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La messa alla prova degli adulti. Finalità educative e limiti normativi

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Academic year: 2021

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PASQUALE TRONCONE

LAMESSAALLAPROVADEGLIADULTI

PROPOSTADIUNNUOVOMODELLOEDUCATIVOOOCCASIONEMANCATA? * Buongiorno a tutti grazie per l’invito e grazie soprattutto perché mi avete dato la possibilità di rivedere persone che da molto tempo non incontravo, assistenti sociali di grandissimo valore umano e professionale che ho potuto conoscere e apprezzare nei vari corsi di formazione che abbiamo organizzato nell’arco di 15 anni presso il corso di Laurea di Servizio Sociale dell’Università Federico II.

La relatrice che mi ha preceduto ha toccato alcuni punti critici e i limiti applicativi dell’istituto della messa alla prova per gli adulti, entrato in vigore con la legge n. 67 del 28 aprile 20141. Limiti che sono soprattutto di carattere disciplinare, data la complicata articolazione applicativa, più che di contenuto e di principio, perché effettivamente il legislatore forse nella fretta, e negli ultimi anni il Parlamento italiano ha lavorato sempre troppo in fretta, ha dimenticato di chiarire specifici aspetti di sistema. Non può essere trascurato, infatti, che si propongono in maniera perplessa all’interprete: profili di compatibilità con il sistema di rieducazione nei suoi tratti generali, il vero significato di “prova”; l’assetto organizzativo della fase dell’esecuzione che richiama il meccanismo di esecuzione della pena, con tutto il carico di impegno da parte degli Uffici penali per l’esecuzione esterna; in ultimo, il quadro e le fasi processuali in cui si inserisce la nuova misura di prova2.

Un problema aperto, e lo sarà per molto tempo, affidato a sempre nuove e diverse decisioni dei giudici del merito e di legittimità, concerne in primo luogo la possibilità di applicare con efficacia retroattiva la misura, cui prima accennava la collega. Si tratta di una questione che investe prima di tutto lo statuto dei principi di libertà della persona. E l’assenza di una norma transitoria non è da attribuire 1* Il presente lavoro è la rielaborazione della relazione tenuta a Napoli presso l’UEPE il 15 maggio 2015 con l’aggiunta di note.

Tra i primi commenti FIORENTIN F., Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa, in Guida al dir., 2014, 21; seguono poi la Relazione dell’ufficio del Massimario della S.C. di Cassazione del 5 maggio 2014,

Le nuove disposizioni in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, a cura di R. Piccirillo,

in www.cassazione.it; VIGANÒ F., Sulla proposta legislativa in tema di sospensione del procedimento con

messa alla prova, in Riv.it.dir. e proc.pen., 2013, pag. 1301.

2 Il progetto di un nuovo codice penale elaborato dalla Commissione Pisapia aveva preso in considerazione l’ipotesi di prevedere l’istituto della messa alla prova per gli adulti, da inserire però nel codice di rito. Il ricorso a questa soluzione era parso indispensabile per due ordine di ragioni. In primo luogo per restituire l’originaria funzione alla sospensione condizionale della pena, negli ultimi tempi oggetto di abuso e una delle cause di ineffettività della pena in esecuzione. Inoltre, prevedere uno strumento deflattivo che garantisse un contenimento dei tempi e della quantità dei procedimenti penali. Il progetto è pubblicato in www.giustizia.it, pag. 46.

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alla fretta di legiferare questa volta ma a una precisa -quanto censurabile- scelta di strategia legislativa che trascura di considerare l’immanenza dei diritti di garanzia fondamentali della persona, tipica espressione del diritto penale sostanziale di stampo liberale, per approdare a derive o digressioni che sono governate dal principio del tempus regit actum e, dunque, tipiche del diritto processuale.

Utilizzare lo strumento processuale per varare norme che hanno incidenza sul diritto penale sostanziale si presenta ormai come una costante degli ultimi venti anni di legislazione penale che ha visto, per disavventura, vicende importanti deflagrare al momento della verifica con i principi fondamentali della Costituzione italiana ma anche con le norme della Convenzione EDU. Uno degli esempi più eclatanti si è registrato con la modifica della norma sul rito abbreviato, previsto dalla legge Carotti n. 479/1999, che consentiva la sostituzione dell’ergastolo con la pena di 30 anni di reclusione. Abrogata quella legge con un’altra norma, sempre di natura processuale, si pose il problema se coloro che avevano richiesto l’accesso al rito speciale per evitare l’ergastolo prima della nuova modifica non avessero più diritto a godere della pena più favorevole solo perché essendo una legge processuale non trovava applicazione il principio della retroattività della norma più favorevole, tipica invece del diritto sostanziale in materia di sanzioni. Si è reso necessario l’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per ristabilire l’equilibrio dei principi violati dal legislatore italiano che non aveva tenuto nel debito conto il rispetto dell’inderogabile principio di irretroattività della norma sfavorevole (e di retroattività della norma di favore), dichiarando che nel caso della scelta del rito processuale che comportava la pena inferiore si doveva applicare la norma più favorevole e non quella vigente al tempo.

