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Design su Misura. Atti dell'Assemblea annuale della Società Italiana di Design

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Academic year: 2021

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Design su Misura

Atti dell’Assemblea annuale

della Società Italiana di Design

18,19 maggio 2017

Società Italiana di Design

Microstorie di didattica del progetto

Società Italiana di Design

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Design su Misura

Atti dell’Assemblea annuale della Società Italiana di Design A cura di

Luisa Chimenz Raffaella Fagnoni

Maria Benedetta Spadolini

Microstorie di didattica del progetto Società Italiana di Design

A cura di Silvia Ferraris Andrea Vallicelli

Progetto grafico e impaginazione Plurale Visual Design pluralevisualdesign.it Copyrights

CC BY-NC-ND 3.0 IT

È possibile scaricare e condividere i contenuti originali a condizione che non vengano modificati né utilizzati a scopi commerciali, attribuendo sempre la paternità dell’opera all’autore. Società Italiana di Design

societaitalianadesign.it ISBN 978-88-943380-8-9

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c/o DAD Scuola Politecnica Stradone Sant’Agostino 37 16123 Genova

Design

su misura

Design su Misura

Atti dell’Assemblea annuale

della Società Italiana Design

18,19 maggio 2017

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t 02 — Innovazione | Sistemi | Servizi

“Inclusive design – sustainable design”: unità di ricerca dell’Università di Ferrara

G. Mincolelli, S. Imbesi, G. A. Giacobone, A. Tursi, M. Marchi

Design parametrico e processi di realizzazione in ambito digitale

Annalisa Di Roma

Design per la prevenzione e il monitoraggio di utenti affetti da disfagia. Caso studio: il progetto DayD

Claudia Porfirione

Il progetto della performance luminosa

Alessandra Scarcelli, Vincenzo Minenna

Sul metodo: un’indagine laboratoriale tra design e biologia

Chiara Scarpitti

Il Design per la Moda e l’industria culturale. Nuove strategie per il made in italy

Roberto Liberti

Il design pensato ad hoc per i bambini.

Studi progettuali e approfondimenti sul design per i bambini pensato

Laura Giraldi

Design e ricerca su misura delle imprese

Luca Casarotto

Su Misura? Prospettive del ‘design for kids’

Benedetta Terenzi

(Video)giocare con il Design. Un’esperienza estetica significativa nel gioco di simulazione applicata

Isabella Patti

Le misure dei servizi

Chiara Olivastri 147 157 167 175 185 195 207 219 229 241 251

t 01 — Cultura | Linguaggi | Territori

Plug Social TV. Un esperimento su misura di collaborazione e narrazione di comunità

Mariana Ciancia, Maria Luisa Galbiati, Francesca Piredda

MATeriali per il design. A misura di progetto

Beatrice Lerma

Strumenti e metodi del design strategico per la valorizzazione degli itinerari culturali e dei percorsi tematici transfrontalieri tra Italia e Svizzera: il caso studio della “Via Regina”

Roberto de Paolis

Il Design per il museo su misura

Claudio Germak, Luca Giuliano, Sara Khan

Maestria artigianale avanzata e sistemi di customizzazione del prodotto moda di alta gamma

Elisabetta Cianfanelli, Gabriele Goretti

Design e territorio: un rapporto in evoluzione

Marina Parente

Fashion Design Networking. Il modello decentralizzato della Moda

Maria Antonietta Sbordone

Design “su misura” per il nautical heritage.

Dialoghi e considerazioni critiche con Stefano Faggioni

Maria Carola Morozzo della Rocca con il contributo di Giulia Zappia

La variabile e la sua misura. Ragione, sostanza e tema per l’oggetto immaterialmente materiale

Niccolò Casiddu, Luisa Chimenz

Handmade in Italy. Il design dei territori italiani

Claudio Gambardella 21 31 41 51 61 73 85 97 115 131

t 01

t 02

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t 03 — Produzione | Processi | Sostenibilità

Design per un diverso presente

Benedetto Inzerillo

Design per un mondo migliore, con eudaimonia

Sabina Martusciello, Maria Dolores Morelli

Servizi di eco-design su misura per un’innovazione sostenibile

Jacopo Mascitti, Lucia Pietroni

Design per la post-industria: processi, conoscenze, professioni

Loredana Di Lucchio, Lorenzo Imbesi, Viktor Malakuczi

Protesi funzionali per arti superiori in stampa 3D.

