DIPARTIMENTO DI
FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA
CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA E STORIA
DELL’ANTICHITA'
TESI DI LAUREA
Il lessico dell’apprendimento in Isocrate: Contro i Sofisti,
Encomio di Elena, Antidosi e Panatenaico
RELATORE CANDIDATO
Dott.ssa Maria Isabella Bertagna Simona D’Amico
CORRELATORE
Dott.ssa Margherita Erbì
INDICE
INTRODUZIONE ... 4
I CAPITOLO : Contro i Sofisti ... 5
II CAPITOLO : Encomio di Elena ... 21
III CAPITOLO : Antidosi ... 33
IV CAPITOLO : Panatenaico ... 103
CONCLUSIONI ... 137
Παιδεία ... 137
Φιλοσοφία ... 138
Διδάσκω ... 140
Παραδίδωμι ... 141
Μανθάνω ...142
Εὑρίσκω ...142
Μιμέομαι ... 144
Διατρίβω ... 145
Συνουσία ... 146
BIBLIOGRAFIA ... 148
RINGRAZIAMENTI ... 157
4
INTRODUZIONE
In questo lavoro ho analizzato il lessico dell’apprendimento all’interno di
quattro delle opere isocratee che maggiormente affrontano il tema della paideia:
la Contro i Sofisti, l’Encomio di Elena, l’Antidosi e il Panatenaico.
La ricerca è stata sviluppata prendendo in considerazione i termini più frequenti
nella descrizione del processo paideutico in Isocrate, facendo particolare
attenzione al contesto all’interno del quale i termini compaiono.
Il raggiungimento di uno schema complessivo che metta in evidenza la
costellazione lessicale del processo dell’apprendimento per Isocrate è stato il fine
principale della ricerca. Tra V e IV sec. a. C. il ruolo dell’educazione era posto in
primo piano nelle diverse scuole di pensiero allora presenti, basti pensare che oltre
ad Isocrate, vi erano Platone
1e i Sofisti
2, i quali proponevano un sistema
educativo per la formazione dei cittadini. Questa triade di possibilità paideutiche
rappresentava un importante punto di riferimento per i cittadini in quanto ad esse
rimettevano la loro formazione culturale ed intellettuale.
Per quanto rigurada Isocrate, se per lui la natura ha un ruolo importante come
dispensatrice di potenzialità, l’educazione ha un ruolo determinante nella
formazione dell’individuo, sviluppandone le potenzialità.
3Il testo utilizzato per la traduzione è stato quello di Marzi
4, i casi in cui ci si è
discostati dalla sua traduzione sono stati opportunamente riportati in nota. Per una
visione generale di Isocrate rimando al testo di Nicolai
5, mentre per il tema
dell’educazione nell’antichità due utili contributi sono rappresentai dai testi di
Marrou
6e di Jaeger.
7
1 Per la scuola platonica un utile contributo è rappresentato dai seguenti testi: cfr. ERLER 1991;
FRIEDLÄNDER 2004;HASKINS 2000.Per le lettere platoniche cfr. MADDALENA 1948. Per il rapporto tra le strategie letterarie di Platone e Isocrate cfr. ROSCALLA 1998.
2 In riferimento alla scuola proposta dai Sofisti cfr. BONAZZI 2010;KERFERD 1997. Sul rapporto tra
i Sofisti e Paltone cfr. GARGANO 1996.
3 Cfr. BELLATALLA 2013, p. 36. 4 Cfr. MARZI 1991.
5 Cfr. NICOLAI 2004. 6 Cfr. MARROU 1994. 7 Cfr. JAEGER 1983.
5
I CAPITOLO : Contro i Sofisti
All’interno della produzione isocratea, dopo la fase delle orazioni
giudiziarie, ovviamente le più povere di riferimenti pedagogici, troviamo quello
che può essere definito “il programma della scuola di Isocrate” a partire dalla
Contro i Sofisti e dall’Encomio di Elena (composte fra il 390 e il 380 a.C.).
L’orazione Contro Sofisti
8(390 a. C.) si distingue nettamente in due parti. Nella
prima parte (paragrafi: 1-13) l’autore polemizza contro due distinte categorie di
maestri, suoi rivali in campo educativo. In primo luogo attacca gli eristi, ai quali
rimprovera di promettere più di quanto possono mantenere e di essere avidi di
denaro, e i maestri di eloquenza pubblica, che pretendono d’insegnare, nonostante
la loro ignoranza, e di applicare all’arte oratoria i procedimenti fissi e automatici
della scrittura. Nella seconda parte Isocrate traccia uno schema dei fondamenti del
suo metodo d’insegnamento: far leva sulle doti naturali dei discepoli, insegnare
l’uso delle diverse forme del pensiero e presentare come modello le opere del
maestro.
9Isocrate quindi si oppone agli eristi che promettono di guidare alla felicità e di
insegnare la virtù, affermando che non è possibile per l’uomo prevedere il futuro.
Egli definisce per la prima volta le competenze del maestro di retorica, che deve
possedere la tecnica senza ridursi alla sua meccanica applicazione, insegnando ad
argomentare ed essendo un ottimo maestro nel presentare i modelli da studiare e
imitare.
D’altra parte, pur non disprezzando del tutto gli insegnamenti avuti da Prodico e
da Gorgia, maestri d’una parola fascinatrice e mirabilmente atta a persuadere, ma
priva di fondamento etico, Isocrate non poté seguire interamente né la pratica, né
la teoria sofistica. Troppe le differenze dai Sofisti: dal radicamento nella sua città,
in pieno contrasto col proclamato cosmopolitismo sofistico, alle implicazioni di
natura etica connesse al processo di formazione
10.
8 In questo scritto Isocrate si pone, come primo assunto, quello di chiarire la differenza fra eristica
e filosofia. La capacità di discutere facendo prevalere una tesi qualsivoglia, indipendentemente se vera o falsa, solo per sopraffazione derivante da abilità nella discussione, non è segno di una vera superiorità intellettuale, e Isocrate vede la prova della vacuità della prestazione consistente nell’insegnamento sofistico nel tenue compenso richiesto per esso. Cfr. LEVI 1959, p. 92.
9 Cfr. CECCHI 1959, pp. 14-15. 10 Cfr. GONELLA 1961, pp. 6-7.
6
La parte iniziale dell’orazione vede il concetto di παιδεία
11strettamente legato con
quello di φιλοσοφία nel senso isocrateo di cultura volta alla formazione integrale
dell’uomo attraverso la retorica (1):
(1) Εἰ πάντες ἤθελον οἱ παιδεύειν ἐπιχειροῦντες ἀληθῆ λέγειν καὶ μὴ μείζους ποιεῖσθαι τὰς ὑποσχέσεις ὧν ἔμελλον ἐπιτελεῖν, οὐκ ἂν κακῶς ἤκουον ὑπὸ τῶν ἰδιωτῶν· νῦν δ’ οἱ τολμῶντες λίαν ἀπερισκέπτως ἀλαζονεύεσθαι πεποιήκασιν ὥστε δοκεῖν ἄμεινον βουλεύεσθαι τοὺς ῥᾳθυμεῖν αἱρουμένους τῶν περὶ τὴν φιλοσοφίαν διατριβόντων. Τίς γὰρ οὐκ ἂν μισήσειεν ἅμα καὶ καταφρονήσειεν πρῶτον μὲν τῶν περὶ τὰς ἔριδας διατριβόντων, οἳ προσποιοῦνται μὲν τὴν ἀλήθειαν ζητεῖν, εὐθὺς δ’ ἐν ἀρχῇ τῶν ἐπαγγελμάτων ψευδῆ λέγειν ἐπιχειροῦσιν;
Se tutti coloro che si occupano di educazione volessero dire la verità e non promettessero più di quanto possono mantenere, non avrebbero cattiva fama presso la gente comune; ma in realtà i maestri che non hanno scrupolo di vantarsi troppo sconsideratamente hanno fatto sì che chi preferisce starsene in ozio sembra prendere un partito migliore di chi si dedica alla filosofia.
E come non odiare e insieme disprezzare anzitutto coloro che si dedicano a dispute verbali? Essi fingono di cercare la verità, ma subito fin dall’enunciazione del loro programma, cominciano a mentire.
Per Isocrate la φιλοσοφία era l’oggetto dell’apprendimento inteso come il fine cui
aspirare attraverso l’insegnamento ricevuto. Essa abbraccia un concetto molto
ampio, costituisce la cultura intellettuale che consiste essenzialmente nella
retorica e nell’oratoria: la φιλοσοφία
12rappresenta la formazione integrale
dell’uomo, che sa prendere delle decisioni, che sa fare delle scelte, ma soprattutto
che sa in ogni circostanza la cosa più giusta da dire e di conseguenza anche la
cosa più appropriata da fare, ed è in grado di partecipare in maniera attiva
all’interno della propria comunità, fornendo quindi il proprio contributo in ogni
evenienza con impegno, saggezza e lungimiranza.
