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Un villaggio e i suoi estimi: il caso di Paderno

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Academic year: 2021

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Università Ca’ Foscari di Venezia

Corso di Laurea specialistica (ordinamento ex D.M. 509/1999) in Storia della

Società europea

Tesi di Laurea Specialistica

Un villaggio e i suoi estimi: il caso di Paderno

Relatore Ch.

mo

Prof. Claudio Povolo

Laureando Adriano Boni - Matricola 805263

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Sommario

Introduzione ... 4

Elenco delle abbreviazioni ... 7

Assetto amministrativo del territorio trevigiano nei secoli XIV-XVIII ... 8

Gli estimi del trevigiano ... 11

Il villaggio di Paderno alla luce dell’estimo particolare del 1680-1719 ... 16

Le proprietà dei monasteri ... 17

Le proprietà del Primicerio del Duomo di Treviso ... 18

Le proprietà del beneficio parrocchiale di Paderno ... 18

Le proprietà della fabbriceria e della luminaria di Paderno ... 19

Le proprietà dell’Ospedale di Santa Maria dei Battuti ... 19

Le proprietà della Scuola di Santa Maria della Carità di Venezia ... 20

Le proprietà dei patrizi veneziani ... 20

Le proprietà dei cittadini veneziani ... 24

Le proprietà dei cittadini trevigiani ... 25

Le proprietà dei contadini ... 25

Il cambiamento di proprietà ... 26 Paesaggio agrario ... 26 Gli edifici ... 28 Le strade ... 28 I livelli ... 29 I beni comunali ... 30 Toponomastica ... 33 Conclusione ... 35 Bibliografia ... 38

Indice dei nomi ... 40

Indice dei luoghi ... 48

Appendice - Perticazioni di Paderno del 1680 ... 54

Appendice - Perticazioni di Paderno del 1714 ... 134

Appendice – Mappa di Paderno del 1680 ... 239

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Introduzione

In una mattinata sul finire del 2007, mentre mi trovavo nella biblioteca comunale di Treviso per prepararmi all’esame di Storia della Chiesa in età Moderna e Contemporanea, ad un certo punto Gianluigi Perino, responsabile della sala manoscritti e libri antichi, mi mise tra la mani il volume Gli estimi della Podesteria di Treviso, curato da Francesca Cavazzana Romanelli ed Emanuele Orlando, nel quale si trova raccolto l’inventario analitico del prezioso fondo “Estimi” conservato presso l’Archivio di Stato di Treviso. Lo stesso Perino continuava a farmi notare che gli estimi della podesteria di Treviso erano già stati oggetto di una ricerca collettiva curata dalla Fondazione Benetton Studi e Ricerche.

Poco tempo dopo mi recai, un po’ incuriosito, all’Archivio di Stato di Treviso per vedere se c’era qualcosa di interessante che riguardasse Paderno di Ponzano, luogo in cui risiedo. Per iniziare chiesi la consultazione dei documenti relativi all’estimo particolare del 1680-1719. Inoltre domandai la possibilità di prendere visione di due mappe di Paderno antica, una risalente al 1680, l’altra al 1714. Mi trovai di fronte a del materiale di cui restai molto impressionato: dapprima le due mappe di Paderno antica, in cui erano ben tracciati i confini tra appezzamenti, le strade, le case, i fienili,… poi i cosiddetti «libretti dei perticatori» in cui ad ogni appezzamento veniva indicato il nome del possessore, la qualità del terreno, che potevano essere delle piantate, dei prativi, dei broli o di altro tipo, i confini, che venivano segnati con le diciture “a mattina”, “a mezodì”, “a sera” e ”a monte” che equivalevano rispettivamente per l’est, il sud, l’ovest e il nord, ed infine da chi era condotto. Una volta visti quei documenti, pensai che potessero essere oggetto di una ricerca storiografica. Da queste mosse sono partito con il mio lavoro di tesi che comprende anche la trascrizione delle due perticazioni eseguite nel 1680 e nel 1714. L’estimo particolare del 1680-1719 fu l’ultima operazione di stima dei beni portata a termine nel trevigiano durante la dominazione di Venezia.

Il fondo degli Estimi del Comune di Treviso, attualmente conservato presso l’Archivio di Stato di Treviso, comprende una vasta documentazione amministrativa e fiscale che risale a un periodo compreso tra il Quattrocento e il Settecento. Tutto l’insieme archivistico è raccolto in un totale di 297 «buste». Non fanno parte del fondo Estimi altri documenti di natura prettamente fiscale come quelli relativi al «Campatico» e alle «Colte e Gravezze».

Nel Quattrocento e nel Cinquecento si ha notizia che la documentazione era conservata in cancelleria, nel monastero di San Francesco e in altre sedi. Agli inizi del Settecento la documentazione venne riorganizzata dal notaio Giulio Alberti. Gli estimi terminati nel 1719 restarono in vigore fino al 1806. Dopo l’avvio del nuovo catasto napoleonico, nel 1807, la documentazione di età moderna venne messa da parte poiché considerata non più utilizzabile e venne posta nell’Archivio del Comune di Treviso. A metà dell’Ottocento la documentazione fu nuovamente riordinata, ma secondo Luigi Bailo tale operazione fu fatta con errori e travisamenti. Nel 1880 le carte furono portate nel Museo Civico e nel 1918, causa eventi bellici, furono momentaneamente spostate,

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5 per poi essere nuovamente rimesse nel 1920. Già in quell’occasione si ha notizia di perdita di parte del materiale. Nel 1944, a seguito del bombardamento alleato su Treviso, il complesso archivistico, insieme alla stessa sede, fu pesantemente danneggiato. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la documentazione fu messa provvisoriamente in biblioteca, poi nel 1963 in una scuola elementare della frazione di Fiera. Quando venne istituito l’Archivio di Stato di Treviso nel 1974, fu sistemata definitivamente nella sede di via Marchesan, anche se in modo disordinato. Alla fine degli anni Novanta, grazie ad alcuni progetti nazionali di valorizzazione del patrimonio archivistico promossi dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, tutto l’insieme documentario è stato riorganizzato e correttamente inventariato

Come sopra menzionato gli estimi del trevigiano furono oggetto di una ricerca collettiva da parte della Fondazione Benetton Studi e Ricerche, che aveva l’obiettivo di studiare le campagne trevigiane nei secoli XV e XVI. Dal contributo di diciassette ricercatori vennero analizzate le strutture amministrative, la stratificazione sociale, il paesaggio agrario, le conduzioni, e così via. Le fonti primarie usate dal gruppo di storici furono principalmente gli estimi cinquecenteschi della podesteria di Treviso, nonché gli atti notarili e i documenti prodotti da conventi, monasteri e dalle magistrature trevigiane e veneziane. Questo progetto di ricerca sulle campagne trevigiane, lanciato nel 1988, si è arenato dopo la morte di Gaetano Cozzi avvenuta nel 2001. Come nota Michael Knapton in un articolo apparso sulla rivista Società e Storia nel 2010, tale iniziativa era ferma e non c’era nessuna idea per poterle dare nuova linfa.

Nella mia tesi di laurea ho usato come fonte primaria l’estimo particolare del 1680-1719, più specificatamente i libretti dei perticatori. La serie dei libretti dei perticatori, che sono una parte del più vasto fondo dell’estimo particolare del 1680-1719, sono composti da 20 volumi e due fascicoli per un totale di 434 libretti. Tutta la serie si suddivide in due sottoserie, la prima relativa alla rinnovazione dell’estimo eseguita tra il 1680-1687, la seconda venne fatta tra il 1710 e il 1719. Ogni libretto dei perticatori conteneva le perticazioni di ciascun villaggio della podesteria eseguite dai periti agrimensori. Essendo il materiale molto vasto, da mia parte ho scelto di analizzare un solo villaggio, Paderno, alla luce delle due rilevazioni, una fatta dal perito Francesco Basso nel 1680, l’altra da Zuanne Rizzi nel 1714.

Sebbene i libretti dei perticatori fossero all’epoca un’operazione fatta a fini fiscali, contengono molte informazioni interessanti di carattere storiografico, che possono spaziare dal paesaggio agrario, dalle conduzioni, dalle proprietà, dalla toponomastica alla demografia.

La collocazione archivistica dei documenti che ho consultato: sono le buste 241 e 249 del fondo Estimi. Le due buste prese in considerazione, la 241 e la 249, contengono i libretti dei perticatori della Campagna di sotto. La busta 241, compilata tra il 1680 e il 1683, comprende le perticazioni di tutti i villaggi del quartiere della Campagna di sotto eseguite dai periti Gottardo Pamio, Francesco Basso e Paolo Pagnossin. La busta 249 contiene i libretti dei perticatori, sempre riguardante la Campagna di sotto, scritti nel 1713-1714 per mano di Zuanne Rizzi e Pietro Tessari. Tra tutti i villaggi della Campagna di sotto, ho preso in considerazione i due libretti dei perticatori che descrivono Paderno.

