporre ulteriori gravami sulle proprietà, il catalano viene privato dello status di lingua ufficiale e sostituito dal castigliano che
La svolta decisiva arriva col fiorire della Renaixença, quindi col Modernisme e poi col Noucentisme7; è proprio
in questo contesto chiave per il rilancio della cultura ca-talana che Giardini indentifica e seleziona gli autori e i testi raccolti in questa sua Antologia dei poeti catalani
contemporanei 1845-1925, di cui dunque si coglie subito
l’importanza: da un lato, la selezione di poesie tradotte delinea il profilo del rinnovamento estetico che prende forma in quegli anni, la sua evoluzione in una fase di ri-allineamento con le altre culture europee e di riflessione culturale e identitaria di carattere auto-referenziale, rial-lacciandosi all’inizio al passato aureo del Medioevo per poi superarlo e trascenderlo con esiti innovativi e ‘mo-derni’, alla base dell’incontenibile crescita sperimentata da allora dalla letteratura catalana, incrementata con an-damento esponenziale grazie anche alla traduzione, ca-nale di diffusione privilegiato per la sua riaffermazione a livello internazionale; dall’altro lato, le scelte e il ruolo dell’antologo contemporaneo a buona parte dei materiali raccolti sono quanto mai significativi, perché consegnano alla pagina stampata l’estetica coeva in via di definizione: si tratta della testimonianza del traduttore e del critico a confronto con figure e opere del proprio tempo, che de-finisce e offre al lettore un canone attuale, contribuendo diventa così la lingua dell’istruzione, dell’amministrazione e di ogni altro uso pubblico e istituzionale, vengono chiuse le università e man-tenuta solo l’università di Cervera allineata ai vincitori. I Decretos de Nueva Planta di Filippo V di Borbone interrompono la tradizione federalista degli Asburgo spagnoli, per sostituirla col modello accen-tratore dei Borboni di Francia.
7 Cfr. Història de la literatura catalana, dirigida per À. Broch,
vol. V, Literatura contemporània (I) El Vuit-cents, E. Cassany i J. M. Domingo dir., Barcelona, Enciclopèdia Catalana-Editorial Barcino-Ajuntament de Barcelona, in stampa; e vol. VI, Literatura contem-porània (II) Modernisme i Noucentisme, J. Castellanos i J. Marrugat dir., in stampa.
egli stesso alla sua fissazione e riportando così nell’an-tologia la fotografia fedele di quegli anni, l’immagine di quel preciso momento della genesi e dello sviluppo di una nuova estetica, destinata a evolversi e a mutare nel tempo. È quindi sulla ripresa decisiva rappresentata dalla
Renaixença, dal Modernisme e dal Noucentisme che
Giar-dini concentra molto opportunamente l’attenzione. La Renaixença8, il cui inizio è convenzionalmente
iden-tificato con la pubblicazione dell’Oda a la pàtria di Bona-ventura Carles Aribau nel 1833 e il cui punto algido è al-trettanto convenzionalmente associato all’apparizione dei poemi L’Atlàntida (1877) e Canigó (1885) di Jacint Verda-guer, è un movimento artistico e di pensiero, interessato da una progressiva politicizzazione a partire dalla metà del secolo, riconducibile alle varie manifestazioni del Roman-ticismo europeo, il cui obiettivo è il rinnovamento politi-co-culturale della società catalana. Le sue caratteristiche principali sono l’idealismo, l’individualismo, il predomi-nio dei sentimenti, l’esaltazione patriottica, l’interesse per le tematiche storiche e in particolare per il Medioevo, e il suo sviluppo si colloca in un periodo di auge politico-cul-turale in quest’area, durante il quale riemerge e si afferma anche la consapevolezza di autonomia strettamente legata all’uso della lingua. Di fatto, restituire dignità al catalano creando una letteratura nazionale in lingua e favorendone l’uso pubblico a ogni livello è uno dei capisaldi del movi-mento; per conseguire questo obiettivo è fondamentale il ruolo dell’editoria, delle riviste e della stampa periodica – si pensi a testate come «El Calendari Català» (1865-1882), «Lo Gay Saber» (1868-1883), «La Ilustració Catalana»
8 Si ricordi il significativo parallelo con movimenti coevi affini,
come il Rexurdimento in Galizia e il Félibrige in Occitania, anch’es-si manifestazioni politiche socio-culturali di matrice romantica, i cui obiettivi erano la salvaguardia e la riaffermazione dell’identità autoc-tona e la difesa e la valorizzazione delle rispettive lingue.
