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COME SI MISURA IL TERRITORIO? Il valore della piccola scala (a certe condizioni)

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Academic year: 2021

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degli indirizzi, delle finalità, del cosa misurare, del perché misurarlo, che chiama in causa una riabilitazione profonda di valori umanistici, dall’empatia alla collaborazione, dall’ecologia all’etica. Nella parola misura trovano la loro collocazione e il loro senso concetti come gerarchia, priorità, e affondano le loro radici giudizi di valore come lecito/illecito, possibile/impossibile, bello/brutto, giusto/sbagliato. È la parola che più di ogni altra traccia un contorno all’idea di libertà dell’individuo.

Dentro la ‘misura’ si annida la volontà di controllo, l’inestinguibile produzione di ‘canoni’ e l’altrettanto inestinguibile produzione di

anticanoni, di dis-misure.

P

otremmo leggere la storia della nostra specie su questo pianeta come storia di misure e di contromisure che nel corso del tempo hanno fissato e rovesciato i codici dominanti, i linguaggi, le regole: ogni rivoluzione sociale passa anche attraverso una rivoluzione delle misure e dei loro strumenti. Si pensi al conflitto tra l’astratta razionalità della progettazione tecnica,

informatizzata, parametrica propria dei sistemi BIM e all’architettura spontanea, senza architetti. La misura della prima diventa dismisura per la seconda. La storia del territorio è la

successione di cicli in cui i canoni di misurazione in uso giunti al massimo grado di affermazione, cominciano a produrre altro da sé, “anticodici”, linguaggi blasfemi che mettono in crisi le regole vigenti, le accademie radicate - tanto nell’ambito della composizione architettonica quanto in quello tecnico della progettazione ingegneristica - e si

L

a parola misura ha un peso fondamentale nella progettazione del territorio: pianificare significa decidere un sistema di misure che regola le parti e i loro rapporti, alla ricerca di un equilibrio complesso in cui l’hardware, la fisicità spaziale e materiale, si combina con il software, il sistema delle regole della coabitazione, degli usi, delle modalità di reciprocità e relazione, all’interno di una scala di priorità che sta alla base di ogni decisione ed è il risultato di scelte politiche, per molti versi, totalmente discrezionali. Misura è un’entità oggettiva che traduce scelte profondamente opzionali, capaci di determinare esiti di realtà non solo diversi, ma opposti tra di loro.

La parola misura è composta da due facce nella cui dialettica si sostanzia il sistema di valori che regola ogni organizzazione sociale insediata in un territorio. Da una parte la necessità irrinunciabile di definire un riferimento ‘oggettivo’, fisso e razionale, in grado di sottrarre il nostro agire e il nostro essere individuale alla sfera dell’arbitrarietà e dell’instabilità, consentendo la coabitazione insieme agli altri.

Un codice che consente di tracciare mappe, termini di paragone, limiti, proporzioni tra grandezze. Dall’altra il limite ontologico che ogni costruzione razionale ha rispetto a scenari che mutano velocemente e che rendono le misure ciclicamente insufficienti, inadeguate nella loro inevitabile parzialità.

L

a misura è un limite filosofico legato alla sempre più vacillante fiducia nella capacità della hybris antropocentrica di controllare una complessità che, pur mutando nelle forme e nelle azioni, appartiene al genoma della natura umana contraddistinta dalla coesistenza di sentimenti e razionalità, di volontà incoerenti fra loro e di ragionevole affidamento a un ordine sociale e ai suoi codici. È un limite tecnologico, legato allo spostamento continuo delle frontiere consentite dall’evoluzione degli strumenti di misurazione che via via, evolvendo, spalancano gli orizzonti di nuove letture, nuove consapevolezze, nuove inquietudini rispetto ad un agire, a un progettare e a un esserci normato e regolato in modo sempre più complesso. È infine un limite politico ed etico legato alla scelta

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COME SI MISURA

IL TERRITORIO?

Incontro con Antonio Longo e Antonella Bruzzese A cura di Maria Claudia Peretti

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ARK 36 / DISMISURA

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sostituiscono ad esse aprendo nuovi orizzonti espressivi, nuove forme di coabitazione. E allora sono molte le domande che questo tema genera. In questo numero di Ark dedicato alla dis-misura, Crossing ha coinvolto due studiosi che, con sguardi diversi, si occupano del territorio contemporaneo, dal macro al micro, dalla scala della grande infrastruttura territoriale a quella della piccola riqualificazione di quartiere: Antonio Longo e Antonella Bruzzese ci aiuteranno con i loro contributi a ‘misurare’ le molteplici implicazioni di questo tema.

