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INDICE
Capitolo I: Introduzione
1.1
Il tumore della mammella………2
1.2
Epidemiologia del carcinoma mammario……….5
1.3
Fattori di rischio………6
1.4
Stadi del tumore al seno……….9
1.5
Fattori prognostici e predittivi………...11
1.6
HER2/neu come fattore prognostico………..13
1.7 Trastuzumab anticorpo monoclonale target directed………...17
1.8
Individuazione
dell’iperespressione
di
HER2
e
dell’amplificazione del gene HER2/neu nel carcinoma
mammario………...18
1.9
Meccanismo d’azione di Trastuzuab………..19
1.10 Herceptin® EV
(Trastuzumab): caratteristiche del prodotto...22
1.11 Herceptin® SC (Trastuzumab): caratteristiche del prodotto...27
1.12 Studio clinico HannaH: Trastuzumab SC vs. EV………..30
1.13 Studio clinico PrefHer: trastuzumab sottocute………..35
Capitolo II: Scopo della tesi………..39
Capitolo III: Materiali e metodi………..41
Capitolo IV: Risultati e discussioni………..44
4.1 Pazienti e compliance…...44
4.2 Risultati in ambito organizzativo-gestionale……….…….60
4.3 Analisi si scarti e costi……….63
4.4 Analisi in ambito di rischio clinico………64
4.5 Compliance della paziente………...65
Capitolo V: Conclusioni……….66
Bibliografia………..67
Indice figure………74
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CAPITOLO I
Introduzione
1.1 Il tumore della mammellaIl tumore della mammella è la neoplasia maligna del sesso femminile a più elevata incidenza nei paesi industrializzati e rappresenta la principale causa di morte nelle donne tra i 40 e i 50 anni. Ogni anno si registrano solo in Italia circa 35.000 nuovi casi ed 11.000 decessi. Nell’ultimo quinquennio in Toscana sono stati circa 4100 i nuovi casi di tumore della mammella registrati ogni anno, ed 850 i decessi. L'incidenza di malattia presenta un netto gradiente tra Nord, Centro e Sud con rischi superiori del 40% a Nord. Negli ultimi anni l’incidenza ha mostrato un aumento variabile dal 2% al 17%. (1), a fronte di una netta riduzione in mortalità, grazie agli sviluppi ottenuti con una diagnosi precoce e nella strategia terapeutica adiuvante.
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Tuttavia circa il 20-30 % delle pazienti con linfonodi negativi e il 50% di quelle con linfonodi positivi alla diagnosi svilupperà metastasi a distanza, mentre il 7-10 % presenta uno stadio avanzato di malattia già al momento della diagnosi. Accanto alle strategie terapeutiche convenzionali, basate sulla chirurgia, linfonodo sentinella, chemioterapia sistemica ed endocrino-terapia, recentemente sono state introdotte le “terapie target” basate sull’ impiego di anticorpi monoclonali diretti esclusivamente contro le cellule che esprimono determinati recettori di membrana, bloccando in questo modo la cascata di eventi molecolari che porta all’attivazione dei fattori di trascrizione e quindi alla crescita incontrollata della neoplasia. L’amplificazione di determinati geni é stata particolarmente studiata, in quanto si é dimostrata avere un significato ai fini prognostici e predittivi di risposta ad alcune terapie. In particolare il 25-30% dei carcinomi della mammella mostra amplificazione del gene HER-2/neu che codifica per un recettore coinvolto nella regolazione della crescita cellulare (2). Trastuzumab è un anticorpo monoclonale umanizzato disegnato contro il dominio extracellulare del recettore HER2/neu. In combinazione con la chemioterapia ha dimostrato un’ elevata efficacia nel trattamento della malattia HER2/neu positiva, sia nel setting adiuvante che in quello metastatico. Negli ultimi anni l’innovazione in ambito farmaceutico ha permesso lo sviluppo di prodotti sempre più innovativi, i cui benefici sono facilmente misurabili. Non sono invece ancora stati esplorati con la dovuta attenzione i criteri di valutazione degli impatti organizzativo-gestionali indotti dai nuovi farmaci. Un caso di sicuro interesse è rappresentato proprio dalla nuova formulazione sottocutanea di Trastuzumab. La classica somministrazione endovenosa di Trastuzumab infatti, è stata affiancata negli ultimi anni dalla nuova formulazione
