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Il caso Taricco e l'ordinanza 24 del 2017: prove di dialogo a senso unico

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(1)

MilanoN•NGiuffrèNEditore

RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE

AnnoNLXNFasc.N1N-N2017

ISSNN0557-1391

CristianoNCupelli

IL CASO TARICCO E

L’ORDINANZA 24 DEL 2017:

PROVE DI DIALOGO

A SENSO UNICO

Estratto

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b) Giurisprudenza costituzionale

CORTE COSTITUZIONALE

Ord. 23 novembre 2016 (dep. 26 gennaio 2017), n. 24 Pres. Grossi — Rel. Lattanzi

Cause di estinzione del reato - Prescrizione del reato - Reati tributari - Compati-bilità con la direttiva 2006/112/UE e con l’art. 325 TFUE - Questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 11, 24, 25, comma 2, 27, comma 3, e 101, comma 2, Cost., dell’art. 2, l. 2 agosto 2008, n. 130, nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, come interpretato dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Ta-ricco - Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

(Cost. artt. 3, 11, 24, 25, 27, 101; tfue, artt. 325, 267; c.p. artt. 160. 161; d.lg. 10 marzo 2000, n. 74).

Devono essere sottoposte alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, le seguenti questioni di interpretazione dell’art. 325, paragrafi 1 e 2, del medesimo Trattato:

— se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata;

— se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità;

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europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco, debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro (1).

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO. — 1. La Corte di cassazione, terza sezione penale, e la Corte d’appello di Milano hanno investito questa Corte della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea e alcuni atti connessi, con atto finale, protocolli e dichiarazioni, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007), nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957 (Testo consolidato con le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona 13 dicembre 2007), come interpretato dalla sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco.

Con questa decisione la Corte di giustizia ha affermato che l’art. 325 del TFUE impone al giudice nazionale di non applicare il combinato disposto degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, del codice penale quando ciò gli impedirebbe di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero consi-derevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, ovvero quando frodi che offendono gli interessi finanziari dello Stato membro sono soggette a termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per le frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.

Per effetto degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., gli atti interruttivi della prescrizione, per i reati fiscali puniti dal decreto legisla-tivo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205) e aventi a oggetto l’IVA, comportano, di regola e salvo casi particolari, l’aumento di un quarto del tempo necessario a prescrivere. Ove questo aumento si riveli in un numero considerevole di casi insufficiente per reprimere le frodi gravi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, che dipendono dalla mancata riscossione dell’IVA sul territorio nazionale, il giudice penale dovrebbe procedere nel giudizio, omettendo di applicare la prescrizione, e nello stesso modo il giudice dovrebbe comportarsi se la legge nazionale prevede per corrispondenti figure di reato in danno dello Stato termini di prescrizione più lunghi di quelli stabiliti per le frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione.

I giudici rimettenti procedono per frodi fiscali punite dal d.lgs. n. 74 del 2000 e attinenti alla riscossione dell’IVA, che reputano gravi e che sarebbero prescritte ove si dovessero applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., mentre nel caso contrario i giudizi si potrebbero concludere con una pronuncia di condanna. I rimettenti aggiungono che l’impunità

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conse-guente all’applicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. ricorre in un numero considerevole di casi.

La Corte d’appello di Milano prende in esame anche un’ipotesi normativa che ritiene lesiva del principio di assimilazione, perché il delitto di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, previsto dall’art. 291-quater del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), assimilabile all’associa-zione per delinquere allo scopo di commettere delitti in materia di IVA, lesivi degli interessi finanziari dell’Unione, non è soggetto al limite dell’aumento di un quarto stabilito nei casi di interruzione della prescrizione.

In entrambi i giudizi sussisterebbero perciò le condizioni enucleate dall’art. 325, paragrafi 1 e 2, del TFUE, in presenza delle quali il giudice, escludendo la prescrizione, dovrebbe decidere nel merito.

I rimettenti tuttavia dubitano che questa soluzione sia compatibile con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona, espressi dagli artt. 3, 11, 24, 25, secondo comma, 27, terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, con particolare ri-guardo al principio di legalità in materia penale.

Questo principio comporta che le scelte relative al regime della punibilità siano assunte esclusivamente dal legislatore mediante norme sufficientemente determinate e applicabili solo a fatti commessi quando esse erano già in vigore. Secondo i giudici rimettenti, invece, la disapplicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., che concerne anche le condotte anteriori alla data di pubblicazione della sentenza resa in causa Taricco, deter-mina un aggravamento del regime della punibilità di natura retroattiva. Manche-rebbe, inoltre, una normativa adeguatamente determinata, perché non è chiarito, né quando le frodi devono ritenersi gravi, né quando ricorre un numero così considerevole di casi di impunità da imporre la disapplicazione degli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen, cosicché la relativa determi-nazione viene rimessa al giudice.

I giudizi vertono su analoghe questioni e meritano di essere riuniti per una decisione congiunta.

2. Il riconoscimento del primato del diritto dell’Unione è un dato acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell’art. 11 Cost.; questa stessa giurisprudenza ha altresì costantemente affermato che l’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona è condizione perché il diritto dell’Unione possa essere applicato in Italia. Qualora si verificasse il caso, sommamente improbabile, che in specifiche ipotesi norma-tive tale osservanza venga meno, sarebbe necessario dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge nazionale che ha autorizzato la ratifica e resi esecutivi i Trattati, per la sola parte in cui essa consente che quell’ipotesi normativa si realizzi (sentenze n. 232 del 1989, n. 170 del 1984 e n. 183 del 1973).

Non vi è inoltre dubbio che il principio di legalità in materia penale esprima un principio supremo dell’ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell’individuo, per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso portata retroattiva. Tale principio è formulato dall’art. 25, secondo comma, Cost., per il quale « Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso ».

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Se l’applicazione dell’art. 325 del TFUE comportasse l’ingresso nell’ordina-mento giuridico di una regola contraria al principio di legalità in materia penale, come ipotizzano i rimettenti, questa Corte avrebbe il dovere di impedirlo.

3. Occorre perciò preliminarmente stabilire se l’art. 325 del TFUE vada effettivamente applicato nel senso indicato dai rimettenti, oppure se sia suscet-tibile di interpretazioni anche in parte differenti, tali da escludere ogni conflitto con il principio di legalità in materia penale formulato dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione italiana, oltre che con analoghi principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

In presenza di un persistente dubbio interpretativo sul diritto dell’Unione, che è necessario risolvere per decidere la questione di legittimità costituzionale, appare pertanto opportuno sollecitare un nuovo chiarimento da parte della Corte di giustizia sul significato da attribuire all’art. 325 del TFUE sulla base della sentenza resa in causa Taricco.

4. La regola tratta dall’art. 325 del TFUE con la sentenza resa in causa Taricco interferisce con il regime legale della prescrizione dei reati, che il giudice sarebbe tenuto a non applicare nei casi indicati in quella decisione.

Nell’ordinamento giuridico nazionale il regime legale della prescrizione è soggetto al principio di legalità in materia penale, espresso dall’art. 25, secondo comma, Cost., come questa Corte ha ripetutamente riconosciuto (da ultimo sentenza n. 143 del 2014). È perciò necessario che esso sia analiticamente descritto, al pari del reato e della pena, da una norma che vige al tempo di commissione del fatto.

Si tratta infatti di un istituto che incide sulla punibilità della persona e la legge, di conseguenza, lo disciplina in ragione di una valutazione che viene compiuta con riferimento al grado di allarme sociale indotto da un certo reato e all’idea che, trascorso del tempo dalla commissione del fatto, si attenuino le esigenze di punizione e maturi un diritto all’oblio in capo all’autore di esso (sentenza n. 23 del 2013).