Occorre a questo punto dire che il legislatore non ha perso la cattiva abitudine di agire con norme processuali anche nel caso al nostro esame della messa alla prova, facendo emergere la mancata opera di calibratura della nuova legge sui meccanismi di governo del diritto penale sostanziale, primo fra tutti il principio di legalità che impone tassatività, irretroattività (ovvero retroattività favorevole).

Al di là di questi che sono problemi di carattere generale bisogna cercare di capire quale sia la natura giuridica della messa alla prova per proporre una breve riflessione.

A mio parere occorre sgombrare subito il campo da un equivoco secondo cui la messa alla prova degli adulti trova la sua radice nello stesso istituto dei minori (di cui in realtà condivide il nome), semplicemente perché l’unico elemento di contatto è costituito dall’obiettivo educativo: c’è un minore non ancora educato da un lato e un maggiorenne che non è stato educato dall’altro. Men che mai parlare di rieducazione, perché la rieducazione riguarda la persona condannata, vale a dire l’affermazione della responsabilità penale per un fatto commesso,

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mentre nell’impianto concettuale della messa alla prova troviamo un percorso processuale di tipo “elusivo” della verifica di responsabilità penale. Anzi l’esito da auspicare dovrà essere la dichiarazione di estinzione del reato (che comprende la pronuncia di non colpevolezza?). La dottoressa Bove ci fornirà certamente una chiave di lettura, non a caso il suo primo intervento sulla rivista on-line “penale contemporaneo” è quello che ha aperto la strada a una serie di considerazioni di carattere esplicativo della nuova legge3.

Va subito rilevato che la natura giuridica della messa alla prova, anche se mancano nella legge connotazioni di tipo sistematico, rappresenta una nuova causa di estinzione sopravvenuta della punibilità, come le tante che il legislatore ha disseminato negli ultimi anni nella legislazione speciale e che conduce all’estinzione dell’ipotesi di reato. Problema dopotutto di diritto penale sostanziale. E tuttavia, se voi andate a fare una ricognizione nelle fonti bibliografiche sulla messa alla prova troverete che nessun sostanzialista se ne è occupato finora, quasi che il tema debba essere appannaggio esclusivo dei processualisti. Probabilmente la risposta è insita nel fatto che il legislatore ha inteso privilegiare la scelta e la strategia dell’organizzazione del processo piuttosto che i propositi educativi (o rieducativi?) e anche in questo si marca la differenza con la messa alla prova dei minori che si presenta con un corpo normativo organico fatto di norme processuali anche se avulse dal codice di procedura penale. La messa alla prova per l’articolo 28, che diede vita a lunghe discussioni già agli albori dell’entrata in vigore del codice di rito penale del 24 ottobre del 1989, ha contribuito a creare un mondo normativo autonomo semplicemente perché ruota intorno a un soggetto particolare che le stesse “regole di Pechino” imponevano come assoluta centralità di sistema.

Con la legge n. 67/2014 la messa alla prova per gli adulti risponde esclusivamente a un interesse specifico, strutturale, di funzionalità dell’organizzazione e di razionalizzazione quantitativa del carico giudiziario e penitenziario4, piuttosto che di tipo pedagogico o meglio andragogico5.

La verità è che la legge non fornisce indicazioni su quale debba o possa essere il contenuto della “prova”, di quale significato teorico e con quale finalità debba essere progettato il percorso di prova che, sembra, non essere vincolato a un obiettivo di recupero sociale della persona. Non a caso la legge indica come 3 BOVE V., Messa alla prova per gli adulti: una prima lettura della L. 67/14, in www.penaleconteporaneo.it.

4 BARTOLI R., La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del

sovraffollamento?, in Dir.pen. e proc., 2014, pag. 670.

5 L'andragogia è una disciplina che studia lo sviluppo della persona adulta, diversamente dalla pedagogia che analizza la formazione del minore nella fase di crescita della sua personalità e dell’apprendimento infantile. Esponente di spicco è Malcom Knowles, uno dei più noti studiosi dell’evoluzione dell’adulto. L’andragogia appare importante perché trova un punto di contatto con la funziona della pena, allorchè si pone il problema della individualizzazione del trattamento rieducativo in una prospettiva di prevenzione speciale.

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strumento elettivo i “lavori di pubblica utilità”, ma potrebbe essere anche un altro l’impegno che l’indagato o l’imputato dichiari di assumere, un itinerario prescrittivo di natura diversa.

