Corso di Laurea Magistrale
in Lingue, Economie e
Istituzioni dell’Asia e
dell’Africa Mediterranea
ordinamento ex. D.M.270/2004Tesi di Laurea
Le recenti relazioni politiche fra Tōkyō e Okinawa
Lo scontro fra una prefettura e il governo centrale
Relatore
Ch. Prof. Andrea Revelant
Correlatore
Ch. Prof. Giovanni Bulian
Laureanda
Valeria Pisani
Matricola 865118
Anno Accademico
2017 / 2018
2
INDICE
要旨……… 5
INTRODUZIONE………..
81. IL GOVERNO DI SHINZŌ ABE………..
121.1 Paralisi del sistema politico giapponese……….. 13
1.2 L’amministrazione di Abe……….. 18
1.3 Il piano economico: l’Abenomics……….. 20
1.4 Il “pacifismo pro-attivo”……….. 23
1.5 Politica estera e il Partenariato Trans-Pacifico……… 29
1.6 Dispute territoriali……… 32
1.6.1 Le isole Senkaku/Diaoyu e i rapporti con la Cina………. 32
1.6.2 I Territori settentrionali/le isole Curili e i rapporti con la Russia……….. 35
1.7 Il governo di Abe oggi……… 38
2. LE MINACCE ALLE RELAZIONI FRA TŌKYŌ E OKINAWA ………..
402.1 Il ruolo di Okinawa……….. 41
2.2 Il MCAS Futenma e i problemi delle basi militari……… 46
2.3 La nascita della questione di Futenma……….. 51
2.4 Il piano di Henoko………. 56
2.4.1 La nascita del progetto del 2006……… 56
2.4.2 Il “sì” di Henoko………. 63
2.5 L’amministrazione di Nakaima……… 67
2.5.1 Hirokazu Nakaima………. 69
2.5.2 La valutazione ambientale di Henoko………. 69
2.5.3 Il governatore che tradì Okinawa……… 74
3
3. L’AMMINISTRAZIONE DI TAKESHI ONAGA………
793.1 Onaga unisce Okinawa………. 80
3.2 Il Giappone di Shinzō Abe e il “clientelismo”……… 83
3.3 Il movimento All Okinawa……….. 86
3.3.1 La voce di Suzuyo Takazato……… 88
3.4 La strategia di Onaga contro il governo centrale……… 91
3.4.1 Il problema dell’amministrazione giapponese………. 96
3.5 Le elezioni di Nago 2018………. 99
3.6 La teoria del “ciclo politico”……… 103
4. L’AMMINISTRAZIONE DI DENNY TAMAKI………...
1074.1 Le elezioni generali di settembre 2018……….. 108
4.1.1 Il successore di Onaga……… 108
4.1.2 I due candidati a confronto………. 112
4.2 L’infattibilità del progetto di Henoko……….. 116
4.3 Le azioni di Tamaki……… 119
4.4 Il cambio generazionale a Okinawa……….…. 123
4.5 Verso il referendum………. 127
CONCLUSIONI………..
130BIBLIOGRAFIA………..
134Figura 1 Le isole Senkaku/Diaoyu 32
Figura 2 I Territori settentrionali/le isole Curili 35
Figura 3 Mappa delle basi militari statunitensi sull’isola di Okinawa 42
Figura 4 MCAS Futenma nella città di Ginowan 50
4
Figura 6 Collocazione del progetto fra Camp Schwab e la baia di Oura 61
Figura 7 Progetto della pista a “V” da capo Henoko alla baia di Oura 62
Figura 8 Progetto di Henoko 76
Figura 9 Percorso per mare dei materiali di costruzione 92
Figura 10 Rappresentazione delle dighe marine 94
Figura 11 Inizio dei lavori per la diga marina N5, 8 novembre 2018 96
Figura 12 Stato dei lavori nell’area costale di Henoko aggiornati a maggio 2018 102
Figura 13 Completamento della diga marina N3, 27 luglio 2018 118
Figura 14 Incontro fra il primo ministro Abe e il governatore Tamaki 122
Figura 15 Illustrazione delle colonne di sabbia da inserire nel fondale marino 129
5
要旨
この卒業論文では、沖縄県と日本政府の関係を説明しようと思い、20 12年 12 月 26 日に安倍 晋三首相が選挙されたからその関係を述べた。なぜ沖 縄と日本政府の関係が良くないを理解するために、まず米軍普天間基地の移設 問題を説明する。 普天間は 9 万人が住む市街地の中心にあり、米国は基地移設の政治的な 理由と実際的な必要性を理解しており、その実現は日本政府と地方自治体に委 ねられている。普天間飛行場は 1945 年春、沖縄戦の最中に基地として建設さ れた。当時、沖縄に存在する 10 カ所ほどの飛行場の 1 つだった。沖縄戦が終わ った後、普天間基地は閉鎖されていなかった。1976 年、普天間は米海兵隊飛行 場に指定され、今ではさまざまな重要な役割を担っている。例えば、沖縄が津 波などの自然災害に見舞われた際の緊急時ハブ空港としての役割などを担って いる(沿岸部にある那覇空港は、2011 年 3 月の東日本大震災と巨大津波に襲わ れた仙台空港のように壊滅的な打撃を受ける可能性がある)。また、上述した ように、地域の災害時の役割や代替飛行場としての目的からみて、沖縄にとっ ても重要な財産である。基地を抱える宜野湾市では、基地反対の前市長の支持 者らが普天間基地を「世界で最も危険な飛行場」と呼ばれています。その危険 性を終わらせるために、明国当局は日本政府と普天間施設の県内移転について 合意していました。これは、米兵による痛ましい少女暴行事件と沖縄県の普天 間移設要請を受けて 1995 年 11 月に沖縄に関する日米特別行動委員会が設置さ れ、その勧告の一環として 1996 年 12 月に初めて合意をみた決定である。米国 は移設に向けて日本政府に協力する意思を何度も表明してきたが、その間、日6 本政府の具体的な動きはなかった。沖縄、そして日本は、運用上の問題を政治 的に解決しようとしているが、それは彼らが理解していないか、理解すること を拒んでいる問題である。現在、米軍普天間基地の移設問題は最も広く知られ ている。最も知られているが、最も理解が進んでいない。 沖縄問題は、沖縄、日本、米国の 3 者が関わっている。そのため、本気 で解決策や打開策を望むのであれば、3 者のニーズと視点を調整する必要があ る。当事者のいずれかが頑なな立場をとり、特に政治的駆け引きに終始した不 誠実な態度に終始すれば、沖縄問題を前進させる可能性はさらに遠のき、妥協 点を見出すのはほぼ不可能になるだろう。そうした状況にあって沖縄は単なる 問題の一部であってはならず、ともに解決を見出す主体でなくてはならない。1 卒業論文は六部分に分かれている。まず、日本語とイタリア語の要約だ。 第一章では、安倍 晋三首相が選ばれた前の日本の政府的な状況を述べま した。そして、安倍首相はどのように最近の経済的な危機を超えて、日本の国 際関係を強化して、国をまた復活するの目的を達することを説明した。 第二章では、なぜ沖縄県と日本政府の関係は悪くなったことをのべまし た。その理由を理解するためには沖縄と普天間基地の移設問題の誕生を説明し た。基地の機能を移すことになったので、代替施設が作られる場所に関する交 渉が行われ、結局、「辺野古沿岸案」が定められ、2014 年までにキャンプ・ シ ュ ワ ブ の 海 岸 線 の 陸 上 部 と 大 浦 湾 の 海 域 に 広 が る 区 域 へ 代 替
1 Robert D. ELDRIDGE, 沖 縄 の 「 基 地 問 題 」 の 現 状 , Nippon.com, 7 febbraio 2012. https://www.nippon.com/ja/in-depth/a00501/
7 施設を建設することになった。それに、沖縄県仲井眞 弘多知事の決定はどうや ってその移設プロジェクトをサポートされることになった。 第三章では、日本政府に対して翁長 雄志知事の戦いを述べた。彼は普天 間基地の移設プロジェクトに対する沖縄人グループを集まり、絶対にその辺野 古付近への移設を停止することになった。それを得るために、日本政府に対す る法的戦いを始まった。そして、2018年2月に名護市の選挙に日本政府か らサポートされた候補者は勝った。この勝利は翁長 雄志知事にとって敗北と言 うことになった。不運にも、翁長 雄志知事は2018年 8 月 8 日に膵がんで亡 くなった。しかし、沖縄人の戦いはまだ終わっていない。 第四章では、新しい沖縄県の知事、玉城 デニーの行政について説明した。 彼は故翁長雄志知事と同じように辺野古移設予定に全力で対している。 最近の発見は、移設予定地では軟弱地盤の存在が報告され、設計変更が必要に なると指摘されている。玉城氏は、自身が知事の権限を行使すれば「(完工ま で)何年かかるか分からない」と指摘。「工事は今の段階でストップすべきだ」 と述べ、県内移設を断念するよう要求した。これは沖縄人の大多数の望みであ る。 最後に、結論の中で、日本政府と沖縄県の関係の状態を述べた。
8
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni la prefettura giapponese di Okinawa ha visto l’elezione di due governatori, Takeshi Onaga e Denny Tamaki, che si sono fermamente opposti ad una decisione presa dal governo centrale, causando il peggioramento di un rapporto che già da molti anni non era in buone condizioni.