Maria Claudia Peretti

ANTONIO LONGO Urbanista

MCP Nella tua attività di ricerca

applicata al Politecnico di Milano ti sei occupato dell’inserimento ambientale della nuova autostrada Pedemontana Lombarda. Immagino che questa esperienza ti abbia consentito di ragionare in profondità sul tema delle misure e delle

dismisure.

AL È un fronte di lavoro che mi

ha coinvolto più di un decennio fa insieme a molti colleghi del Politecnico di Milano, quando abbiamo accompagnato il progetto per la nuova Autostrada Pedemontana Lombarda disegnando le opere di compensazione nella forma di un grande sistema di spazi aperti lineare, legati da una greenway, che attraversa connettendole le valli fluviali tra Adda e Ticino. È stato un tentativo, in gran parte mancato alla prova dei fatti, di mediare tra le regole di progettazione della grande infrastruttura e quelle di

formazione del territorio locale, in gran parte fondate sul consenso e sulla risposta a domande parziali e frammentarie, di mediare, in altri termini, tra i due estremi, quello della misura macroscopica definita dall’infrastruttura e quello minimo definito dalle misure relative ai luoghi e alle comunità da essa direttamente o indirettamente coinvolte.

MCP Come si misura la qualità

del territorio contemporaneo?

AL Le grandi infrastrutture

progettate nel periodo compreso fra gli anni ‘90 e 2000 e di cui ancora oggi si discute sono state pensate “fuori misura”. Non si può infatti parlare propriamente di progetti a scala territoriale se non per le conseguenze che hanno prodotto o produrranno una volta completati. Ogni misura presuppone ovviamente una convenzione, un insieme di riferimenti. Il progetto di ingegneria ha visto una progressiva separazione delle sue misure e convenzioni di riferimento dalle condizioni di contesto: i progetti sono stati decisi sulla base di ipotesi di utilizzo delle infrastrutture, di flussi e pagamenti determinati dalla sostenibilità economica del valore dell’opera e non viceversa; le geometrie sono state definite dalle caratteristiche tecniche determinate dalle regole di sicurezza, ma considerate (ad esempio per Pedemontana Lombarda) in funzione di

un’autostrada (e dei relativi limiti di velocità) e non di una tangenziale urbana; la sezione, l’alternarsi di tratti a due e tre corsie, la forma della viabilità complementare, è stata conseguenza dei due aspetti appena citati. Le procedure di progettazione guidate dai software gestionali e di disegno e calcolo, i tempi e i costi, hanno trattato queste precondizioni

producendo opere che non si confrontano con il territorio, ma con principi di coerenza interna, e in funzione di questi sono verificate e validate. Questo tipo di processo di progettazione, astratto ed autoriferito, usando una celebre espressione di Le Corbusier “rompe violentemente” il rapporto con la geografia, tra processi di ideazione/ costruzione e luoghi, eliminando in sostanza ogni considerazione sulla qualità che non appartenga all’opera stessa: opere perfette, giganteschi accessori certificati senza storia e senza contesto, strutture senza “infra”, che si appoggiano al territorio, a volte con conseguenze surreali.

MCP Come si misura una grande

infrastruttura di collegamento territoriale dentro l’idea contemporanea di uno spazio fatto di flussi, di relazioni tra nodi concettuali indipendenti dalle distanze fisiche e sempre più svincolate dalle caratteristiche geografiche? E dentro le nuove consapevolezze ecologiche e ambientali?

AL Questo tipo di processo di

costruzione è portatore di una profonda contraddizione: da un lato è sviluppato in piena coerenza con logiche di mercato, di gestione dei flussi finanziari e d'investimento che non hanno natura territoriale. Dall’altro produce manufatti, capitale fisso durevole, economie, diseconomie soprattutto locali, costruisce il territorio e il paesaggio, concretamente. Le procedure di controllo come ad esempio le Valutazioni ambientali, le analisi costi benefici, i processi di approvazione Ministeriale ecc. hanno più il carattere della ritualità tecnica e della mediazione politica che non la capacità sostanziale di influire

sul processo di apprendimento ed eventuale correzione. Così si creano delle vere e proprie schizofrenie territoriali, dissociate da ogni dimensione ecologica e ambientale. Stiamo parlando di ciò che è nella evidenza della percezione estetica e dell’esperienza quotidiana di moltissime persone: opere incomprensibili, spesso pericolose, l’alternarsi di manufatti fuori da una leggibilità di sistema, conseguenze ecologiche e ambientali impreviste e imprevedibili.