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somministrabile per via sottocutanea, caratterizzata da importanti vantaggi che hanno portato un gran numero di pazienti con carcinoma mammario di tipo HER-2/neu positivo e personale sanitario addetto alla somministrazione della terapia prevista per il trattamento di tale forma tumorale, a preferirla a quella endovenosa. Le terapie farmacologiche oggi in uso, infatti, possono essere caratterizzate da lunghi tempi di somministrazione e consistente impegno di personale sanitario; inoltre, la preparazione del farmaco endovena richiede il calcolo della dose in base alla superficie corporea o al peso del paziente, generando un possibile fonte di sprechi di farmaco e di rischio clinico relativo alle fasi di prescrizione, allestimento e somministrazione del prodotto. Analizzando la modalità di preparazione e somministrazione della nuova formulazione sottocute, e confrontandola con quella endovenosa, si evidenziano impatti positivi sia in ambito clinico–assistenziale che in ambito organizzativo. L’avvento di Trastuzumab sottocute rappresenta quindi un importante progresso nel concetto di gestione del tumore, che si basa tra le altre cose, su scelte e preferenze delle pazienti. Per l’attuazione di questo studio, svoltosi presso l’Ospedale “Versilia”, sono state arruolate pazienti affette da carcinoma mammario di tipo HER2 positivo, sottoposte a cicli di terapia con Herceptin (trastuzumab) EV o SC, al fine di verificare la non inferiorità della nuova formulazione sottocutanea rispetto alla meno recente formulazione endovenosa, analizzando in ogni singolo caso le preferenze delle pazienti che hanno motivato le loro scelte terapeutiche. Il presente lavoro intende inoltre esporre l’approccio metodologico utilizzato per la valutazione dell’impatto organizzativo-gestionale che la nuova formulazione sottocute genera in un centro ospedaliero.
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1.2 Epidemiologia del carcinoma mammario
Il carcinoma della mammella è la neoplasia più frequente nelle donne nei paesi industrializzati, ed è la maggiore causa di morbilità e mortalità oncologiche. L’incidenza del cancro della mammella presenta un’ampia variabilità geografica. È circa 10 volte più frequente nelle popolazioni ricche dell’occidente rispetto alle aree del terzo mondo. In Italia l’incidenza è di circa 35000 nuovi casi l’anno, in media con i valori europei (3). I tassi di incidenza aumentano esponenzialmente con l’età, ma intorno ai 50-55 anni, a differenza di altri tumori epiteliali non dipendenti da fattori ormonali e riproduttivi, l’incremento cessa per poi riprendere meno pronunciato dopo i 60 anni (4). In realtà la tendenza all’incremento dell’incidenza in Italia nelle ultime decadi è riconducibile anche alla tempestività delle diagnosi in relazione a campagne di screening di prevenzione secondaria. La mortalità per carcinoma della mammella è rimasta sostanzialmente invariata dal 1930 al 1990 per poi mostrare una leggera riduzione grazie probabilmente alla diagnosi precoce e all’utilizzo di terapie mirate su base ormonale e genetica. Ad eccezione di casi sporadici (2-3%) in cui si è osservata una sopravvivenza di lunga durata, il tumore mammario metastatico rimane ad oggi una malattia non guaribile, con una sopravvivenza mediana nelle pazienti non precedentemente trattate di 18-24 mesi, variabile in base all’aggressività biologica, alla sede e all’estensione della malattia. Studi recenti descrivono un guadagno crescente, in termini di sopravvivenza globale pari a 12,5 mesi per l’introduzione di nuovi agenti terapeutici (5).
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1.3 Fattori di rischio
Il rischio di sviluppare il carcinoma della mammella è associato a fattori di ordine genetico e familiare, endocrino, dietetico, ambientale, ad abitudini di vita e pregresse malattie mammarie, anche se più della metà dei casi non è tuttavia riconducibile ad alcun fattore di rischio noto (6).
Età. L’età rappresenta un fattore di rischio in rapporto ai meccanismi che
possono coinvolgere il prolungato stimolo endocrino alla proliferazione, l’accumulo di danni al DNA a livello di oncogeni e geni oncosoppressori, l’espressione patologica di geni correlati al ciclo cellulare e all’apoptosi. Circa l’80% dei carcinomi mammari sporadici insorge sopra i 50 anni con un’età media alla diagnosi intorno ai 65 anni (7).