La prefettura di Okinawa (沖縄県 – Okinawa ken) è la più meridionale tra le province del Giappone e comprende numerosi arcipelaghi che si estendono dall’isola Kyūshū fino a Taiwan. Okinawa è l’isola più grande, dove si trova la capitale della prefettura, Naha. In passato questo arcipelago formava il Regno delle Ryūkyū, finchè non divenne ufficialmente una prefettura dell’impero nipponico nel 1879. Con la sconfitta della Seconda guerra mondiale, il Giappone venne occupato dalle forze militari statunitensi fino alla firma del Trattato di Pace nel 1951, fatta eccezione per la prefettura di Okinawa, che vide la fine dell’occupazione nel 1971. In quegli anni, gli americani costruirono numerose basi militari nell’isola di Okinawa per monitorare gli stati confinanti della regione dell’Asia-Pacifico. Queste basi militari costituiscono un vero e proprio dilemma sin dal dopoguerra, a cui i giapponesi si riferiscono con il termine 沖縄 問題 (Okinawa mondai – questione di Okinawa), in quanto generano problemi che gravano sulla popolazione della prefettura: inquinamento ambientale e acustico, sottrazione delle terre all’agricoltura, incidenti dovuti alle esercitazioni militari, crimini, prostituzione e atteggiamenti di intolleranza e razzismo. L’aspetto positivo della presenza delle basi è la creazione di posti di lavoro e i profitti che gli okinawani ricevono dall’affitto dei terreni su cui sono state costruite le basi.
Da qualche decennio, l’Okinawa mondai si è cristallizzato intorno alla questione del ricollocamento della base aerea di Futenma: oggi questa base sorge al centro della città di Ginowan, causando un alto rischio di incidenti tanto che è stata definita come “la più pericolosa la mondo”. La necessità del suo ricollocamento è stata riconosciuta dal governo centrale giapponese, che nel 1996 si è accordato con quello statunitense per decidere bilateralmente come e dove effettuare questo trasferimento, nel rispetto delle necessità di entrambi i governi. Dopo anni di trattative, ostacolate dalle proteste degli okinawani e dal rifiuto di collaborazione di alcuni governatori di Okinawa e sindaci
9 delle città, nel 2006 è stato ideato il progetto di Henoko, un villaggio che vedrà trasferita la base aerea di Futenma nelle sue vicinanze. Questo piano va contro il volere espresso dalla maggioranza dei cittadini di Okinawa, in quanto secondo il piano la base aerea verrà solamente spostata dal Sud al centro dell’isola, e non rimossa, come invece vorrebbero. Per questo le relazioni fra la prefettura di Okinawa e il governo di Tōkyō si sono incrinate sempre di più: l’amministrazione centrale giapponese sta cercando di esaudire le necessità strategiche di cui gli Stati Uniti hanno bisgono, mentre gli okinawani sono in uno stato di proteste e malcontento da molti decenni, a causa della massiccia presenza di basi militari nella loro provincia. Ad Okinawa, le elezioni per il governatore significano scegliere il candidato che andrà a trattare con il governo centrale sulla questione delle basi in generale e di Futenma in particolare.
Dal 2012 è stato eletto come primo ministro giapponese Shinzō Abe, che si è impegnato per porre fine alla fase di stagnazione e per rivitalizzare l’economia nipponica; allo stesso tempo si è ritrovato ad affrontare questo problema domestico che vede coinvolta la prefettura di Okinawa.
Il presente studio è stato improntato sull’analisi dei dati reperiti in archivi internet, articoli e pubblicazioni estratti da giornali e riviste online.
Questo scritto è destinato a fornire una maggiore conoscenza delle relazioni politiche fra il governo della prefettura di Okinawa e quello nipponico nell’ultimo decennio, a partire dalla salita al governo dell’attuale primo ministro Shinzō Abe nel 2012. In particolare, questo studio mira ad analizzare come si sono evoluti questi rapporti politici da quando è stato eletto a governatore della prefettura di Okinawa Takeshi Onaga nel 2014, sfortunatamente deceduto lo scorso agosto, e le azioni intraprese dal neoeletto Denny Tamaki nel tentativo di bloccare i lavori per la costruzione della nuova struttura militare destinata all’uso statunitense a Henoko.
Il presente lavoro è suddiviso in quattro parti, escluse introduzione e conclusioni finali.
Nel primo capitolo viene descritta la situazione politica del Giappone prima dell’ascesa di Abe: un forte clima di instabilità politica ha causato una sorta di paralisi del sistema politico, in cui nessun partito è riuscito a mantenere un governo stabile per più di tre anni. La vittoria di Abe il 26 dicembre del 2016 ha interrotto l’instabilità politica
10 per dare il via ad una lenta ripresa economica e finanziaria del paese. Si analizzeranno le politiche decisionali del nuovo primo ministro in ambito economico, della sicurezza del paese e delle relazioni estere, valutando la loro efficacia.
Nel secondo capitolo si prende in esame la posizione che il primo ministro ha assunto nei confronti della questione del ricollocamento di Futenma; per farlo, verrà brevemente esposto il problema delle basi militari statunitensi presenti nella prefettura di Okinawa e in particolare della base aerea di Futenma. Nel capitolo si pone l’attenzione su come sia nata l’idea del ricollocamento e quale sia il piano che il governo sta cercando di portare a termine: il perché sia stata scelta la baia di Oura, vicino al villaggio di Henoko, come sia nato il rapporto di dipendenza economica fra il villaggio e l’adiacente base della Marina militare di Camp Schwab, e i motivi che hanno portato i cittadini ad accettare il piano di ricollocamento. Infine, si prenderanno in considerazione le azioni del governatore Hirokazu Nakaima, decisive per l’inizio dei lavori nella baia nell’estate del 2014. Si è trattato di un vero e proprio tradimento del governatore verso i suoi elettori. Nel terzo capitolo si pone l’attenzione sulla strategia politica del governatore Takeshi Onaga, eletto nel novembre 2014: proclamandosi fin da subito contrario alla presenza di basi statunitensi nella prefettura di Okinawa, la sua elezione ha dimostrato una crescente unione dei cittadini okinawani contro la costruzione di un’ulteriore base militare, facendo nascere l’All Okinawa Group. Le sue decisioni sono state però limitate dall’amministrazione giapponese, tramutate in una serie di azioni legali e cause intraprese contro il governo centrale al fine di impedire o almeno rallentare l’esecuzione dei lavori. Da parte sua, il primo ministro Abe insiste nel voler accelerare i già posposti lavori in nome dei benefici tratti da una più forte unione con gli Stati Uniti d’America. Si analizzerà anche la teoria del “clientelismo” del professor Gavan McCormack, secondo cui il Giappone di Abe si trova in una fase di “stato-cliente” nei confronti degli Stati Uniti. Si esaminerà come questo influisce sulle relazioni fra Tōkyō e la prefettura di Okinawa.
Il quarto capitolo è incentrato sulla significativa vittoria, da parte degli okinawani che si oppongono al progetto di Henoko, di Denny Tamaki, nominato successore di Onaga, e sul suo “modo giovanile” di affrontare il divario che separa la prefettura di Okinawa dal resto del Giappone, che verrà analizzato. La vittoria di Tamaki contro il
11 candidato Sakima Atsushi, supportato dal governo centrale, ha significato molto per gli okinawani, riuniti di nuovo dopo la perdita di Onaga.