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6 Per questa ricerca sono stati utilizzati anche i fondi “Rason Vecchie” e “Provveditori ai beni comunali” dell’Archivio di Stato di Venezia. Inoltre, grazie soprattutto alla disponibilità di don Aldo Danieli e Piero Pizzolon, ho potuto dare un’occhiata anche all’Archivio parrocchiale di Santa Maria Assunta di Paderno.

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Elenco delle abbreviazioni

ASTV: Archivio di Stato di Treviso ASVE: Archivio di Stato di Venezia

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Assetto amministrativo del territorio trevigiano nei secoli

XIV-XVIII

In età comunale il sigillo della città di Treviso aveva il motto «Monti, Musoni, Ponto Dominorque Naoni». Questo motto indicava i confini del comune trevigiano. Infatti il distretto di Treviso si estendeva dalle Prealpi alla Laguna di Venezia, dal fiume Muson al fiume Noncello. Era diviso in quattro grandi settori: il Quartiere del Dom, il Quartiere di Mezzo, il Quartiere di Riva e il Quartiere di Oltrecagnan. Il Quartiere del Dom si estendeva a nordovest della città propriamente detta e andava a comprendere i villaggi attorno Asolo, la Valcavasia e Montebelluna. Il Quartiere di Mezzo occupava la fascia sudoccidentale della provincia ed inglobava anche Castelfranco. Il Quartiere di Riva includeva tutta la fascia meridionale e sudorientale del contado, nonché la zona di Oderzo e quella di Motta. Infine il Quartiere di Oltrecagnan, posto a nord rispetto alla città, copriva quasi tutta la fascia pedemontana e montana della provincia. I quartieri si suddividevano in «pievi civili» che a loro volta si dividevano in villaggi o regole. A capo di ogni singolo villaggio c’era il meriga, che veniva eletto annualmente dal vicinato.

Dopo la breve signoria degli Scaligeri, nel 1339 il trevigiano passò sotto Venezia. Già all’indomani della conquista di Treviso la Serenissima provvide, con una Ducale datata 18 aprile 1339, alla riorganizzazione del territorio trevigiano che portò alla nascita delle Podesterie. Nel corso del Trecento vennero così create le Podesterie di Treviso, di Mestre, di Noale, di Oderzo, di Motta, di Castelfranco, di Asolo, di Portobuffolè, di Conegliano e di Serravalle. Ogni Podesteria veniva governata da un rettore nominato da Venezia. Di norma il rettore era scelto tra i membri del patriziato veneziano.

Il dominio di Venezia su Treviso durò per oltre quattro secoli e mezzo, salvo che per una breve interruzione a fine Trecento. Dopo alcuni rovesci navali contro la rivale Genova, nel 1381 Venezia cedette Treviso a Leopoldo d’Austria. Poco dopo Treviso passò sotto il dominio dei Carraresi, ma già verso la fine del 1388 ci fu una sollevazione contro la signoria di Francesco da Carrara. Subito dopo il governo provvisorio fece atto di dedizione a Venezia.

Quindi Treviso nel Trecento entrò nell’orbita di Venezia. La città della Marca fu il primo tassello del futuro dominio di Terraferma di Venezia. Da antica repubblica marinara proiettata ad Oriente, verso la fine del Trecento, Venezia iniziò ad intraprendere una politica di espansione verso la Terraferma.

Scrive Michael Edward Mallett:

L’analisi delle origini dello stato di Terraferma deve partire dalla metà del secolo XIII. Il rapido incremento demografico nelle lagune rese sempre più necessario un entroterra sicuro dal quale

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attingere generi alimentari e materie prime. […] A partire da allora la politica di terraferma diventa sempre più occhiuta e interventista.1

Così Venezia, dal suo iniziale dominio proteso sui mari d’Oriente, ma limitato solamente alla Laguna, nei primi anni del Quattrocento, riuscì ad estendere i suoi possedimenti in Terraferma dal fiume Adda all’Isonzo.

In alcune delle loro opere, storici come Giuseppe Del Torre e Marino Berengo, misero in luce come Treviso fosse stata una sorta di propaggine di Terraferma della Serenissima. La presenza di Venezia su Treviso fu assai più forte rispetto alle altre città del Dominio di Terraferma.

Dopo il definitivo passaggio della città della Marca sotto Venezia, la Dominante iniziò a sistemare gli organi di origine comunale di Treviso. Nel 1407 il Consiglio Maggiore, il Consiglio dei Quaranta e il Consiglio degli Anziani, furono aboliti. Successivamente furono costituiti un Consiglio Maggiore e un Consiglio Minore, ma con un ruolo meramente consultivo nei confronti del vero detentore del potere amministrativo, cioè il rettore inviato da Venezia. I notabili locali non avevano più responsabilità diretta nella gestione del territorio e furono confinati nei ruoli amministrativi minori. Inoltre in seno della stessa società trevigiana era fortemente lacerata al suo interno e pertanto non riuscì a fare quadrato per ottenere maggiore autonomia decisionale da Venezia.2

D’altro canto nel Tardo Medioevo la città di Treviso – come notato da alcuni storici come Gian Maria Varanini e Giuseppe Del Torre – non riuscì a realizzare, diversamente dalle altre città, l’obiettivo di avere un pieno controllo amministrativo sul suo territorio. I centri minori della provincia, cioè le altre podesterie, il feudo imperiale dei Collalto, il feudo ecclesiastico di Ceneda e i feudi dei Brandolini nella Val Maren, dei Rangoni a Cordignano e quello di San Polo, avevano reciso quasi del tutto i legami amministrativi con Treviso e rispondevano direttamente a Venezia.

Rispetto alle altre città sotto Venezia che potevano godere di una maggiore autonomia, quindi Treviso era un caso eccezionale. Michael Edward Mallett cerca di darne una spiegazione:

[…] la prossimità di Treviso a Venezia, l’antica penetrazione economica, la particolare importanza per l’economia veneziana delle vie di comunicazione, terrestri e fluviali, del Trevigiano, e inoltre – ovviamente – la precocità dell’occupazione. E alla particolarità di trattamento riservato a Treviso contribuirono anche taluni elementi della realtà locale: era una città più piccola di Padova, o Verona, o Brescia; non aveva mai esercitato sull’entroterra la stessa autorità che quelle città erano riuscite a imporre nel tardo medioevo; la sua classe dirigente era faziosa e divisa. Le esigenze della difesa, nel Trecento, di quella regione appena occupata, e ancora esposta, furono peraltro sicuramente un incentivo alla creazione di feudi e podesterie intorno ai confini del Trevigiano; un incentivo che ovviamente si esaurì nel secolo XV, quando la regione cessò di costituire la frontiera del dominio veneziano.3

Dunque il forte legame tra Treviso e Venezia aveva molte radici, soprattutto economiche e strategiche. Dopo la guerra della Lega di Cambrai. Treviso divenne per la Dominante anche un bastione difensivo contro i nemici provenienti da nord. Da qui nacque il progetto, elaborato da Fra’ Giocondo, di costruire le mura in terrapieno che tuttora cingono il centro storico di Treviso.

1

MICHAEL EDWARD MALLETT, La conquista della terraferma, in AA. VV. Storia di Venezia, vol. IV, p. 181.

2

GIUSEPPE DEL TORRE, Il Trevigiano nei secoli XV-XVI. L’assetto amministrativo e il sistema fiscale. Il Cardo, Treviso, 1990, pp. 11-22; ANDREA CASTAGNETTI, La Marca veronese-trevigiana, in AA.VV., Storia d’Italia, diretta da Giuseppe Galasso, VII/1, Torino, 1986, pp. 322-324.

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10 Al di fuori delle mura cinquecentesche, si estendeva il contado della Podesteria di Treviso che comprendeva soltanto una parte dell’antico territorio comunale. Abbandonato il sistema dei quartieri e delle “pievi civili” di età comunale, dopo la conquista veneziana, il territorio della Podesteria di Treviso venne ripartito in otto quartieri: Campagna di “sopra” e di “sotto”, Zosagna di “sopra” e di “sotto”, Mestrina di “sopra” e di “sotto”, Quartier al “di qua” e al “di là” del Piave.4

Le Campagne, poste a nord di Treviso, erano delimitate a est dal Piave, a Sud dal Sile, dove più in là c’erano le Mestrine, e a nord dal Montello. A ovest c’erano le podesterie di Asolo e Castelfranco.5

Le Zosagne occupavano la parte sudorientale della podesteria. Mentre il Sile faceva da spartiacque con le Mestrine, il Piave le divideva dalla podesteria di Oderzo. Verso sud c’era il dogado veneziano.6

Le Mestrine, a sud della città, confinavano a nord con le podesterie di Noale e Mestre e a ovest, per un breve tra, con quella di Castelfranco. Il Sile faceva anche da confine tra le Mestrine e i quartieri di Campagna e Zosagna.7

Il Quartier del Piave occupava la parte nord-occidentale della podesteria di Treviso. Situato nelle Prealpi trevigiane, confinava con la podesteria di Feltre e con i feudi di Cesana e Mel. I due quartieri erano divisi dal Piave, da qui i nomi di “di qua” e “di là” del Piave, rispettivamente a destra e a sinistra del fiume Piave.8

4

GIUSEPPE DEL TORRE, op. cit., pp. 23-27.