Osservazioni progettuali sulle nuove tecniche di produzione singolare

Lorenzo Secco

Design ibrido su misura

Carla Langella

Gli yacht e gli interni: la progettazione ad hoc

Mariateresa Campolongo

Tecnologie digitali per la moda: da prodotti a esperienze su misura

Alba Cappellieri, Livia Tenuta, Susanna Testa

Misurata apparenza. Propulsioni innovative in vesti convenzionali

Mario Ivan Zignego

La cultura del design tra tradizione e innovazione

Mauro Cecconello 261 273 283 295 307 319 333 341 353 361

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La cultura del design

Mauro Cecconello

Politecnico di Milano

tra tradizione e innovazione

La realtà odierna è caratterizzata da un altissimo livello di specia-lizzazione tecnologica, e dispone di strumenti e metodi che con-sentono una sempre migliore pianificazione del processo proget-tuale, oltre che la personalizzazione del prodotto finito, capace di interagire con l’utente e il mondo che lo circonda. Osservare i metodi e le pratiche del fare design oggi permette una riflessione sull’eredità della tradizione fortissima e della cultura del progetto degli anni d’oro del design italiano, caratterizzato da un saper fare strettamente legato al suo territorio e alla sua cultura artigianale. Ancora fino a qualche decennio fa la realtà italiana, a differenza dei grandi studi americani e internazionali basati su un business model preciso, si presentava perlopiù caratterizzata da studi di piccole dimensioni, dove non si parlava di design ma di styling. Il progettista è il volto riconoscibile del progetto, la sua idea è quella che fa la differenza, determina il successo commerciale del prodotto, giustifica il divario tra costo di produzione e prezzo di mercato e fa si che il pubblico sia disposto a pagare un oggetto dieci volte di più rispetto a quelli di largo consumo.

Che siano ancora operativi oppure siano stati trasformati in fon-dazioni, gli studi professionali sono posti magici dove si respira l’atmosfera in cui famosissimi oggetti sono stati creati e costitui-scono la testimonianza del modo di fare di un progettista. Le con-versazioni coi designer (Ceconello, 2015) rivelano diversi modi di lavorare, di organizzare i materiali, di archiviarli secondo logiche proprie: dagli schizzi allo studio dei particolari per trovare solu-zioni ingegnose, dai primi disegni quotati per avere riferimenti dimensionali alle maquette di verifica e di studio.

Fare design ha sempre voluto significare una riflessione sulla so-cietà, sui temi di consumismo, spreco, riciclo, il desiderio di cam-biare in meglio una situazione, contribuire alla difesa dell’am-biente, porre indicazioni sullo sviluppo, sul comportamento, sulla convivenza e, perché no, sulla necessità di sorridere. È un modo di pensare che è sempre rimasto strettamente agganciato a una concreta idea del vivere, anche se l’inarrestabile processo di sviluppo tecnologico ne ha comportato cambiamenti di statuto disciplinare. È diverso l’esercizio quotidiano del mestiere per il

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tamento radicale degli strumenti, è diversa l’elaborazione dei con-tenuti progettuali che si caricano progressivamente di una serie di responsabilità che appartenevano ad aspetti diversi del fare indu-striale. In pochi anni il baricentro del design si è spostato: da disci-plina che aveva a che fare prevalentemente con l’aspetto figurativo, comunicativo ed espressivo dei prodotti, oggi si è trasformata in un mestiere che ha che fare anche con aspetti di controllo tecnico, pro-duttivo ed economico, oltre che quelli di percettivo e valoriale. Per spiegare questo concetto mi è utile citare l’esempio del Win-chester che qualche anno fa mi fece Francesco Trabucco: per chi ha letto fumetti western, visto qualche film di indiani e cowboy, letto qualche libro, anche senza aver mai sparato un colpo con un fucile, anzi neppure averlo mai preso in mano, tutto è magica-mente noto. Si conosce il gesto che si fa per caricare il Winche-ster, inclinandolo leggermente e spostando la leva che si richiude con uno scatto contro il calcio; se ne conoscono il rumore, la sen-sazione di peso equilibrato quando lo si regge tenendolo orizzon-tale con il braccio disteso lungo il fianco, la sensazione tattile del legno liscio e lucido per l’uso; l’odore, un misto di animale, polvere da sparo, sabbia del deserto; si avverte il caldo del sole cocen-te. Un’esperienza completa e del tutto virtuale che ricorda quello che si chiede oggi al designer; non solo progettare un buon pro-dotto, funzionale ed ergonomico, economicamente ragionevole ed esteticamente gradevole, ma anche progettare le emozioni, l’esperienza percettiva che l’utente farà usandolo o anche solo guardandolo; ciò che si definisce, user experience design.