Lunghezza periodo riproduttivo. Menarca anticipato e menopausa ritardata
aumentano il rischio di carcinoma della mammella (8). Per tutto il periodo riproduttivo ogni mese, i lobuli scompaiono e ricompaiono, con un elevato ritmo proliferativo delle cellule delle unità terminali dotto-lobulo (TDLU). Qualsiasi agente cancerogeno esercita meglio la sua azione ai danni del DNA durante il processo di mitosi. Un’intesa proliferazione è inoltre indispensabile sia per la trasformazione neoplastica che per la progressione della malattia (9).
Età della prima gravidanza a termine. Avere il primo figlio in giovane età, ha un
effetto protettivo; un parto prima dei venti anni di età, dimezza il rischio in rapporto a quello di un parto dopo i 35 anni. Si ipotizza che la situazione ormonale determinata dalla gravidanza possa avere un effetto differenziativo sulle cellule epiteliali della ghiandola mammaria, rendendole in questo modo più resistenti, come capacità metaboliche e di riparazione del DNA, ai cancerogeni (10).
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Precedenti biopsie mammarie con diagnosi di iperplasia epiteliale atipica e carcinoma in situ. Una spiegazione plausibile si basa sul concetto di “field
cancerogenesis” o cancerogenesi a campo; l’intera popolazione cellulare di un tessuto o di un organo sarebbe esposta all’agente cancerogeno con possibilità di insorgenza della neoplasia in più zone dello stesso albero ghiandolare. Quindi sviluppare un’iperplasia tipica o un carcinoma in situ, rappresenta un allarme, per la possibilità di sviluppare neoplasie infiltranti. Infatti queste lesioni rappresentano le fasi iniziali del processo neoplastico (11).
Estrogeni endogeni ed esogeni. L’aumentata esposizione ad estrogeni può aumentare il rischio di carcinoma della mammella. L’obesità è un fattore di rischio nelle donne in post-menopausa, in quanto nei depositi di grasso si ha produzione endogena di estrogeni (12). Il rischio conferito dalla terapia ormonale sostitutiva sembra essere modesto (13).
Il rischio ambientale (fitoestrogeni, pesticidi) è ancora oggetto di studio (14). Esposizione a radiazioni. Il rischio sembra essere importante nelle donne giovani (non oltre i 30 anni) sottoposte a terapia radiante per neoplasia tipo la malattia di Hodgkin (15).
Allattamento al seno. Un prolungato allattamento riduce il rischio di carcinoma;
durante questo non si hanno cambiamenti nella struttura della mammella (16). Dieta. Per quanto riguarda il ruolo della dieta non vi sono ancora studi scientifici certi; un fattore di rischio su cui sembra esservi consenso è il consumo di alcool (17).
Influenza geografica. L’incidenza di carcinoma della mammella negli Stati Uniti
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dovuto all’esposizione a cancerogeni ambientali e a diverse abitudini come allattamento e dieta (18).
Familiarità. La presenza di un parente di primo grado (madre o sorella) con
carcinoma mammario rende doppio il rischio di sviluppare un carcinoma della mammella rispetto alla popolazione generale. Solitamente nei soggetti con predisposizione familiare, il carcinoma compare in età giovanile (prima dei 40 anni) ed è più frequentemente bilaterale (19). Lo studio genetico di una famiglia basato sulla ricostruzione dell’albero genealogico, corredato da tutti gli eventi patologici, permette di stabilire se una patologia è del tipo eredo-familiare. La presenza di una mutazione germinale può essere determinata attraverso un test genetico che consiste nell’esaminare il DNA di un individuo estratto da cellule di un campione di sangue o da altri liquidi o tessuti corporei, nella ricerca di alterazioni correlata alla malattia. Le alterazioni del DNA possono essere numerose, come aberrazioni cromosomiche rilevabili dall’esame del cariotipo, o alterazioni di singoli geni attraverso delezioni, mutazioni puntiformi, mutazioni frame-shift (inserimento o delezione di singole basi in un esone), amplificazione genica. I soggetti sani a rischio eredo-familiare possono essere avviati a specifici programmi di sorveglianza al fine di una diagnosi precoce (20).
Predisposizione genetica. È stato dimostrato che pazienti affetti da mutazioni a
livello dei geni BRCA1 (17q) e BRCA2 (12q), normalmente coinvolti nel controllo della proliferazione cellulare, hanno un aumentato rischio di sviluppare un carcinoma della mammella entro i 70 anni, di circa il 56% (21). Le mutazioni a livello di questi geni, sono responsabili di circa 1/3 dei casi familiari e complessivamente del 10% dei casi di carcinoma mammario (22). Le mutazioni
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del gene BRCA1 sono inoltre coinvolte nella predisposizione allo sviluppo di carcinomi all’apparato riproduttivo femminile ovaio e tube).