13
11 La parola παιδεία ha grande importanza nel pensiero isocrateo ma la si trova usata in due
significati, quello di metodo di educazione, e quello di formazione mentale (generalmente intesa in grado superiore). Quando παιδεία indica un metodo, viene usata nel senso di παίδευσις, parola non infrequente in Isocrate, mentre in altri casi non indica metodo, ma proprio soltanto «formazione», cioè la raggiunta qualifica per liberarsi dalla condizione di ἰδιώτης e raggiungere una dignità superiore nella polis. Questo secondo valore semantico, comune anche a Platone e Aristotele, trasferisce il termine dal metodo ai suoi risultati. Cfr. LEVI 1959, p.68.
12 Per un’analisi più approfondita della parola φιλοσοφία cfr. WERSDÖRFER 1940 e cfr. LUZZATTO
2008,pp. 132-133.
13 Cfr. Fedro, paragrafo (278: d3-5): «Τὸ μὲν σοφόν, ὦ Φαῖδρε, καλεῖν ἔμοιγε μέγα εἶναι δοκεῖ καὶ
7
Nello specifico, nel paragrafo appena analizzato il concetto di φιλοσοφία viene
abbinato al concetto di educazione che ha come scopo “dire la verità”.
In questa critica Isocrate attacca gli eristi, i quali mirano al successo nella
discussione e non nella ricerca della verità. Una verità che invece Isocrate si
prefigge di raggiungere attraverso l’educazione alla φιλοσοφία
14. In questo
contesto compare per ben due volte anche il verbo διατρίβω (con il valore di
“passare del tempo”, “occuparsi di qualcosa”) nel primo caso per coloro che si
occupano delle dispute verbali (con accezione negativa), mentre nel secondo caso
in riferimento alla φιλοσοφία stessa.
Il paragrafo (3) presenta il termine διδασκάλοuς, che secondo Isocrate viene usato
impropriamente dai Sofisti come autodefinizione:
(3) Οὗτοι τοίνυν εἰς τοῦτο τόλμης ἐληλύθασιν, ὥστε πειρῶνται πείθειν τοὺς νεωτέρους ὡς, ἢν αὐτοῖς πλησιάζωσιν, ἅ τε πρακτέον ἐστὶν εἴσονται καὶ διὰ ταύτης τῆς ἐπιστήμης εὐδαίμονες γενήσονται. Καὶ τηλικούτων ἀγαθῶν αὑτοὺς διδασκάλους καὶ κυρίους καταστήσαντες οὐκ αἰσχύνονται τρεῖς ἢ τέτταρας μνᾶς ὑπὲρ τούτων αἰτοῦντες.
Ora, costoro sono giunti a un’impudenza tale da tentar di persuadere i giovani che, se frequenteranno la loro scuola, sapranno ciò che si deve fare, e grazie a questa scienza, diventeranno felici. E pur professandosi maestri e signori di così grandi beni, non si vergognano di chiedere in cambio solo tre o quattro mine.
Qui è mostrata l’invettiva principale che Isocrate fa ai Sofisti, e cioè quella di fare
promesse irrealizzabili come ad esempio garantire, attraverso i loro insegnamenti,
la felicità.
Al paragrafo (4) torna nuovamente l’impropria autodefinizione di διδασκάλους
che i Sofisti, vantandosi della loro intelligenza, tentano di attribuirsi:
ἐμμελεστέρως ἔχοι». Se per Platone φιλόσοφος è colui che tende continuamente al sapere e solo il dio possiede il sapere in modo fisso, per Isocrate, invece, il sapere sembra raggiungibile proprio attraverso il percorso paideutico. Cfr. CENTRONE,1998.
14 La φιλοσοφία come superiorità e maturità intellettuale non si contrappone alla natura umana, ma
la perfeziona, la eleva, e la natura si eleva con il metodo e i risultati dellaπαιδεία, con la didattica, la diligenza, l’esercizio: ma soprattutto crea le condizioni obbiettive perché l’uomo sia degno e capace di governare i suoi simili. Cfr. LEVI 1959, p. 88.
8 (4) ἀλλ’ εἰ μέν τι τῶν ἄλλων κτημάτων πολλοστοῦ μέρους τῆς ἀξίας ἐπώλουν, οὐκ ἂν ἠμφισβήτησαν ὡς οὐκ εὖ φρονοῦντες τυγχάνουσιν, σύμπασαν δὲ τὴν ἀρετὴν καὶ τὴν εὐδαιμονίαν οὕτως ὀλίγου τιμῶντες, ὡς νοῦν ἔχοντες διδάσκαλοι τῶν ἄλλων ἀξιοῦσιν γίγνεσθαι. Καὶ λέγουσι μὲν ὡς οὐδὲν δέονται χρημάτων, ἀργυρίδιον καὶ χρυσίδιον τὸν πλοῦτον ἀποκαλοῦντες, μικροῦ δὲ κέρδους ὀρεγόμενοι μόνον οὐκ ἀθανάτους ὑπισχνοῦνται τοὺς συνόντας ποιήσειν. Ὃ δὲ πάντων καταγελαστότατον…
Ma come? Se vendessero qualche altro oggetto per un prezzo molto inferiore al suo valore, non negherebbero di essere fuori di senno, e invece valutando così poco tutta quanta la virtù e la felicità pretendono di essere intelligenti e di farsi maestri degli altri. E affermano di non aver affatto bisogno di denari, tanto da chiamare la ricchezza un pugno d’argento e d’oro, ma poi, mirando a un magro guadagno, poco manca che promettano ai loro discepoli di renderli immortali. Ma la cosa più ridicola di tutte è…
Al paragrafo (5) subentra anche παραδίδωμι che si presenta ironicamente legato
alla parola “giustizia”, per di più assumendo il valore di “insegnare”. In questo
caso però è sottolineato l’insegnamento nella sua forma peggiore e cioè inteso
come consegna materiale dietro compenso. Proprio per questo motivo Isocrate
inveisce contro i Sofisti dicendo:
(5) ὅτι παρὰ μὲν ὧν δεῖ λαβεῖν αὐτοὺς, τούτοις μὲν ἀπιστοῦσιν οἷς μέλλουσι τὴν δικαιοσύνην παραδώσειν, ὧν δ’ οὐδεπώποτε διδάσκαλοι γεγόνασιν, παρὰ τούτοις τὰ παρὰ τῶν μαθητῶν μεσεγγυοῦνται, πρὸς μὲν τὴν ἀσφάλειαν εὖ βουλευόμενοι, τῷ δ’ ἐπαγγέλματι τἀναντία πράττοντες.
che dei discepoli dai quali devono ricevere danaro, diffidano ‒ eppure si accingono a insegnar loro la giustizia ‒; e invece da persone delle quali non sono mai stati maestri, esigono la garanzia per il compenso dovuto loro dai discepoli. In tal modo ben provvedono alla loro sicurezza, ma agiscono in contrasto con il loro programma.
In questo discorso, come in altri casi, παραδίδωμι tende spesso ad avere come
soggetto i Sofisti e questo elemento suggerisce la valenza negativa che questo
verbo assume nei discorsi isocratei. L’autore infatti sottolinea che i Sofisti fanno
del proprio operato un mestiere falso che al posto di prefiggersi come obbiettivo
principale quello di educare i propri discepoli, sceglie di ingannarli con false
promesse.
9
Occorre però notare come nei primi dialoghi, dal Contro Lochite al Contro i
Sofisti (dal 403 a.C. al 390 a.C.) παραδίδωμι ha generalmente il valore di
“consegnare” in senso prettamente materiale, che si trattasse della patria intesa
come territorio (cfr. Panegirico, paragrafi 109 e 136), del denaro o di uno schiavo,
παραδίδωμι compariva sempre in circostanze che lo vedevano legato a cose o
persone ben precise.
Sembra quindi che in Isocrate, παραδίδωμι, legato a una consegna concreta si
applichi poi agli insegnamenti dei Sofisti. Un’ulteriore conferma della
superficialità dei loro insegnamenti è dettata dal fatto che ingannando i discepoli
con i loro falsi insegnamenti e chiedendo addirittura un compenso per essi, i
Sofisti dimostravano il loro profondo attaccamento agli aspetti più materiali della
vita, tralasciando quelli più nobili e spirituali. Per cui nell’ottica isocratea quella
dei Sofisti non è una vera formazione ma piuttosto uno scambio di beni.