La pratica del design tra tradizione e innovazione

Si parte sempre da un disegno, d’accordo. Ma una quarantina di anni fa, la prassi era più o meno standard: subito gli schizzi, mol-ti schizzi per un prodotto di media complessità, fino a centrare l’idea, e poi bisognava cercare di comunicarla, questa idea, con un bozzetto a colori e in prospettiva, raccontando a voce tutto ciò che il disegno non diceva. Ecco poi i disegni quotati, che rap-presentavano in modo approssimativo volumi tridimensionali e superfici curve e finalmente i modelli, in cartoncino e poi in legno. Tenendo conto dei disegni, del modello e della componentistica tecnica, venivano preparati i disegni tecnici dai quali si ricavava, molto laboriosamente, curvando a caldo, incollando e scavando fogli e pezzi di plastica, il primo prototipo. E non è detto che que-sto prototipo assomigliasse a ciò che il designer aveva pensato: da qui la necessità di arrivare a un buon compromesso, magari al terzo o al quarto prototipo, sul quale venivano eseguite le pro-ve tecniche e in base al quale si stendevano i disegni definitivi,

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La cultura del design tra tradizione e innovazione

gli esecutivi da passare agli attrezzisti per la costruzione degli stampi. Infine la fase delle pre-serie: solo quando tutte le parti collimavano perfettamente si stampava una pre-serie definitiva con la quale fare le prove tecniche finali e le prove di montaggio. Ora si potevano temperare, lappare e lucidare gli acciai, cromare le parti interne e finalmente far partire la produzione industriale. In tutto questo processo, che durava due o tre anni, l’impegno del designer era quasi quello di un regista: mantenere riconoscibile, nel prodotto, l’idea originale, la sua idea.

Con gli strumenti a disposizione, oggi basta un’idea primaria per entrare nel progetto, visualizzarlo, pesarlo, ponderarlo, capir-lo. Tutto viene messo a fuoco attraverso qualche rapido segno su carta, e poi dettagliato con software sintonizzati con la ve-locità del pensiero che permettono di intervenire in tempo reale sull’oggetto, modificarlo e modellarlo, plasmandolo nella sua re-altà fisica. Le tecnologie consentono di generare un progetto che è rappresentato da un complesso modello matematico tridimen-sionale, realizzato con precisione centesimale. Anche gli interlo-cutori sono cambiati: il committente non è più un imprenditore che rischia e decide in proprio ma la responsabilità viene divisa tra general manager, responsabile commerciale, responsabile tecnico e responsabile marketing. Il designer presenta loro un render, un’immagine la più verosimile, magari inserita in ambien-te realistico, se possibile direttamenambien-te in un ambien-teatro virtuale per una visione tridimensionale o ancor meglio tramite una virtualità immersiva dove sono sviluppate e visibili tutte le parti interne ed esterne del futuro prodotto.

Le nuove frontiere da esplorare sono rappresentate da ambienti cre-ati con software quali Unity e visualizzabili con strumenti come Ocu-lus Rift con device Touch che consentono l’interazione in maniera in-tuitiva in realtà virtuale; software e tools che derivano dal mondo del gaming ma che si adattano al mondo del design e dell’interazione. Tutti possono vedere l’oggetto a grandezza naturale, farlo ruotare nello spazio, ingrandirlo, verificare sezioni, particolari costruttivi, cinematismi, componentistica; possono chiedere di verificare la resistenza meccanica delle parti soggette a sforzo, le tempera-ture interne di esercizio, il logoramento delle parti in movimento, l’effetto del ritiro materiali, l’aderenza a norme di sicurezza; e an-cora, l’analisi preliminare dei costi, il numero di parti, pesi, mate-riali e componenti, l’ipotesi di assemblaggio, le varianti di colore, l’effetto di viste notturne o dei led accesi, il packaging. E ancora verificare l’impressione che fa il prodotto finito sullo scaffale del negozio, il rumore che fa lo sportello quando si chiude, il motore

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quando funziona, la ventola quando si accende, la sensazione tat-tile della superficie. In definitiva tutti pretendono di vedere un’im-magine realistica e raffinata, qualcosa che permetta di immagina-re la percezione del prodotto e l’emozione che darà all’utente, in pratica la sensazione di avere in mano quel Winchester che ancora non esiste per ridurre i rischi di una decisione, la cui responsabilità spesso coincide con il successo o l’insuccesso dell’azienda che a quel prodotto legherà il suo nome e, in parte, il suo destino. Anche il rapporto col cliente non è sempre uguale. In certi casi viene messo al corrente del lavoro e vede tutti gli elementi del processo creativo quali schizzi, concept, moodboard, rendering intermedi e poi i rendering finali; una scelta che insiste molto su un percorso condi-viso dell’idea, di tutto quello che appartiene in senso pieno al desi-gner e sta monte della produzione, prima che il prodotto venga in qualche modo ‘congedato’ ed entrino in gioco competenze diverse.