5

GIANPIER NICOLETTI, Le campagne. Un'area rurale tra Sile e Montello nei secoli XV e XVI, Canova, Treviso, 1999, pp. 3-28.

6

ANNAMARIA POZZAN, Zosagna. Paesaggio agrario, proprietà e conduzione di un territorio tra Piave e Sile nella prima metà del secolo XVI, Canova, Treviso, 1996, pp. 3-17

7

MAURO PITTERI, Mestrina. Proprietà, conduzione, colture nella prima metà del secolo XVI, Canova, Treviso, 1994, pp. 3-17.

8

CLAUDIO PASQUAL, Quartier del Piave. Paesaggio, proprietà e produzione in una campagna pedemontana veneta nei secoli XV e XVI, Canova, Treviso, 2006, pp. 3-24.

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Gli estimi del trevigiano

Nei primi anni del Quattrocento la Repubblica di Venezia si trovava in guerra contro Sigismondo d’Ungheria e teatro di queste vicende era il Friuli. Venezia riuscì ad acquisire il Friuli e riconquistare Belluno, Feltre e il Cadore. Ovviamente quando si muove la macchina bellica ci sono tutta una serie di spese da sostenere economicamente, quindi bisogna trovare le risorse finanziarie. Nel caso di Venezia erano sufficienti i vari dazi per coprire le spese militari, almeno fino alla Guerra di Chioggia, combattuta nel 1388 contro Genova. Quando Venezia iniziò nel Quattrocento ad espandersi verso la Terraferma veneta, i dazi non bastarono più a sostenere le spese belliche e, durante la guerra contro i Carraresi, si fece ricorso ai prestiti forzosi. Dopo un po’ anche il sistema dei prestiti forzosi non fu più sufficiente e si passò alla forma dell’imposizione. Nel 1417, all’epoca della guerra contro Sigismondo, fu istituita la «collecta lancearum et peditum», detta poi dadia delle lanze o anche colta ducale, un’imposta diretta basata sull’estimo che colpiva i sudditi della Terraferma ed aveva il fine di finanziare la difesa del dominio di Venezia. Primi ad essere colpiti da questa imposta furono i sudditi di Padova, Vicenza e Verona, ma poi venne estesa anche alle altre città di Terraferma tra cui anche Treviso, che iniziò ad esserne sottoposta dal 1434.9

Va anche detto che il sistema fiscale veneziano era un po’ complesso, poiché i sudditi della Serenissima erano sottoposti a giurisdizioni fiscali differenti. I veneziani erano allibrati ai “Fuochi Veneti”, ed erano sottoposti al controllo dei dieci Savi alla Decima con sede in Rialto, mentre i sudditi di Terraferma erano iscritti ai “Fuochi Esteri”, di cui si occupavano le camere fiscali delle città del dominio. Le imposte dirette, dette gravezze, che colpivano i veneziani erano la decima e il campatico. I sudditi di Terraferma, al posto della decima, erano sottoposti alle gravezze de mandato dominii. La quota di gravezza che ogni città doveva versare all’erario veneziano era solitamente fissa ed era ripartita tra i vari corpi territoriali, cioè tra città, clero e campagna, e a sua volta all’interno di ogni corpo sociale la quota veniva ripartita ad ogni singolo allibrato. Caso particolare era proprio Treviso in cui ai tre corpi citati aggiungeva un quarto corpo: quello dei forestieri.10 Nelle città di terraferma erano in atto molti passaggi di beni immobili dal corpo dei distrettuali a quello dei cittadini. Quest’ultimi avevano tutt’altro interesse che venissero aggiornati gli estimi perché il carico fiscale diminuiva sul loro corpo, mentre aumentava su quello dei territoriali.11

Tralasciando le vicende fiscali delle altre città della Terraferma veneta, prendiamo il caso di Treviso. Le rilevazioni fiscali nel Trevigiano erano in sostanza di due tipi: gli estimi reali e gli estimi personali. Gli estimi personali venivano eseguiti nelle singole podesterie, colpivano solamente i

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MICHAEL EDWARD MALLETT, op. cit., p. 212 e p. 231.

10

ANDREA ZANNINI, La finanza pubblica: bilanci, fisco, moneta e debito pubblico, in AA. VV., Storia di Venezia, Volume VIII, Venezia, 1998, pp. 454-459.

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ANGELO VENTURA, Nobiltà e popolo nella società veneta del Quattrocento e Cinquecento,

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12 distrettuali e servivano a stabilire gli oneri personali. Gli estimi reali miravano a colpire tutti i contribuenti. A sua volta gli estimi reali si suddividevano in estimi generali e estimi particolari. Gli estimi generali miravano a verificare lo stato patrimoniale di tutti i contribuenti del Trevigiano. Gli estimi particolari servivano a ripartire, nelle singole podesterie, i carichi fiscali tra i singoli corpi, che nella provincia trevigiana erano quattro: cittadini, clero, contadini o distrettuali e forestieri.12 Tra il 1434 e il 1720 si produssero tre estimi generali, tredici particolari, nove personali e due che riguardavano il solo corpo dei forestieri.13

Ogni volta che il consiglio cittadino deliberava la revisione delle quote di colta, venivano emanati i capitoli generali per la formazione dell’estimo. Le tecniche di rilevazione variarono col passare del tempo. Un primo criterio, soprattutto in voga nel Quattrocento, consisteva che ogni soggetto fiscale facesse una dichiarazione scritta, detta anche “polizza”, sul suo stato patrimoniale, e poi la consegnasse a delle “module”, cioè commissioni incaricate per verificarne la veridicità. Il secondo tipo di procedura consisteva in una sorta di registrazione d’ufficio. Nel Cinquecento le module iniziarono a verificare in loco lo stato patrimoniale del contribuente e, una volta eseguita l’operazione, dovevano compilare dei registri d’estimo.14 L’estimo particolare del 1680-1719 fu innovativo poiché l’incarico di accertare i beni immobili fu demandato ad una commissione di perticatori. Le successive fasi delle operazioni dell’estimo trevigiano comprendevano la rielaborazione dei dati e il loro trasferimento in registri in cui erano definite la posizione fiscale di ogni contribuente.

Come già detto sopra agli inizi del Quattrocento, per esigenze belliche, Venezia impose ai sudditi di Terraferma un nuovo tributo: la dadia alle lanze o colta ducale. Inizialmente furono sottoposti a questa imposta solo le città di Vicenza, Padova e Verona, però dal 1434 toccò anche a Treviso. Per la colta ducale, Treviso dovette versare diecimila ducati per cinque anni. Per ripartire il carico fiscale, venne avviato l’estimo generale, cioè la rilevazione dei beni immobili dei contribuenti, tuttavia l’operazione non fu portata a termine.15 Nel 1442 la il senato veneziano dispose che la dadia fosse riproposta alle province della Terraferma: per Treviso la colta venne portata a 14400 ducati. Nel 1458 Treviso riuscì ad ottenere dalla dominante l’abbattimento della quota a diecimila ducati.16 Nel corso del Quattrocento, dopo l’estimo generale del 1434-35, si susseguirono sette estimi particolari.

Dopo la rotta dell’esercito veneziano ad Agnadello del 1509, sebbene la città di Treviso restò sotto il dominio della Serenissima, le campagne trevigiane subirono forti saccheggi da parte delle truppe imperiali. A seguito di questi traumatici necessari eventi, si rese necessario una nuova ripartizione fiscale e l’avvio di un nuovo estimo generale.

12

DANILO GASPARINI, Una fonte per la storia economica e sociale, in AA. VV, Gli estimi cit., Canova, Treviso, 2006, pp. 35-36.

13

ENRICO BACCHETTI, Le tipologie documentarie, in AA. VV. Gli estimi cit., pp. 131-133.

14

ENRICO BACCHETTI, cit., pp. 133-143.

15

ERMANNO ORLANDO, Gli estimi del XV secolo. Fiscalità e dialettica politica tra centro e periferia., in AA. VV., Gli estimi della podesteria di Treviso, Canova, Treviso, 2006, pp. 46-52.

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13 Nel 1517 venne quindi avviato l’estimo particolare, ma venne subito interrotto, perché già del 1518 venne realizzato un nuovo estimo generale. L’estimo particolare, interrotto nel 1518 venne ripreso nel 1522 per concludersi nel 1525. Passano appena sei anni e prese avvio un nuovo estimo particolare nel 1531. Nel 1534 il senato veneziano deliberò il rifacimento del precedente estimo generale del 1518-1522. Nel 1537 verrà avviato un nuovo estimo generale, che terminerà soltanto nel 1563. Nel 1563-1572 si fece un nuovo estimo particolare.17

Dopo la chiusura dell’estimo particolare del 1563-1572, passò un secolo prima che la macchina amministrativa si mosse per produrne un altro. Quando le magistrature veneziane, a metà Seicento, proposero di rifare un nuovo estimo per il trevigiano, Venezia si trovava in guerra contro l’Impero Ottomano fin dal 1645. Per finanziare la difesa di Candia contro il turco, Venezia aveva bisogno di ricorrere a nuove entrate. Furono scelte molte strade per incrementare le entrate dell’erario, tra cui la concessione del patriziato a nuove famiglie dietro pagamento di centomila ducati, la vendita di uffici, la messa in vendita di una quantità enorme di beni comunali e l’imposizione di nuove tasse ai sudditi di terraferma, come il campatico e la tansa.