A questo punto, una volta espresso il pensiero sui Sofisti, Isocrate nel paragrafo
(6) si concentra sugli avvertimenti da dare ai propri discepoli per evitare che siano
vittime dei raggiri dei Sofisti:
(6) Τοὺς μὲν γὰρ ἄλλο τι παιδεύοντας προσήκει διακριβοῦσθαι περὶ τῶν διαφερόντων· οὐδὲν γὰρ κωλύει τοὺς περὶ ἕτερα δεινοὺς γενομένους μὴ χρηστοὺς εἶναι περὶ τὰ συμβόλαια· τοὺς δὲ τὴν ἀρετὴν καὶ τὴν σωφροσύνην ἐνεργαζομένους πῶς οὐκ ἄλογόν ἐστιν μὴ τοῖς μαθηταῖς μάλιστα πιστεύειν; Οὐ γὰρ δή που περὶ τοὺς ἄλλους ὄντες καλοὶ κἀγαθοὶ καὶ δίκαιοι περὶ τούτους ἐξαμαρτήσονται δι’ οὓς τοιοῦτοι γεγόνασιν.
A chi insegna qualche altra disciplina conviene badare attentamente ai propri interessi, in quanto nulla vieta che uomini, diventati abili in altri campi, non siano onesti in materia di contratti; ma non è forse illogico che coloro che inculcano la virtù e la temperanza non si fidino completamente dei loro discepoli? Certamente questi, se sono buoni e giusti nei confronti degli altri, non faranno un torto a coloro per opera dei quali sono diventati tali.
Al paragrafo (7) i Sofisti vengono visti come «maestri di sapienza e dispensatori
di felicità». Qui il verbo fa riferimento espressamente a qualcosa d’immateriale e
astratto come la felicità (e non più agli aspetti materiali e concreti come accadeva
nella fase iniziale della produzione isocratea), e dunque emerge la forte ironia di
Isocrate:
10
(7) Ἐπειδὰν οὖν τῶν ἰδιωτῶν τινὲς ἅπαντα ταῦτα συλλογισάμενοι κατίδωσιν τοὺς τὴν σοφίαν διδάσκοντας καὶ τὴν εὐδαιμονίαν παραδιδόντας αὐτούς τε πολλῶν δεομένους καὶ τοὺς μαθητὰς μικρὸν πραττομένους, καὶ τὰς ἐναντιώσεις ἐπὶ μὲν τῶν λόγων τηροῦντας, ἐπὶ δὲ τῶν ἔργων μὴ καθορῶντας, ἔτι δὲ περὶ μὲν τῶν μελλόντων εἰδέναι προσποιουμένους…
Quando dunque alcuni profani, riflettendo su tutto ciò, vedono che i maestri di sapienza e i dispensatori di felicità versano essi stessi in grave bisogno e si fanno pagare un’esigua mercede dai loro discepoli, che spiano le contraddizioni nei discorsi ma non le avvertono nelle azioni, e che inoltre fingono di conoscere il futuro…
In questo paragrafo emerge quanto sia riprovevole agli occhi di Isocrate il
comportamento dei Sofisti sul piano morale.
Questo tipo di concetto viene ribadito subito dopo, al paragrafo (8):
(8) περὶ δὲ τῶν παρόντων μηδὲν τῶν δεόντων μήτ’εἰπεῖν μήτε συμβουλεῦσαι δυναμένους, ἀλλὰ μᾶλλον ὁμονοοῦντας καὶ πλείω κατορθοῦντας τοὺς ταῖς δόξαις χρωμένους ἢ τοὺς τὴν ἐπιστήμην ἔχειν ἐπαγγελλομένους, εἰκότως, οἶμαι, καταφρονοῦσιν καὶ νομίζουσιν ἀδολεσχίαν καὶ μικρολογίαν ἀλλ’ οὐ τῆς ψυχῆς ἐπιμέλειαν εἶναι τὰς τοιαύτας διατριβάς.
ma non sono in grado né di dire né di consigliare nulla di quanto è necessario per il presente; e notano invece che è più coerente e riesce meglio chi usa il buon senso di chi professa di possedere la scienza, ben a ragione, credo, disprezzano tali studi e li ritengono chiacchiere inutili e grette, non cultura dell’anima.
La cultura dell’anima propugnata da Isocrate si contrappone alle chiacchiere
inutili e grette dei Sofisti
15.
Al paragrafo (10) troviamo, sempre ulteriori considerazioni fatte dall’autore in
riferimento ai Sofisti:
(10) καὶ ταύτης τῆς δυνάμεως οὐδὲν οὔτε ταῖς ἐμπειρίαις οὔτε τῇ φύσει τῇ τοῦ μαθητοῦ μεταδιδόασιν, ἀλλά φασιν ὁμοίως τὴν τῶν λόγων ἐπιστήμην ὥσπερ τὴν τῶν γραμμάτων παραδώσειν, ὡς μὲν ἔχει τούτων ἑκάτερον οὐδ’ ἐξετάσαντες, οἰόμενοι δὲ διὰ τὰς ὑπερβολὰς τῶν ἐπαγγελμάτων αὐτοί τε θαυμασθήσεσθαι καὶ τὴν παίδευσιν τὴν τῶν λόγων πλείονος ἀξίαν δόξειν15 Isocrate è a favore di un’educazione più realistica e non una semplice utopia come quella che
11
εἶναι, κακῶς εἰδότες ὅτι μεγάλας ποιοῦσι τὰς τέχνας οὐχ οἱ τολμῶντες ἀλαζονεύεσθαι περὶ αὐτῶν, ἀλλ’ οἵτινες ἂν, ὅσον ἔνεστιν ἐν ἑκάστῃ, τοῦτ’ ἐξευρεῖν δυνηθῶσιν.
E di questa capacità nessun merito attribuiscono all’esperienza o all’ingegno del discepolo, ma affermano di saper trasmettere la scienza dei discorsi allo stesso modo della scrittura, senza aver esaminato qual è la natura di ciascuno di questi due insegnamenti, convinti come sono che con le promesse iperboliche faranno ammirare se stessi e sembreranno dare maggior pregio all’arte oratoria; e non sanno che a far progredire le arti non sono coloro che osano menarne vanto ma chi riesce a scoprire tutto ciò che è insito in ognuna di esse.
In questo caso con il “trasmettere la scienza dei discorsi” ci si avvicina di più
apparentemente alla tematica paideutica, ma resta comunque evidente la forte
vena ironica in riferimento al tipo di scienza che i Sofisti vantano di trasmettere.
Perciò, è di nuovo molto evidente che il verbo παραδίδωμι venga utilizzato per
indicare la falsa conoscenza insegnata dai Sofisti.
Al paragrafo (11) tornano a comparire insieme i termini φιλοσοφία e διατριβή che
può essere come abbiamo accenato sia positiva che negativa. Quando si riferisce
ai Sofisti e ai loro falsi insegnamenti ha un valore prettamente negativo, mentre la
διατριβή legata alla filosofia è positiva, è una nobile occupazione e rappresenta il
lavoro intorno al sapere:
(11) Ἐγὼ δὲ πρὸ πολλῶν μὲν ἂν χρημάτων ἐτιμησάμην τηλικοῦτον δύνασθαι τὴν φιλοσοφίαν ὅσον οὗτοι λέγουσιν· ἴσως γὰρ οὐκ ἂν ἡμεῖς πλεῖστον ἀπελείφθημεν, οὐδ’ ἂν ἐλάχιστον μέρος ἀπελαύσαμεν αὐτῆς· ἐπειδὴ δ’ οὐχ οὕτως ἔχει, βουλοίμην ἂν παύσασθαι τοὺς φλυαροῦντας· ὁρῶ γὰρ οὐ μόνον περὶ τοὺς ἐξαμαρτάνοντας τὰς βλασφημίας γιγνομένας, ἀλλὰ καὶ τοὺς ἄλλους ἅπαντας συνδιαβαλλομένους τοὺς περὶ τὴν αὐτὴν διατριβὴν ὄντας.
Io avrei preferito a grandi ricchezze che la filosofia avesse tanto potere quanto costoro affermano, perché forse non ne sarei stato privo al massimo e non ne avrei tratto profitto in minima parte. Ma siccome la cosa non sta così, vorrei che questi chiacchieroni la smettessero, perché vedo che le diffamazioni sono rivolte non solo ai colpevoli, ma si accomunano nelle accuse anche a tutti gli altri che si dedicano alla stessa professione.