Processi a confronto

Il mercato ha determinato un cambiamento di rapporti: se in pas-sato il designer lavorava perlopiù con aziende design oriented, oggi possono esserci richieste di multinazionali che vogliono verificare se coi designer si raggiungano risultati commercialmente più in-teressanti. Potrebbe non esserci ancora un’idea di come stabilire la collaborazione tra progettista e azienda, che è importante sia proficua per fare del progetto un’esperienza condivisa. È una que-stione di misura e di ascolto; anche di saper far marcia indietro, se necessario: in qualche caso forse è meglio non mostrare subi-to grande definizione, perché con un esordio spettacolare diven-ta poi difficile calibrare i contenuti e integrare nel proprio operato le richieste e le proposte dell’altro. Tra i designer infatti c’è anche chi sostiene che condividere troppo sia controproducente, e che il cliente debba vedere appena un bozzetto, sufficiente per cogliere l’originalità dell’idea, o solo la maquette o il prototipo.

Gli schizzi appartengono alla cucina, e le cucine degli chef sono spesso luoghi incomprensibili e giustamente inaccessibili; ciò che conta infatti è il risultato finale. Gran parte del design porta il nome del progettista designer ma in realtà dovrebbe contenere anche tutti i nomi delle persone che ne hanno permesso la rea-lizzazione; certamente l’aspetto estetico ha un peso indiscutibile, ma anche la quantità di persone che partecipano e assistono alla nascita di un progetto di design, gli danno credibilità, sono binari paralleli che concorrono alla consolidazione finale con la parte-cipazione di tanti. La rete di relazioni che si costruisce attorno a un progetto di design si allarga sempre di più e ogni realtà indu-striale è un ambiente che apre un ventaglio di nuove informazioni

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La cultura del design tra tradizione e innovazione

che possono arricchire ma anche distruggere il progetto. Ci sono scogli sui quali si fa addirittura naufragio: accade di frequente di incontrare persone del marketing che pensano di sapere che cosa vuole la gente, ma forse hanno semplicemente idee diver-se da quelle dei designer e vogliono solo mettere in discussione il progetto. A questo punto sembrerebbe quanto più attuale la necessità di insegnare anche un po’ di marketing e di economia d’impresa nelle scuole di design e, perché no, forse un po’ di de-sign negli istituti di marketing.

Ma non sono solo gli strumenti che si sono modificati, è proprio tutto il procedimento che ha preso un’altra via, facendo sparire i tempi di scarto e la discontinuità nella progettazione. L’avven-to della computer grafica, dei software 3D e della proL’avven-totipazio- prototipazio-ne rapida ha modificato del tutto il concetto di modellazioprototipazio-ne e prototipazione. Negli studi un tempo si utilizzavano prototipi in legno o in resina che, con procedimento lungo e davvero poco agevole per via della gran quantità di polvere, venivano aggiustati a mano con lo scalpello, oppure rifatti fino a ottenere il giusto risultato. La possibilità di gestire tutto il processo all’interno di uno studio cancella la pausa tra la realizzazione del disegno e la consegna del prototipo alle aziende: quel tempo obbligato di at-tesa e sedimentazione oggi si trova spalmato nel flusso di una progettazione senza sosta, che procede per correzioni e aggiu-stamenti continui. È sicuramente una ricchezza in più quella di poter controllare tutto il processo con l’invio dei file direttamente al laboratorio di prototipazione; il tempo viene gestito meglio e non ci sono tempi morti, coi software di modellazione viene dato corso a ogni più piccola variazione, cosa davvero impossibile sul modello in resina o in legno. Un’immagine digitale tridimensiona-le porta a vedere, valutare, discutere, comparare, scegliere pro-cedendo per definizione e raffinazione successiva; è proprio un modo diverso di lavorare.