(1880-1894), «La Renaixença» (1881-1905) ecc. –, delle associazioni culturali e di istituzioni come l’Acadèmia de Bones Lletres de Barcelona (fondata nel 1729, riaperta nel 1833 dopo una serie di vicissitudini che ne avevano più volte comportato la chiusura), la riapertura dell’Univer-sitat de Barcelona nel 1837 (dopo la chiusura decretata a seguito della Guerra di Successione spagnola), l’istituzio-ne dei Jocs Florals l’istituzio-nel 1859.
Negli anni 1880-1890 la Renaixença si trasfonde poco a poco nell’incipiente Modernisme, caratterizzato dalla volontà di innovazione e di ammodernamento del Paese, di rinnovamento totale della vita culturale catalana, che Joan Maragall definisce ‘spiritualista’, nel senso di anti-materialista e anti-razionalista. La prima fase del nuovo movimento comprende gli anni 1892-1900: le figure ide-ologicamente più attive ruotano attorno alla rivista «L’A-vens» (1881-1884), che nella seconda tappa (1889-1893) col titolo «L’Avenç» – riflesso della campagna linguistica per convertire il catalano in strumento adatto a esprime-re sapeesprime-re e conoscenza in ogni ambito, secondo la nuova prospettiva ‘moderna’ – costituisce il nucleo di irradiazio-ne del movimento, assieme alle esposizioni allestite alla Sala Parés di Barcellona da Santiago Rusiñol e da Raimon Casas, alle feste moderniste di Stiges promosse dallo stes-so Rusiñol, agli articoli di Joan Maragall sul «Diario de Barcelona» e di Raimon Casellas su «La Vanguardia», che sanciscono la volontà di rinnovamento di ogni settore cul-turale e della vita pubblica, come dimostra l’opera urba-nistica di architetti della levatura di Antoni Gaudí, Lluís Domènech i Montaner e Josep Puig i Cadafalch.
Ancora una volta convenzionalmente, l’inizio del
Mo-dernisme viene fatto coincidere con la pubblicazione su
«L’Avenç» nel 1892 dell’articolo di Jaume Brossa intitola-to Viure del passat, in cui compare la frase emblematica «a èpoques noves, formes d’art noves», con la quale l’auto-re sintetizza il programma del movimento: ricollocal’auto-re la
cultura catalana nel circuito europeo, rivendicare cultura e lingua proprie ma con spirito cosmopolita e apertura internazionale – in concomitanza con i Parnassiani, con i Simbolisti, con i Preraffaelliti e con i Decadenti –, ricer-cando la bellezza squisita e incontaminata, secondo una prospettiva rigenerazionista ed estetizzante i cui massimi esempi sono i già citati Rusiñol e Casellas. In sostanza il Modernismo trasforma una cultura regionale e tradizio-nalista in una cultura nazionale e moderna, proiettandosi ben oltre una concezione estetica per profilarsi come po-sizione ideologica, nella prospettiva del superamento del positivismo naturalista e della stessa Renaixença.
La seconda tappa modernista si sviluppa tra il 1900 e il 1911, ancora una volta a partire dalle pagine delle rivi-ste: «Catalònia» (1898-1900), «Els Quatre Gats» (1899), «Pèl i Ploma» (1899-1903), «Juventut» (1900-1906) ecc. È la fase in cui viene pubblicata la maggior parte delle opere riconducibili a questa corrente, a partire da Els sots
feréstecs (1901) di Raimon Casellas fino a La vida i la mort d’en Jordi Fraginals (1912) di Josep Pous i Pagés, che
se-gna il declino del movimento, e si impongono definitiva-mente figure come Santiago Rusiñol, tributario di deca-denti e simbolisti, e Joan Maragall. Durante la seconda tappa, si sviluppano due linee: una più marcatamente ri-generazionista, rappresentata da Jaume Brossa, che con-tinua le posizioni de «L’Avenç», e l’altra più estetizzante, i cui maggiori esponenti sono Santiago Rusiñol e Raimon Casellas, incarnazione del concetto di ‘Arte per l’Arte’.