Nel paragrafo successivo (12) emerge un altro verbo che merita attenzione se non
altro per la sua imponente presenza all’interno del corpus isocrateo (ben
centocinquantaquattro volte), si tratta di εὑρίσκω. Questo verbo, al quale nella
12
maggior parte dei casi viene attribuito il valore di “trovare” o “scoprire”, presenta
delle interessanti sfumature semantiche nell’ambito del lessico paideutico
dell’autore:
(12) Θαυμάζω δ’ ὅταν ἴδω τούτους μαθητῶν ἀξιουμένους, οἳ ποιητικοῦ πράγματος τεταγμένην τέχνην παράδειγμα φέροντες λελήθασιν σφᾶς αὐτούς. Τίς γὰρ οὐκ οἶδεν πλὴν τούτων ὅτι τὸ μὲν τῶν γραμμάτων ἀκινήτως ἔχει καὶ μένει κατὰ ταὐτὸν ὥστε τοῖς αὐτοῖς ἀεὶ περὶ τῶν αὐτῶν χρώμενοι διατελοῦμεν, τὸ δὲ τῶν λόγων πᾶν τοὐναντίον πέπονθεν· τὸ γὰρ ὑφ’ ἑτέρου ῥηθὲν τῷ λέγοντι μετ’ἐκεῖνον οὐχ ὁμοίως χρήσιμόν ἐστιν, ἀλλ’ οὗτος εἶναι δοκεῖ τεχνικώτατος ὅστις ἂν ἀξίως μὲν λέγῃ τῶν πραγμάτων, μηδὲν δὲ τῶν αὐτῶν τοῖς ἄλλοις εὑρίσκειν δύνηται.Mi meraviglio quando vedo giudicati degni di avere discepoli questi uomini che, senza accorgersene, portano un procedimento fisso come esempio di attività creativa. Chi, eccetto loro, ignora che la scrittura è immobile e immutabile16, di modo che usiamo sempre gli stessi segni per
gli stessi suoni, mentre per l’arte oratoria accade esattamente il contario? Ciò che è stato detto da altri non è ugualmente utile per chi parla dopo di lui, anzi in quest’arte sembra essere più abile chi parla bensì in maniera conveniente al soggetto, ma riesce a trovare argomenti completamente diversi da quelli degli altri.
L’errore principale di questi falsi maestri sta nel non comprendere che i discorsi
non possono essere composti con procedimenti fissi, bensì devono essere adatti
16 Riguardo l’immobilità e l’immutabilità della scrittura cfr. Fedro, al paragrafo (274, b6):
«ΣΩ. Τὸ δ’ εὐπρεπείας δὴ γραφῆς πέρι καὶ ἀπρεπείας, πῇ γιγνόμενον καλῶς ἂν ἔχοι καὶ ὅπῃ ἀπρεπῶς, λοιπόν. ἦ γάρ;» per poi esprimere il suo pensiero nei paragrafi (276, e4 ‒ 277, a5): « ΣΩ. Ἔστι γάρ, ὦ φίλε Φαῖδρε, οὕτω· πολὺ δ’ οἶμαι καλλίων σπουδὴ περὶ αὐτὰ γίγνεται, ὅταν τις τῇ διαλεκτικῇ τέχνῃ χρώμενος, λαβὼν ψυχὴν προσήκουσαν, φυτεύῃ τε καὶ σπείρῃ μετ’ ἐπιστήμης λόγους, οἳ ἑαυτοῖς τῷ τε φυτεύσαντι (277a) βοηθεῖν ἱκανοὶ καὶ οὐχὶ ἄκαρποι ἀλλὰ ἔχοντες σπέρμα, ὅθεν ἄλλοι ἐν ἄλλοις ἤθεσι φυόμενοι τοῦτ’ ἀεὶ ἀθάνατον παρέχειν ἱκανοί, καὶ τὸν ἔχοντα εὐδαιμονεῖν ποιοῦντες εἰς ὅσον ἀνθρώπῳ δυνατὸν μάλιστα. ΦΑΙ. Πολὺ γὰρ τοῦτ’ ἔτι κάλλιον λέγεις.». Secondo Platone la scrittura non accresce né la sapienza né la memoria degli uomini, lo scritto non sa aiutarsi e ha bisogno del soccorso dell’autore, per cui vengono indicate le ragioni della superiorità dell’oralità sulla scrittura. Inoltre lo scritto viene visto come forma di gioco e la serietà dell’orale, ma tutto ciò non toglie che in fondo Platone vede la scrittura anche come un metodo per rendere immortale i semi di un discorso e con esso la possibilità di tramadare la conoscenza. Cfr. CENTRONE 1998e REALE 2000,p. 581.
In relazione a questi passi c’è anche la critica della scrittura contenuta nella Lettera VII nella quale secondo Platone dottrine di massima importanza non possono essere comunicate per iscritto a causa della debolezza intrinseca di questo mezzo, ma devono essere tenute nascoste ai più, perché incapaci di comprenderle. Al paragrafo (341c): «Τοσόνδε γε μὴν περὶ πάντων ἔχω φράζειν τῶν γεγραφότων (341c) καὶ γραψόντων, ὅσοι φασὶν εἰδέναι περὶ ὧν ἐγὼ σπουδάζω, εἴτ᾽ ἐμοῦ ἀκηκοότες εἴτ᾽ ἄλλων εἴθ᾽ ὡς εὑρόντες αὐτοί: τούτους οὐκ ἔστιν κατά γε τὴν ἐμὴν δόξαν περὶ τοῦ πράγματος ἐπαΐειν οὐδέν. οὔκουν ἐμόν γε περὶ αὐτῶν ἔστιν σύγγραμμα οὐδὲ μήποτε γένηται.»; e ancora al paragrafo (344c): «Διὸ δὴ πᾶς ἀνὴρ σπουδαῖος τῶν ὄντων σπουδαίων πέρι πολλοῦ δεῖ μὴ γράψας ποτὲ ἐν ἀνθρώποις εἰς φθόνον καὶ ἀπορίαν καταβαλεῖ. ἑνὶ δὴ ἐκ τούτων δεῖ γιγνώσκειν λόγῳ, ὅταν ἴδῃ τίς του συγγράμματα γεγραμμένα εἴτε ἐν νόμοις νομοθέτου εἴτε ἐν ἄλλοις τισὶν ἅττ᾽ οὖν, ὡς οὐκ ἦν τούτῳ ταῦτα σπουδαιότατα, εἴπερ ἔστ᾽ αὐτὸς σπουδαῖος, κεῖται δέ που ἐν χώρᾳ τῇ καλλίστῃ τῶν τούτου.». Cfr. TULLI 1989e MADDALENA 1948.
13
(καιρῶν) alle circostanze e adeguati (πρεπόντως) al soggetto, e soprattutto devono
evitare i luoghi comuni e contenere espressioni originali. Dunque, essi per primi
hanno bisogno d’imparare, e invece pretendono d’insegnare
17:
(13) Μέγιστον δὲ σημεῖον τῆς ἀνομοιότητος αὐτῶν· τοὺς μὲν γὰρ λόγους οὐχ οἷόν τε καλῶς ἔχειν ἢν μὴ τῶν καιρῶν καὶ τοῦ πρεπόντως καὶ τοῦ καινῶς ἔχειν μετάσχωσιν, τοῖς δὲ γράμμασιν οὐδενὸς τούτων προσεδέησεν. Ὥσθ’ οἱ χρώμενοι τοῖς τοιούτοις παραδείγμασιν πολὺ ἂν δικαιότερον ἀποτίνοιεν ἢ λαμβάνοιεν ἀργύριον, ὅτι πολλῆς ἐπιμελείας αὐτοὶ δεόμενοι παιδεύειν τοὺς ἄλλους ἐπιχειροῦσιν.
Ed ecco la miglior prova della loro diversità: non è possibile che i discorsi siano belli se non si accordano con le circostanze, non sono adeguati al soggetto e non presentano novità d’espressione, mentre la scrittura non esige nessuno di questi requisiti. Perciò coloro che portano questi esempi sarebbe giusto pagassero anziché farsi pagare, perché, pur avendo essi stessi bisogno di molto studio, si propongono di educare gli altri.18
A partire dal paragrafo (14) Isocrate inizia l’esposizione dei suoi principi retorici.
I paragrafi (14-18) sono citati da Isocrate stesso nell’Antidosi al paragrafo (194) per
dimostrare che tanto nel pieno dell’età (al tempo dell’orazione presente, 390 a.C.)
quanto nella fase della sua maturità (al tempo dell’Antidosi 354-353 a.C.) egli ha
conservato la stessa modestia nel programma pedagogico, evitando, a differenza
dei Sofisti, ogni ciarlataneria.