È noto che alcuni Stati membri invece muovono da una concezione proces-suale della prescrizione, alla quale la sentenza resa in causa Taricco è più vicina, anche sulla base della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ma ve ne sono altri, tra cui la Spagna (STC 63/2005, del 14 marzo), che accolgono una concezione sostanziale della prescrizione non differente da quella italiana.

Pare utile osservare che su questo aspetto, che non riguarda direttamente né le competenze dell’Unione, né norme dell’Unione, non sussiste alcuna esigenza di uniformità nell’ambito giuridico europeo. Ciascuno Stato membro è perciò libero di attribuire alla prescrizione dei reati natura di istituto sostanziale o processuale, in conformità alla sua tradizione costituzionale.

Questa conclusione non è stata posta in dubbio dalla sentenza resa in causa Taricco, che si è limitata a escludere l’applicazione dell’art. 49 della Carta di Nizza alla prescrizione, ma non ha affermato che lo Stato membro deve rinun-ciare ad applicare le proprie disposizioni e tradizioni costituzionali, che, rispetto all’art. 49 della Carta di Nizza e all’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a

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Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, risultano per l’imputato di maggior favore. Né ciò sarebbe consentito nell’ordinamento italiano quando esse esprimono un principio supremo dell’or-dine costituzionale, come accade per il principio di legalità in campo penale in relazione all’intero ambito materiale a cui esso si rivolge.

5. Sulla base della giusta premessa che il principio di legalità penale riguarda anche il regime legale della prescrizione, questa Corte è chiamata dai giudici rimettenti a valutare, tra l’altro, se la regola tratta dalla sentenza resa in causa Taricco soddisfi il requisito della determinatezza, che per la Costituzione deve caratterizzare le norme di diritto penale sostanziale. Queste ultime devono quindi essere formulate in termini chiari, precisi e stringenti, sia allo scopo di consentire alle persone di comprendere quali possono essere le conseguenze della propria condotta sul piano penale, sia allo scopo di impedire l’arbitrio applicativo del giudice.

Si tratta di un principio che, come è stato riconosciuto dalla stessa Corte di giustizia, appartiene alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri quale corollario del principio di certezza del diritto (sentenza 12 dicembre 1996 in cause C-74/95 e C-129/95, punto 25).

La verifica deve quindi svolgersi su due piani.

Anzitutto, si tratta di stabilire se la persona potesse ragionevolmente pre-vedere, in base al quadro normativo vigente al tempo del fatto, che il diritto dell’Unione, e in particolare l’art. 325 del TFUE, avrebbe imposto al giudice di non applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. in presenza delle condizioni enunciate dalla Corte di giustizia in causa Taricco.

È questo un principio irrinunciabile del diritto penale costituzionale. Oc-corre infatti che la disposizione scritta con cui si decide quali fatti punire, con quale pena, e, nel caso qui a giudizio, entro quale limite temporale, permetta « una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore pre-cettivo » (sentenza n. 5 del 2004).

Non spetta certamente a questa Corte attribuire all’art. 325 del TFUE un significato differente da quello che gli conferisce la Corte di giustizia; è invece suo dovere prendere atto di quel significato e decidere se esso fosse percepibile dalla persona che ha realizzato la condotta avente rilievo penale.

Analoga preoccupazione è peraltro condivisa dalla Corte di Strasburgo in base all’art. 7 della CEDU e alla necessità, costantemente affermata, che reato e pena siano conoscibili dall’autore di un fatto fin da quando esso è commesso. E può essere utile osservare che, pur non negando che lo Stato aderente possa riconoscere alla prescrizione carattere processuale (sentenza 22 giugno 2000, Coëme e altri contro Belgio), ugualmente la Corte EDU si riserva di sanzionarlo quando, in materia penale, non vi sia una base legale certa e prevedibile a sorreggere l’estensione del potere punitivo pubblico oltre il limite temporale previsto al tempo del fatto (sentenza 20 settembre 2011, Oao Neftyanaya Kompaniya Yukos contro Russia).

La compatibilità della regola enunciata dalla sentenza resa in causa Taricco con la CEDU, pertanto, andrebbe valutata sulla base della premessa che in Italia la prescrizione ha natura sostanziale. Per tale ragione, è poi necessario chiedersi, alla luce dell’art. 7 della CEDU, se tale regola fosse prevedibile, e avesse perciò

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base legale (tra le molte, Grande Camera, sentenza 21 ottobre 2013, Del Rio Prada contro Spagna, paragrafo 93).

In tale prospettiva questa Corte è convinta che la persona non potesse ragionevolmente pensare, prima della sentenza resa in causa Taricco, che l’art. 325 del TFUE prescrivesse al giudice di non applicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, cod. pen. ove ne fosse derivata l’impunità di gravi frodi fiscali in danno dell’Unione in un numero considerevole di casi, ovvero la violazione del principio di assimilazione.

In secondo luogo, è necessario interrogarsi, sia sul rispetto della riserva di legge, sia sul grado di determinatezza assunto dall’ordinamento penale in base all’art. 325 del TFUE, con riguardo al potere del giudice, al quale non possono spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale. In parti-colare il tempo necessario per la prescrizione di un reato e le operazioni giuridiche da compiersi per calcolarlo devono essere il frutto dell’applicazione, da parte del giudice penale, di regole legali sufficientemente determinate. In caso contrario, il contenuto di queste regole sarebbe deciso da un tribunale caso per caso, cosa che è senza dubbio vietata dal principio di separazione dei poteri di cui l’art. 25, secondo comma, Cost. declina una versione particolarmente rigida nella materia penale.

In tale prospettiva si tratta di verificare se la regola enunciata dalla sentenza resa in causa Taricco sia idonea a delimitare la discrezionalità giudiziaria e anche su questo terreno occorre osservare che non vi è modo di definire in via interpretativa con la necessaria determinatezza il requisito del numero conside-revole dei casi, cui è subordinato l’effetto indicato dalla Corte di giustizia.

Questa Corte non dubita che esso si riferisca alla sistematica impunità che il regime legale dell’interruzione della prescrizione comporterebbe per le frodi fiscali, tuttavia il concetto rimane per sua natura ambiguo, e comunque non riempibile di contenuto attraverso l’esercizio della funzione interpretativa.

Nell’ordinamento italiano, come anche nell’ordinamento europeo, l’attività giurisdizionale è soggetta al governo della legge penale; mentre quest’ultima, viceversa, non può limitarsi ad assegnare obiettivi di scopo al giudice. Non si può allora escludere che la legge nazionale possa e debba essere disapplicata se ciò è prescritto in casi specifici dalla normativa europea. Non è invece possibile che il diritto dell’Unione fissi un obiettivo di risultato al giudice penale e che, in difetto di una normativa che predefinisca analiticamente casi e condizioni, quest’ultimo sia tenuto a raggiungerlo con qualunque mezzo rinvenuto nell’ordinamento.

6. Dopo aver messo a fuoco gli specifici profili di incompatibilità esistenti tra la regola che la sentenza resa in causa Taricco ha tratto dall’art. 325 del TFUE e i principi e i diritti sanciti dalla Costituzione, è necessario chiedersi se la Corte di giustizia abbia ritenuto che il giudice nazionale debba dare applicazione alla regola anche quando essa confligge con un principio cardine dell’ordinamento italiano.

Questa Corte pensa il contrario, ma reputa in ogni caso conveniente porre il dubbio all’attenzione della Corte di giustizia.

In base all’art. 4, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo con legge 2 agosto 2008 n. 130, ed entrato in vigore il 1º dicembre 2009, i rapporti tra Unione e Stati membri sono definiti in forza del principio di

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leale cooperazione, che implica reciproco rispetto e assistenza. Ciò comporta che le parti siano unite nella diversità. Non vi sarebbe rispetto se le ragioni dell’unità pretendessero di cancellare il nucleo stesso dei valori su cui si regge lo Stato membro. E non vi sarebbe neppure se la difesa della diversità eccedesse quel nucleo giungendo ad ostacolare la costruzione del futuro di pace, fondato su valori comuni, di cui parla il preambolo della Carta di Nizza.