A partire dal 1906 si sviluppa un altro movimento, il Noucentisme, termine coniato da Eugeni d’Ors, che eredita dai modernisti l’obiettivo di riportare la cultura catalana all’altezza delle tendenze europee, proponen-dosi però di realizzare questo intento in modo diverso rispetto ai predecessori: in particolare, ricercando un maggiore rigore intellettuale e strumenti più efficaci per conseguire le finalità prefissate. Sarà Josep Pla a definire
in un articolo del 1924 questa corrente in modo puntua-le: movimento di idee in qualche modo collegabile agli obiettivi di Enric Prat de la Riba (in primis statalizzazio-ne della cultura nazionale), espressiostatalizzazio-ne cristallina della peculiare congiuntura politico-culturale catalana degli inizi del XX secolo. Si tratta di un movimento che dal 1906 fino al 1923 – anno del colpo di stato militare di Mi-guel Primo de Rivera che metterà fine a tutto ciò – con-cretizza le aspirazioni egemoniche della borghesia locale attraverso l’azione riformista, la centralità dei concetti di classicismo, delle origini e del passato greco-romani e del mediterraneismo, in cui la città, il civismo, la rige-nerazione si attuano appunto a partire dalla dimensione urbana. Tutto ciò si riflette anche nell’istituzionalizza-zione del catalanismo, in anni che si rivelano particolar-mente fecondi per questo genere di iniziative: nel 1906 viene celebrato il I Congrés Internacional de la Llengua Catalana, nel 1907 fondato l’Institut d’Estudis Catalans, nel 1913 inaugurata l’Escola Catalana d’Art Dramàtic e nel 1914 la Biblitoeca de Catalunya con l’annessa Escola de Bibliotecaris (dal 1915), vengono pubblicate le
Nor-mes ortogràfiques (1913) e la Gramàtica (1918), nel 1914
viene creata la Mancomunitat de Catalunya9, presieduta
da Enric Prat de la Riba fino al 1917, poi da Josep Puig i Cadafalch fino al 1923 e infine da Alfons Sala fino al suo scioglimento nel 1925, decretato dal dittatore Primo de
9 Associazione delle quattro province della Catalogna, che riuniva
i quattro consigli provinciali (le diputacions) di Barcellona, Girona, Tarragona e Lleida. La Mancomunitat, nonostante avesse funzioni e competenze esclusivamente amministrative, acquisì un’enorme im-portanza politica, posto che rappresentava il primo riconoscimento della ‘personalità’ e dell’unità della Catalogna da parte dello Stato spagnolo dal 1714, cioè dalla fine della fine della Guerra di Successio-ne spagnola e dal coseguente Decreto de Nueva Planta per la Catalo-gna emanato nel 1716.
Rivera, nel quadro della politica di repressione del cata-lano attuata dal regime.
Anche in questa fase le riviste e l’editoria giocano un ruolo chiave: si pensi alle testate «Catalunya» (1903-1905), «Mitjorn» (1906-1907), «Empori» (1907-1908), i «Quaderns d’Estudis» (1915-1924) e ad altre che si proiettarono ben oltre i limiti cronologici del movimento, come «La Revista» (1915-1936) e «D’Ací i d’Allà» (1918-1936), oppure – in am-bito editoriale – all’importanza della Societat Catalana d’E-dicions (1910-1926) e dell’Editorial Catalana (1917-1924).
Dal punto di vista estetico, la poetica del
Noucenti-sme è stata definita ‘poetica arbitraria’: il suo obiettivo
è elaborare una letteratura artificiosa, idealizzata,
desrea-litzada, che trascenda la realtà, venata di ironia critica in
nome del rifiuto della spontaneità, dell’ispirazione e degli impulsi creativi incontrollati e della narrativa ‘rurale’ del Modernismo, in cui prevalgono l’esemplarità tematica e la perfezione formale, rifiutando tuttavia le tendenze me-ramente estetizzanti e la concezione di Arte per l’Arte; propugna inoltre una letteratura in grado di realizzare la riforma del catalano e di contribuire quindi alla creazio-ne dello standard linguistico. Queste tendenze porteran-no alla gerarchizzazione dei generi: primo fra tutti è la poesia, considerata un’estensione del laboratorio formale per la definizione di una lingua standardizzata e spazio simbolico per eccellenza; seguono il saggio, di solito sotto forma di ‘glossa’ o di articolo giornalistico, e l’oratoria; al contrario, il romanzo viene sottostimato e sperimenta una regressione in questo periodo; è infatti il racconto in questi anni a garantire lo sviluppo della produzione nar-rativa; anche il teatro conosce un momento di flessione, perché contaminato dal populismo, dall’estetica naturali-sta, dalla denuncia sociale, dal decadentismo, riducendo-si in sostanza all’alta comèdia burgesa.
Anche soltanto da questi brevi accenni all’evoluzione del panorama socio-politico e storico-culturale dell’area
catalana è possibile cogliere la grande ricchezza di fer-menti che hanno caratterizzato le fasi della Renaixença, del Modernisme e del Noucentisme. Si tratta in sostanza di un lasso di tempo che va dagli anni ’30 dell’Ottocento fino al primo quarto del XX secolo: anni densi di premesse, in buona parte concretizzate, altrimenti soffocate e represse da regimi che – come l’assolutismo monarchico di Filippo V e i suoi Decretos de Nueva Planta – avevano come obiet-tivo principale la cancellazione e l’annientamento dell’i-dentità catalana, a partire dalla lingua e dalla cultura per arrivare allo smantellamento delle istituzioni locali.