MCP C’è una misura superando la quale la città diventa altro da sé?

AL Una caratteristica della città e del territorio contemporaneo è il sommarsi come in un collage di diversi progetti, ciascuno per proprio conto, autoriferito e indifferente al contesto. Il risultato sono accostamenti imperfetti, reliquati, imperfezioni, vuoti, mancati punti di contatto, spazi privi di senso e significato. Sono frequentissimi e

rendono la città altro da sé, non perché supera le dimensioni e misure congrue e riconoscibili, ma perché nell’accostarsi di convenzioni, di principi di misurazione, oltre che di linguaggi diversi, diventa incomprensibile, non misurabile. La moltiplicazione dei linguaggi tecnici e di modalità di misurazione all’interno di più processi progettuali accostati o all’interno del medesimo produce frammentazione e

irriconoscibilità. Tutto ciò non è altro che il riflesso di una società estremamente frammentata e “decodificata”, ben descritta molti anni fa dal giurista Natalino Irti; una società (e un insieme di processi di progettazione e produzione dello spazio) in grado, nell’estremo pluralismo che li caratterizza, di scrivere di volta in volta nuovi codici e nuove regole, in grado di depositarsi nello spazio in forme durevoli, ma molteplici, specifici, spesso incoerenti.

MCP Cosa ci riserva il presente?

E il futuro?

AL Escluderei forme di resistenza

professionale o intellettuale che comportino il ripristino, per via conservatrice e nostalgica o, all’opposto, radicale e utopica di ordini perduti o di capacità di imporre nuove forme e regole. In fin dei conti siamo solo architetti, direbbe Mel Brooks. Immagino piuttosto un’estensione e complessificazione delle competenze in gioco, per fare fronte alla gestione dei rischi territoriali e ambientali, l’emergere chiaro di alcune questioni territoriali, che si manifestano anche nella loro evidenza paesaggistica, sensibile. Tutto ciò sta già avvenendo, se si considerano gli effetti dei cambiamenti climatici, le precipitazioni e gli allagamenti, i cambiamenti di vegetazione, ma

anche le trasformazioni portate da nuove logiche ed economie agricole o dall’abbandono di interi patrimoni territoriali rurali e di seconde case. Nell’ultimo decennio la crisi ambientale e più recentemente la pandemia hanno mostrato a tutti la necessità di osservare e comprendere le misure, le regole e le dinamiche proprie del territorio e dell’ambiente, rispetto alle quali i sistemi,

i linguaggi, le politiche e culture diverse inevitabilmente dovranno adattarsi e allinearsi.

Usando un’immagine musicale, il basso continuo dei temi ambientali e della domanda di sicurezza, sollecitando la consapevolezza del rischio, la paura e forse nuovi principi etici ambientali (una concatenazione che ci ha insegnato Ulrich Beck) forse potrà lentamente influire riducendo la frammentazione nell’azione, riportando nei nostri territori nuove misure di riferimento e condizioni di miglioramento. ANTONELLA BRUZZESE Il valore della piccola scala (a certe condizioni)

M

isurare è un modo per conoscere e dare una dimensione alle caratteristiche di un oggetto.

Quando si tratta di uno spazio in cui ci troviamo, misurare significa non solo riconoscere qualità dimensionali di qualcosa di altro da noi, ma anche comprendere noi stessi e la nostra posizione in relazione a quello stesso spazio. Perché l’atto di misurare è prima di tutto un’azione di messa in relazione con una unità di misura significativa e nota. Spesso si tratta di una misura incorporata nel nostro stesso corpo, come in passato - e ancora ora in diversi sistemi di

IL TIPO DI PROCESSO

DI PROGETTAZIONE

ASTRATTO ED

AUTORIFERITO,

USANDO UNA

CELEBRE

ESPRESSIONE DI LE

CORBUSIER, “ROMPE

VIOLENTEMENTE”

IL RAPPORTO CON

LA GEOGRAFIA,

ELIMINANDO OGNI

CONSIDERAZIONE

SULLA QUALITÀ CHE

NON APPARTENGA

ALL’OPERA STESSA.

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misurazione non decimali - come la spanna o il piede.