1.4 Stadi del tumore al seno
Figura b: differenti stadi del carcinoma mammario
Il tumore del seno viene classificato in 5 stadi:
Stadio 0: chiamato anche carcinoma in situ. Può essere a sua volta di due tipi: carcinoma lobulare in situ, cioè un tumore di per sé non aggressivo ma che può rappresentare un fattore di rischio per la formazione successiva di una lesione maligna, oppure carcinoma duttale in situ che colpisce le cellule dei dotti e aumenta il rischio di sviluppare un cancro nello stesso seno.
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Stadio I: è un cancro in fase iniziale, con meno di 2 cm di diametro e senza coinvolgimento dei linfonodi.
Stadio II: cancro in fase iniziale sempre con diametro inferiore ai 2 cm ma che vede il coinvolgimento dei linfonodi sotto l’ascella; oppure è un tumore di più di 2 cm di diametro senza coinvolgimento dei linfonodi.
Stadio III: tumore localmente avanzato, di dimensioni variabili, ma che ha coinvolto anche i linfonodi sotto l’ascella, oppure che coinvolge i tessuti vicino al seno.
Stadio IV: è un cancro metastatizzato che ha coinvolto altri organi al di fuori del seno.
Se il tumore viene identificato allo stadio 0, la sopravvivenza a 5 anni nelle donne trattate è del 98%, anche se le ricadute possono variare dal 9 al 30% dei casi, a seconda della terapia effettuata. Se i linfonodi sono positivi, cioè contengono cellule tumorali, la sopravvivenza a cinque anni risulta del 75%. Il carcinoma mammario è caratterizzato da lunga durata, infatti le pazienti che rifiutano ogni forma di trattamento riescono a sopravvivere in media 2,5 – 3 anni, ma possono arrivare anche fino a 20 anni. Il tumore mammario rientra fra quelli a più lenta crescita, in media si raddoppia di circa 3 volte per anno, ci vorranno quindi 10 anni per passare da una singola cellula ad 1 cm (dimensione diagnosticabile). Le metastasi possono verificarsi durante il periodo preclinico, ma con frequenza maggiore si verificano durante gli ultimi 3-4 anni di crescita preclinica, quando la massa tumorale passa da 10^6 a 10^9 cellule. Chirurgia e radioterapia non sono sufficienti a garantire la sopravvivenza delle pazienti, proprio a causa dello sviluppo di metastasi; la
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mammografia aumenta la sopravvivenza grazie alla metastatizzazione tardiva del tumore.
1.5 Fattori prognostici e predittivi
I criteri prognostici di maggiore importanza sono il grado istologico e lo stadio della neoplasia. La variabilità prognostica registrata all’interno di categorie di pazienti omogenee per stadio anatomo-clinico, ha indotto ad una più estesa caratterizzazione del tumore dal punto di vista morfologico e biofunzionale (23). Il sistema di attribuzione del grado più usato considera il pleomorfismo nucleare, la formazione di tubuli e l’indice mitotico per classificare i carcinomi invasivi in tre gruppi che sono strettamente correlati alla sopravvivenza. La sopravvivenza a 10 anni dall’85% del grado I scende al 60% nel grado II e al 15% nel grado III. La riproducibilità del grado è alquanto bassa risentendo della soggettività dell’osservatore (24).
La determinazione dello stadio raggiunto dalla neoplasia alla presentazione è importante per impostare i programmi terapeutici sia chirurgici che radio e/o chemioterapici. La stadiazione viene eseguita seguendo protocolli che tengono conto delle più recenti acquisizioni scientifiche. Attualmente si fa riferimento al sistema TNM adottato dall’American Joint Committe on Cancer (AJCC) nel 2002 e tale sistema si basa su:
• dimensioni della neoplasia (T)
• presenza ed estensione di metastasi ai linfonodi regionali (N) • presenza di eventuali metastasi a distanza (M)
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Dimensioni della neoplasia. Le dimensioni del tumore costituiscono un fattore
prognostico indipendente molto importante. Il vantaggio dello screening mammografico consiste nella possibilità di riconoscere ed identificare lesioni di dimensioni inferiori a quelli diagnosticati con la sola clinica. Un aspetto che esemplifica l’importanza delle dimensioni del tumore è il dato, confermato dalla letteratura, secondo il quale la sopravvivenza a 20 anni per carcinomi di dimensioni inferiori ad 1 cm e linfonodi negativi è del 90%, mentre per neoplasie di dimensioni inferiori a 2 cm, la sopravvivenza scende. Alle dimensioni della neoplasia è correlata anche l’incidenza di metastasi linfonodali.