Nelle conclusioni si sottolinea come lo studio delle relazioni fra il governo di Tōkyō e Okinawa sia tutt’ora in corso e soggetto a rilevanti risvolti nell’immediato futuro, a causa del referendum sul ricollocamento di Futenma fissato per il 24 febbraio 2019.
12
1. IL GOVERNO DI SHINZŌ ABE
1.1 Paralisi del sistema politico giapponese 1.2 L’amministrazione di Abe
1.3 Il piano economico: l’Abenomics 1.4 Il “pacifismo pro-attivo”
1.5 Politica estera e il Partenariato Trans-Pacifico 1.6 Dispute territoriali
1.6.1 Le isole Senkaku/Diaoyu e i rapporti con la Cina
1.6.2 I Territori settentrionali/le isole Curili e i rapporti con la Russia 1.7 Il governo di Abe oggi
13
1.1 Paralisi del sistema politico giapponese
Negli anni precedenti all’elezione dell’attuale primo ministro Shinzō Abe, lo scenario politico giapponese sembrava essere immerso in una situazione di continua impossibilità nel risolvere i problemi della nazione. Il paese ha dovuto affrontare gravi emergenze come il terremoto dell’11 marzo 2011 e il conseguente tsunami nella regione Tōhoku, così come l’incidente nella centrale nucleare di Fukushima. Stando ai sondaggi condotti da Yomiuri Shimbun (il più famoso quotidiano giapponese) dopo questo terremoto, solamente il 6% dei partecipanti aveva dato un giudizio positivo sul lavoro del governo, mentre quello della Dieta nazionale era solo il 3%.2 I sondaggi condotti
dopo l’elezione di Noda Yoshihiko a primo ministro nell’Agosto del 2011 rivelarono che solo il 30% della popolazione approvava la sua amministrazione, mentre il 57% disapprovava le prestazioni del governo.
Dal 2009 al 2012 sono stati eletti come primi ministri in Giappone tre candidati del Partito Democratico del Giappone, interrompendo la lunga serie di governi del Partito Liberal Democratico. Secondo il parere di Shiraishi Takashi3, fino al 2012 le loro
performance non sono state molto soddisfacenti: Yukio Hatoyama (primo ministro in carica dal 16 settembre 2009 al’8 giugno 2010) ha cercato di revisionare i rapporti con gli Stati Uniti d’America per rendere l’alleanza nippo-statunitense più equa, promettendo di spostare le basi militari situate ad Okianawa fuori dalla prefettura, ma finendo per alimentare delle false speranze; Naoto Kan (in carica dall’8 giugno 2010 al 30 agosto 2011) dichiarò che il Giappone avrebbe dovuto abbandonare l’energia nucleare, etichettando in seguito tale dichiarazione un “pensiero personale”; Yoshihiko Noda (in carica dal 30 agosto 2011 al 26 dicembre 2012) ha invece preso decisioni quali la partecipazione del Giappone nel progetto del Partenariato Trans-Pacifico e, tra le altre, l’approvazione per la stesura di una legislazione per la riforma delle tasse e la sicurezza sociale. Sfortunatamente, alcune decisioni prese dai membri del suo governo hanno
2 Takashi SHIRAISHI, Political responsibility and the public loss of confidence in the government,
Nippon.com, 2 marzo 2012. https://www.nippon.com/en/column/f00006/
3 Shiraishi Takashi è stato un membro dell’Ufficio del Gabinetto di scienza e tecnologia da
14 creato confusione fra le azioni che i politici dovrebbero intraprendere e quelle che Kan definiva “idee personali”.4
Tuttavia, il malfunzionamento della politica giapponese era evidente già prima che il Partito Democratico prendesse il potere; la situazione potrebbe essere peggiorata sotto i loro occhi, ma problemi al governo esistevano già da tempo.
Secondo il professor Takenaka Harukata, prima di Abe la politica giapponese era in uno stato di paralisi; il motivo principale sarebbe da attribuire alla strana posizione che occupa la Camera dei consiglieri nel sistema politico giapponese. La Costituzione giapponese definisce chiaramente il sistema parlamentare del Giappone: la Dieta nazionale, l’organo legislativo giapponese, è composta dalle due camere dei rappresentanti e dei consiglieri. Il primo ministro viene scelto dalla Camera dei rappresentanti, e il suo governo dovrà poi avere la maggioranza anche nella Camera dei consiglieri per poter legiferare. Quest’ultima ha un ruolo anomalo: è un organo fondamentalmente fallace che ha il potere di ribaltare completamente i voleri del governo in carica e la maggioranza dell’altra camera. Nel caso in cui ci dovesse essere disaccordo fra la camera dei consiglieri e il governo in carica, la Costituzione giapponese prevede che la Camera dei rappresentanti abbia la precedenza proprio per evitare delle situazioni di stallo. Successivamente però qualsiasi proposta di legge approvata dalla Camera de rappresentanti dovrà poi ritornare alla Camera dei consiglieri per essere approvata con una maggioranza di almeno due terzi dei membri totali. Per il partito in carica non è semplice ottenere questa maggioranza. Perciò, malgrado la Costituzione preveda una soluzione alle divergenze fra le due camere, nella pratica esse si trovano alla pari quando si tratta di promulgare le leggi, e raggiungere un compromesso reciprocamente soddisfacente risulta estremamente difficile.5
È per questo motivo che si è venuto a creare un “governo diviso” dove il partito di maggioranza puntualmente fallisce nell’ottenere la maggioranza al governo: sia i governi del Partito Liberal Democratico che del partito Democratico del Giappone hanno
4 Takashi SHIRAISHI, The launch of a new online journal, Nippon.com, 3 ottobre 2011. https://www.nippon.com/en/column/f00001/
5 Takenaka HARUKANATA, Why Japanese politics is at a standstill, Nippon.com, 20 luglio 2012. https://www.nippon.com/en/currents/d00038
15 sofferto di questa divisione. Inoltre, negli anni precedenti l’elezione di Abe, i disaccordi fra il partito di maggioranza e quelli di opposizione sono aumentati sempre di più arrivando a paralizzare il processo politico.
Shiraishi Takashi ha approfondito questo argomento considerando le reazioni dei politici delle prefetture giapponesi, con quella che definisce la “rivolta delle regioni”, il cui maggior rappresentante è stato l’allora sindaco di Ōsaka Hashimoto Tōru6: oltre a
voler attuare una sorta di restaurazione della politica unendo più partiti politici, la sua idea principale era quella di unire la città di Ōsaka con le vicine città della prefettura per creare una grande metropoli simile a Tōkyō. Sosteneva anche l’idea di raggruppare le 47 prefetture giapponesi esistenti in circa dodici unità territoriali più grandi, e di abolire il sistema di tassazione locale che distribuisce parte delle entrate dalla capitale ai governi locali. Fondando “l’Associazione per la Restaurazione di Ōsaka”, Hashimoto ha attirato molto l’attenzione, proponendo il passaggio ad un sistema unicamerale. Questa “rivolta” non era limitata solo alla prefettura di Ōsaka. Anche i governatori delle prefetture di Aichi, Shiga e la stessa Tōkyō hanno espresso consenso verso Hashimoto e le sue aspirazioni. Nonostante fossero politici di diverse generazioni e con differenti obiettivi, le loro azioni riflettevano la profonda delusione e frustrazione derivata dallo stato della politica nazionale. Anche se queste rivolte regionali non hanno portato ad un immediato ripristino della fiducia nel sistema politico, sono importanti da considerare dal punto di vista della politica giapponese. L’unico modo per riguadagnare questa fiducia è, per il governo giapponese, produrre risultati concreti.7
Gli stessi politici hanno dimostrato di sapere quanto instabile fosse il governo in quel periodo. Nel suo discorso ufficiale che in Giappone si tiene tradizionalmente per ogni nuovo anno, il primo ministro Noda aveva dichiarato: “Questo (il 2012) sarà il primo anno della ‘rinascita del Giappone’, il mio primo obiettivo sarà quello di rompere con la ‘politica che non riesce a decidere’”8. D’altronde, è dal 2006, anno in cui il primo ministro
6 È stato il governatore della prefettura di Ōsaka da febbraio 2008 a ottobre 2011 e sindaco della
città da novembre 2011 a dicembre 2015.
7 SHIRAISHI, Political responsibility…, cit.
8 Yuichi HOSOYA, Breaking away from indecisive politics, Nippon.com, 29 febbraio 2012. https://www.nippon.com/en/column/g00014
16 Koizumi Jun’ichirō ha finito il suo mandato, che in Giappone ogni anno il premier è cambiato. Ciò ha causato stanchezza e la nascita di un forte sentimento contro il governo centrale da parte del popolo giapponese.