Il primato del diritto dell’Unione non esprime una mera articolazione tecnica del sistema delle fonti nazionali e sovranazionali. Esso riflette piuttosto il convincimento che l’obiettivo della unità, nell’ambito di un ordinamento che assicura la pace e la giustizia tra le Nazioni, giustifica una rinuncia a spazi di sovranità, persino se definiti da norme costituzionali. Al contempo la legittima-zione (art. 11 della Costitulegittima-zione italiana) e la forza stessa dell’unità in seno ad un ordinamento caratterizzato dal pluralismo (art. 2 del TUE) nascono dalla sua capacità di includere il tasso di diversità minimo, ma necessario per preservare la identità nazionale insita nella struttura fondamentale dello Stato membro (art. 4, paragrafo 2, del TUE). In caso contrario i Trattati europei mirerebbero contrad-dittoriamente a dissolvere il fondamento costituzionale stesso dal quale hanno tratto origine per volontà degli Stati membri.

Queste considerazioni sono sempre state alla base dell’azione, sia di questa Corte, quando ha rinvenuto nell’art. 11 Cost. la chiave di volta dell’ordinamento europeo, sia della Corte di giustizia, quando, precorrendo l’art. 6, paragrafo 3, del TUE, ha incorporato nel diritto dell’Unione le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

Ne consegue, in linea di principio, che il diritto dell’Unione, e le sentenze della Corte di giustizia che ne specificano il significato ai fini di un’uniforme applicazione, non possono interpretarsi nel senso di imporre allo Stato membro la rinuncia ai principi supremi del suo ordine costituzionale.

Naturalmente, la Corte di giustizia non è sollevata dal compito di definire il campo di applicazione del diritto dell’Unione, né può essere ulteriormente gravata dall’onere di valutare nel dettaglio se esso sia compatibile con l’identità costituzionale di ciascun Stato membro. È perciò ragionevole attendersi che, nei casi in cui tale valutazione sia di non immediata evidenza, il giudice europeo provveda a stabilire il significato della normativa dell’Unione, rimettendo alle autorità nazionali la verifica ultima circa l’osservanza dei principi supremi dell’ordinamento nazionale. Compete poi a ciascuno di questi ordinamenti stabilire a chi spetti tale verifica. La Costituzione della Repubblica italiana, a tale proposito, la rimette in via esclusiva a questa Corte, e bene hanno perciò fatto i rimettenti a investirla del problema, sollevando una questione di legittimità costituzionale.

7. Quanto appena esposto in termini generali trova conferma nel caso sottoposto a giudizio. La sentenza resa in causa Taricco ha stabilito che l’art. 325 del TFUE ha efficacia diretta e comporta l’obbligo di non applicare una norma-tiva nazionale sulla prescrizione dei reati che, nei casi e alle condizioni indivi-duate, compromette l’effettività della sanzione. La decisione ha altresì escluso, ma solo con riferimento al divieto di retroattività della sanzione penale, che la regola così enunciata sia in contrasto con l’art. 49 della Carta di Nizza e con l’art. 7 della CEDU.

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La sentenza europea prescinde dalla compatibilità della regola con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano, ma pare aver demandato espressa-mente questo compito agli organi nazionali competenti. Infatti, il paragrafo 53 della sentenza afferma che, « se il giudice nazionale dovesse decidere di disap-plicare le disposizioni nazionali di cui trattasi, egli dovrà allo stesso tempo assicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati ». Il para-grafo 55 seguente aggiunge che la disapplicazione va disposta « con riserva di verifica da parte del giudice nazionale » in ordine al rispetto dei diritti degli imputati.

Il convincimento di questa Corte, del quale si chiede conferma alla Corte di giustizia, è che con tali asserzioni si sia inteso affermare che la regola tratta dall’art. 325 del TFUE è applicabile solo se è compatibile con l’identità costitu-zionale dello Stato membro, e che spetta alle competenti autorità di quello Stato farsi carico di una siffatta valutazione.

Nell’ordinamento italiano ciò può avvenire attraverso l’iniziativa del giudice che, chiamato ad applicare la regola, chiede a questa Corte di saggiarne la compatibilità con i principi supremi dell’ordine costituzionale. È poi dovere di questa Corte accertare, se del caso, l’incompatibilità, e conseguentemente esclu-dere che la regola possa avere applicazione in Italia.

Se questa interpretazione dell’art. 325 del TFUE e della sentenza resa in causa Taricco fosse corretta, cesserebbe ogni ragione di contrasto e la questione di legittimità costituzionale non sarebbe accolta.

Resterebbe in ogni caso ferma la responsabilità della Repubblica italiana per avere omesso di approntare un efficace rimedio contro le gravi frodi fiscali in danno degli interessi finanziari dell’Unione o in violazione del principio di assimilazione, e in particolare per avere compresso temporalmente l’effetto degli atti interruttivi della prescrizione.

Ciò posto, occorrerebbe verificare nelle sedi competenti se il problema sia stato risolto dall’art. 2, comma 36-vicies semel, lettera l), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, che ha aumentato di un terzo i termini di prescrizione dei reati puniti dagli articoli da 2 a 10 del d.lgs. n. 74 del 2000, con una disposizione che però non è applicabile a fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge.

Se l’esito della verifica fosse negativo sarebbe urgente un intervento del legislatore per assicurare l’efficacia dei giudizi sulle frodi in questione, eventual-mente anche evitando che l’esito sia compromesso da termini prescrizionali inadeguati.

8. Questa Corte tiene a sottolineare che l’interpretazione appena delineata, se da un lato serve a preservare l’identità costituzionale della Repubblica italiana, dall’altro non compromette le esigenze di uniforme applicazione del diritto dell’Unione e si propone pertanto come soluzione conforme al principio di leale cooperazione e di proporzionalità.

Infatti essa non pone in discussione il significato che la Corte di giustizia ha rinvenuto nell’art. 325 del TFUE.

L’impedimento del giudice nazionale ad applicare direttamente la regola enunciata dalla Corte non deriva da una interpretazione alternativa del diritto

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dell’Unione, ma esclusivamente dalla circostanza, in sé estranea all’ambito materiale di applicazione di quest’ultimo, che l’ordinamento italiano attribuisce alla normativa sulla prescrizione il carattere di norma del diritto penale sostan-ziale e la assoggetta al principio di legalità espresso dall’art. 25, secondo comma, Cost. È questa una qualificazione esterna rispetto al significato proprio dell’art. 325 del TFUE, che non dipende dal diritto europeo ma esclusivamente da quello nazionale.

Va aggiunto che tale qualificazione, nel caso di specie, costituisce un livello di protezione più elevato di quello concesso agli imputati dall’art. 49 della Carta di Nizza e dall’art. 7 della CEDU. Esso, perciò, deve ritenersi salvaguardato dallo stesso diritto dell’Unione, ai sensi dell’art. 53 della Carta, letto anche alla luce della relativa spiegazione.

La Costituzione italiana conferisce al principio di legalità penale un oggetto più ampio di quello riconosciuto dalle fonti europee, perché non è limitato alla descrizione del fatto di reato e alla pena, ma include ogni profilo sostanziale concernente la punibilità. Appare a ciò conseguente che l’Unione rispetti questo livello di protezione dei diritti della persona, sia in ossequio all’art. 53 della Carta di Nizza, il quale afferma che « Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti [...] dalle costituzioni degli Stati membri », sia perché, altrimenti, il processo di integrazione europea avrebbe l’effetto di degradare le conquiste nazionali in tema di libertà fondamentali e si allontanerebbe dal suo percorso di unificazione nel segno del rispetto dei diritti umani (art. 2 del TUE). Al contrario, la Corte di giustizia ha riconosciuto che le modalità con le quali ciascuno Stato membro tutela i diritti fondamentali della persona, anche quando questo comporta una restrizione alle libertà attribuite dai Trattati, non devono necessariamente essere le stesse. Ogni Stato membro protegge tali diritti in conformità al proprio ordinamento costituzionale (sentenza 14 ottobre 2004, in causa C-36/02, Omega Spielhallen und Automatenaufstellungs GmbH contro Oberbürgermeisterin der Bundesstadt Bonn).