Ma c’è anche meno spazio per gli interrogativi che il tempo ob-bligato dell’attesa comportava; diremmo quasi che oggi ci sono le risposte ancor prima degli interrogativi. La nuova possibilità di visualizzare ciò che fino a poco tempo fa restava indefinito, dunque, impatta sulla capacità stessa dell’immaginazione, che si evolve e si affina sempre di più, consentendo di mettere a fuoco e andare in profondità, procedendo per passi successivi. La velocità del lavoro è un aspetto importante, da sottolineare: non è solo il grado di definizione del progetto, che è completamente diverso, ma anche il fatto che gli operatori oggi sono bravi e veloci. Veloci-tà vuol dire quantiVeloci-tà. Qualsiasi modifica viene fatta rapidamente,

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si cambia forma, dimensione, finitura, materiale, luce, riflesso; un prodotto diventa in un momento numerosi prodotti, in una realtà che certamente resta ‘virtuale’ ma è senza dubbio utilissima per capire come potrebbe essere in concreto ciò su cui stiamo lavo-rando. Le nuove tecnologie hanno quindi spinto sul pedale dell’ac-celeratore e anche le richieste si fanno più pressanti: ci si aspetta una risposta velocissima, dato che i tempi di progettazione si sono accorciati molto. Il fatto di essere costantemente interconnessi, rende poi tutti un po’ impazienti.

E in questa velocità di oggi, torniamo all’approvazione generale del progetto, costata molto tempo, molto denaro, e ha coinvol-to molte persone, ciascuna con una parte di responsabilità. I file vengono spediti e comincia la pianificazione di fornitori, la defini-zione della logistica e della parte finanziaria. Intanto, da qualche parte del mondo in poche ore è pronto con stampa 3d il modello fisico e il prototipo funzionante che viene spedito per la verifi-ca di ingegneria. Se tutto va bene, se sono approvati i processi produttivi, se c’è rispetto delle norme e delle prestazioni e se i conti sono giusti, si comincia. I file di progetto vengono inviati in un’altra parte del mondo dove macchine a controllo numerico iniziano la realizzazione di stampi e attrezzature. Intanto si la-vora su packaging e grafica, sulle spedizioni; sul manuale d’uso, la campagna pubblicitaria e le promozioni di vendita; infine co-mincia il processo per vendere un prodotto che ancora non esiste (Trabucco 2015). In tutto, non saranno passati neanche otto mesi dall’idea iniziale al completamento dello sviluppo del prodotto.

Conclusioni

Che un segno venga tracciato con una matita su un foglio o col mouse su di uno schermo, la questione in linea di principio non dovrebbe cambiare, ma nei fatti cambia e molto. Non solo sono cambiati gli strumenti e anche le procedure a questi connesse, ma anche il contesto economico e culturale nel quale il progetto si muove, e l’evoluzione dei sistemi informatici dedicati all’attivi-tà di progettazione e produzione è solo all’inizio: sono oramai in avanzata sperimentazione modellatori virtuali tridimensionali coi quali il designer, con un casco e dei guanti può modellare l’ogget-to con le mani nello spazio. Tecnologie oggi ancora moll’ogget-to cosl’ogget-tose ma che verosimilmente entro qualche anno saranno così diffuse da spostare la questione dal disegno – bidimensionale, iconico, anche se iperrealista – verso qualcosa di più simile alla modella-zione plastica tridimensionale della scultura, con le conseguen-ti variazioni di natura percetconseguen-tiva, semanconseguen-tica ed espressiva della rappresentazione. E la progressiva e inarrestabile crescita delle

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tecniche della virtualizzazione tenderà a costruire interi ambienti in cui designer, progetto e committente potranno interagire ed essere reciprocamente coinvolti in una “esperienza” molto vero-simile del prodotto progettato.

Lo stesso accade in ambito produttivo a partire dalle tecnologie di advanced manifacturing e rapid prototyping che consentono la prototipazione e la realizzazione di prodotti tramite tecnologie sempre più sofisticate e materiali smart e connessi in grado di modificarsi ed adattarsi in base all’ambiente o ad istruzioni forni-te tramiforni-te la reforni-te (Parisi et al. 2018). L’IoT non caratforni-terizza quindi solo il rapporto tra prodotto e utente tramite lo scambio di dati e informazioni ma addirittura è in grado di influenzare il comporta-mento del singolo componente o del materiale in cui è realizzato, per rendere il prodotto sempre più smart e personalizzato in base alle esigenze e ai bisogni dell’utente in perfetta sintonia con la filosofia user centered design.

Riferimenti bibliografici

Ceconello M. (2015) I designer (si) raccontano. Santarcangelo di Romagna (RN), Maggioli Editore.

Parisi S. et al. (2018) Mapping ICS Materials: Interactive, Connected, and Smart Materials. In: Karwowski W., Ahram T. (eds) Intelligent Human Systems Integration. IHSI 2018. Advances in Intelligent Systems and Computing, vol 722. Cham, Springer.

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