Oltre alle misure intraprese per rimpinguare il fisco veneziano, nell’occasione si fece pressante aggiornare i carichi fiscali del trevigiano, che erano ormai fermi da un secolo. In un decreto del senato veneziano del 2 ottobre 1664 veniva data ai due Provveditori sopra gli Estimi della Terraferma, Nicolò Contarini e Pietro Valier, di seguire la vicenda degli estimi trevigiani. I due provveditori suggerirono l’avvio dell’estimo particolare.

. Ben quindici anni dopo, il 27 dicembre 1679, il Maggior Consiglio trevigiano approvò i capitoli per l’esecuzione dell’estimo. Il 3 marzo 1680 il podestà Giovanni Grimani fece pubblicare a stampa i «Capitoli concertati tra li signori deputati dei quattro corpi contribuenti della città di Treviso per la renovatione del nuovo estimo».18 I capitoli contenevano le istruzioni per formare l’estimo, tra queste c’era l’obbligo di disegnare le mappe dei villaggi della Podesteria, l’assunzione di agrimensori che avevano l’incarico di perticare le campagne. Al secondo capitolo veniva indicato:

Che perciò siano eletti dalli signori deputati di essi quattro corpi, o alla maggior parte di essi Pubblici Agrimensori, con quella più moderata, & avvantaggiosa ricognitione che gli parerà, e potranno convenire, quale previo Publico proclama di questa Città, e notitia dato otto giorni avanti, che capitino in cadauna Villa in giorno di Festa dalli Reverendi Piovani, debbano portarsi rispettivamente di Villa in Villa giusta le commissioni, che riceveranno, & lui con la presenza del Meriga, Huomini di Commun, e due aggiunti delli più pratici della medesima Villada essere eletti dalla stessa sopra il publico Vicinato, perticare a pertica Trivisana, e ponere in disegno tutti li beni stabili di qualunque sorte, cioè Torre, Case, Casoni, Tezze, & altre fabriche coperte da coppi come da paglia, Cortivi, Giardini, Horti, Broli, Hosterie, Botteghe, Magazeni, Molini, Folli, Cartece, Filantorii, Battirame, e Magli, di qualunque altra sorte, Sieghe, Molle, Mangani, & ogni altra sorte di Edifitij da acqua, e di terra, Fornaci da Piere Coppi Vasi, e Calzina, Porti, Passi, e Pesche, & altro […]19

Mentre al terzo capitolo

Dovranno detti Agrimensori formare un libretto di descritione, o incontro per qualunque Villa di cadaun Corpo di ben perticato, e disegnato con numeri corrispondenti alla perticatione, e dissegno, con l’espressione della sua quantità, e qualità, delli quattro confini, nome della Contrada, e più particolar nome del fito; coli nomi e cognomi de veri, e legitimi presenti possessori, e loro Padri, e da dove siano,

17

PIERPAOLO MINIUTTI, Gli estimi del XVI secolo. Continuità e sperimentazioni, in AA. VV., Gli estimi cit., Canova, Treviso, 2006, pp. 77-85.

18

DANILO GASPARINI, Il general dissegno op. cit., pp. 85-88.

19

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o habbino domicilio; conditione anco quanto alle Terre se siano Brolive, se Arade, piantade, e Vitigade, se Arative solamente, se Prative, Boschive, Paludive, Vallive, o Montive, e grave de Fiumi, e Torrenti di raggion privata, seguandoli in margine di qual corpo siano delli quattro sopradetti, e se furono Comunali, Inculti, o d’altra fonte.20

In questi due capitoli erano indicati i compiti dei periti, cioè dovevano recarsi in ogni villaggio della Podesteria, e coadiuvati dal meriga e da altri «huomini di Commun», perticare e disegnare tutti beni di qualsiasi tipo. Inoltre i periti erano tenuti a formare un libretto in cui erano descritti i beni immobili censiti con l’indicazione anagrafica del proprietario, la qualità dei terreni, la contrada in cui era localizzato il bene e con chi confinava, con le diciture «a mattina», «a mezodì», «a sera» e «a monte», che valevano rispettivamente per l’est, il sud, l’ovest e il nord.

Subito dopo, cioè già nel mese di aprile del 1680 iniziarono le perticazioni delle Campagne. I periti incaricati per le due Campagne erano Giambattista Spinelli, Francesco Basso, Gottardo Pamio, Zuanne Rizzi e Paolo Pagnossin, mentre per la Zosagna di sotto e per la Mestrina di sotto erano prese a carico rispettivamente da Antonio Calligaris e Antonio Zabora. Le operazioni tra il 1680 e il 1681 furono piuttosto celeri, ma già dal 1682 iniziarono a subire un contraccolpo e rallentarono per poi interrompersi bruscamente nel febbraio del 1687 per motivi finanziari. Nonostante la grande mole di lavoro, i funzionari trevigiani alla fine non erano ancora in grado di dare una nuova ripartizione della colta.21

Agli inizi del Settecento si decise di riprendere in mano la vicenda. Nel 1709 una ducale diede avvio ai lavori di una nuova perticazione e diede ordine al Magistrato all’Adige di seguire l’opera. Questa nuova fase dell’estimo particolare partì nel marzo 1710. Tra il 1710 e il 1714 vennero perticati gran parte dei villaggi degli otto quartieri della podesteria. Dal 1715 le operazioni subirono un brusco rallentamento ed iniziarono i primi contrasti tra le magistrature. Tra il 1717 e il 1718 le rilevazioni sono ultimate, tuttavia già da subito partirono i ricorsi e le contestazioni. Il 6 agosto 1718 il podestà Bartolomeo Gradenigo proclamò al Magistrato all’Adige la chiusura dell’estimo. L’anno seguente il Senato veneziano con una ducale approvò la nuova ripartizione della colta. Tra i quattro corpi sociali la colta ducale era ripartita al 43% a quello dei forestieri, 32% a quello dei cittadini, 14% al clero ed infine un 9% ai distrettuali, cioè ai contadini 22

Una volta chiuso l’estimo nel 1719, Giulio Alberti, cancelliere del comune di Treviso, iniziò la riorganizzazione dei libretti dei perticatori e la rilegatura in grandi libri delle mappe dei villaggi. In seguito il cancelliere cominciò a rielaborare i dati raccolti ed a impostare i «libri madre», o «libri mare», libri che servivano a registrare i cambiamenti di proprietà e sarebbero serviti per un eventuale successivo estimo.23

Nonostante una scrittura presentata al Senato Veneto dai Deputati sopra la provision del denaro pubblico nel 1740 in cui la città di Treviso aveva «compìto il proprio estimo nel modo più

20

ASTV, Comune di Treviso, Estimi, Generalia, Libri generali, busta 1.

21

DANILO GASPARINI, cit., pp. 88-90; FRANCESCA CAVAZZANA ROMANELLI, «Dovendo il tutto…», Gli estimi cit., p. 175.

22

DANILO GASPARINI, Il general dissegno della campagna trevigiana. L’estimo sei-settecentesco., in AA. VV., Gli estimi cit., Canova, Treviso, 2006, pp. 85-98.

23

FRANCESCA CAVAZZANA ROMANELLI, Alla ricerca della struttura perduta. L’archivio degli estimi, Gli estimi cit., pp. 120-126.

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15 chiaro e sicuro che mai si possa», nel trevigiano non si produsse più alcun estimo fino alla caduta della Serenissima, segno che era ormai difficile finanziare un’impresa simile. I libri mare furono aggiornati fino agli inizi dell’Ottocento. Nel 1807 fu avviato il catasto napoleonico. L’anno successivo furono consultati i documenti dell’estimo particolare del Sei-Settecento, ma le autorità del Dipartimento dell’Adriatico li giudicarono ormai «inservibili».

(15)

16

Il villaggio di Paderno alla luce dell’estimo particolare del

1680-1719

Come già visto nel capitolo precedente, nel Trecento il territorio trevigiano subì una forte riorganizzazione amministrativa con la nascita delle podesterie. Il contado della Podesteria di Treviso venne suddivisa in otto quartieri: Campagna di sopra e di sotto, Zosagna di sopra e di sotto, Mestrina di sopra e di sotto e i due Quartieri del Piave.

Il quartiere della Campagna di sotto comprendeva una serie di villaggi, in tutto trentasei, posti a nord della città. Esso coincideva con gli attuali comuni di Ponzano Veneto, Povegliano, Villorba, Paese e parti di Quinto di Treviso e Treviso. Collocato in posizione centrale nella Campagna di sotto si trovava il villaggio di Paderno di Campagna.