Il caso qui esaminato si distingue nettamente da quello deciso dalla Grande Sezione della Corte di giustizia con la sentenza 26 febbraio 2013 in causa C-399/11, Melloni, con la quale si è escluso che, in forza delle previsioni della Costituzione di uno Stato membro, potessero aggiungersi ulteriori condizioni all’esecuzione di un mandato di arresto europeo, rispetto a quelle pattuite con il « consenso raggiunto dagli Stati membri nel loro insieme a proposito della portata da attribuire, secondo il diritto dell’Unione, ai diritti processuali di cui godono le persone condannate in absentia bs

In quel caso una soluzione opposta avrebbe inciso direttamente sulla portata della Decisione quadro 26 febbraio 2009, n. 2009/299/GAI (Decisione quadro del Consiglio che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti proces-suali delle persone e promuovendo l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo), e avrebbe perciò comportato la rottura dell’unità del diritto dell’Unione in una materia basata sulla reciproca fiducia in un assetto normativo uniforme. Vice-versa, il primato del diritto dell’Unione non è posto in discussione nel caso oggi a giudizio, perché, come si è già osservato, non è in questione la regola enunciata

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dalla sentenza in causa Taricco, e desunta dall’art. 325 del TFUE, ma solo l’esistenza di un impedimento di ordine costituzionale alla sua applicazione diretta da parte del giudice.

Questo impedimento non dipende dalla contrapposizione di una norma nazionale alle regole dell’Unione ma solo dalla circostanza, esterna all’ordina-mento europeo, che la prescrizione in Italia appartiene al diritto penale sostan-ziale, e soggiace perciò al principio di legalità in materia penale.

Appare perciò proporzionato che l’Unione rispetti il più elevato livello di protezione accordato dalla Costituzione italiana agli imputati, visto che con ciò non viene sacrificato il primato del suo diritto.

9. Inoltre questa Corte osserva che la sentenza resa in causa Taricco ha escluso l’incompatibilità della regola lì affermata rispetto all’art. 49 della Carta di Nizza con riguardo al solo divieto di retroattività, mentre non ha esaminato l’altro profilo proprio del principio di legalità, ovvero la necessità che la norma relativa al regime di punibilità sia sufficientemente determinata. È questa un’esi-genza comune alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, presente anche nel sistema di tutela della CEDU, e come tale incarna un principio generale del diritto dell’Unione (si veda la già citata sentenza 12 dicembre 1996, in cause C-74/95 e C-129/95).

Anche se si dovesse ritenere che la prescrizione ha natura processuale, o che comunque può essere regolata anche da una normativa posteriore alla commis-sione del reato, ugualmente resterebbe il principio che l’attività del giudice chiamato ad applicarla deve dipendere da disposizioni legali sufficientemente determinate. In questo principio si coglie un tratto costitutivo degli ordinamenti costituzionali degli Stati membri di civil law. Essi non affidano al giudice il potere di creare un regime legale penale, in luogo di quello realizzato dalla legge approvata dal Parlamento, e in ogni caso ripudiano l’idea che i tribunali penali siano incaricati di raggiungere uno scopo, pur legalmente predefinito, senza che la legge specifichi con quali mezzi e in quali limiti ciò possa avvenire.

Il largo consenso diffuso tra gli Stati membri su tale principio cardine della divisione dei poteri induce a ritenere che l’art. 49 della Carta di Nizza abbia identica portata, ai sensi dell’art. 52, paragrafo 4, della medesima Carta.

Tuttavia, l’art. 325 del TFUE, pur formulando un obbligo di risultato chiaro e incondizionato, secondo quanto precisato dalla Corte di giustizia, omette di indicare con sufficiente analiticità il percorso che il giudice penale è tenuto a seguire per conseguire lo scopo. In questo modo però si potrebbe permettere al potere giudiziario di disfarsi, in linea potenziale, di qualsivoglia elemento nor-mativo che attiene alla punibilità o al processo, purché esso sia ritenuto di ostacolo alla repressione del reato.

Questa conclusione eccede il limite proprio della funzione giurisdizionale nello Stato di diritto quanto meno nella tradizione continentale, e non pare conforme al principio di legalità enunciato dall’art. 49 della Carta di Nizza.

Se si ritiene che l’art. 325 del TFUE ha un simile significato resta allora da verificarne la coerenza con l’art. 49 della Carta di Nizza, che ha lo stesso valore dei Trattati (art. 6, paragrafo 1, del TUE), sotto il profilo della carente determi-natezza della norma europea, quando interferisce con i diritti degli imputati in un processo penale.

(12)

10. In conclusione, se la Corte di giustizia dovesse concordare con questa Corte sul significato dell’art. 325 del TFUE e della sentenza resa in causa Taricco, sarebbero superate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici rimettenti.

11. In base all’art. 105 del regolamento di procedura della Corte di giustizia del 25 settembre 2012 si richiede che il presente rinvio pregiudiziale sia deciso con procedimento accelerato.

Si è allo stato generato un grave stato di incertezza sul significato da attribuire al diritto dell’Unione, incertezza che riguarda processi penali pendenti e che è urgente rimuovere quanto prima. Non può inoltre sfuggire la prioritaria importanza delle questioni di diritto che sono state sollevate e l’utilità che i relativi dubbi vengano eliminati il prima possibile.

Visti gli artt. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e 3 della legge 13 marzo 1958, n. 204, recante « Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi internazionali firmati a Bruxelles il 17 aprile 1957: a) Protocollo sui privilegi e sulle immunità della Comunità economica europea; b) Protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia della Comunità economica europea; c) Protocollo sui privilegi e sulle immunità della Comunità europea dell’energia atomica; d) Protocollo sullo Statuto della Corte di giustizia della Comunità europea dell’ener-gia atomica (stralcio: protocolli Euratom) ».

P.Q.M. La Corte costituzionale, riuniti i giudizi

1) dispone di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, le seguenti questioni di interpretazione dell’art. 325, para-grafi 1 e 2, del medesimo Trattato:

se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applica-zione sia priva di una base legale sufficientemente determinata;

se l’art. 325, paragrafi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità;

se la sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea 8 settembre 2015 in causa C-105/14, Taricco, debba essere interpretata

(13)

nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro;

2) chiede che le questioni pregiudiziali siano decise con procedimento accelerato;

3) sospende il presente giudizio sino alla definizione delle suddette que-stioni pregiudiziali;

4) ordina l’immediata trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia del-l’Unione europea.

(1) Il caso Taricco e l’ordinanza 24 del 2017: prove di dialogo a senso unico.

Abstract

Il contributo affronta i risvolti problematici più significativi del caso Taricco alla luce della recente ordinanza n. 24 del 2017 della Corte costituzionale, con la quale è stato disposto un (nuovo) rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Dopo la ricostruzione dei punti fermi in materia di legalità penale (in particolare sotto il profilo della determinatezza e dell’irretroattività) e le precisazioni sulla natura sostanziale della prescrizione, il lavoro analizza la scelta ‘diplomatica’ dei giudici costituzionali, delineando i possibili scenari che essa dischiude e concludendo con alcuni interrogativi in merito alla sua effettiva dimensione dialogica.

(1) The Taricco Case and Order no. 24 of 2017: an Attempt at a One-Way Dialogue.