O, rimanendo nell’ambito della cultura architettonica, come il Modulor di lecorbuseriana memoria messo a punto passando attraverso Vitruvio, Da Vinci, Alberti. Con gruppo A12 diversi anni fa abbiamo realizzato diverse installazioni e progetti che esploravano il tema della misura. Attraverso la performance

Measurement, ad esempio, nel 2003 la piazza principale di Zara veniva misurata dalle persone disposte di volta in volta diversamente nello spazio: in fila, a griglia, concentrate in un quadrato.

La posizione relativa tra le persone permetteva sia ai partecipanti, sia agli osservatori esterni di comprendere la natura di quello spazio e cosa lo spazio permetteva di fare; oltre a sperimentare sentimenti di maggiore o minore comfort dati dalla

vicinanza o distanza delle persone come la prossemica ci insegna. In altri progetti, come tumimisuri (2007) o Distanze di sicurezza (2011) abbiamo sperimentato con i bambini in un caso o con gli impiegati di un’azienda nell’altro, come il corpo sia l’unità di misura con cui possiamo comprendere lo spazio e il suo significato.

Q

uando però non ci si riferisce alle sole caratteristiche morfologiche degli spazi e degli interventi che li modificano, ma si ragiona in termini di interventi urbani non si può non considerare la pluralità delle dimensioni - materiali e immateriali, legate agli usi, alle funzioni o agli attori - coinvolte. Il tema della misura rischia di non cogliere appieno la complessità delle implicazioni e allora è opportuno operare alcuni distinguo. Perché

se definisco un intervento urbano micro, in prima battuta posso pensare che sia un intervento urbano di piccola scala. Il punto è capire rispetto a cosa. Se misurare è porre in relazione, un intervento è piccolo rispetto a quale sistema di riferimento? È piccolo in termini di dimensioni o in termini di significato o di cosa altro? Dare risposte univoche è impossibile e misurare un intervento urbano al di là delle sue dimensioni fisiche chiaramente riconoscibili mi pare difficile, se non esplicitando le diverse categorie rispetto alle quali si misura.

La pratica professionale - come architetto e urbanista e soprattutto come amministratrice pubblica in un Municipio milanese - mi ha portato a sperimentare che ci sono alcuni interventi di piccola scala (perché riguardano una piazza, una strada, addirittura una aiuola), o apparentemente di misura micro appunto, che possono essere significativi e dunque tutt’altro che insignificanti per gli effetti che producono: perché sono capaci di innescare processi che si irradiano e si replicano altrove; perché pur essendo dimensionalmente piccoli hanno la capacità di coinvolgere una rete di attori - sia in fase di progettazione, sia in fase di utilizzo - decisamente larga; oppure perché pur essendo interventi dimensionalmente minimi in un contesto specifico sono l’esito di strategie che riguardano una scala territoriale più ampia.

R

agionare sulla misura degli interventi quindi, per quanto mi riguarda, è solo una parte del discorso progettuale.

Il quale per ambire ad essere efficace rispondendo a dei bisogni reali del territorio deve riguardare la messa in tensione tra la natura e la dimensione

dell’intervento, la sua “necessità” -che si può riconoscere entro un contesto urbano fatto di sistemi di relazioni di uso, di significati e di gestione - e i suoi “effetti” che ci si augura non siano necessariamente limitati ad una dimensione micro. Questo significa osservare il progetto entro una dimensione di processo, che parte dai motivi che rendono il progetto necessario e fattibile, alla sua “resa” e gestione nel tempo. Se il processo è micro - se dunque il singolo intervento non è maturato da una adeguata analisi, interpretazione e ricostruzione di un problema, da una messa a fuoco di obiettivi, dal coinvolgimento di più attori in grado di supportare, comprendere, usare, appropriarsi e magari manutenere nel tempo l’oggetto di intervento -allora anche gli effetti saranno micro, ma temo poco interessanti in un contesto urbano. Se invece gli interventi - anche minimi - rientrano in un processo di costruzione dell’intervento che ragiona entro un contesto urbano territorialmente significativo, che tiene in conto dimensioni altre (usi, ripetibilità, significato etc) allora potrà ambire -anche se micro - ad avere un significato rilevante.

Le misure sono esito di convenzioni, e le categorie micro o macro

dipendono dai contesti: la città italiana più grande, in Cina è considerata in termini dimensionali una città piccola. Ma in termini di storia Roma è incommensurabile con Shijiazhuang, città di pari dimensioni che, ad esempio, solo 70 anni fa era poco più di un villaggio.

È importante avere chiaro quali sono le misure in campo, adottare altri criteri di valutazione per stabilire la necessità degli interventi, il loro significato entro un contesto più ampio e anche i loro effetti.

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