L’area di Paderno si trova in un’area di «pianura alta». L’altitudine nel centro abitato è di 35 metri sul livello del mare, mentre arriva a 50 metri e oltre la zona del villaggio a nord della Postumia romana.

Il nome di Paderno trae origine dal latino paternus ossia «bene paterno». Paderno di Campagna venne menzionato in documenti risalenti al secolo XII attualmente conservati presso l’Archivio della Curia Vescovile di Treviso. Nel 1170 il beneficio di Paderno apparteneva all’abbazia benedettina di Busco, che a sua volta dipendeva dalla Diocesi di Ceneda. Nel Cinquecento il parroco di Paderno tentò di far passare la chiesa di Paderno sotto Madonna Granda di Treviso, ma questo tentativo non solo fallì, anzi la situazione peggiorò perché Paolo Giustiniani, commendatore di Busco, obbligò Paderno a prendere gli olii santi non più nella vicina chiesa di Postioma, ma bensì a Sant’Antonio di Busco. Solo dal 1730 Paderno di Campagna divenne parrocchia della Diocesi di Treviso.24 Nell’Ottocento Paderno diventò una delle tre frazioni costituenti l’attuale comune di Ponzano Veneto. Ponzano Veneto, comune confinante a nord con Treviso, fino alla metà del Novecento era territorio a forte vocazione agricola; le industrie erano quasi inesistenti. Molti abitanti del luogo erano costretti a fare le valigie ed emigrare all’estero per cercare un lavoro e una vita migliore. Poi intorno agli anni Sessanta il boom economico: Ponzano Veneto, grazie alla presenza nel territorio del quartier generale del gruppo Benetton a Villa Minelli, divenne uno dei luoghi simbolo del Nordest di fine Novecento.

Come si è visto l’estimo particolare del 1680-1719 si estese in due fasi: la prima ebbe il suo svolgimento negli anni dal 1680 al 1687, la seconda dopo il 1710. Quindi i campi, le strade, le case e i fienili di Paderno furono descritti e disegnati per due volte a distanza di una trentina di anni: nell’agosto del 1680 l’operazione fu compiuta dal perito Francesco Basso, mentre nell’aprile 1714 venne effettuata da Zuanne Rizzi.

24

(16)

17 Collegate alle mappe erano i cosiddetti «libretti dei perticatori». In ogni numero di particella corrispondente alla mappa di Paderno veniva indicato il proprietario, che poteva essere una persona fisica o un ente, la qualità dei terreni, se arativo, prativo, brolivo o altro tipo, i confinanti e da chi era condotto.

Queste due rilevazioni testimoniano la distribuzione e il cambiamento della proprietà, il paesaggio urbano e agrario, le conduzioni, i beni comunali, le vie di comunicazione e la toponomastica del villaggio di Paderno a cavallo tra il Seicento e il Settecento.

Le proprietà dei monasteri

Gli enti ecclesiastici regolari che possedevano molte terre a Paderno erano il monastero di Santa Maria Maggiore e Fosca, il monastero di Santa Maria Nuova e il monastero di Santa Cristina e San Parisio di Treviso. Questi tre ordini religiosi erano presenti a Treviso già nel Medioevo.

Secondo la tradizione i monaci benedettini di Nonantola arrivarono a Treviso nell’anno 780, chiamati da un conte di nome Gerardo. Si insediarono a poche centinaia di metri dalla cattedrale dove eressero una chiesetta dedicata alla Vergine. Secoli dopo quest’area divenne la Chiesa di Santa Maria Maggiore o “Madonna Granda”. A seguito delle scorribande degli Ungari del 899, i monaci furono costretti a fuggire. Dopo il Mille la chiesa venne ricostruita e nel 1185 i nonantolani ritornarono a Treviso. Dopo il Duecento il monastero fu dedicato al culto mariano e divenne meta di pellegrinaggi. Con la crisi vocazionale della seconda metà del Trecento, cessò il regime diretto da parte dell’abbazia di Nonantola e il monastero venne affidato a degli abati commendatari. Nel 1462 la Santa Sede concesse la cessione del potere spirituale ai canonici regolari di San Salvatore di Venezia. Agli inizi del Quattrocento il monastero aveva molte proprietà terriere sparse nelle Campagne, alcune case in città e godeva di varie entrate da livelli e censi.25 Il monastero di Santa Maria Maggiore e Fosca aveva, almeno a Paderno, un buon patrimonio fondiario. I padri somaschi possedevano trentuno campi nel 1680, mentre trentaquattro anni dopo risultava averne trentatré, quindi due in più. Inoltre aveva in proprietà una casa a coppi con teza a paglia nella località detta al Maso. Coloni del monastero di Santa Maria Maggiore a Paderno erano Zamaria Pivato nel 1680 e Zuanne Pivato nel 1714, probabilmente padre e figlio.

L’ordine femminile delle cistercensi si insediò a Treviso a inizio del Duecento, trovando spazio a Borgo Santi Quaranta, poco fuori città. Il monastero originario venne distrutto in occasione della guerra d’Ungheria di metà Trecento. Ne venne costruito uno nuovo nei pressi di quello vecchio, ma venne distrutto qualche anno dopo. Rimaste senza spazi, le cistercensi si ritirarono in una casa di proprietà del monastero di Ognissanti per una quindicina di anni. Nel 1391 ottennero dal doge di Venezia il permesso per costruire un nuovo edificio e un nuovo oratorio. Il monastero di Santa Maria Nuova fu terminato agli inizi del Quattrocento, ma per far fronte alle spese dovettero ricorrere non solo alle offerte dei fedeli, ma anche di mutui e addirittura dovettero vendere parte del loro

25

LUIGI PESCE, La chiesa trevigiana nel primo Quattrocento, Vol. I, Herder, Roma, 1987, pp. 451-456.

(17)

18 patrimonio fondiario. La comunità cistercense possedeva terreni sparsi soprattutto nelle Campagne e in misura minore nelle Zosagne e nelle Mestrine.26 A Paderno le monache cistercensi erano proprietarie di 18 appezzamenti nel 1680. Nel 1680 erano lavorati da Piero Pivato e nel 1714 da Gerolamo Pivato, anche in questo caso molto probabilmente si trattava di padre e figlio o perlomeno di due fratelli.

Le monache camaldolesi arrivarono a Treviso nel 1185. Costruirono un primo monastero nei pressi del fiume Tiveron, a sudovest della città. Data l’insalubrità del luogo, la comunità monastica si trasferì in centro città. Agli inizi del Quattrocento l’istituto risentì di una forte crisi vocazionale e finanziaria, tanto che in certi periodi vi risiedevano soltanto tre o quattro monache. Nel Quattrocento fu scongiurato il progetto di sopprimere il monastero. I registri amministrativi conservati segnalano che le camaldolesi erano proprietarie di molti fondi nel contado trevigiano, e anche di alcune case in città.27 Il monastero di Santa Cristina e San Parisio aveva nove campi di proprietà a Paderno sia nel 1680 sia nel 1714. Nel 1680 erano lavorati da Zuanne Gagno e da Andrea Zenovese da Santandra’, trentaquattro anni dopo da Santo Gagno e Mattio Genovese da Santandra’.

Più trascurabile invece la presenza fondiaria di altri enti regolari: il monastero di Santi Quaranta di Treviso e il convento di San Paolo di Treviso contavano solo due possessioni, mentre il convento di San Nicolò di Treviso ne aveva una sola.

Le proprietà del Primicerio del Duomo di Treviso

Il clero secolare vantava una buona presenza fondiaria ed immobiliare. Il Primicerio del duomo di Treviso era proprietario di ventuno appezzamenti e di una casa dominicale. Coloni del vescovado a Paderno erano Mattio Pacagnan nel 1680 e Nicolò Renosto nel 1714.

Le proprietà del beneficio parrocchiale di Paderno

A partire dal Medioevo il beneficio parrocchiale indicava tutti quei beni che servivano a mantenere il sacerdote della parrocchia che aveva in cura. Il beneficio di Paderno già nel 1339 rendeva quindici lire con il quartese, mentre nel 1470 era valutato a trenta ducati.28 Nell’archivio parrocchiale di Paderno c’è copia del testamento, datato 9 settembre 1418, di Bartolomio detto Mio figlio di Gabriele da Paderno con il quale la chiesa di Santa Maria Assunta di Paderno veniva beneficiata di alcuni terreni situati nella villa di Merlengo, nonché di alcuni denari.

Probabilmente nel corso del tempo il patrimonio del beneficio parrocchiale aumentò grazie anche a lasciti, fatti come quella di Bartolomio a inizio Quattrocento. Ad inizio Settecento il beneficio parrocchiale aveva una certa dotazione patrimoniale: infatti la chiesa di Santa Maria di Paderno era

26

LUIGI PESCE, La chiesa op. cit., pp. 611-615.

27

LUIGI PESCE, La chiesa op. cit., pp. 607-611.