Abstract

This paper tackles the most significant and troublesome issues related to the Taricco Case in the light of the recent order (No 24 of 2017) issued by the Italian Constitutional Court, which has referred a “new” question to the European Court of Justice for a preliminary ruling. After describing the cornerstones of the principle of legality in criminal law (with a focus on legal certainty and non-retroactivity) and stressing the substantive nature of the statute of limitation, the Author analyses the “diplomatic” choice made by the Italian Constitutional Court and outlines the possible scenarios that may originate from it. He concludes with some open questions as to the actual dialogical content of such decision.

(14)

SOMMARIO: 1. Un ulteriore tassello. — 2. La questione. — 3. L’impatto sulla giurisprudenza interna. — 4. L’ordinanza n. 24 del 2017: l’oggetto del contendere è una questione interpretativa. Punti fermi (anzi fermissimi) e ‘rivendicazioni’. — 5. La natura della prescrizione e la vera posta in gioco. — 6. I due piani di verifica. — 7. La scelta del rinvio pregiudiziale. — 8. Gli scenari. — 9. Un vero dialogo?

1. Un ulteriore tassello. — Con l’ordinanza n. 24 del 2017, depositata lo

scorso 26 gennaio, l’ormai celebre caso Taricco si arricchisce di un ulteriore tassello, senza che tuttavia la vicenda, al crocevia dei rapporti tra diritto dell’UE e diritto penale, giunga a conclusione (1).

(1) Tra i primi commenti all’ordinanza, C. AMALFITANO, La vicenda Taricco nuovamente al vaglio

della Corte di Giustizia: qualche breve riflessione a caldo, in Eurojus.it, 29 gennaio 2017; M. ARANCI,

Ritorno a Lussemburgo: la Corte di Giustizia nuovamente chiamata a pronunciarsi sul caso Taricco, ivi,

1 febbraio 2017; A. BERNARDI, La Corte costituzionale sul caso Taricco: tra dialogo cooperativo e

controlimiti, in Quad. cost., 2017, p. 109 ss.; ID., L’ordinanza Taricco della Corte costituzionale alla prova

della pareidòlia, in corso di pubblicazione in questo stesso fascicolo della Rivista, 2017 (dal dattiloscritto);

R. CALVANO, Una questione pregiudiziale al quadrato...o forse al cubo. Commento all’ordinanza n. 24 del

2017, in Diritti umani e diritto internazionale, 2017, p. 301 ss.; G. CIVELLO, La Consulta, adita sul caso

“Taricco”, adisce la Corte di Giustizia: orientamenti e disorientamenti nel c.d. “dialogo fra le corti”, in Arch. pen., 1/2017; C. CUPELLI, La Corte costituzionale ancora non decide sul caso Taricco, e rinvia la

questione alla Corte di Giustizia, in Dir. pen. cont., 30 gennaio 2017; A. MASSARO, La risposta della Corte

costituzionale alla (prima) sentenza Taricco tra sillogismi incompiuti e quesiti retorici, in Giurisprudenza Penale Web, 2017, 3; F. PALAZZO, La Consulta risponde alla “Taricco”: punti fermi, anzi fermissimi, e

dialogo aperto, in Dir. pen. proc., 2017, p. 285 ss.; I. PELLIZZONE, La Corte costituzionale sul caso Taricco:

principio di determinatezza, separazione dei poteri e ruolo del giudice penale, in Quad. cost., 2017, p. 112

ss.; D. PULITANÒ, Ragioni della legalità. A proposito di Corte cost. n. 24/2017, in Dir. pen. cont., 19 aprile 2017.

Un’articolata disamina del contenuto, degli effetti e delle prospettive dell’ordinanza emerge dagli Atti del Convegno tenutosi all’Università degli studi di Ferrara il 24 febbraio 2017, taluni già apparsi in riviste telematiche (e a quella sede si farà riferimento nelle citazioni) e tutti in corso di pubblicazione nel volume

Il caso Taricco e il dialogo fra le Corti. L’ordinanza 24/2017 della Corte costituzionale, a cura di A.

Bernardi e C. Cupelli, Napoli, 2017; tra questi, in particolare, C. AMALFITANO, Primato del diritto

dell’Unione vs identità costituzionale o primato del diritto dell’Unione e identità costituzionale?; A.

BERNARDI, Note critiche sull’ordinanza Taricco della Corte costituzionale; M. BIGNAMI, Note minime a

margine dell’ordinanza Taricco; L. BIN, Taricco bis: significati, espressi e impliciti, dei promessi

controli-miti; M. CAIANIELLO, L’ordinanza di rinvio della Corte costituzionale nel caso Taricco: dialogo tra sistemi

o conflitto identitario?; L. DANIELE, La sentenza “Taricco” torna davanti alla Corte di Giustizia UE: come

decideranno i giudici europei? (in Eurojus.it, 10 aprile 2017); P. FARAGUNA, La Corte costituzionale insegue

(e supera) Gauweiler: l’ordinanza Taricco disegna un quadro perfetto per il soggetto sbagliato; M. D’AMICO,

Principio di legalità penale e “dialogo” tra le Corti. Osservazioni a margine del “caso Taricco”; G. DE

AMICIS, Il “caso Taricco” e le Corti nel prisma dei controlimiti: dialogo o supremazia?; M. GAMBARDELLA,

Prevedibilità e sufficiente determinatezza della regola Taricco nel nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (in corso di pubblicazione anche in Cass. pen., 2017); R. E. KOSTORIS, La Corte costituzionale e

il caso Taricco, tra tutela dei ‘controlimiti’ e scontro tra paradigmi (anche in Dir. pen. cont., 23 marzo

2017); M. LUCIANI, Intelligenti pauca. Il caso Taricco torna (catafratto) a Lussemburgo (anche in

Osservatorio AIC, 21 aprile 2017 e in corso di pubblicazione in Giur. cost., 2017); V. MANES, La Corte

muove e, in tre mosse, dà scacco a “Taricco”. Note minime all’ordinanza della Corte costituzionale n. 24 del 2017 (anche in Dir. pen. cont., 13 febbraio 2017); S. MARCOLINI-E. MILITELLO-F. RUGGIERI, Il “caso

Taricco” e l’affermazione del principio di legalità processuale; G. MARTINICO, Il potenziale eversivo

dell’identità nazionale alla luce dell’ordinanza 24/2017 della Corte costituzionale; A. MARTUFI, La

minaccia dei controlimiti e la promessa del dialogo: brevi note all’ordinanza n. 24 del 2017 della Corte costituzionale; R. MASTROIANNI, La Corte costituzionale si rivolge alla Corte di Giustizia in tema di

“controlimiti” costituzionali: è un vero dialogo? (anche in Federalismi.it, 5 aprile 2017); D. NEGRI, Dallo

‘scandalo’ della vicenda Taricco risorge il principio di legalità processuale (anche in Arch. pen., 2/2017);

F. PALAZZO, Poche parole sparse per una lettura “europeista” dell’ordinanza della Corte costituzionale

24/2017; I. PELLIZZONE, Il ruolo del giudice penale nella tutela degli interessi finanziari dell’Unione (e

nazionali): battaglia di retroguardia o principio ineludibile da esporre a controlimite del diritto dell’Unione europea? Considerazioni a margine dell’ordinanza n. 24 del 2017 della Corte costituzionale; G. PICCIRILLI,

Discontinuità nel segno del “dialogo” nel rinvio pregiudiziale sul caso Taricco; N. RECCHIA, L’ordinanza

24/2017 della Corte costituzionale nel caso Taricco e il nodo della legittimità di interventi in malam partem della Corte di Giustizia in materia penale; G. RICCARDI, “Patti chiari, amicizia lunga”. La Corte

costitu-zionale tenta il ‘dialogo’ nel caso Taricco, esibendo l’arma dei controlimiti (anche in Dir. pen. cont., 27

marzo 2017); F. ROSSI, L’incidenza del diritto europeo sulla parte generale del diritto penale alla luce della

(15)

La Corte costituzionale, infatti, optando per una soluzione all’apparenza ‘diplomatica’, decide di rinviare in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia la questione, chiedendole in sostanza di avallare una proposta di lettura ‘costituzio-nalmente conforme’ della sentenza dell’8 settembre del 2015 che, se confermata, consentirebbe di superare i dubbi di legittimità costituzionale avanzati dai giudici italiani rimettenti (2).