Ciò da un lato dimostra la centralità di questa epoca per la ridefinizione e la riaffermazione dell’identità cata-lana a livello culturale e politico, che idealmente – con la Renaixença – si ricollega alla grandezza medievale per proiettarsi sulla modernità e ricollocarsi nella compagi-ne internazionale: si capisce subito allora l’importanza dell’antologia allestita da Cesare Giardini, che riflette con efficacia questo momento di grande impulso socio-politico e di fioritura artistico-culturale. Dall’altro lato, la raccolta evidenzia lo stridente contrasto fra questa fase di crescita e di ripresa e una duplice e nefasta epoca di oppressione: la prima la precede ed è rappresentata dalla contrazione a seguito dell’unificazione delle Corone catalano-aragonese e castigliana nel XV-XVI secolo e dalla politica della dina-stia borbonica insediatasi dopo la Guerra di Successione spagnola; la seconda è incarnata da due dittature, quella di Miguel Primo de Rivera (1923-1930) e poi – dopo la Guerra Civile spagnola del 1936-1939 – quella di Franci-sco Franco (1939-1975), entrambe fautrici della cancella-zione di ogni autonomia e realtà identitaria locali. È bene ricordare che in Spagna, dopo la lunga notte del regime totalitario, inizia la delicata fase di Transición: si torna a votare per le prime elezioni democratiche nel 1977, anno della legalizzazione di tutti i partiti di opposizione; nel 1978 viene varata la nuova Costituzione, ma la
preoccu-pazione delle frange conservatrici porta al tentato colpo di stato militare del 1981; infine, nel 1982, a seguito di nuove elezioni viene formato il primo governo pienamen-te democratico della storia del Paese.
Si rivela allora quanto mai necessaria questa antologia curata da Cesare Giardini, allestita nel 1925 e data alle stampe agli inizi del 1926, cioè quando il dittatore Pri-mo de Rivera ha appena decretato lo scioglimento della Mancomunitat de Catalunya e proibito l’uso del catalano nell’istruzione e nella vita pubblica. E allo stesso modo si rivela quanto mai necessario riproporre oggi, con una ri-edizione, questa preziosa testimonianza, per soppesarne con maggiore lucidità – grazie al distanziamento crono-logico – i pregi indiscussi e la rara capacità del curatore di identificare le figure, selezionare e tradurre in modo efficace e suggestivo i componimenti più significativi per tratteggiare – pennellata dopo pennellata – davanti agli occhi del lettore il quadro della poesia di quegli anni. A tutto ciò si aggiunge il merito di aver saputo riflettere un panorama davvero ‘contemporaneo’, come recita il titolo dell’antologia, posto che nelle sue pagine trovano spazio figure come Joan Salvat Papasseit (1894-1924), Ferran Soldevila (1894-1971), Marià Manent (1898-1988) e l’al-lora giovanissimo Tomàs Garcés (1901-1993).
Il rimando alle opere dei poeti antologizzati che Giar-dini include nella presentazione di ciascuno di essi si ferma, ovviamente, al 1926; per motivi di spazio, non è possibile adesso integrare la produzione degli autori, ci-tando le raccolte apparse negli anni successivi; aggiorno, invece, la data di nascita e di morte dei poeti:
Jacint Verdaguer (1845-1902) Miquel Costa i Llobera (1854-1922) Joan Alcover (1854-1926)
Joan Maragall (1860-1911) Emili Guanyabens (1860-1941)
Salvador Albert (1868-1944) Gabriel Alomar (1873-1941) Jeroni Zanné (1873-1934)
Guerau de Liost (1878-1933) pseudonimo di Jaume Bofill
Joan Maria Guasch (1878-1961) Josep Lleonart (1880-1951) Josep Pijoan (1879/1881-1963) Joan Puig i Ferreter (1882-1956) Francesc Sitjà i Pineda (1880-1940) Llorenç Riber (1881-1958)
Eugeni d’Ors (1881-1954) Francesc Pujols (1882-1962) Josep Carner (1884-1970) Alfons Maseras (1884-1939) Pere Prat Gaballí (1885-1962) Ramon Vinyes (1882-1952) Miquel de Palol (1885-1965)
Josep-Maria López-Picó (1886-1959) Josep Sebastià Pons (1886-1962) Ambrosi Carrion (1888-1973) Joan Arús (1891-1982)
Josep Massó i Ventós (1891-1931) Carles Soldevila (1892-1967) Joaquim Folguera (1893-1919) Carles Riba (1893-1959)
Clementina Arderiu (1889-1976) Ventura Gassol (1893-1980)
Josep Maria de Sagarra (1894-1961) Joan Salvat-Papasseit (1894-1924) Ferran Soldevila (1894-1971)
Josep Maria Millàs-Raurell (1896-1971) Marià Manent (1898-1988)
Tomàs Garcés (1901-1993)