28

Ponzano: note storiche – Storia recente, a cura di Angelo Trevisan, Grafiche Vianello, Treviso, 1981, p. 366.

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19 possidente di ventuno campi nel 1714, tre in più del 1680, quando ne aveva diciotto. Conduttori di questi terreni erano Domenico Conte nel 1680 e Bortolamio Zancanaro nel 1714.

Altre chiese locali avevano poche proprietà a Paderno: la chiesa di San Bartolomeo di Treviso e la chiesa di Sant’Andrea di Treviso ne avevano tre. La chiesa di Ponzano aveva due possedimenti nel 1680, sceso ad uno nel 1714. La chiesa di Santandra’, villaggio posto a nordest di Paderno, aveva un campo nel 1680, precisamente al mappale 304, il quale passò nelle mani di Andrea Memmo nel 1714.

Le proprietà della fabbriceria e della luminaria di Paderno

Secondo una tradizione nel tardo Quinto Secolo i papi Simplicio e Gelasio avrebbero disposto che le rendite ecclesiastiche fossero divise in quattro parti: una prima parte, la quarta episcopi, era destinata per il mantenimento del vescovo, una seconda, la quarta cleri, era per il mantenimento del clero, la terza, la quarta pauperum, era per i poveri, ed infine, la quarta fabricae, era indirizzata per il mantenimento degli edifici di culto e per le spese per i ceri.

Nel tardo Medioevo le chiese iniziarono ad avere un patrimonio proprio, sorsero coì i «consilium fabricae» che avevano lo scopo di raccogliere le offerte per poi provvedere al mantenimento e alla conservazione degli edifici sacri. Quindi la fabbriceria divenne un ente con propria personalità giuridica gestito da laici i cui proventi servivano ad addobbare le chiese.

La fabbriceria di Paderno era proprietaria di ben ventisei appezzamenti solo nella villa di Paderno e di altri quattro nella vicina villa di Merlengo.

Le luminarie erano scuole che avevano lo scopo di finanziare l’illuminazione degli edifici sacri. La luminaria possedeva soltanto un appezzamento. Lavoratori delle terre della fabbriceria e della luminaria di Paderno erano Zuanne e Domenico Gagno.

Le proprietà dell’Ospedale di Santa Maria dei Battuti

Uno dei più ricchi proprietari fondiari della podesteria di Treviso era certamente l’Ospedale di Santa Maria dei Battuti. L’origine di questo ente risale al 1261 quando la Compagnia dei Flagellanti, o Scuola dei Battuti, grazie al sostegno del vescovo di Treviso Alberto da Vicenza, fondò una Domus dei sulla riva destra del fiume Sile in località detta San Martino.29 Inizialmente ubicato in contrada San Martino, nel Trecento la sede originaria venne abbattuta e la Scuola dei Battuti acquistò un’area nei pressi di San Pancrazio dove venne eretto il nuovo ospedale. Per poter perseguire i suoi fini assistenziali e caritatevoli, l’Ospedale di Santa Maria dei Battuti riuscì a dotarsi di un consistente patrimonio immobiliare grazie ad atti di donazione che si susseguirono nei secoli. Nell’estimo

29

AA. VV., S. Maria dei Battuti di Treviso – L’ospedal grando secc. XIII-XX, Vol. I, p. 59, Terra Ferma, Treviso, 2010.

(19)

20 generale del 1542 l’Ospedale di Santa Maria dei Battuti di Treviso risultava uno dei maggiori proprietari terrieri nelle Campagne, poiché possedeva ben 441 ettari di terra. Sebbene nel Seicento l’ospedale subì una forte crisi finanziaria tanto che l’amministrazione fu costretta ad alienare ben settecento campi, questo ente restava uno dei possidenti più preminenti nel trevigiano.30

A Paderno le perticazioni del 1680 assegnavano all’Ospedale 20 proprietà, confermate nella tornata successiva del 1714. Nel 1680 colono dell’Ospedale nelle pertinenze di Paderno era Santo Conte, mentre trentaquattro anni dopo era Iseppo Galdiol.

Le proprietà della Scuola di Santa Maria della Carità di Venezia

Nel medioevo a Venezia, come in altre città italiane, nacquero le confraternite laiche e le corporazioni di arti e mestieri. Accomunati da un interesse comune, gli associati si impegnavano a darsi mutuo soccorso. Queste associazioni si riunivano in luoghi detti «scuole». Col passare del tempo le scuole si formalizzarono in veri e propri enti di mutuo soccorso. Ogni scuola aveva il suo statuto, le sue gerarchie, la sua dotazione patrimoniale grazie a lasciti testamentari.

Ogni scuola aveva il suo santo patrono, la sua chiesa, il suo altare e così via. Agli inizi del Cinquecento il patrizio veneziano Marin Sanudo contava oltre duecento scuole. Tra queste si distinguevano le cosiddette «scuole grandi» perché più prestigiose. Le Scuole Grandi erano solo sei: San Teodoro, San Rocco, Santa Maria della Carità, San Marco, San Giovanni Evangelista e Santa Maria della Misericordia.

La Scuola Grande della Carità di Venezia aveva quattro appezzamenti a Paderno. Nel 1680 tre erano tenuti da Giacomo Mandelli e uno da Mattio Tomasin, nel 1714 due erano lavorati da Innocenzo Zucconato, uno da Innocente Dario e uno da Zaneto Tomasin.

Le proprietà dei patrizi veneziani

Nel Cinquecento Gasparo Contarini, trattando della costituzione veneziana, suddivideva la popolazione veneziana in due ordini: patrizi e plebei. Altri autori, come Donato Giannotti e Marin Sanudo ripartivano la società veneziana in tre ceti: patrizi, cittadini e popolani.31 Ceto sociale di punta della repubblica di Venezia era il patriziato. A Venezia poteva fregiarsi il titolo di patrizio chi aveva venticinque anni e poteva dimostrare di avere un padre o un avo che apparteneva al Maggio Consiglio.

A fine Duecento venne emanato un provvedimento, conosciuto poi come la «Serrata», che nelle intenzioni iniziali doveva essere provvisorio, in cui venne resa ereditaria la possibilità di sedersi al Maggior Consiglio. Questo provvedimento aveva lo scopo di escludere le famiglie di più recente

30

S. Maria dei Battuti di Treviso op. cit., Vol. II, p. 44.

31

(20)

21 ricchezza dal governo della repubblica. Dopo l’aggregazione di alcune nuove famiglie nel Trecento, la trasmissione della nobiltà divenne ereditaria. Nel Quattrocento venne creato il “libro d’oro” nel quale venivano iscritte tutte le famiglie appartenenti al patriziato.

Nel Cinquecento i patrizi e le loro famiglie erano poco più del 4% della popolazione veneziana. Nella prima metà del Cinquecento i patrizi erano 2500, il loro numero scese a duemila verso la fine del secolo. Dopo la peste del 1630, la peste di manzoniana memoria, il loro numero scese a 1600.32 Nel Sei-Settecento molte casate patrizie si estinsero e il corpo vide un forte decremento numerico e durante i conflitti contro l’impero Ottomano, cioè la Guerra di Candia e la Guerra di Morea, che iniziarono nel 1645 e si protrassero fino agli inizi del Settecento, furono aggregate al patriziato oltre cento famiglie, alcune delle quali provenivano dalla Terraferma, altre dal corpo dei cittadini originari. Nonostante fossero ascritte al patriziato nuove famiglie, il fenomeno di decrescita numerica continuò fino alla caduta della Serenissima, quando il numero della classe dirigente veneziana scese a poco più di mille unità.33

La stratificazione economica del patriziato veneziano era molto variegata: alcune famiglie patrizie erano ricchissime e vivevano nel grande sfarzo, altre erano povere che a malapena riuscivano a campare. Già nel Cinquecento era nota questa forte disparità economica, tanto che tra gli stessi patrizi esisteva una sorta di tripartizione in «ricchi», «mezzani» e «poveri». Nel «Saggio politico del corpo aristocratico della Repubblica di Venezia per l’anno 1756» Giacomo Nani distinse il patriziato in cinque classi: dalle famiglie assai ricche a quelle che non avevano niente.34

Fino al XIII secolo gli interessi economici del patriziato veneziano erano quasi esclusivamente diretti verso il commercio. A partire dal Quattrocento, il ceto dirigente iniziò a convogliare parte dei suoi capitali nell’acquisto di fondi nelle province di terraferma. Termometro di questo fenomeno fu il forte incremento di entrate della decima allibrata ai fuochi veneti. Nel Seicento, con l’uscita di Venezia nei circuiti degli scambi internazionali, il patriziato veneziano ripiegò sempre più volentieri i suoi investimenti nella terra, al riparo dai rischi d’impresa.35

Consultando il fondo dei X Savi alla Decima, Daniele Beltrami ha calcolato che nel 1661 il patriziato veneziano possedeva oltre centocinquantamila ettari di terreni nel dogado e nelle province di Terraferma. Benché questi dati siano incompleti, come ammette anche lo stesso autore, ci danno un’idea dell’imponenza dei fondi posseduti dalle famiglie patrizie. Le proprietà terriere del ceto patrizio erano concentrate prevalentemente nel Padovano, nel Polesine, nel basso Trevigiano e nel Friuli meridionale. Una volta preso possesso di questi fondi di Terraferma, i patrizi veneziani tendevano a ritardare o addirittura omettere la denuncia del passaggio di proprietà. In questo modo il

32

GAETANO COZZI e MICHAEL KNAPTON, La Repubblica di Venezia nell’età Moderna. Dalla guerra di Chioggia al 1517, in AA. VV., Storia d’Italia, diretta da Giuseppe Galasso, Vol XII/1, Torino, UTET, 1997, pp. 117-120.