Un esempio di “politica che non riesce a decidere” e di confusione sulla responsabilità dei personaggi politici si può notare nel modo in cui il governo ha gestito le procedure di riattivazione delle centrali nucleari del paese temporaneamente chiuse per regolare manutenzione: il 17 febbraio 2012 il governo di Noda aveva approvato un documento nel quale dichiarava che il punto di vista dei governatori e delle assemblee locali sarebbero stati presi in grande considerazione nel valutare la riapertura delle centrali. Il primo ministro Noda ha poi confermato che la riattivazione delle centrali sarebbe stata condotta sulla base sia di un giudizio politico che dell’opinione pubblica delle comunità locali. Questa posizione ha lasciato che la decisione ricadesse sui governi locali: il problema era che i governatori delle prefetture giapponesi non avevano la capacità di determinare o meno la sicurezza delle centrali nucleari. La conseguenza è stata il posporre delle ispezioni di routine, con conseguenti ritardi nella riattivazione degli impianti nucleari. Nel mese di dicembre 2011, solamente il 15% dei reattori esistenti erano in funzione. I costi di questi ritardi sono stati cari: il cambio dall’energia nucleare a quella termica per un anno ha aggiunto fra i due e i tremila miliardi di yen alla tassa nazionale sul carburante, e il Giappone era già in deficit.9 Questo dimostra che ogni
decisione presa da un governo può avere ripercussioni in qualsiasi ambito su tutta la nazione, e che lasciare le decisioni finali ai governatori delle prefetture non è che una rinuncia alle responsabilità.
È principalmente per questo motivo che in quegli anni in Giappone c’è stata una mancanza di leadership da parte del governo, che ovviamente non si può attribuire solamente al partito o al primo ministro in carica, ma anche a vari impedimenti sistematici. Alcuni di questi sono i blocchi nei processi legislativi causati dall’eccessivo potere esercitato dalla Camera dei consiglieri; l’insufficiente competenza del Kantei10 nel coordinare ed affidare i vari problemi da risolvere ai rispettivi ministeri; la carenza di
9 SHIRAISHI, Political responsibility…, cit. 10 L’ufficio del primo ministro.
17 personale per assistere il primo ministro nella sua politica; la mancanza di coordinazione tra il partito di maggioranza e quelli di opposizione; l’inadeguata capacità di intraprendere decisioni politiche da parte sia del Partito Democratico che del Partito Liberal Democratico. Si deve anche aggiungere l’incapacità dei media giapponesi di analizzare la situazione politica e di renderla il più facilmente comprensibile ai cittadini giapponesi.11
Negli anni 2000 il Giappone ha dovuto affrontare problemi sociali ed economici, come il rapido aumento della popolazione e il contemporaneo deteriorarsi delle finanze pubbliche. Basti pensare che il 24 dicembre del 2011 il governo aveva approvato il budget per l’anno 2012, che ha raggiunto la straordinaria cifra di 90.33 trilioni di yen, il più alto budget mai approvato nella storia del Giappone. Inoltre, l’ascesa economica della Cina che tormenta gli stati Uniti e l’Europa potrebbe produrre un grande cambiamento nell’ordine politico ed economico mondiale. È in questo clima di sfiducia ed instabilità del governo che è stato eletto Shinzō Abe.
11 HOSOYA, Breaking away from…, Cit.
18
1.2 L’amministrazione di Abe
L’attuale primo ministro del Giappone Shinzō Abe è stato eletto per il suo secondo mandato il 26 dicembre 2012, mettendo fine ai governi guidati dal Partito Democratico del Giappone nei precedenti tre anni e instaurando di nuovo un governo guidato dal Partito Liberal Democratico.
Durante il suo primo mandato, avvenuto dal 26 settembre 2006 al 26 settembre 2007, Abe è stato il più giovane premier giapponese dal 1941, essendo stato eletto a 52 anni, e nel novembre 2019 diventerà ufficialmente il capo del più lungo esecutivo mai insediatosi a Tōkyō dall’era Meiji12. È infatti ancora in carica con il suo quarto ed ultimo
mandato grazie alla vittoria del 2018.
Dal suo secondo mandato in poi Abe ha dovuto affrontare molteplici problemi quali la crisi economica, l’imminente minaccia della Cina sulle esportazioni giapponesi, l’incapacità di mantenere un esecutivo stabile dei governi precedenti, l’impreparazione nella gestione del disastro nucleare di Fukushima dell’anno precedente, e la crescente insoddisfazione dei giapponesi verso la politica. Una delle sue prime dichiarazioni è stata quella di voler intensificare la sicurezza del paese: in termini economici il Giappone era in uno stato di recessione e con debiti sempre crescenti; in termini di sicurezza estera, vi era la minaccia missilistica e nucleare della Corea del Nord, le dispute territoriali con i paesi confinanti quali Cina, Russia e Corea del Sud ma soprattutto l’ascesa militare cinese, che nel mese di dicembre 2012 ha effettuato la prima incursione nello spazio aereo giapponese sopra le isole Senkaku, su cui è in corso una disputa per la sovranità.13
Queste dispute e i rapporti con gli altri paesi sembravano doversi aggravare da quando Abe ha istituito il suo nuovo governo: in molti sia in Giappone che all’estero erano inizialmente preoccupati dal “nazionalismo” del primo ministro, ma questa
12 Motoko RICH, Shinzō Abe gets one step closer to becoming Japan’s longest-serving premier,
The New York Times, 20 Settembre 2018.
https://www.nytimes.com/2018/09/20/world/asia/japan-shinzo-abe-election.html
13 S.a., Down-turn Abe, The Economist, 5 gennaio 2013. http://www.economist.com/news/leaders/21569030-countrys-dangerously-nationalistic-new-cabinet-lastthing-asia-needs-down-turn-abe
19 tendenza è stata negata fin da subito dal nuovo Consigliere del governo Yachi Shōtaro.14
L’amministrazione di Abe è stata oggetto di critiche da parte dei media giapponesi dato che alcuni membri e lo stesso Abe rifiutano apertamente il pacifismo costituzionale che gli Stati Uniti d’America hanno imposto al Giappone con la Costituzione del 1946. Quasi la metà dei ministri nominati da Abe sostengono la revisione dei libri scolastici per oscurare alcuni eventi della storia giapponesi molto scomodi per il governo. Un argomento importante e fonte di critiche è la questione delle “comfort women”, che interessa la Corea del Sud, e le dichiarazioni in merito da parte del membro del Partito Liberal Democratico alla Camera dei rappresentanti Sugita Mio.
Le critiche contro di lei sono riassunte dall’autrice Satoko Oka Norimatsu come segue: “membro dell’Atarashii kyōkasho wo tsukuru kai (Società per la riforma dei libri scolastici), Mio Sugita è al primo posto tra i membri del Parito Liberal Democratico nel database Anti racism information center (ARIC)15 per le sue dichiarazioni razziste e di
odio”. Ad esempio, il riferirsi alle comfort-women come delle “prostitute” oppure la negazione del massacro di Nanjing.16
È dunque anche per questi e altri motivi che il governo di Abe si è impegnato a rafforzare i rapporti con gli Stati Uniti ed ha promesso di revisionare la politica di difesa giapponese, compresa la Costituzione stessa.
14 Jōji HORANO, Behind the new Abe diplomacy: an interview with Cabinet Advisor Yachi Shōtarō
(Part one), Nippon.com, 8 Agosto 2013. https://www.nippon.com/en/currents/d00089/
15 È un database che monitora le dichiarazioni dei politici che potrebbero essere considerate
razziste.