19Al paragrafo (14) viene sottolineata come oltre le
doti naturali e l’esperienza, anche l’educazione retorica arricchisce e affina le
qualità del discepolo:
(14) Εἰ δὲ δεῖ μὴ μόνον κατηγορεῖν τῶν ἄλλων ἀλλὰ καὶ τὴν ἐμαυτοῦ δηλῶσαι διάνοιαν, ἡγοῦμαι πάντας ἄν μοι τοὺς εὖ φρονοῦντας συνειπεῖν ὅτι πολλοὶ μὲν τῶν φιλοσοφησάντων ἰδιῶται διετέλεσαν ὄντες, ἄλλοι δέ τινες οὐδενὶ πώποτε συγγενόμενοι τῶν σοφιστῶν καὶ λέγειν καὶ πολιτεύεσθαι δεινοὶ γεγόνασιν. Αἱ μὲν γὰρ δυνάμεις καὶ τῶν λόγων καὶ τῶν ἄλλων ἔργων ἁπάντων ἐν τοῖς εὐφυέσιν ἐγγίγνονται καὶ τοῖς περὶ τὰς ἐμπειρίας γεγυμνασμένοις.
Se non devo limitarmi a criticare gli altri, ma anche manifestare il mio pensiero, ritengo che tutte le persone assennate consentano con me nel dire che molti, dopo essersi dedicati alla filosofia, sono rimasti dei profani, mentre altri, pur non avendo mai frequentato un sofista, sono diventati
17 Cfr. CECCHI 1959,p. 30.
18 Riguardo all’inflessibilità della scrittura Isocrate e Platone hanno idee simili. Cfr. ERLER 1991,
pp. 92-99 e cfr. EUCKEN 1983,pp. 31.
14
abili oratori e politici. Questo accade perché la capacità oratoria come tutte le altre facoltà è presente in chi è fornito di doti naturali e si è esercitato con l’esperienza.
Qui e anche nel paragrafo successivo viene messa in evidenza come la capacità
oratoria è presente in chi ha doti naturali e si è esercitato con l’esperienza. La
connessione tra natura ed educazione è molto frequente in Isocrate (concetto che
si ritrova in maniera diffusa anche nell’Antidosi: paragrafi 180-194). Per Isocrate,
dunque, per “formare” un buon oratore bisogna puntare sul talento naturale e
sull’istruzione appropriata, facendo esperienza attraverso l’esercizio.
Anche in questo caso il ruolo dell’educazione risulta fondamentale, in quanto (15):
(15) ἡ δὲ παίδευσις τοὺς μὲν τοιούτους τεχνικωτέρους καὶ πρὸς τὸ ζητεῖν εὐπορωτέρους ἐποίησεν· οἷς γὰρ νῦν ἐντυγχάνουσι πλανώμενοι, ταῦτ’ ἐξ ἑτοιμοτέρου λαμβάνειν αὐτοὺς ἐδίδαξεν, τοὺς δὲ καταδεεστέραν τὴν φύσιν ἔχοντας ἀγωνιστὰς μὲν ἀγαθοὺς ἢ λόγων ποιητὰς οὐκ ἂν ἀποτελέσειεν, αὐτοὺς δ’ ἂν αὑτῶν προαγάγοι καὶ πρὸς πολλὰ φρονιμωτέρως διακεῖσθαι ποιήσειεν.
L’educazione rende questi uomini più scaltriti nell’arte e più ricchi di mezzi per la ricerca, perché ciò in cui ora s’imbattono per caso, essa insegna loro a trovarlo più sicuramente; mentre non può rendere valente o polemista o artefice di discorsi chi è meno dotato per natura, ma solo aiutarlo a progredire oltre i propri limiti e ad essere più perspicace su molte questioni.
In questo paragrafo παίδευσις compare come soggetto di διδάσκω. La παίδευσις è
il processo educativo grazie al quale è possibile, apprendere, διδάσκειν, i singoli
contenuti. Inoltre il suffisso –σις rappresenta come in questo caso si tratti di un
processo in fieri.
Al paragrafo (16) il verbo παραδίδωμι conferma ancora una volta di avere stretta
connessione con i Sofisti, a riprova della sua connotazione negativa e allo stesso
tempo ironica:
(16) Βούλομαι δ’ ἐπειδή περ εἰς τοῦτο προῆλθον, ἔτι σαφέστερον εἰπεῖν περὶ αὐτῶν. Φημὶ γὰρ ἐγὼ τῶν μὲν ἰδεῶν, ἐξ ὧν τοὺς λόγους ἅπαντας καὶ λέγομεν καὶ συντίθεμεν, λαβεῖν τὴν ἐπιστήμην οὐκ εἶναι τῶν πάνυ χαλεπῶν, ἤν τις αὑτὸν παραδιδῷ μὴ τοῖς ῥᾳδίως ὑπισχνουμένοις ἀλλὰ τοῖς εἰδόσιν τι περὶ αὐτῶν· τὸ δὲ τούτων ἐφ’ ἑκάστῳ τῶν πραγμάτων ἃς δεῖ προελέσθαι καὶ μείξασθαι πρὸς ἀλλήλας καὶ τάξασθαι κατὰ τρόπον, ἔτι δὲ τῶν καιρῶν μὴ διαμαρτεῖν ἀλλὰ καὶ τοῖς ἐνθυμήμασι πρεπόντως ὅλον τὸν λόγον καταποικῖλαι καὶ τοῖς ὀνόμασιν εὐρύθμως καὶ μουσικῶς εἰπεῖν.15
Voglio ora, visto che sono arrivato a questo punto, esprimermi ancora più chiaramente a riguardo. Io dico che non fa parte delle cose più difficili ottenere la conoscenza delle nozioni utili a pronunciare e comporre discorsi, se uno si affida non a coloro che le promettono facilmente, ma a quanti sono davvero competenti in materia. Scegliere gli elementi più utili per ciascuna questione, unirli fra loro, ordinarli nella giusta forma, e ancora non sbagliarsi sul momento appropriato ma convenientemente abbellire l’intero discorso con vari ragionamenti e pronunciarlo in modo melodioso ed elegante.
Qui l’autore si rimette alla capacità del singolo individuo di discernere quale sia
l’insegnamento più giusto per lui, ma soprattutto di saper scegliere a chi affidare
la propria educazione.
I Sofisti propagandano di “trasmettere” diverse cose, dalla felicità alla
competenza nella scienza dei discorsi: chi si affida (παραδιδῷ) a questi falsi
sapienti non raggiungerà mai il suo obbiettivo in quanto lo scambio con essi nel
segno della παράδωσις è sempre negativo.
Nel paragrafo (17), agli allievi viene messo in rilievo il ruolo fondamentale delle
qualità naturali che essi devono necessariamente possedere, ma oltre a questo un
altro elemento imprescindibile nella corretta educazione risulta essere l’esercizio.
D’altra parte, anche il maestro, ovviamente, ha delle responsabilità nei confronti
dei propri discepoli e delle regole alle quali deve attenersi, come ad esempio
assicurarsi che la propria esposizione sia esauriente, che non ometta nulla e nella
fase successiva all’esposizione proporre eventualmente se stesso come modello:
(17) ταῦτα δὲ πολλῆς ἐπιμελείας δεῖσθαι καὶ ψυχῆς ἀνδρικῆς καὶ δοξαστικῆς ἔργον εἶναι, καὶ δεῖν τὸν μὲν μαθητὴν, πρὸς τῷ τὴν φύσιν ἔχειν οἵαν χρὴ, τὰ μὲν εἴδη τὰ τῶν λόγων μαθεῖν, περὶ δὲ τὰς χρήσεις αὐτῶν γυμνασθῆναι, τὸν δὲ διδάσκαλον τὰ μὲν οὕτως ἀκριβῶς οἷόν τ’εἶναι διελθεῖν ὥστε μηδὲν τῶν διδακτῶν παραλιπεῖν, περὶ δὲ τῶν λοιπῶν τοιοῦτον αὑτὸν παράδειγμα παρασχεῖν.
tutto ciò richiede molta cura ed è proprio di uno spirito energico e sagace. L’allievo oltre ad avere le necessarie qualità naturali, deve apprendere i procedimenti retorici ed esercitarsi nel loro uso; e il maestro da parte sua deve essere capace di esporli così esaurientemente da non omettere nulla di ciò che si può insegnare, e per il resto proporre se stesso come esempio.
In questo passo vengono, quindi, presentati i rispettivi obiettivi che bisogna
prefissarsi per essere un buon allievo e un buon maestro. Qui μανθάνω compare
16
nel suo valore consueto, principalmente legato alla sfera pratica
dell’apprendimento, per questo motivo compare accanto a διδάσκαλος e διδακτός,
anch’essi generalmente legati alla fase pratica e attuativa dell’insegnamento.
Il risultato di questo processo è l’uomo πεπαιδευμένος, che ha retto giudizio,
onestà e fermezza di carattere, una completa padronanza di sé in ogni circostanza.
Si va formando, come si vede, l’ideale classico del vir bonus dicendi peritus.