Una domanda a questo punto si pone e si tratta di stabilire se l’episodio di impegno e di rispetto del progetto immaginato sia finalizzato a conseguire l’estinzione di quel reato oppure l’occasione per sviluppare un programma di educazione dell’adulto? Il mancato esito positivo della prova quale peso assumerà nel successivo percorso di rieducazione che dovesse intervenire alla condanna definitiva per il reato accertato e giudicato? E questa prova potrà assumere una qualche valenza nel caso in cui il soggetto dovesse commettere successivamente un nuovo reato?

Avendo assunto in premessa che occorre ragionare con parametri e iniziative educative che appartengono a un mondo diverso da quello della pena, l’interrogativo intorno al quale ruota l’indagine sul contenuto della nuova misura è costituito dal significato da riconoscere alla prova: si tratta di un percorso trattamentale di tipo special-preventivo oppure si risolve soltanto nel rispetto dell’impegno a svolgere un’attività di tipo sociale senza alcun controllo dei risultati andragogici conseguiti?

Sul punto la legge tace e questo vuoto di indicazioni valoriali genera il bisogno di conoscere le ragioni per cui la prova è stata affidata all’Ufficio per l’esecuzione penale esterna che istituzionalmente sviluppa un lavoro di tipo trattamentale con la verifica dell’esito dei progressi di rieducazione raggiunti dal condannato. Questo è il vero nodo del problema e nessuna norma è in grado di chiarire se l’assistente sociale svolge un compito di tipo educativo o è chiamato soltanto a sottoporre a verifica che il comportamento del soggetto sia conforme al percorso prescrittivo previamente elaborato insieme all’imputato e approvato del giudice del merito.

Non vi è tempo per riflessioni ulteriori, ma è sufficiente chiedersi se per caso la messa alla prova, che nelle buone intenzioni del legislatore avrebbe dovuto richiamare il sistema di probation anglosassone, avrebbe riscosso maggior favore se la prova dell’indagato (anche non ancora imputato) fosse stata devoluta alla competenza dell’autorità di polizia (quindi con natura amministrativa) seppure controllata dal giudice della Sorveglianza6. A mio parere questa diversa dimensione operativa avrebbe caratterizzato in maniera più corretta e adeguata i contenuti della prova che nulla condividono con la natura e la gravità del reato e nulla condivide con gli scopi educativi che sono propri di un percorso tipico della competenza dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna.

6 Pur sollecitando l’adozione di misure deflattive, gli organi di governo europeo indicavano l’istituzione di un servizio di probation, senza fornire la natura dell’ufficio, come riportato in “CONSIGLIOD’EUROPA - RACCOMANDAZIONE R(2010)1 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle

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Un interrogativo riguarda ancora la possibilità di accedere agli atti processuali del fascicolo del PM quando il procedimento è ancora in fase di indagine e l’indagato richiede di accedere alla misura della messa alla prova. Questo è uno dei problemi che concerne la disciplina delle singole fasi processuali. In questo caso esistono dei limiti oggettivi per la scelta di un percorso di prova derivante dall’impossibilità di conoscere il quadro delle indagini più ampio in cui si inserisce la prova, il limite è la conoscibilità degli atti coperti dal segreto, cui non è estranea la particolare durata delle indagini soprattutto quando i fatti da indagare sono legati a reati di criminalità organizzata7. Come si potrà scegliere la prova e come si potranno selezionare le prescrizioni da osservare se, ad esempio, l’indagata è la moglie di un capo clan e di lei non si conosce esattamente il ruolo ricoperto e le condotte tenute? Diventa arduo per l’UEPE comprendere a tutto tondo l’adeguatezza del percorso da tracciare e convalidare.

E ancora. Quale peso assumerà l’esito positivo di questa prova sul giudizio di responsabilità complessiva che la futura imputata potrà fare valere sul carico sanzionatorio dove non potranno non pesare gli indici dell’art. 133 c.p. e la buona condotta post factum? Sarà stato una genuina forma di resipiscenza o soltanto un espediente processuale per ottenere una pena più contenuta, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, o soltanto per godere della sospensione condizionale della pena?

Forse una misura amministrativa di polizia avrebbe snellito anche il carico giudiziario che invece non è stato risolto ma appesantito da ulteriori adempimenti e rinvii, svelando il vero volto della messa alla prova degli adulti: una complicata misura deflattiva senza alcuna aspirazione alla crescita individuale del giudicando, utile soltanto per presentarci in Europa con bilanci di contrasto alla criminalità più tollerabili e un apprezzabile livello di efficientismo giudiziario.

7 Si tratta del controverso tema della messa alla prova “parziale” cui la legge non fornisce una specifica disciplina né con certezza si possono desumere valide indicazioni dal codice di rito. Certamente il procedimento principale non potrà essere privato del corredo probatorio relativo al reato destinato all’estinzione per la prova superata -una sorta di intima inscindibilità-, per cui la messa alla prova parziale resta, a mio parere, una mera aspirazione teorica.

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