16 Mark EALEY, Satoko Oka NORIMATSU, Japan’s far-right politicians, hate speech and historical
denial – Branding Okinawa as “anti-Japan”, The Asia-Pacific Journal: Japan Focus, volume 16,
20
1.3 Il piano economico: l’Abenomics
Alla fine del 2018 il governo giapponese ha dichiarato l’economia del paese in crescita da ventitré mesi, ossia da ottobre del 2016 ad agosto del 2018. Il rallentamento della crescita verso la fine dello scorso anno sarebbe dovuto ad una serie di terremoti, piogge torrenziali e tifoni avvenuti nell’arcipelago giapponese; tuttavia gli indici delle condizioni di lavoro e recenti dati sul PIL suggeriscono un’espansione costante per l’economia giapponese in vista del 2019. Si tratta della più lunga espansione economica per il Giappone dal secondo dopoguerra.17
Da quando è diventato primo ministro nel 2012, e ufficialmente dall’aprile del 2013, Abe ha seguito la politica economica dell’Abenomics per rivitalizzarla: aveva infatti promesso di combattere la crisi finanziaria a tutti costi, anche forzando la Banca centrale del Giappone ad una politica aggressiva18. Con il motto “non c’è benessere fiscale senza
rivitalizzazione economica” il governo di Abe si è posto l’obiettivo di raggiungere dapprima la crescita economica per poi risolvere la crisi fiscale del paese.19 Perciò,
l’Abenomics riguarda una serie di riforme volte a rivitalizzare l’economia del Giappone, composte fondamentalmente da tre direttrici, chiamate le “tre frecce”: una politica monetaria espansiva, un’amministrazione fiscale flessibile, e strategie di crescita che stimolino gli investimenti nei settori privati.
All’inizio ebbe un grande successo che si è subito manifestato negli indicatori economici: il prodotto interno lordo reale è aumentato dallo 0,8% alla fine del 2012 al 2,8% nel 2013; il tasso di disoccupazione è sceso dal 4,2% nel gennaio 2013 al 3,6% nel gennaio 2014. Per riassumere, c’è stato un miglioramento dell’economia, delle condizioni dell’occupazione e dell’indice dei consumi. Questi miglioramenti hanno reso
17 Takumori AKIYOSHI, The Japanese economy in 2019: verging on the longest expansion since
World War II, Nippon.com, 4 gennaio 2019. https://www.nippon.com/en/currents/d00458/
18 Martin FACKLER, Ex-Premier is chosen to Govern Japan Again, The New York Times, 26
dicembre 2012. http://www.nytimes.com/2012/12/27/world/asia/shinzoabe-selected-as-japans-prime-minister.html?_r=0
19 Tobias HARRIS, Abe’s growth-first fiscal policy, Nippon.com, 9 settembre 2015. https://www.nippon.com/en/column/g00310
21 possibile l’aumento della tassa sui consumi nell’aprile 2014 dal 5% all’8%20 per
recuperare il debito nazionale, il che ha portato ad una leggera recessione. Nel prendere questa decisione il primo ministro si è impegnato a rendere l’economia giapponese abbastanza forte da poter sostenere questo ed un successivo aumento (anche se ha dovuto rimandare l’ulteriore aumento al 10% ad ottobre 2019). Così facendo, quando l’economia mondiale ha ripreso a crescere nella seconda metà del 2016, l’aumento delle esportazioni ha permesso al Giappone di svilupparsi ancora. Infatti, nel novembre 2018 è stata registrata la seconda più grande espansione economica dal dopoguerra, che promette di continuare anche nel 2019.21
Nel 2016 Abe ha annunciato in una conferenza stampa dopo la sua rielezione di voler attuare la fase successiva della sua amministrazione nota come Abenomics 2.0: ottenuta la crescita economica, il passo successivo era quello di affrontare i problemi di bassa fertilità e di invecchiamento della popolazione. L’Abenomics 2.0 consiste anche in tre nuove direttrici: l’aumento del PIL giapponese a 600 trilioni di yen entro il 2021, l’innalzamento del tasso di nascita a una media di 1,8 bambini per famiglia, e la sicurezza sul lavoro in modo che nessuno sia forzato a lasciare la propria occupazione per prendersi cura di parenti e/o anziani. Il governo si è anche impegnato ad approvare riforme per garantire adeguate retribuzioni in base all’occupazione e la modifica delle lunghe ore di lavoro.
Finita la stagnazione economica, i problemi di maggior rilievo che il Giappone sta affrontando riguardano la finanza pubblica e le riforme sulla sicurezza sociale. Molti economisti sono preoccupati per una possibile crisi finanziaria giapponese, ed è proprio per questo motivo che recentemente il governo ha fissato due obiettivi per ristabilire l’integrità delle finanze pubbliche: raggiungere un bilancio positivo nel 2025 e la riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL. Al momento sembrano degli obiettivi difficili da raggiungere dato che l’ultima analisi fiscale (di fine 2018) ha previsto un
20 La tassa sui consumi è stata introdotta per la prima volta nel 1989 al 3%; nel 1997 è stata
aumentata al 5% e nel 2010 sia Naoto Kan che il suo successore Noda Yoshihiko avevano promesso di alzarla all’8% e successivamente al 10% l’anno successivo, ma senza riuscirci.
21 Komine TAKAO, Abenomics: an economic recovery, but growth strategies yield few results,
Nippon.com, 20 dicembre 2018. https://www.nippon.com/en/in-depth/a06202/?cx_recs_click=true
22 bilancio ancora negativo (-0.5%) per il 2025. Ancora più urgente sembra il problema delle riforme sociali, che i politici sono restii ad attuare per timore della reazione dei cittadini. La questione del crescente invecchiamento della popolazione porterà inoltre ad un aumento delle spese per le pensioni, assistenza infermieristica e delle cure mediche.22
23
1.4 Il “pacifismo pro-attivo”
Il 4 dicembre del 2013 è stato inaugurato il Concilio di Sicurezza nazionale del Giappone e il 17 dicembre il primo ministro Shinzō Abe ha approvato le prime strategie di sicurezza nazionale con il nuovo Programma di Difesa Nazionale. Queste e altre leggi erano nel suo programma già dalla sua prima amministrazione del 2006: Abe voleva rendere il Kantei una “torre di controllo” dove gestire tutte le questioni di sicurezza nazionale. Tuttavia, la situazione politica con i partiti d’opposizione diventò instabile e Abe fu costretto alle dimissioni anche a causa di problemi di salute, non potendo così realizzare il suo progetto del Concilio di Sicurezza nazionale. Questo non fu visto come di vitale importanza per il paese dai governi successivi, al contrario fu soggetto a severe critiche sia da parte del Partito Liberal Democratico che dal partito Democratico del Giappone; difatti la commissione consultiva del 2007, guidata da Yanai Shunji, precedentemente ambasciatore degli Stati Uniti, lo dichiarò impossibile da accettare in base all’interpretazione della Costituzione in quegli anni.23 Successivamente questa
commissione lavorò per decidere se al Giappone fosse concesso di effettuare quattro azioni principali:
1. Proteggere le navi militari americane sotto attacco in acque vicine al Giappone,
2. Poter abbattere missili nello spazio aereo giapponese, ma con obiettivo diverso allo stato nipponico,
3. Poter aiutare contingenti stranieri sotto attacco come operazione di pace delle Nazioni Unite,
4. Fornire supporto a forze militari straniere durante operazioni di pace.
Si concluse che il Giappone non poteva eseguire nessuna di queste quattro azioni, e che ciò fosse estremamente svantaggioso per gli interessi della nazione. Ne conseguì
23 Shin’ichi KITAOKA, The turnabout of Japan’s security policy: toward “proactive pacifism”,
24 il volerle rendere possibili per il Giappone, ma per farlo sarebbe stata necessaria una re-interpretazione della Costituzione.
La questione fu riaperta quando Abe ottenne il suo secondo mandato e partecipò di persona alle discussioni della commissione consultiva ristabilita. Il neoistituito Concilio di Sicurezza nazionale del 2013 dovette quindi riformulare le strategie di difesa. Il Giappone mancava infatti di norme diplomatiche e di difesa adeguate per i tempi contemporanei, in quanto le leggi di base sulla difesa nazionale furono compilate nel 195724, quando il paese era ancora una nazione povera e nel mezzo di potenze che
combattevano per la Guerra Fredda: nel 2013 le norme di difesa nazionale erano quindi aggiornate a 56 anni prima. Considerando che in tempi moderni sono sempre di più i paesi che rendono pubbliche e migliorano le proprie strategie di difesa nazionale, in quanto si pensa che in questo modo si possano evitare equivoci con le nazioni confinanti ed ottenere una maggior comprensione dalla popolazione stessa, si può capire perché Abe abbia insistito molto sul modificare queste norme.
L’idea chiave della strategia di sicurezza nazionale formulata da Abe è il “pacifismo pro-attivo”, basato sui principi della cooperazione internazionale. È così spiegato dal Concilio di Sicurezza nazionale:
The key of national security is to create a stable and predictable international environment and prevent the emergence of threats. It is thus necessary for Japan to realize an international order and security environment that are desirable for Japan, by playing an even more proactive role in achieving peace, stability and prosperity of the international community as a “Proactive Contributor to Peace” based on the principle of international cooperation.