Nonostante il carattere interlocutorio della decisione, non mancano, nel corpo della densa motivazione, puntualizzazioni di grande rilievo, idonee a rinfocolare — nella prospettiva non solo penalistica — il già acceso dibattito sui tormentati rapporti tra principi costituzionali, fonti sovranazionali e (pronunce delle) Corti in materia penale; il tutto, nell’attesa della “reazione” della Corte di Giustizia, dinanzi alla quale si terrà, a fine maggio e con procedimento accelerato, l’udienza, con una notevole contrazione dei tempi procedurali, stabilita dal Presidente (ai sensi del-l’art. 105 del regolamento di procedura della Corte) in ragione della necessità di eliminare, con una rapida risposta ai quesiti, le “gravi incertezze applicative” emerse nei procedimenti penali pendenti sul significato da attribuire al diritto dell’Unione.

2. La questione. — Facendo un rapido passo indietro, la questione

sottopo-sta al sindacato costituzionale — con distinte ordinanze dalla Terza Sezione penale della Corte di Cassazione e della Corte d’appello di Milano — concerne l’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, §§. 1 e 2, TFUE, come interpretato dalla sentenza Taricco dell’8 settembre 2015. Come è ben noto, in tale pronuncia la Corte di Giustizia, sollecitata dal GUP presso il Tribunale di Cuneo (3), ha affermato l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la disciplina interna in materia di atti interruttivi della prescrizione emergente dagli artt. 160 e 161 c.p., allorquando ritenga che essa, fissando un limite massimo al corso della prescrizione pari, di regola, al termine prescrizionale ordinario aumentato di un quarto, impedisca allo Stato italiano di adempiere agli obblighi di effettiva tutela degli interessi finanziari dell’Unione, imposti dall’art. 325 TFUE, nei casi di frodi tributarie di rilevante entità altrimenti non punite in un numero considerevole di casi (4).

espone, ma non ancora oppone, i controlimiti (anche in Consulta on line, 27 febbraio 2017); R. SICURELLA,

Oltre la vexata quaestio della natura della prescrizione. L’actio finium regundorum della Consulta nell’ordinanza Taricco, tra sovranismo (strisciante) e richiamo (palese) al rispetto dei ruoli (anche in Dir. pen. cont., 19 aprile 2017); C. SOTIS, “Tra Antigone e Creonte io sto con Porzia”. Riflessioni su Corte

costituzionale 24 del 2017 (anche in Dir. pen. cont., 3 aprile 2017); D. TEGA, Il tono dell’ordinanza della

Corte costituzionale n. 24/2017 e i suoi destinatari: narrowing the dialogue (anche in Forum di Quaderni costituzionali, 6 marzo 2017); A. VENEGONI, La saga Taricco continua: l’ordinanza della Corte

costituzio-nale n. 24 del 2017 ed il futuro del diritto pecostituzio-nale europeo; F. VIGANÒ, Le parole e i silenzi. Osservazioni

sull’ordinanza n. 24/2017 della Corte costituzionale sul caso Taricco (anche in Dir. pen. cont., 27 marzo

2017).

(2) Si tratta del secondo rinvio pregiudiziale compiuto dalla Corte costituzionale italiana in via incidentale (dopo il precedente dell’ordinanza 18 luglio 2013, n. 207 in materia di personale scolastico) e del primo in cui viene evocato un possibile conflitto con i principi supremi dell’ordine costituzionale.

(3) Con una questione pregiudiziale sollevata con ordinanza 17 gennaio 2014, reperibile in Dir.

pen. cont., 7 febbraio 2014.

(4) Sulla sentenza della Corte di Giustizia (in Dir. pen. cont., 14 settembre 2015), si vedano, per tutti e senza pretesa di esaustività, F. VIGANÒ, Disapplicare le norme vigenti sulla prescrizione nelle frodi in

materia di IVA?, in Dir. pen. cont., 14 settembre 2015; ID., Il caso Taricco davanti alla Corte

costituzio-nale: qualche riflessione sul merito delle questioni, e sulla reale posta in gioco, ivi, 9 maggio 2016; V.

MANES, La “svolta” Taricco e la potenziale “sovversione di sistema”: le ragioni dei controlimiti, ivi, 6 maggio 2016; M. GAMBARDELLA, Caso Taricco e garanzie costituzionali ex art. 25 Cost., in Cass. pen., 2016, p. 1462 ss.; V. MAIELLO, Prove di resilienza del nullum crimen. Taricco versus controlimiti, ivi, p. 1250 ss.;

(16)

Due le ravvisate ipotesi di incompatibilità degli artt. 160 e 161 c.p. con il diritto UE:

— la prima, con riferimento all’art. 325, par. 1 TFUE, allorquando il giudice nazionale ritenga che dall’applicazione delle norme in materia di (interruzione della) prescrizione derivi, “in un numero considerevole di casi, l’impunità penale a fronte di fatti costitutivi di una frode grave” in materia di IVA o di interessi finanziari dell’Unione europea, di talché la normativa interna impedisca l’inflizione di sanzioni effettive e dissuasive per tali condotte;

— la seconda, con riferimento all’art. 325, par. 2 TFUE, nel caso in cui il giudice interno verifichi che la disciplina nazionale contempli per i casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari interni termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode (di natura e gravità comparabili) lesivi di interessi finanziari dell’UE. In particolare, l’obbligo di assimilazione si è ritenuto violato a fronte della comparazione con il delitto di associazione finalizzata alla commissione di delitti in materia di accise sui prodotti del tabacco (art. 291-quater d.P.R. n. 43 del 1973), rispetto al quale il diritto interno non ha previsto alcun termine assoluto di prescrizione; con l’effetto che tale fattispecie non è assoggettata al limite massimo complessivo del termine prescrizionale in caso di eventi interruttivi, ricadendo il delitto nella classe dei reati di cui all’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. ai quali non si applica, ex artt. 160 e 161 c.p., il tetto invalicabile dell’aumento di un quarto del tempo necessario a prescrivere.

3. L’impatto sulla giurisprudenza interna. — Istantaneo e proteiforme

l’im-patto sulla giurisprudenza interna. La Terza Sezione penale della Corte di Cassa-zione, nell’udienza del 15 settembre 2015 (5), ha dato un primo e immediato seguito, recependo il dictum della Corte di Giustizia: dapprima, ritenendo integrati i requisiti individuati ai fini della disapplicazione delle disposizioni di cui all’art. 160, ultima parte e all’art. 161 c.p. (la soglia di rilevante gravità delle frodi agli interessi finanziari dell’Unione e la determinazione di una situazione di impunità “in un numero rilevante di casi”); quindi, spendendo anche a livello nazionale, per tacitare i dubbi di legittimità costituzionale, il discutibile argomento della natura processuale della prescrizione, sottratta per tale via alle garanzie del principio di legalità.