Funzione dell’educazione (intesa in senso pratico) deve essere quella di formare
l’uomo ideale, favorendo le doti naturali dell’allievo, esercitandolo
nell’eloquenza, che deve essere per lui la manifestazione di alti concetti, nutrita di
storia e di filosofia ed espressa in forma elegante in un tutto armonioso.
20Una posizione di rilievo è occupata dal verbo μιμέομαι. Per Isocrate l’imitazione
non va intesa come una tecnica meccanica e strumentale (come invece si
prefissavano i Sofisti) di rispondere nei discorsi, ma come un processo utile per
raggiungere la φιλοσοφία, in cui il discepolo non si limita ad imitare ciò che ha
appreso dal proprio maestro, ma apporta anche il proprio contributo interpretativo;
e ciò è reso possibile proprio grazie agli insegnamenti ricevuti fino ad allora. Per
Isocrate, quindi, l’imitazione creativa e originale risulta essere un elemento
imprescindibile nel processo educativo.
21Nel paragrafo (18) viene esplicitato
proprio questo concetto:
(18) ὥστε τοὺς ἐκτυπωθέντας καὶ μιμήσασθαι δυναμένους εὐθὺς ἀνθηρότερον καὶ χαριέστερον τῶν ἄλλων φαίνεσθαι λέγοντας. Καὶ τούτων μὲν ἁπάντων συμπεσόντων τελείως ἕξουσιν οἱ φιλοσοφοῦντες· καθ’ ὃ δ’ ἂν ἐλλειφθῇ τι τῶν εἰρημένων, ἀνάγκη ταύτῃ χεῖρον διακεῖσθαι τοὺς πλησιάζοντας.
In tal modo i discepoli da lui modellati e capaci di imitarlo appariranno subito oratori più fioriti e piacevoli degli altri. E se tutte queste condizioni si verificheranno, chi si dedica alla filosofia raggiungerà la perfezione, ma se sia assente l’una o l’altra delle qualità indicate, inevitabilmente i discepoli si troveranno, su questo punto, in difetto.
Qui è evidente l’importanza del rapporto maestro-discepolo. Attraverso
l’imitazione (μιμέομαι) del proprio maestro, il discepolo acquisisce delle
20 Cfr. CECCHI 1959, p. 11. 21 Cfr. POULAKOS,DEPEW 2004.
17
competenze e delle capacità che lo rendono in primis un bravo oratore e in
secondo luogo, attraverso il continuo perseguimento della φιλοσοφία, gli
forniscono la possibilità di raggiungere la perfezione intellettuale.
Nel paragrafo (19) e successivamente anche al paragrafo (20) διδάσκω e i suoi
omoradicali vengono usati in riferimento agli autori dei trattati di retorica, i quali
secondo Isocrate abbassano l’oratoria pubblica, che pur potrebbe favorire nei
discepoli l’onestà, a mezzo d’educazione all’intrigo e alla cupidigia
22:
(19) Οἱ μὲν οὖν ἄρτι τῶν σοφιστῶν ἀναφυόμενοι καὶ νεωστὶ προσπεπτωκότες ταῖς ἀλαζονείαις, εἰ καὶ νῦν πλεονάζουσιν, εὖ οἶδ’ ὅτι πάντες ἐπὶ ταύτην κατενεχθήσονται τὴν ὑπόθεσιν. Λοιποὶ δ’ ἡμῖν εἰσὶν οἱ πρὸ ἡμῶν γενόμενοι καὶ τὰς καλουμένας τέχνας γράψαι τολμήσαντες, οὓς οὐκ ἀφετέον ἀνεπιτιμήτους· οἵτινες ὑπέσχοντο δικάζεσθαι διδάξειν, ἐκλεξάμενοι τὸ δυσχερέστατον τῶν ὀνομάτων, ὃ τῶν φθονούντων ἔργον ἦν λέγειν ἀλλ’ οὐ τῶν προεστώτων τῆς τοιαύτης παιδεύσεως…
Dunque i sofisti che da poco spuntano e che recentemente si sono abbandonati alle vanterie, anche se ora esagerano, tutti, lo so bene, abbracceranno questi principi. Mi resta da parlare di quelli che vissero prima di me ed osarono scrivere le cosiddette «Arti retoriche»: non bisogna lasciarli senza biasimo. Essi infatti promisero d’insegnare a perorare cause, scegliendo la più sgradevole delle espressioni, che avrebbero dovuto impiegare gli avversari e non i maestri di un così nobile metodo educativo…
Qui il verbo διδάσκω sembra essere applicato alla giustizia, al “perorare cause”
(δικάζεσθαι), ma il fatto che questo tipo di promessa venga fatta dai Sofisti lo
rende automaticamente negativo, come se Isocrate ironicamente volesse
sottolineare un tipo di attività che i Sofisti non sarebbero mai in grado di mettere
in pratica a causa della mancanza di principi morali all’interno del loro metodo
educativo.
Al paragrafo (20) viene evidenziato come l’arte retorica in quanto disciplina, se
usata male, può presentare anche delle devianze:
(20) καὶ ταῦτα τοῦ πράγματος, καθ’ ὅσον ἐστὶ διδακτὸν, οὐδὲν μᾶλλον πρὸς τοὺς δικανικοὺς λόγους ἢ πρὸς τοὺς ἄλλους ἅπαντας ὠφελεῖν δυναμένου. Τοσούτῳ δὲ χείρους ἐγένοντο τῶν περὶ τὰς ἔριδας καλινδουμένων, ὅσον οὗτοι μὲν τοιαῦτα λογίδια διεξιόντες οἷς, εἴ τις ἐπὶ τῶν πράξεων
18
ἐμμείνειεν, εὐθὺς ἂν ἐν πᾶσιν εἴη κακοῖς, ὅμως ἀρετὴν ἐπηγγείλαντο καὶ σωφροσύνην περὶ αὐτῶν, ἐκεῖνοι δ’ ἐπὶ τοὺς πολιτικοὺς λόγους παρακαλοῦντες, ἀμελήσαντες τῶν ἄλλων τῶν προσόντων αὐτοῖς ἀγαθῶν πολυπραγμοσύνης καὶ πλεονεξίας ὑπέστησαν εἶναι διδάσκαλοι.
tanto più che quest’arte, per quanto è insegnabile, può giovare non più al genere giudiziario che a tutti gli altri. Essi furono molto peggiori di coloro che s’ingolfano nelle contese verbali, perché questi ultimi, pur esponendo storielle tali che, a metterle in pratica, subito ci si troverebbe tra mille guai, almeno fecero professione in esse di virtù e di temperanza; mentre i primi, pur esortando all’oratoria politica, trascurano gli altri vantaggi legati a questa e si prestarono a essere maestri d’intrigo e di cupidigia.
Se da un lato gli avversari di Isocrate utilizzano per scopi riprovevoli l’arte
oratoria, Isocrate si prefigge di elevare i suoi insegnamenti a un livello di moralità
lodevole.
Si può arrivare a sostenere, infatti, che la φιλοσοφία costituisca anche una vera e
propria dottrina etica, un esempio di ciò è fornito dal paragrafo (21):
(21) Καίτοι τοὺς βουλομένους πειθαρχεῖν τοῖς ὑπὸ τῆς φιλοσοφίας ταύτης προσταττομένοις πολὺ ἂν θᾶττον πρὸς ἐπιείκειαν ἢ πρὸς ῥητορείαν ὠφελήσειεν. Καὶ μηδεὶς οἰέσθω με λέγειν ὡς ἔστιν δικαιοσύνη διδακτόν· ὅλως μὲν γὰρ οὐδεμίαν ἡγοῦμαι τοιαύτην εἶναι τέχνην, ἥτις τοῖς κακῶς πεφυκόσιν πρὸς ἀρετὴν σωφροσύνην ἂν καὶ δικαιοσύνην ἐμποιήσειεν· οὐ μὴν ἀλλὰ συμπαρακελεύσασθαί γε καὶ συνασκῆσαι μάλιστ’ ἂν οἶμαι τὴν τῶν λόγων τῶν πολιτικῶν ἐπιμέλειαν.
Eppure chi volesse obbedire ai precetti di questa filosofia potrebbe ritrarne molto più rapido giovamento per l’onestà che per l’eloquenza. E con ciò nessuno pensi che, secondo me, la giustizia sia insegnabile; in generale stimo che non esista arte in grado d’ispirare la temperanza e la giustizia in chi per natura è mal disposto alla virtù. Nondimeno penso che lo studio dell’eloquenza politica contribuisca in notevole misura a incoraggiare ed esercitare a ciò.
Attraverso questo esempio viene evidenziato l’aspetto più prettamente etico della
filosofia e con essa anche della stessa eloquenza.