Con questa nuova interpretazione l’intenzione del Giappone risulta chiara: partecipare attivamente agli affari internazionali e rendere la nazione un garante della
24 Le modifiche riguardanti la difesa nazionale attuate dal 1957 in poi sono le seguenti: nel 1994
venne riaffermata l’importanza del trattato di Sicurezza nippo-americano a causa della situazione post-Guerra Fredda e dello sviluppo nucleare della Corea del Nord; nel 2004 quando Koizumi Jun’ichirō prese delle contromisure contro gli attacchi terroristici del 9 Settembre; nel 2010 le linee guida sulla difesa nazionale costituivano un piano militare in preparazione ad un’invasione sovietica.
25 sicurezza più che uno stato da proteggere.25 Ciò costituisce un’idea contraria rispetto al
“pacifismo passivo” precedente, in base al quale più il popolo giapponese rinunciava ad armarsi, più facilmente si sarebbe ottenuto un mondo pacifico.
Il “pacifismo passivo” deriva dall’interpretazione della Costituzione giapponese; esso riguarda il diritto all’autodifesa ed è una delle questioni più controverse del paese; difatti essa esprime chiaramente il volere del popolo giapponese di rinunciare alla guerra nell’articolo 9:
1. Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della nazione, ed alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali.
2. Per conseguire, l’obiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell’aria, e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto.
(Costituzione giapponese, Articolo 9)
La Costituzione giapponese, entrata in vigore il 3 maggio del 1947 durante l’occupazione americana, è tuttora immutata. Questo articolo, rubricato “Rinuncia alla guerra” del capitolo II, rappresenta un caso unico nel diritto costituzionale mondiale.26
Con l’inasprirsi delle tensioni per la guerra fredda ed il successivo scoppio della guerra di Corea, il Giappone vide la necessità di stabilire delle forze di autodifesa. Ciò fu concesso dall’amministrazione americana e in seguito dallo stesso governo giapponese una volta ottenuta l’indipendenza nel 1954, in quanto la Costituzione di fatto non proibisce il possesso di potenziale militare minimo. Così il Parlamento giapponese in quell’anno approvò la legge sulle Forza all’autodifesa, stabilendo delle forze di terra, mare e aria che garantissero la pace e l’indipendenza della nazione per l’autodifesa del proprio paese, ma non di quella internazionale. Enfatizzando il concetto di “potenziale
25 Jeffrey HORNUNG, Boosting Japan’s “proactive contributions to peace”, Nippon.com, 20
novembre 2015. https://www.nippon.com/en/column/g00328/
26 militare minimo”, il Giappone è arrivato oggi ad essere uno dei paesi militarmente più potenti al mondo, se si considera che l’indice di Forza militare del 2018 lo colloca all’ottavo posto.
Secondo il professore di scienze politiche e presidente dell’International
University of Japan Kitaoka Shin’ichi, esistono gravi mancanze derivate dal “pacifismo
passivo”. Essendo il Giappone oggi una delle potenze mondiali più degne di fiducia, ci si aspetterebbe che contribuisca attivamente alla realizzazione della pace internazionale. Negli ultimi dieci anni prima del 2014 le spese militari giapponesi sono rimaste più o meno stazionarie, mentre quelle cinesi sono quadruplicate e lo sviluppo missilistico e di armi nucleari Nordcoreano ha continuato a crescere. In questa situazione è chiaro che il Giappone non ha contribuito a distendere i rapporti fra i paesi asiatici. Dagli anni ’50, il Giappone ha intrapreso azioni ufficiali di assistenza ai paesi del Sudest asiatico contribuendo alla stabilità in quella regione, ed ha partecipato ad operazioni per il mantenimento della pace a nome delle Nazioni Unite nel 1992; queste ad altre azioni sono esempi di “pacifismo proattivo” realizzati nei limiti della Costituzione giapponese, perciò l’obiettivo di Abe sarebbe di continuare con questa strategia per far sì che il Giappone contribuisca maggiormente alla sicurezza internazionale in futuro. Inoltre, nonostante le misure adottate da Abe siano servite a costruire dei rapporti vicendevolmente vantaggiosi e a dimostrare un’apertura al dialogo con la Cina, il professor Kitaoka suggerisce che al Giappone sarebbe bastato avere del potenziale bellico utile al contrattacco, e non armi che prevengano gli attacchi, in quanto scaturirebbero l’allarme delle nazioni vicine.27
Il nuovo Programma di Difesa Nazionale approvato da Abe enfatizza il bisogno di mantenere le forze di difesa ad un certo livello e di collaborazione con i paesi che condividono gli stessi valori del Giappone. Ciò implica un miglioramento delle forze di difesa di terra, di mare e aeree e della loro mobilità verso le isole Sud-occidentali, attraverso l’adozione di nuovi aerei militari che rientrano nel concetto di “armi leggere”. Seguendo le nuove linee-guida il budget di difesa è aumentato di poco più del 2% rispetto all’anno precedente, una percentuale molto modesta rispetto al crescente
27 ritmo delle spese militari cinesi. A livello militare, le forze di terra hanno avuto un aumento di 5,000 uomini rispetto al 2010. A livello diplomatico, Abe si è impegnato per rafforzare l’alleanza con gli Stati Uniti, Australia e India, senza tralasciare i legami strategici con gli stati del Sud-est asiatico, donando equipaggiamento ad alta tecnologia e garantendo l’addestramento alle guardie costiere dell’area.
In una conferenza stampa tenutasi dopo il 1 luglio 2014, quando il governo decise di reinterpretare la Costituzione consentendo al Giappone di esercitare il diritto all’autodifesa collettivo, il primo ministro ha così spiegato la sua decisione per rassicurare la crescente preoccupazione del popolo giapponese verso un possibile militarismo: “Il Giappone non sarà coinvolto in guerre per proteggere altre nazioni, […] il rafforzamento dell’alleanza nippo-statunitense serve da deterrente per assicurare la pace nella regione. Il Giappone rimarrà una nazione votata alla pace.”28
Per quanto riguarda la lotta contro l’ISIS, il Giappone non ha potuto contribuire in termini di spedizioni militari, ma solo con assistenza finanziaria, ad esempio i 200 milioni di dollari per assistenza umanitaria non militare nella guerra antiterroristica. A questo proposito, nel gennaio del 2015 due giornalisti giapponesi, Haruna Yukawa e Kenji Goto, sono stati catturati e successivamente decapitati dallo stato islamico.29
L’incidente ha reso molti giapponesi più consapevoli del fatto che la minaccia dell’ISIS sia globale, e non sono mancati gruppi di protestanti davanti la residenza del primo ministro incolpandolo di aver fatto coinvolgere la nazione in questa situazione concedendo gli aiuti finanziari.30 Le dichiarazioni di Abe sono state di assoluta condanna
contro i terroristi, e di impegno a continuare operazioni di assistenza umanitaria in Medio Oriente. Anche se il Giappone ha accettato solamente 11 dei 5,000 rifugiati che cercavano di entrare nel paese nel 2014, in quanto, stando alla dichiarazione di Abe “ci
28 S.a., Abe’s move toward collective self-defense, Nippon.com, 11 luglio 2014, https://www.nippon.com/en/features/h00062/
29Mieczyslaw P. BODUSZYNSKI, Christopher K. LAMONT, Islamic State and Japan: what next?,
The Diplomat, 6 febbraio 2015. https://thediplomat.com/2015/02/islamic-state-and-japan-what-next/
30 Shannon TIEZZI, Islamic State murders hostage, sparking soul-searching Japan, The Diplomat,
26 gennaio 2015. https://thediplomat.com/2015/01/islamic-state-murders-hostage-sparking-soul-searching-in-japan/
28 sono molte cose che potremmo fare prima di accettare immigrati”31, nello stesso anno
il paese è stato fra i primi con una donazione di 181,6 milioni di dollari all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
In definitiva, con il nuovo Programma di Difesa nazionale e la nuova interpretazione per il diritto all’autodifesa, il Giappone sta attuando dei piccoli cambiamenti alle sue politiche di sicurezza; non si può negare che stia contribuendo come può a salvaguardare la pace della comunità internazionale nell’area Asia-Pacifico, e che Abe stia rendendo questi contributi sempre più simili agli standard delle altre maggiori potenze mondiali.