In senso diametralmente opposto, e sempre nell’immediatezza, la Seconda Sezione penale della Corte di Appello di Milano, con ordinanza 18 settembre 2015 (6), ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale, sollevando questione di legittimità della sopra citata disposizione, con cui viene ordinata l’esecuzione nell’ordinamento italiano del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea,

2/2016, 15 aprile 2016; C. CUPELLI, Il caso Taricco e il controlimite della riserva di legge in materia penale,

in Giur. cost., 2016, p. 419 ss. Cfr. altresì gli Atti dei Convegni: “Aspettando la Corte costituzionale. Il caso

Taricco e i rapporti tra diritto penale e diritto europeo”, svoltosi a Roma, il 4 ottobre 2016 (pubblicati in Rivista AIC, n. 4/2016); “I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali”,

tenutosi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara il 7-8 aprile 2016 (confluiti nel volume, curato da A. BERNARDI, I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi

costitu-zionali, Napoli, 2017, con ampia presentazione del Curatore, dal titolo I controlimiti al diritto dell’Unione europea e il loro discusso ruolo in ambito penale); “Dal giudice garante al giudice disapplicatore delle garanzie. I nuovi scenari della soggezione al diritto dell’Unione europea: a proposito della sentenza della Corte di Giustizia Taricco”, svoltosi a Firenze il 30 ottobre 2015 e raccolti nel volume, curato da C.

PAONESSAe L. ZILLETTI, titolo Dal giudice garante al giudice disapplicatore delle garanzie, Pisa, 2016.

(5) Cass. Terza Sez. penale, sent. 15 settembre 2015 (dep. 20 gennaio 2016), n. 2210, in Dir. pen.

cont., 22 gennaio 2016.

(6) Pubblicata in Dir. pen. cont., 21 settembre 2015, con commento di F. VIGANÒ, Prescrizione e

reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE: la Corte d’appello di Milano sollecita la Corte costituzionale ad azionare i ‘controlimiti’.

(17)

“nella parte che impone di applicare la disposizione di cui all’art. 325 §§. 1 e 2 TFUE, dalla quale — nell’interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia (...) — discende l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare gli artt. 160 ultimo comma e 161 secondo comma c.p. in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, anche se dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l’impu-tato, per il prolungamento del termine di prescrizione, in ragione del contrasto di tale norma con l’art. 25, co. 2, Cost.”.

Poco dopo, altra Sezione della Cassazione — la Quarta — è tornata sulla questione, ritenendo tuttavia non operante nella fattispecie esaminata l’obbligo di disapplicare gli artt. 160 e 161 (7); a tale prognosi è pervenuta dopo avere vagliato — senza confutarli, ma solo reputandoli insussistenti nel caso di specie — gli aspetti fondamentali del percorso argomentativo delineato dalla Corte di Giustizia, e cioè il requisito della “determinazione della soglia minima di gravità delle frodi in relazioni alle quali andrebbe disapplicata la disciplina nazionale sulla prescrizione” e il diverso atteggiarsi dell’obbligo di disapplicazione a seconda che — al momento della pubblicazione della sentenza Taricco — la prescrizione sia già maturata ovvero ancora pendente (8). In questo contrasto interpretativo, è nuovamente intervenuta la Terza Sezione penale della Corte di Cassazione; disattendendo i precedenti arresti, ha sollevato in due occasioni questione di legittimità costituzio-nale sempre dell’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, per contrasto, stavolta, non solo con l’art. 25, co. 2, ma anche con gli artt. 3, 11, 27, co. 3, 101, co. 2, Cost. (9).

È stata per questa via sdoganata la dottrina dei controlimiti —a lungo relegata in una sorta di ‘limbo applicativo’ — nei confronti dell’ordinamento europeo, riferendola addirittura alla materia penale e invocando a supporto il principio di

legalità rispetto al generale obbligo, per il giudice italiano, di dare applicazione

all’art. 325 TFUE. Tale principio sarebbe vulnerato, ad avviso della Corte d’Appello di Milano e della Cassazione, sotto un duplice punto di vista: a) per l’aggravamento del regime della punibilità di natura retroattiva derivante dalla disapplicazione delle norme relative agli atti interruttivi della prescrizione, concernendo anche le con-dotte anteriori alla data di pubblicazione della sentenza Taricco; b) per la carenza di una normativa adeguatamente determinata, non essendo chiaro né quando le frodi debbano ritenersi gravi, né quando ricorra un numero considerevole di casi di impunità da imporre la disapplicazione, essendo la relativa determinazione rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice.

4. L’ordinanza n. 24 del 2017: l’oggetto del contendere è una questione interpretativa. Punti fermi (anzi fermissimi) e ‘rivendicazioni’. — L’approccio dei

giudici rimettenti non ha convinto la Corte costituzionale, che, una volta riuniti i giudizi, chiarisce subito, anticipando le conclusioni, come il nucleo della questione ruoti attorno a un dubbio di interpretazione del diritto dell’Unione: e cioè se quella proposta sia davvero l’unica possibile declinazione applicativa dell’art. 325 TFUE ovvero si possano enucleare “interpretazioni anche in parte differenti, tali da escludere ogni conflitto con il principio di legalità in materia penale” (§. 3).

(7) Cass. Quarta Sez. penale, sent. 25 gennaio 2016 (dep. 26 febbraio 2016), n. 7914, in Dir. pen.

cont., 3 marzo 2016.

(8) In senso non dissimile, ancor più di recente, sempre Cass. Quarta Sez. penale, sent. 7 giugno 2016 (dep. 24 ottobre 2016), n. 44584, in Guida dir., n. 5/2017, 94 ss.

(9) Cass. Terza Sez. penale, ord. 30 marzo 2016 (dep. 8 luglio 2016), n. 28346, in Dir. pen. cont., 15 luglio 2016; Cass. Terza Sez. penale, ord. 31 marzo 2016 (dep. 1 agosto 2016), n. 33538.

(18)

Prima di svolgere qualche riflessione in merito alla soluzione accolta, occorre ricostruire il percorso argomentativo, mettendo in risalto — al cospetto dei raffinati tentativi di far parlare i silenzi (10), di dare peso alle omissioni (11) e sottolineare le ambiguità (12) — i punti fermi, anzi fermissimi scolpiti nell’ordinanza (13), taluni a mo’ di premessa metodologica, altri come rivendicazioni di principio, particolarmente rilevanti nella dimensione penalistica.

Anzitutto, viene riaffermato il “primato del diritto dell’Unione” quale dato acquisito nella giurisprudenza costituzionale, ai sensi dell’art. 11 Cost. (14), con-dizionato però all’osservanza dei “principi supremi dell’ordine costituzionale ita-liano e dei diritti inalienabili della persona” (§. 2); al contempo, è avallato il metodo seguito, nel far valere l’asserito contrasto con tali principi, dai giudici a quibus, sia con riferimento all’individuazione dell’organo deputato a risolvere tali conflitti, ossia la Corte costituzionale (§. 6) (15), sia per quanto riguarda il percorso processuale, e cioè la scelta di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’atto interno di ratifica ed esecuzione del Trattato di Lisbona nella parte in cui autorizza alla ratifica e rende esecutivo l’art. 325, §§. 1 e 2 TFUE, come interpre-tato nella sentenza Taricco (§. 2) (16).

Viene quindi ribadito come la legalità in materia penale, di cui all’art. 25, co. 2 Cost., rappresenti un “principio supremo dell’ordinamento”, posto a presidio “dei diritti inviolabili dell’individuo, per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e non abbiano in nessun caso portata retroattiva” (§. 2), ma anche quale suggello del principio-cardine della riserva di legge e della separazione dei

poteri, “di cui l’art. 25 co. 2 Cost. declina una versione particolarmente rigida nella

materia penale” (§. 5), in stretto collegamento con i limiti dei poteri del giudice, “al quale non possono spettare scelte basate su discrezionali valutazioni di politica criminale” (§. 5).

Sul punto s’impone subito qualche breve considerazione. In primo luogo, la scelta di privilegiare e insistere sul profilo della legalità/determinatezza, declinato in termini di prevedibilità (17), più vicino alla concezione sovranazionale e

conven-(10) F. VIGANÒ, Le parole e i silenzi, cit., p. 9.