33

DANIELE BELTRAMI, Storia della popolazione di Venezia dalla fine del secolo XVI alla caduta della Repubblica, CEDAM, Padova, 1954, pp. 71-74; JOHN CUSHMAN DAVIS, The Decline of the Venetian Nobility as a Ruling Class, Johns Hopkins, Baltimora, 1962, p. 58.

34

VOLCKER HUNECKE, Il corpo aristocratico, in AA. VV., Storia di Venezia, Vol. VIII, p. 365-366.

35

DANIELE BELTRAMI, Forze di lavoro e proprietà fondiarie nelle campagne venete nei secoli XVII e XVIII, Istituto per la collaborazione culturale, Venezia, 1961, pp. 45-57.

(21)

22 peso fiscale continuava a gravare sui corpi territoriali delle città di terraferma. Come ricorda il Beltrami, questo sistema fiscale favoriva le sperequazioni a danno dei sudditi.36

Un esempio di come la proprietà dei patrizi veneziani si sia dilatata nel tempo viene dato dalla ripartizione della colta ducale nella podesteria di Treviso. Dopo la conclusione dell’estimo particolare del 1680-1719, al corpo dei forestieri, di cui per la maggior parte era composto proprio dai patrizi veneziani, veniva assegnato il 43% della colta ducale, mentre centocinquanta anni prima ne era stato assegnato solo il 16%. Questi dati indicano che in un secolo e mezzo le proprietà dei patrizi veneziani, anche nella podesteria di Treviso, avevano avuto un grande incremento a scapito degli altri corpi territoriali.37

Nell’attuale territorio del comune di Ponzano Veneto la penetrazione fondiaria dei veneziani era già attestata alla fine del Quattrocento: proprietari di alcuni terreni erano gli eredi del patrizio Andrea Trevisan, la Monaca Isabeta dal Molin e la moglie di Zuanne Bragadin. Nel corso del Cinquecento i possedimenti fondiari dei veneziani aumentarono: a Paderno avevano alcune proprietà terriere i patrizi Niccolò Giustinian e Zuanne Mocenigo. Inoltre dall’estimo generale del 1542 vengono segnalate le possessioni di altre famiglie veneziane come i Grimani, i Michiel, i Corner e i Contarini.38

A partire dal Cinquecento il possesso della villa in campagna divenne espressione di ricchezza per il patriziato veneziano. Disseminate un po’ ovunque nei territori di Terraferma, ma specialmente nelle zone più prossime al Dogado, la villa divenne uno degli elementi architettonici del paesaggio veneto. Anche il territorio del comune di Ponzano Veneto fu interessato da questo fenomeno, di cui l’esempio più importante è quello dato dalla famiglia Minelli che, dopo aver acquisito nel 1621 alcune case coloniche e diversi terreni dal Monastero di Santa Maria Maggiore di Treviso, fecero erigere la loro villa.39

I Minelli erano una famiglia di origine bergamasca che arrivarono a Venezia nel Cinquecento. Erano commercianti di aglio e salumi e la loro bottega si trovava nei pressi di Rialto. Nel corso del Cinquecento e del Seicento i Minelli si arricchirono e progressivamente abbandonarono l’attività mercantile per puntare sulla rendita fondiaria. Oltre alla villa, alle case coloniche a Ponzano, i Minelli, nel corso del Seicento, riuscirono ad acquistare anche terreni nei villaggi di Paderno, Merlengo e San Pelagio, nonché case a Treviso ed alcuni mulini sul Sile. Nel 1650 Domenico Minelli versò centomila ducati alla Serenissima per entrare a far parte del patriziato.40

Il caso dei Minelli e della loro villa è emblematico su come il ceto patrizio veneziano avessero abbandonato la loro origine di mercanti per trasformarsi nel corso del tempo in latifondisti. Quindi centro della proprietà terriera dei patrizi e dei cittadini veneziani divenne la villa. Nel Seicento,

36

DANIELE BELTRAMI, Forze di lavoro op. cit., pp. 83-84.

37

DANILO GASPARINI, Il general dissegno cit., p. 97.

38

MARINA SALAMON, Ponzano: note storiche, Grafiche Vianello, Treviso, 1981, pp. 61-63.

39

MARINA SALAMON, Ponzano op. cit., p. 46.

40

(22)

23 e ancora di più nel Settecento, la villeggiatura divenne per il patriziato una sorta di status symbol dell’epoca, descritta anche da alcune commedie di Carlo Goldoni.41

Alla fine del Seicento-inizio Settecento la presenza veneziana era ormai radicata anche a Paderno: dai registri d’estimo erano presenti nomi come i Barbaro, i Ruzzini, gli Albrizzi, i Dolfin, i Memmo, i Querini, i Morosini, gli Emo, i Cicogna, i Giustinian, i Ferro, i Maffetti e i Foscarini. Grosso modo i patrizi veneziani erano proprietari di circa il 10%-15% delle terre di Paderno.

I Ruzzini, dapprima Marco, e poi Carlo che nel 1732 fu eletto doge, avevano circa una dozzina di campi più una casa dominicale e alcune case coloniche. Coloni dei Ruzzini a Paderno erano Bartolomeo e Andrea Segallin.

Bernardo Memmo aveva solo una campo arativo in località detta «ai Salvadeghi» nel 1680. Trentaquattro anni dopo con il figlio Andrea il patrimonio dei Memmo aumentò fino a una quindicina di possedimenti sparsi nella parte alta di Paderno.

Nel 1680 Pietro Alvise Barbaro aveva poco più di una decina di campi e alcune case coloniche coperte a coppi. Colono di questo patrizio era Camillo Bordignon. Trentaquattro anni dopo i vecchi possedimenti di Barbaro erano in mano di Stefano Menis da Venezia.

Nel 1680 Francesco Querini aveva una casa dominical e da «Costal» con terra arativa cinta di muro. Un altro Querini, Bernardo, aveva invece un pezzo arativo, che nel Settecento passò nelle mani di Andrea Memmo. Nel 1714 la casa dominicale di Francesco Querini passò a Antonio Bellati. Sempre nel 1714, Marin Querini possedeva una dozzina di terreni, che alla fine del Seicento erano intestati ad Ottavio Giacomazzi.

Altri patrizi veneziani erano gli Emo. Pietro Emo risultava avere solo tre proprietà. Invece Angelo Emo ne aveva una dozzina nel 1680. Tutte le proprietà di Angelo Emo, o per atto di compravendita o per eredità, passarono sotto la proprietà di Leonardo Foscarini, altro patrizio veneziano.

Gli Albrizzi erano una famiglia di origine lombarda che fu aggregata al patriziato veneziano nel 1667 grazie al versamento della somma di cinquantamila ducati alla Serenissima e «per avere concesso a prestito a tenue frutto egual somma». Nel 1680 Giovanni Battista possedeva soltanto un paio di campi, ma con il nuovo secolo i suoi discendenti ne avevano più di una trentina.

Altre famiglie che, soltanto a metà Seicento, vennero aggregate al patriziato veneziano erano i Ferro, i Minelli e i Maffetti. Lazaro Ferro che era proprietario di una villa e di un enorme patrimonio fondiario nella vicina Merlengo, poteva contare di una dozzina di proprietà anche a Paderno. I Maffetti avevano sette campi. Infine i Minelli possedevano solo un fondo.

Ascanio Giustinian detto Giulio fu ambasciatore a Parigi e a Vienna per conto della Repubblica di Venezia negli anni Settanta del Seicento e, dopo essere rimpatriato nella città

41

PIERGIOVANNI MOMETTO, La Vita in Villa, in Storia della cultura veneta, Il Settecento, Vol. 5/I, Neri Pozza, Vicenza, 1985, pp. 607-610.

(23)

24 lagunare, ricoprì diversi incarichi di governo.42 A Paderno possedeva una quindicina di campi. Coloni di Giustinian risultavano essere Domenico Zucconato nel 1680 e Mattio e Bastian Genovese nel 1714.

Altri patrizi veneziani non contavano grandi proprietà, ameno per quanto riguarda Paderno. Si segnala Lorenzo Soranzo, il quale aveva sei proprietà nel 1714. I Cicogna, i Dolfin e i Morosini avevano poco più di un paio di proprietà, mentre Nicolò Michiel ne aveva soltanto una.