Rispetto al valore educativo del percorso formativo di Isocrate, nello sviluppo
progrediente dell’umana personalità si giunge, peraltro, alla maturità del λόγος per
cui gli uomini procedono, grazie alla παιδεία, nella διάνοια, e giungono alla
19
capacità di ragionare, di esprimersi, e di trovare il vero e il giusto con la ricerca
del loro spirito
23.
Tornando, invece, sul concetto che Isocrate aveva dell’eloquenza appare
suggestivo concludere con le parole di Paul Girard: «I retori contemporanei sono
professori di eloquenza pratica. Isocrate invece considera l’eloquenza anzitutto
una disciplina dello spirito che insegna a riflettere, e in seguito, ad agire. La sua
retorica è una pedagogia: essa ha per ideale la perfezione dell’anima attraverso la
conoscenza del meccanismo del pensiero, lo studio ragionato delle leggi del
pensiero. La retorica è per lo spirito ciò che per il corpo è la ginnastica, cioè un
esercizio salutare che insegna a pensar bene, sia nella vita pubblica, sia nei
rapporti privati e familiari. E siccome la correttezza del pensiero e del linguaggio
comporta la rettitudine della condotta, ne consegue che pensiero, parola, condotta
sono tre cose intimamente legate e che chi eccelle nell’una non potrebbe essere
inferiore nelle altre. Sono queste tre cose che Isocrate insegna sotto il nome di
retorica, ed ecco perché fa della retorica il coronamento necessario di ogni buona
educazione».
24Conclusioni:
Dalla Contro i Sofisti sono emersi rapporti ben delineati afferenti all’ambito della
formazione.
La prima osservazione che emerge dall’analisi della Contro i Sofisti è che la
παιδεία è sempre positiva e porta alla φιλοσοφία.
Il verbo διατρίβω ha un valore positivo quando è proiettato verso la φιλοσοφία (1
e 11), mentre ha un valore negativo quando fa riferimento alle dispute verbali (περὶ
τὰς ἔριδας) e in generale quando è legato ai Sofisti (1 e 8).
Per quanto riguarda διδάσκω, esso ha un valore positivo se indica i maestri valenti
23 Cfr. LEVI 1959, p. 66. 24 Cfr. GIRARD 1889, p. 319.
20
(17) oppure se fa riferimento a delle azioni compiute dalla παίδευσις (15), mentre
assume un valore negativo o falso nei casi in cui sembra non essere congruente
con alcuni contenuti che invece prevedono non un insegnamento specifico, ma un
lungo processo di formazione, e questo avviene ad esempio quando διδάσκω
compare insieme alla σοφία (7) oppure insieme alla δικαιοσύνη (21) oppure,
infine, quando con διδάσκαλοι si fa riferimento ai falsi maestri (3 e 20).
Il verbo παραδίδωμι ha, invece, sempre un valore negativo in primis quando si
riferisce ai Sofisti che “consegnano” la cultura come bene materiale, come ad
esempio i casi in cui si fa riferimento alla δικαιοσύνη (5), all’εὐδαιμονία (7), e
all’ἐπιστήμη (10). In secondo luogo quando, addirittura, sono gli allievi ingenui a
“consegnarsi” nelle mani dei Sofisti (16).
Il verbo μιμέομαι descrive generalmente il rapporto tra il buon maestro e il buon
discepolo (18).
Per quanto riguarda εὑρίσκω, innanzitutto si tratta di un verbo che l’autore sfrutta
marcando spesso la sua natura ambivalente nel riferirsi a cose materiali o
concettuali. Seppur esso sia un verbo molto presente nel corpus isocrateo (ben
centocinquantaquattro occorrenze), in questo specifico caso compare una sola
volta con un valore positivo, in correlazione con la capacità di “trovare”
argomenti nuovi e utili da dire, piuttosto che ripetere cose già dette (12).
Infine, φιλοσοφέω come in generale anche la φιλοσοφία hanno sempre un valore
positivo perché rappresentano il fine ultimo del lungo processo educativo messo
in atto dalla παιδεία (14).
21
II CAPITOLO : Encomio di Elena
L’Encomio di Elena (composto fra il 390 e il 380 a. C.) è un discorso
epidittico in cui Isocrate definisce le caratteristiche del genere "encomio" ed
espone anche le linee guida del suo insegnamento, che non mira alla conoscenza
di cose inutili, bensì a quella relativa agli argomenti utili per se stessi e per la vita
pubblica. In seguito inserisce degli exempla storico-mitologici che mostrano sia
come vadano inseriti gli esempi, sia la loro valenza in politica. Per cui in questo
discorso si ha la possibilità di rintracciare una prima definizione dei temi più cari
a Isocrate
25ed esso è anche quello dove compare a più riprese la tematica del
pragmatismo legato al suo programma educativo.
Ora, partendo dal proemio, esso si rivolge in linea generale contro le tecniche
didattiche in voga
26:
(1) Εἰσί τινες οἳ μέγα φρονοῦσιν, ἢν ὑπόθεσιν ἄτοπον καὶ παράδοξον ποιησάμενοι περὶ ταύτης ἀνεκτῶς εἰπεῖν δυνηθῶσι· καὶ καταγεγηράκασιν οἱ μὲν οὐ φάσκοντες οἷόν τ’ εἶναι ψευδῆ λέγειν οὐδ’ ἀντιλέγειν οὐδὲ δύω λόγω περὶ τῶν αὐτῶν πραγμάτων ἀντειπεῖν, οἱ δὲ διεξιόντες ὡς ἀνδρία καὶ σοφία καὶ δικαιοσύνη ταὐτόν ἐστιν καὶ φύσει μὲν οὐδὲν αὐτῶν ἔχομεν, μία δ’ ἐπιστήμη καθ’ ἁπάντων ἐστίν, ἄλλοι δὲ περὶ τὰς ἔριδας διατρίβοντες τὰς οὐδὲν μὲν ὠφελούσας, πράγματα δὲ παρέχειν τοῖς πλησιάζουσιν δυναμένας.Ci sono dei tali che vanno superbi se, dopo aver scelto un soggetto strano e paradossale, sono capaci di trattarlo in modo sopportabile. Gli uni sono invecchiati affermando che non è possibile dire il falso né contraddire né fare due discorsi opposti sullo stesso argomento, altri sostenendo che il valore, la saggezza e la giustizia sono la medesima cosa, che per natura non possediamo nessuna di queste virtù e che unica è la scienza che tutte le riguarda; e altri ancora sciupano il loro tempo in dispute verbali non solo prive di ogni utilità ma anche buone a recar noia a chi li ascolta.
A proposito di questo proemio Tulli dice: «Erede fedele della tradizione arcaica e
classica, erede per ambizione letteraria dell’epica e della lirica, Isocrate fra il 390
e il 380, dopo la Contro i Sofisti e prima del Panegirico, apre l’Encomio di Elena
con un proemio di grande forza»
27. In effetti l’incipit di questo discorso appare
come una diretta invettiva contro i Sofisti. In poche righe vengono riassunte tutte
25 Cfr. EUCKEN 1983,p. 44 ss. 26 Cfr. NICOLAI 2004,p. 95. 27 Cfr. TULLI,2008,p. 92.
22
le occupazioni e il modus pensandi dei Sofisti, al quale Isocrate ovviamente si
oppone. Qui il verbo διατρίβω riferito ai Sofisti ha un valore particolarmente
negativo. Con esso si fa riferimento alle dispute verbali che rappresentano per
l’autore una vera e propria perdita di tempo e che non fanno altro che recare
danno e noia a chi le ascolta.
Nel paragrafo (2) Isocrate, attraverso la propria attività retorica, cerca di
distinguersi da Protagora e dai suoi contemporanei
28:
(2) Ἐγὼ δ’ εἰ μὲν ἑώρων νεωστὶ τὴν περιεργίαν ταύτην ἐν τοῖς λόγοις ἐγγεγενημένην καὶ τούτους ἐπὶ τῇ καινότητι τῶν εὑρημένων φιλοτιμουμένους, οὐκ ἂν ὁμοίως ἐθαύμαζον αὐτῶν· νῦν δὲ τίς ἐστιν οὕτως ὀψιμαθὴς ὅστις οὐκ οἶδεν Πρωταγόραν καὶ τοὺς κατ’ ἐκεῖνον τὸν χρόνον γενομένους σοφιστὰς ὅτι καὶ τοιαῦτα καὶ πολὺ τούτων πραγματωδέστερα συγγράμματα κατέλιπον ἡμῖν; Io, per me, se vedessi che questa futile moda è sorta da poco nell’oratoria e che costoro sono orgogliosi per la novità delle loro trovate, non mi meraviglierei di loro in pari grado; ma ora, chi è così novellino negli studi da non sapere che Protagora e i sofisti suoi contemporanei ci hanno lasciato scritti simili e anche più astrusi di questi?