(11) R. MASTROIANNI, La Corte costituzionale si rivolge alla Corte di Giustizia in tema di

“contro-limiti” costituzionali: è un vero dialogo?, cit., p. 3.

(12) R. SICURELLA, Oltre la vexata quaestio della natura della prescrizione, cit., p. 3.

(13) Prendendo in prestito il titolo del citato lavoro di F. PALAZZO, La Consulta risponde alla

“Taricco”: punti fermi, anzi fermissimi, e dialogo aperto.

(14) Riconoscimento valutato positivamente da R. MASTROIANNI, La Corte costituzionale si rivolge

alla Corte di Giustizia in tema di “controlimiti” costituzionali: è un vero dialogo?, cit., p. 4, il quale,

tuttavia, in senso critico, rileva che la Corte, dopo avere ricordato la funzione dell’art. 11 Cost. quale “disposizione fondante il primato del diritto dell’Unione” (...), non ne valorizza adeguatamente “la portata e l’inclusione tra i principi fondamentali inseriti nella prima parte della Costituzione” (p. 5).

(15) V. MANES, La Corte muove e, in tre mosse, dà scacco a “Taricco”, cit., p. 3 e G. RICCARDI,

“Patti chiari, amicizia lunga”, cit., p. 11, per il quale “si tratta di una rivendicazione che sembrava ormai

ineludibile, perché la Corte di giustizia, innescando il meccanismo del ‘dialogo diretto’ con i giudici comuni, ha tentato di dissolvere il controllo accentrato di costituzionalità, così come delineato (anche) nel nostro ordinamento costituzionale”.

(16) Solleva perplessità sulla correttezza della soluzione adottata dai giudici rimettenti, con argomentati riferimenti a significativi precedenti difformi, R. CALVANO, Una questione pregiudiziale al

quadrato...o forse al cubo, cit., p. 303 ss., ad avviso della quale la questione “avrebbe forse dovuto essere

sollevata sì in relazione alla legge di esecuzione del Trattato, ma nella parte in cui essa prevede quali sono gli effetti di una sentenza interpretativa della Corte di Giustizia, quindi riferendosi all’art. 267 TFUE (o magari all’art. 280 TFUE che disciplina l’efficacia esecutiva delle sentenze della Corte di Giustizia)”.

(17) Con riferimento all’insistenza sul principio di determinatezza, si è messo in evidenza, segnalando una contraddittorietà intrinseca nella scelta dei giudici costituzionali, il poco vigore mostrato invece dalla Corte nella stigmatizzazione dei deficit di legalità interna (in particolare da F. VIGANÒ, Le parole

e i silenzi, cit., p. 7 ss.); se ciò è indubbiamente vero, e trova una qualche giustificazione anche “nell’horror vacui che prende la nostra Corte dinanzi ai possibili vuoti di tutela penale” (F. PALAZZO, Poche parole sparse

(19)

zionale di legalità penale e quindi più ‘digeribile’ rispetto alla riserva di legge statale (da sempre guardata con circospezione dalle Corti europee quale ‘baluardo’ delle rivendicazioni di sovranità nazionale in materia penale e nell’ordinanza voluta-mente tenuta “sotto traccia” (18)), ha tutta l’aria di una mossa ‘tattica’ attenta-mente calibrata, nell’attesa di tirare fuori, in un secondo momento e qualora appaia insoddisfacente la risposta della Corte di Giustizia, l’argomento formale della riserva di legge quale controlimite (19).

I giudici costituzionali ‘recuperano’ tuttavia le prerogative formali di garanzia interna qualificando la prevedibilità della decisione giudiziaria quale “principio irrinunciabile del diritto penale costituzionale”, che impone “che la disposizione scritta con cui si decide quali fatti punire, con quale pena, e, nel caso qui a giudizio, entro quale limite temporale, permetta una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo” (§. 5). Un raffinato escamotage, questo, anche nel riferimento al diritto costituzionale scritto, per ribadire le rationes garantiste dell’art. 25 Cost. senza urtare la suscettibilità della Corte di Giustizia. Come si è esattamente colto, infatti, pur al cospetto degli sforzi di annoverare la produzione giurisprudenziale (e segnatamente quella sovranazionale) nell’ambito del diritto scritto (20), “a dover essere sufficientemente determinata è la

disposi-zione scritta” (21), giacché è sul piano normativo — e non giurisprudenziale — che

va scolpita la definizione della fattispecie penale e delle sue componenti (22); e “la prevedibilità dell’esito di una condotta costituirà anche una garanzia aggiuntiva, legata alla performance stabilizzatrice della giurisprudenza, alla luce dell’art. 7 Cedu”, ma “essa opera in addizione rispetto alle tutele costituzionali, e non per sottrazione” e “quand’anche le pronunce giudiziali la assicurino, in quanto conso-lidate, ugualmente sarà necessario che esse siano compatibili con un giudizio prognostico basato sul testo della disposizione normativa scritta perché, in caso contrario, la legalità continuerà a mancare” (23).

È questa la prospettiva nella quale va letta l’enfatizzazione del principio della separazione dei poteri, in collegamento diretto sia con la riserva di legge (24), sia, ancora una volta, con il principio di determinatezza (25). Si tratta di un passaggio

per una lettura “europeista” dell’ordinanza della Corte costituzionale 24/2017, cit, p. 5), nondimeno —

sulla base dell’assunto che “che adducere inconveniens non è certo solvere argumentum, specie quando l’inconveniens si riferisce a una patologia pregressa e non certo alla soluzione che si prospetta” (M. LUCIANI, Intelligenti pauca, cit., p. 8) — la presa di posizione ‘forte’ sul punto da parte della Corte costituzionale potrebbe essere interpretata quale positivo segnale di discontinuità e segnare il passaggio a un atteggia-mento più rigoroso anche sul versante del rispetto del principio di determinatezza — e più in generale di legalità penale — tra le mura domestiche (in questa prospettiva, volendo, cfr. C. CUPELLI, Il problema della

legalità penale. Segnali in controtendenza sulla crisi della riserva di legge, in Giur. cost., 2015, p. 181 ss.).

(18) A. BERNARDI, L’ordinanza Taricco della Corte costituzionale alla prova della pareidòlia, cit., §. 4.4.

(19) Su questo scenario, anche nei suoi risvolti problematici, v. infra, § 8; sulla riserva di legge in materia penale quale controlimite, si rinvia a C. CUPELLI, Il caso Taricco e il controlimite della riserva di

legge in materia penale, cit., p. 430 ss. e ID., Hobbes europeista? Diritto penale europeo, auctoritas e

controlimiti, in Criminalia 2013, p. 339 ss.

(20) F. VIGANÒ, Le parole e i silenzi, cit., p. 10 ss.

(21) M. BIGNAMI, Note minime a margine dell’ordinanza Taricco, cit., §. 3; in senso (parzialmente)

difforme, M. GAMBARDELLA, Prevedibilità e sufficiente determinatezza della regola Taricco nel nuovo rinvio

pregiudiziale alla Corte di Giustizia, cit., §. 5.

(22) M. LUCIANI, Intelligenti pauca, cit., p. 8.

(23) M. BIGNAMI, Note minime a margine dell’ordinanza Taricco, cit., §. 3.

(24) Collegamento messo in risalto da F. PALAZZO, La Consulta risponde alla “Taricco”: punti

fermi, anzi fermissimi, e dialogo aperto, cit., p. 286.

(25) Insistono su tale principio, anche in rapporto al ruolo del giudice, I. PELLIZZONE, Il ruolo del

giudice penale nella tutela degli interessi finanziari dell’Unione (e nazionali), cit., §. 3; ID., La Corte

costituzionale sul caso Taricco: principio di determinatezza, separazione dei poteri e ruolo del giudice penale, cit., p. 112 ss. e G. RICCARDI, “Patti chiari, amicizia lunga”, cit., p. 6 ss. Sui rapporti tra creatività

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