Le proprietà dei cittadini veneziani

Durante una disputa sorta tra Venezia e Borso d’Este attorno alla metà del Quattrocento che riguardava lo status degli «homines venetiarum», l’ambasciatore veneziano a Ferrara aveva fatto una distinzione tra i vari gradi di cittadinanza, che ognuna dava diritti e privilegi differenti: la cittadinanza originaria e la cittadinanza fatta per privilegio. 43

Il livello superiore della scala gerarchica del corpo dei cittadini era riservata ai «cittadini originari». I cittadini originari erano tutte quelle famiglie veneziane che, all’epoca della Serrata di fine Duecento, non entrarono a far parte del patriziato e quindi non potevano accedere alle maggiori cariche della repubblica. Tuttavia essi erano impiegati negli uffici minori della repubblica, nelle attività mercantili, nell’avvocatura e via dicendo. Similmente al patriziato, il corpo dei cittadini subì una falcidia numerica: infatti dalle oltre settemila anime di fine Cinquecento, i cittadini originari nel Settecento erano poco più di cinquemila.44

Al di sotto si trovavano i cittadini fatti per privilegio, de intus et de extra e i cittadini de intus: questi due termini indicavano la possibilità di commerciare come veneti, rispettivamente in tutti gli scali commerciali veneti o nella sola città di Venezia.

All’ultimo gradino della scala sociale si trovavano i popolani, che Antonio Milledonne, nel suo Ragionamento sopra il governo della Repubblica Veneziana, identificava la terza condizione degli abitanti di Venezia. Rappresentavano ben il 90% della popolazione della città lagunare e svolgevano le attività più varie come bottegai, artigiani, osti, gondolieri, servitori e altro ancora.45

Molti cittadini veneziani avevano diretto parte dei loro investimenti nella terra. Ancora Beltrami ha segnalato che oltre cinquantamila ettari di terreni erano nelle mani del corpo dei cittadini veneziani a fine Seicento. A Paderno alcuni cittadini veneziani avevano possedimenti terrieri, alcuni dei quali solo una o due unità, altri invece ne avevano molti. Agli inizi del Settecento un certo Stefano Menis da Venezia era proprietario di ben una sessantina di appezzamenti, cioè di circa il 10% di tutti i fondi rustici del territorio di Paderno.

42

Dizionario Biografico degli italiani, Volume 57, voce a cura di Giuseppe Gullino, Treccani, Roma, 2001.

43

GAETANO COZZI e MICHAEL KNAPTON, La repubblica di Venezia op. cit., pp. 133-137.

44

DANIELE BELTRAMI, Storia della popolazione op. cit., p. 78.

45

(24)

25

Le proprietà dei cittadini trevigiani

Per avere lo status di “cittadino trevigiano” e quindi far parte del corpo sociale dei cittadini bisognava avere il «privilegium civitatis». Questo privilegio dava la possibilità a chi era cittadino di essere esente agli oneri personali che colpivano invece i distrettuali, così gli abitanti del contado più ricchi ambivano di essere iscritti al corpo fiscale dei cittadini.46 Il corpo dei cittadini era molto eterogeneo ed era formato sia da nobili e sia da non nobili. I cittadini risiedevano all’interno delle mura, ma spesso avevano anche interessi economici nel distretto. Molti di questi, specie i non nobili, svolgevano una professione, come nel caso di notai, avvocati, medici e via dicendo, e nello stesso tempo erano proprietari di terre nel contado.

Alcuni di questi cittadini trevigiani avevano qualche possedimento a Paderno nel 1680-1714. Troviamo Carlo Voltolina calderer, proprietario di una casa colonica e di alcuni appezzamenti in località Calnuove. Troviamo anche Zuanne Dalla Riva marzer, proprietario di tre appezzamenti. Carlo Ruggieri dotor era proprietario di una casa da lavoratori di nove fondi. Giacomo Antonio Aproino possedeva una casa dominicale, alcune case coloniche e una decina di fondi. I notai Ascanio Giustinian e Giacomo Fontana avevano un paio di possedimenti a testa. Altre casate cittadine di Treviso come i Cariolato, possedevano sei terreni a Paderno, mentre gli Onigo ne possedevano quattro, i Tiretta tre ed infine i Sugana uno.

Le proprietà dei contadini

Un altro corpo sociale era quello dei distrettuali composto dagli abitanti del contado. Dai dati degli estimi di fine Cinquecento a quelli di inizio Settecento, questo corpo sociale si vide diminuire il comparto della colta ducale: dal 12% nel 1579 al 9% nel 1719. Questo dato può indicare che i distrettuali avevano perso in centocinquanta anni, parte delle loro proprietà in favore di altri corpi. Quindi i componenti di questo corpo sicuramente non erano tenutari di grandi proprietà terriere. Anche per quanto riguarda Paderno, gli estimi danno l’idea che gli antichi abitanti del luogo avessero in proprietà la casa, il fienile di paglia, l’orto nelle immediate vicinanze, un paio di campi e non molto altro.47

Può valere come esempio il caso della famiglia di Domenico Conte o Conti, molto probabilmente un abitante della Paderno del Seicento. Dagli archivi parrocchiali di Santa Maria Assunta di Paderno un Domenego Conti di Luca Conti e Margarita risulta battezzato il 4 dicembre 1634. Inoltre sembra che si fosse sposato con una certa Maria e che fosse padre almeno di Mattio, Anzolo, Domenica, Margarita, e di nuovo Margarita, battezzati rispettivamente nel 1659, nel 1661, nel 1663, nel 1665 e nel 1672. La famiglia di Domenico Conte nel 1680 aveva una casa di proprietà

46

GIUSEPPE DEL TORRE, Il Trevigiano op. cit., pp. 73-74.

47

MARINO BERENGO, La società veneta alla fine del Settecento, Sansoni, Firenze, 1956, pp. 91-92.

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26 in località «La Ruga» e di altri quattro campi, due ai «Broletti», uno in località «Gambina» e uno alla «Crosetta». Inoltre era anche colono della chiesa di Paderno. Trentaquattro anni dopo le proprietà di Domenico passarono a Anzolo Conti, Mattio Conti e Luca Conti.

Il cambiamento di proprietà

Dalle perticazioni di Francesco Basso eseguite nel 1680 a quelle di Zuanne Rizzi nel 1714 passarono trentaquattro anni. In un lasso di tempo così ampio, molti appezzamenti hanno cambiato proprietario, probabilmente per atti di compravendita o più semplicemente per successione.

Nel 1680 Ottavio Giacomazzi era proprietario di una trentina di appezzamenti più una casa dominicale e alcune case coloniche. Nel 1714 una buona fetta di queste proprietà passarono ai figli Zan Francesco e Chiara, ma una parte andò anche a Stefano Menis, Antonio Bellati e Marin Querini. Un altro caso di successione familiare fu quello della famiglia Collobello: nel 1680 Angelo Collobello aveva una casa dominicale in località «La Ruga» e alcuni appezzamenti nelle vicinanze; trent’anni dopo queste proprietà vennero divise tra la moglie Anna Maria Pizziola e le figlie.

Oltre a questi, ci sono moltissimi altri casi. I nove appezzamenti che nel 1680 erano posseduti da Soranza Pamia, nel 1714 passarono a Cattarina Lombardo. A Cattarina Lombardo andarono anche i terreni un tempo posseduti da Adriana Centani. Zan Giacomo Lombardo, oltre ad ereditare gran parte delle proprietà del padre Zuanne, divenne padrone delle terre un tempo possedute da Greguol Chiodo. La casa colonica in località «Calnuove» più alcuni terreni di Bortolamio Burchielato passarono al patrizio Andrea Memmo.

Un possibile caso di compravendita fu quello intercorso tra Giacomo Antonio Aproino e il dotor Carlo Rugieri. Nel 1680 Aproino aveva quattordici appezzamenti, oltre a una casa dominicale e alcune case coloniche, che nel 1714 scesero a sole nove. Le sei mancanti confluirono tutte nel patrimonio di Rugieri. Un altro caso di possibile compravendita può essere quello stato tra Domenico Dardoi Venier e Iseppo Rota: il campo prativo in località Pra’ dall’acqua che nel 1680 era di Venier, trentaquattro anni dopo andò a Rota. Un terzo esempio: Antonio Zanchi da Venezia aveva una palazzina dominicale, una casa da gastaldi e quattro terreni nel 1680, i quali passarono ad Agostino Rubbi da Venezia nel 1714.

Paesaggio agrario

Sullo sfondo di un disegno di Leonardo da Vinci datato al 1473, ora conservato agli Uffizi di Firenze, si intravede un reticolato di campi coltivati di forma quadrata, ben allineati fra di loro. Come nota anche Emilio Sereni, questa forma di campi regolari si poteva già ritrovare nel Rinascimento nella pianura padana.48 Già dal Rinascimento in Lombardia, grazie anche ad opere di bonifica e allo scavo di nuovi canali, si affermò la coltura del prato artificiale e la rotazione delle colture. In questo

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