29
1.5 Politica estera e il Partenariato Trans-Pacifico
Per quanto riguarda la politica estera, Abe sta seguendo gli stessi principi che aveva annunciato durante il suo primo mandato del 2006/2007, che prevedevano di dare priorità all’alleanza con gli Stati Uniti e di considerarla come il punto cardine della politica estera giapponese, pur mantenendo un forte interesse verso gli affari internazionali.
Durante un’intervista del 9 agosto 2013, il consigliere del governo Yachi Shōtaro ha spiegato i punti principali a cui si ispira la diplomazia del primo ministro, orientata ai valori universali quali libertà, rispetto dei diritti umani, democrazia e importanza al ruolo della legge. Allo stesso tempo Abe vorrebbe che tutti i cittadini giapponesi valorizzino la loro storia, le tradizioni e la cultura.32 Per raggiungere questi obiettivi, dopo aver messo
in chiaro che l’alleanza nippo-statunitense ha primaria importanza, Abe si è dedicato alle relazioni con gli altri paesi del Sud-est asiatico e mondiali attraverso una serie di viaggi diplomatici fra il mese di gennaio e giugno del 2013. Dopo aver rinnovato le relazioni con il Vietnam, la Tailandia e l’Indonesia, nel febbraio del 2013 Abe si è recato negli Stati Uniti d’America e ha incontrato il presidente Barack Obama, annunciando insieme a lui la partecipazione dei rispettivi paesi al Partenariato Trans-Pacifico. Nella primavera è stato in Mongolia, Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Turchia. L’incontro fra il presidente russo e un primo ministro giapponese non avveniva da ben dieci anni, perciò Abe e Putin hanno rinnovato una cooperazione bilaterale. Con le nazioni del Medio Oriente c’è stata la promessa di costruire legami più forti a livello economico, culturale ed energetico. Nel mese di maggio 2013 il primo ministro giapponese ha visitato il Myanmar per la prima volta dopo 36 anni, mentre nel mese successivo è andato in Europa, più precisamente in Inghilterra, Irlanda, Polonia e Ungheria, per aderire alla “cooperazione internazionale basata sui valori comuni del ventunesimo secolo”.33
Fin da subito Abe è stato insolitamente attivo nel campo degli affari esteri rispetto ai suoi predecessori, facendo visite in quarantanove paesi nei soli primi due anni
32 HORANO, Behind the new Abe diplomacy…, cit.
33 Jōji HORANO, Behind the new Abe diplomacy: an interview with Cabinet Advisor Yachi Shōtarō
30 del suo secondo mandato (2012-2014). Grazie a questo il Giappone continua oggi ad essere impegnato nelle maggiori iniziative di integrazione economica dell’Asia e dei mercati internazionali.
Come detto in precedenza, dopo essere salito al governo, Abe ha annunciato che avrebbe partecipato insieme agli Stati Uniti alle negoziazioni del Partenariato Trans-Pacifico. La partecipazione a questo progetto per entrare in un libero mercato ed espandere i commerci e gli investimenti con l’estero sembrava infatti l’ideale per realizzare il terzo punto dell’Abenomics, incentrato sulle strategie di crescita volte ad incoraggiare il settore privato.
Il Partenariato Trans-Pacifico (Trans-Pacific Partnership, TPP) è un progetto di regolamentazione dei commerci e degli investimenti a cui finora hanno preso parte dodici paesi dell’area Pacifico-asiatica: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malaysia, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stai Uniti e Vietnam. Il presidente americano Obama l’aveva considerato il fulcro della sua strategia economica in Asia, ritenendolo un modo per assicurarsi che fossero gli Stati Uniti e non la Cina ad incidere sulla stesura delle leggi economiche di questo secolo. Avrebbe potuto essere l’accordo di commercio più grande al mondo in grado di coprire il 40% dell’economia mondiale, finché il nuovo presidente Donald Trump non ha deciso di ritirarsi da esso nel 2017.34
Il Partenariato Trans-Pacifico inizialmente nasce nel 2005 con un accordo di commercio fra Brunei, Cile, Nuova Zelanda e Singapore, arrivando poi a comprendere i paesi sopra citati. Le negoziazioni di questo partenariato erano volte a ridurre le tariffe su merci e servizi, sia prodotti industriali che merci agricole, promuovere nuove leggi per liberalizzare l’e-commerce, migliorare gli standard di manodopera e di rispetto ambientale con l’obiettivo di creare un’area economica integrata e stabilire regole per gli investimenti internazionali. Si volevano superare gli ostacoli politici presenti fra paesi economicamente differenti: ad esempio, fino ad oggi il Giappone ha concesso di ridurre le proprie barriere economiche, il Canada ha permesso più libero accesso ai suoi mercati,
34 James MCBRIDE, Andrew CHATZKY, What is the Trans-Pacific Partnership (TPP)?, Council on
foreign relations, 4 gennaio 2019. https://www.cfr.org/backgrounder/what-trans-pacific-partnership-tpp
31 mentre paesi come Brunei e Vietnam si sono impegnati a modificare le loro leggi sulle condizioni dei lavoratori.
Il raggiungimento dell’accordo, avvenuto il 30 dicembre scorso, è significativo in quanto merci e denaro circoleranno più liberamente nella regione dell’Asia Pacifico. Anche se questo esporrà i prodotti agricoli alla competizione internazionale, le compagnie e i consumatori giapponesi stanno già beneficiando dell’abbassamento sulle tariffe dei prodotti importati, come ad esempio la carne bovina, la cui tariffa è passata dal 38.5% al 27.5%. Il TPPè inoltre visto come un modo per sfidare l’economia cinese: includendo i diritti di proprietà intellettuale e degli investimenti, se in futuro questo accordo dovesse diventare uno standard internazionale, potrebbe intralciare l’economia cinese.35
Dopo il ritiro degli Stati Uniti, è stato il Giappone a condurre le negoziazioni per il TPP: i prossimi propositi sono di far aderire altri paesi per aumentare gli stati soci; sono già in programma per il 2019 conferenze per far aderire nazioni interessate come Tailandia e Gran Bretagna. Per il Giappone è importante anche focalizzarsi su altre zone economiche e rafforzare il sistema di libero commercio: nel mese di febbraio anche l’EPA (Economic Partnership Agreement) fra Giappone ed Europa è entrato in vigore, e sono cominciate le negoziazioni per il TAG (Trade Agreement on Goods) con gli Stati Unti. Tutto ciò è in linea con l’obiettivo di Abe di porre il Giappone al centro dei mercati internazionali per rivitalizzarne l’economia.
35 S. a., As TPP takes effect, take new steps to reinforce multilateral free trade, The Japan News,
32
1.6 Dispute territoriali
Nonostante gli sforzi di Abe per promuovere un Giappone diplomatico e più aperto al dialogo internazionale, ancora oggi persistono dispute territoriali che causano tensione fra lo stato nipponico, la Cina e la Russia. Per quanto riguarda la Cina, essa rivendica il diritto di possesso sulle isole Senkaku, a sud di Okinawa, mentre la Russia ad oggi occupa militarmente i territori del Nord, a nord dello Hokkaido.
1.6.1 Le isole Senkaku/Diaoyu e i rapporti con la Cina
Le isole Senkaku, che in cinese vengono chiamate isole Diaoyu, e a Taiwan isole Diaoyutai, sono un piccolo arcipelago disabitato composto da 5 isole maggiori nel mar cinese orientale. Sono attualmente sotto amministrazione giapponese, in quanto fanno
Figura 1: Le isole Senkaku/Diaoyu, situate a 410 km dall’isola di Okinawa, 170 km dall’isola di Ishigaki (parte della prefettura di Okinawa), 170 km da Taiwan e 330 km dalla costa
cinese.