Isocrate fa riferimento all’uso di testi scritti nel momento in cui definisce il
proprio metodo educativo in opposizione a quello proposto da altri. Anche il
verbo εὑρίσκω in questo caso col valore di “trovate” viene inteso in senso
dispregiativo riferito alle futilità degli scritti prodotti dai Sofisti. Isocrate, inoltre,
si meraviglia di come non si riconosca quanto i contenuti dei precetti sofistici
siano completamente astrusi e avulsi dalla realtà.
Al paragrafo (3), nel bel mezzo di un attacco nei confronti dei Sofisti, Isocrate
ribadisce la differenza che lo separa da Gorgia, Zenone o Melisso
29,
28 In questo caso Isocrate fa riferimento a Protagora come se fosse il portavoce di uno specifico
metodo pedagogico e racchiudesse al suo interno tutta una serie di caratteristiche dalle quali l’autore si discosta. Cfr. TULLI 2008,p. 95 s.
29 “Isocrate nell’Encomio di Elena, giunge a intrecciare, nel segno dei παράδοξα, figure che la
critica vede oggi a grande, insormontabile distanza fra loro. Antistene, Platone, gli eristi, con la medesima prospettiva di Protagora e di Gorgia, di Zenone, di Melisso, perché in rapporto con loro di palese discepolato, palese proprio in virtù dei παράδοξα. Il risultato di Antistene, non è possibile contraddire deriva da Gorgia, il sapere trasmissibile di Platone deriva dall’uno di Melisso. Per lo schema polare, questa caleidoscopica fertilità, soffocata in ben poco plausibile ripetitività, costituisce uno dei due nuclei. Ma l’altro? È Isocrate stesso. Lo schema polare ha uno scopo ben preciso: mostrare la diversità dell’autore, la diversità dell’io, da una tradizione ricca, ma sterile. Non è nuova la produzione di Antistene, di Platone, degli eristi. Produzione nuova offre invece
23
soffermandosi ironicamente sul contenuto dei loro pensieri e dimostrando come
siano lontani da una concezione oggettiva della realtà:
(3) Πῶς γὰρ ἄν τις ὑπερβάλοιτο Γοργίαν τὸν τολμήσαντα λέγειν ὡς οὐδὲν τῶν ὄντων ἔστιν ἢ Ζήνωνα τὸν ταὐτὰ δυνατὰ καὶ πάλιν ἀδύνατα πειρώμενον ἀποφαίνειν ἢ Μέλισσον ὃς ἀπείρων τὸ πλῆθος πεφυκότων τῶν πραγμάτων ὡς ἑνὸς ὄντος τοῦ παντὸς ἐπεχείρησεν ἀποδείξεις εὑρίσκειν; Come superare Gorgia il quale osò dire che nulla di ciò che è esiste, o Zenone che tentava di presentare le stesse tesi come possibili e da capo come impossibili, o Melisso che, pur essendo le realtà naturali in numero infinito, cercò di scoprire prove che il tutto è uno?
Qui il verbo εὑρίσκω ha un valore negativo, perché la tesi che si cerca di
dimostrare risulta surreale per Isocrate, che nella breve elencazione di questi tre
personaggi e delle loro idee cerca di dimostrare l’insensatezza delle loro rispettive
visioni del mondo.
Al paragrafo (4) Isocrate considera i Sofisti dei “falsi maestri”, perché sono
esperti solo nell’arte della disputazione per dimostrare tutto e il contrario di tutto
(l’eristica) e illudono gli allievi di poter loro insegnare la felicità. Per Isocrate la
felicità come anche la virtù non sono insegnabili e la causa di questo è dovuto alla
complessità della vita, che non dà la possibilità di prevedere esattamente quelle
che saranno le conseguenze delle azioni di ciascuno.
30Per questo motivo l’autore
invita i Sofisti a perseguire la verità piuttosto che abbandonarsi a “ciarlatanerie”:
(4) Ἀλλ’ ὅμως οὕτω φανερῶς ἐκείνων ἐπιδειξάντων ὅτι ῥᾴδιόν ἐστιν, περὶ ὧν ἄν τις πρόθηται, ψευδῆ μηχανήσασθαι λόγον, ἔτι περὶ τὸν τόπον τοῦτον διατρίβουσιν· οὓς ἐχρῆν, ἀφεμένους ταύτης τῆς τερθρείας τῆς ἐν μὲν τοῖς λόγοις ἐξελέγχειν προσποιουμένης, ἐν δὲ τοῖς ἔργοις πολὺν ἤδη χρόνον ἐξεληλεγμένης, τὴν ἀλήθειαν διώκειν.
Ma, sebbene quegli ingegni abbiano chiaramente dimostrato quanto sia facile costruire un discorso falso su qualunque soggetto ci si proponga, i sofisti odierni indugiano ancora su questo terreno; eppure dovrebbero tralasciare questa ciarlataneria che, a parole, pretende di confutare, mentre nei fatti è stata già da gran tempo confutata, perseguire la verità.
Isocrate, che respinge la monotonia dei παράδοξα con la scelta di un argomento nobile, grande, utile in campo paideutico. Dunque Isocrate storico del pensiero riprende lo schema polare, lo schema dei due nuclei, ma lo gestisce in funzione nuova”. Cfr. TULLI 2008,p. 99-100.
24
Anche qui risulta evidente il valore negativo di διατρίβω. Esso rappresenta in
molti casi la negatività dell’agire dei Sofisti che “indugiano”, nelle costruzioni dei
discorsi sull’aspetto esteriore senza curarsi del contenuto. In questo caso Isocrate
condanna la falsità con la quale i Sofisti sono disposti anche a portare avanti tesi
completamente errate su qualsiasi argomento tralasciando il significato stesso del
loro messaggio pur d’ingannare il pubblico.
Nel paragrafo (5) Isocrate arriva a definire le caratteristiche del suo insegnamento:
(5) καὶ περὶ τὰς πράξεις ἐν αἷς πολιτευόμεθα, τοὺς συνόντας παιδεύειν, καὶ περὶ τὴν ἐμπειρίαν τὴν τούτων γυμνάζειν, ἐνθυμουμένους ὅτι πολὺ κρεῖττόν ἐστιν περὶ τῶν χρησίμων ἐπιεικῶς δοξάζειν ἢ περὶ τῶν ἀχρήστων ἀκριβῶς ἐπίστασθαι, καὶ μικρὸν προέχειν ἐν τοῖς μεγάλοις μᾶλλον ἢ πολὺ διαφέρειν ἐν τοῖς μικροῖς καὶ τοῖς μηδὲν πρὸς βίον ὠφελοῦσιν.
educare i loro discepoli alla pratica del nostro vivere di cittadini e addestrarli ad acquistarne esperienza, tenendo a mente che è molto meglio avere un’opinione ragionevole intorno alle cose utili che una scienza esatta intorno alle inutili, ed essere un po’ superiore nelle cose grandi piuttosto che distinguersi molto nelle piccole, che a nulla giovano nella vita.
Qui accanto a σύνειμι reso col valore di “discepoli” compare παιδεύω col valore
di “educare”, ma già s’intravede la complessità e la vastità del suo ambito
semantico, in quanto è strettamente legato all’idea generale di educazione, che poi
sfocia addirittura nell’idea di cultura
31. Questa tematica verrà riproposta in modo
diffuso all’interno di tutto il corpus fino al Panatenaico, paragrafi (30-32).
Nel paragrafo (6) continua l’attacco ai Sofisti e in particolare si sottolinea la loro
volontà di sottrarre denaro ai giovani senza curarsi affatto del perseguimento della
verità, ma soltanto della cura di discorsi che non hanno alcuna utilità pratica:
(6) Ἀλλὰ γὰρ οὐδενὸς αὐτοῖς ἄλλου μέλει πλὴν τοῦ χρηματίζεσθαι παρὰ τῶν νεωτέρων. Ἔστιν δ’ἡ περὶ τὰς ἔριδας φιλοσοφία δυναμένη τοῦτο ποιεῖν· οἱ γὰρ μήτε τῶν ἰδίων πω μήτε τῶν κοινῶν φροντίζοντες τούτοις μάλιστα χαίρουσιν τῶν λόγων οἳ μηδὲ πρὸς ἓν χρήσιμοι τυγχάνουσιν ὄντες. Ma la loro sola preoccupazione è di spremere denaro ai giovani. E lo studio delle dispute verbali è ben adatto a questo scopo, perché chi non si cura ancora né degli affari privati né di quelli pubblici si diletta soprattuto di quei discorsi che non hanno utilità alcuna.