Origine:
33 parte della prefettura di Okinawa, più precisamente della municipalità di Ishigaki, e sono reclamate sia dalla Repubblica di Cina (Taiwan) sia dalla Repubblica Popolare Cinese, che rivendicano la sovranità sull’arcipelago in base a criteri storici e geografici. Le isole vennero conquistate dal Giappone in seguito alla vittoria della prima guerra sino-giapponese negli anni 1894-1895; con la sconfitta nipponica nella Seconda guerra mondiale esse diventarono parte dell’amministrazione degli Stati Uniti e, insieme all’arcipelago di Okinawa, ritornarono sotto il controllo giapponese nel 1972. Dato che la Cina (così come l’Unione Sovietica, l’Indonesia e l’India) non firmò il Trattato di San Francisco del 1952 che stabiliva quali territori tornarono allo stato nipponico, dagli anni 1970 contesta l’appartenenza giapponese delle isole Senkaku. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che nel 1969 la commissione economica e sociale per l’Asia ed il Pacifico delle Nazioni Unite identificò potenziali riserve di petrolio e gas in prossimità di esse. Secondo il governo giapponese non vi è dubbio che le isole, seppur disabitate, facciano parte del territorio nipponico, dato che per circa 75 anni la Cina non ha mai contestato la loro sovranità, perciò nega che esista una disputa a questo proposito; il governo cinese invece sostiene che tale disputa ci sia, anche se non sono state intraprese azioni militari o simili a questo riguardo. Dato che la Cina insiste nel volerne ottenere il controllo, agli occhi della comunità internazionale esiste dunque una disputa sulla sovranità delle isole Senkaku.36
Una “disputa internazionale” è infatti una questione di determinazione oggettiva: essa esiste quando “è presente una divergenza su una legge o un fatto, un conflitto legali di interessi fra due parti”, come stabilito dalla Corte internazionale di giustizia; perciò una semplice negazione della contesa da parte del governo giapponese non prova che essa non esista.
Il punto di vista della Cina per portare avanti la disputa è il seguente: il paese aveva scoperto e dato il nome di “isole Diaoyu” nel XIV-XV secolo, e rappresentavano il confine marittimo fra la Cina e il regno delle Ryūkyū37; il fatto che fossero disabitate non
significava che le isole fossero “terra nullius”. Sotto la dinastia Qing (1644-1912) le isole
36 Takashi SHIRAISHI, Nobel selection, Noda rejection, Nippon.com, 20 novembre 2012.
https://www.nippon.com/en/column/f00014/
34 vennero poste sotto l’amministrazione del governo di Taiwan. Da parte sua il Giappone reclama il controllo delle isole Senkaku in quanto furono acquisite e incorporate alla prefettura di Okinawa nel 1895, e da quel momento sono state sotto controllo effettivo dello stato nipponico. Tuttavia, agli occhi della Corte internazionale di giustizia, sono i trattati ad avere un ruolo preferenziale nelle decisioni di sovranità territoriale.38
Con la vittoria a seguito della prima guerra sino-giapponese venne firmato il Trattato di Shimonoseki il 17 aprile del 1895, il cui l’articolo 2 precisa che la corte Qing fu costretta a cedere “l’isola di Formosa, insieme a tutte le isole appartenenti alla cosiddetta isola di Formosa” al Giappone39. Di conseguenza furono cedute anche le isole
Diaoyu. Successivamente, una serie di trattati internazionali firmati dopo la Seconda Guerra mondiale costituiscono le basi legali cinesi per rivendicare la sovranità sulle isole Diaoyu. Innanzitutto, la dichiarazione del Cairo del 1943, firmata dagli Stati Uniti, Inghilterra e Cina, stabiliva che tutti i territori cinesi conquistati dal Giappone, comprese la Manciuria, l’isola di Taiwan e le isole Pescadores, avrebbero dovuto essere restituiti alla Repubblica di Cina. Questo accordo è incluso nell’ottavo punto della Dichiarazione di Potsdam del 1945, ossia la proclamazione dei termini per la resa giapponese firmato dagli stessi stati. In aggiunta, i confini territoriali giapponesi vennero ridefiniti nel 1946 dallo SCAP (Comandante supremo delle forze alleate), e non includevano le isole Diaoyu.
Il Giappone si affida invece a trattati multilaterali per far valere i suoi diritti di amministrazione sulle isole: primo fra tutti, il già citato Trattato di San Francisco; a seguire, alcuni accordi bilaterali, tra cui il Trattato di trasferimento delle Ryūkyū del 1971 e il decreto amministrativo delle Ryūkyū emanato dagli Stati Uniti che fu valido dal 1950 al 1972. Il primo fra questi è considerato dal governo giapponese come base per la disputa, anche se la sua legalità e applicabilità rimangono problematiche in quanto la Cina non prese parte a questa disposizione del dopoguerra. Lo stato cinese ne dovrebbe rimanere escluso agli occhi della legge internazionale.40
38 Dan LIU, Diaoyu islands dispute: A China perspective, The Diplomat, 8 agosto 2018. https://thediplomat.com/2018/08/diaoyu-islands-dispute-a-chinese-perspective/
39 Trattato di Shimonoseki, 17 aprile 1895, testo tratto dal sito dell’USC, University of Southern
California. https://china.usc.edu/treaty-shimonoseki-1895
35 È chiaro che questa situazione causi tensione fra i governi di Tōkyō e di Pechino. Attualmente il governo giapponese ha vietato l’accesso alle isole per non creare turbative con la Cina. Conformemente alla sua politica diplomatica, il primo ministro Abe ha subito chiarito le sue intenzioni ad aprire il dialogo, in caso ce ne fosse bisogno, per risolvere la questione con il presidente cinese. Allo stesso tempo però ribadisce la necessità di rafforzare la Guardia costiera giapponese e le forze della Marina militare per prevenire incidenti come collisioni fra barche di pescatori, già avvenute in passato, e le continue intrusioni da parte di aerei cinesi nello spazio aereo giapponese.
1.6.2 I Territori settentrionali/isole Curili e i rapporti con la Russia
Per quanto riguarda la disputa territoriale con la Russia sulle isole Curili, una soluzione potrebbe essere più vicina in quanto sia il primo ministro Abe che il presidente Putin hanno dichiarato più volte durante lo scorso anno di voler accelerare i negoziati per risolvere la contesa in corso, oltre che migliorare la cooperazione economica fra i due paesi.
Figura 2: I Territori settentrionali/isole Curili, a Nord dello Hokkaido
Origine:
36 Le isole Curili (in giapponese dette Chishima rettō - 千島列島) costituiscono un arcipelago di sessanta isole situate fra l’isola giapponese di Hokkaidō e la penisola russa della Kamčatka; determinano il confine naturale tra il mare di Ochotsk e il Pacifico settentrionale. Furono abitate dagli Ainu da tempo immemorabile fino a quando non vennero cacciati dai russi provenienti dal Nord di esse. Attualmente il Giappone rivendica le quattro isole maggiori più meridionali dell’arcipelago, chiamate dal governo giapponese Territori Settentrionali e da quello russo Curili del Sud: sono le isole di Iturup, Kunashir, Shikotan e Habomai, che ad oggi ospitano basi militari aeree e navali russe. La loro amministrazione fu affidata al Giappone con il Trattato di Shimoda del 1855, ma queste furono occupate dall’ex Unione Sovietica in seguito alla resa del Giappone del 1945. Nel 1956 vi fu una dichiarazione congiunta sovietico-giapponese che pose fine allo stato di guerra (dato che la Russia non firmò il Trattato di pace di San Francisco), restaurò le relazioni diplomatiche fra i due paesi, ma non riuscì a risolvere la questione territoriale. Questo trattato viene considerato la base per le negoziazioni ancora oggi in corso.
Nel 2012 Putin aveva proposto al governo giapponese una sorta di compromesso utilizzando il termine giapponese hikiwake, ossia “pareggio”, in cui il governo di Mosca sarebbe stato disposto a cedere due (Habomai e Shikotan) delle quattro isole per porre fine alla disputa. Abe ha invece più volte ribadito che senza la cessione di tutte e quattro le Curili meridionali non ci sarebbe stato alcun trattato.
Per il Giappone la restituzione delle isole rappresenterebbe non solo una questione che tocca il sentimento nazionale, ma sarebbe anche molto importante per un paese con scarse risorse naturali, poiché esse sono circondate da ricche zone di pesca, oltre che da riserve offshore di petrolio e gas. Per la Russia invece le isole rappresentano una naturale barriera strategica attorno al mare di Okhotsk, quindi garantirebbero un rifugio sicuro per i sottomarini militari oltre che essere una base di appoggio e rifornimento per la flotta russa. Inoltre, il presidente russo tiene in considerazione il fatto che una volta cedute le isole al Giappone, gli Stati Uniti potrebbero insediarvisi con delle basi militari.
Con il procedere dei negoziati, ciascun capo di stato sta anche prendendo in considerazione l’opinione pubblica: in Russia, il trasferimento anche solo di una delle quattro isole potrebbe causare una serie di critiche verso Putin. Secondo un sondaggio