Metastasi linfonodali. Lo stato dei linfonodi ascellari rappresenta il più
importante fattore prognostico per il carcinoma invasivo della mammella in assenza di metastasi a distanza. La valutazione clinica del coinvolgimento linfonodale è inaccurata sia per i falsi positivi che per i falsi negativi, pertanto la biopsia si rende necessaria per una valutazione accurata. In assenza di interessamento dei linfonodi, la sopravvivenza libera da malattia a 10 anni è vicina al 70-80%, con un numero di linfonodi interessati da 1 a 3 la percentuale scende al 35-40%, mentre in presenza di più di 10 linfonodi positivi, la percentuale di sopravvivenza è del 10-15%. Nella stadiazione e terapia chirurgica del tumore mammario la tecnica del “linfonodo sentinella” sta acquisendo un ruolo sempre più importante. Si tratta di una tecnica messa a punto nel 1996 da studiosi del National Cancer Institute of Bethesda, rapidamente diffusasi a livello internazionale e ormai considerata un cardine della terapia chirurgica conservativa senologica. La negatività istologica del primo linfonodo di drenaggio, che riceve il flusso linfatico proveniente dall’area di mammella interessata dalla neoplasia (linfonodo sentinella identificato con
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tecniche radioisotopiche), permette di escludere con ragionevole sicurezza l’interessamento metastatico dell’intera catena linfonodale ascellare, evitando in questo modo l’inutile dissezione ascellare completa (valore predittivo negativo maggiore al 96%) (25).
Metastasi a distanza. Le sedi preferenziali di metastasi a distanza sono i
segmenti ossei (70-80%), soprattutto vertebrali, costali, pelvici e della volta cranica. Le metastasi polmonari rappresentano il 60-65%; una volta raggiunto il polmone, attraverso la circolazione arteriosa produce metastasi epatiche (60%) e cerebrali (25%). I fattori prognostici indicati nel TNM sono utili per prevedere la prognosi delle singole neoplasie. Accanto a questi vengono utilizzati altri fattori utili come indicatori di risposta alla terapia.
Sottotipo istologico. La sopravvivenza a 30 anni nelle donne con carcinomi
invasivi di tipo speciale (tubulare, mucinoso, lobulare, papillare) è maggiore del 60%, rispetto a meno del 20% in pazienti con carcinomi invasivi di tipo non speciale.
1.6 HER2/neu come fattore prognostico
Il valore prognostico di HER-2/neu è stato recentemente considerato rilevante nella definizione del rischio e pertanto deve essere tenuto in considerazione. Le alterazioni di HER-2/neu sono associate ad un maggiore rischio di metastasi linfonodali, all’elevato grado istologico, alla negatività per i recettori steroidei, alla più giovane età d’insorgenza e, più in generale, ad una peggiore prognosi nelle pazienti affette da carcinoma della mammella (26). HER-2 viene attualmente studiato soprattutto per il suo valore predittivo, in quanto un
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aumento dell’espressione di questo oncogene, quando determinato con metodiche immunoistochimiche o con tecnica FISH (Fluorescent in situ hybridization), è in grado di predire la risposta a farmaci basati su anticorpi monoclonali come l’ Herceptin.
Il proto-oncogene ErbB2 (HER2/neu) è situato sul braccio lungo del cromosoma 17 (17q11.2-q12). Codifica per un mRNA di 4,6 Kb, tradotto in una proteina di 185 kDa, chiamata p185 la quale ha funzione recettoriale ad attività tirosin-chinasica (27). ErbB2 appartiene ad una famiglia di recettori per fattori di crescita che comprende ErbB1, meglio conosciuto come EGFR, ErbB3 (HER3) ed ErbB4 (HER4). La struttura monomerica di questi recettori è formata da un dominio trans membrana di 25-30 aminoacidi, da un dominio extracellulare N-terminale di 620 aminoacidi, che lega i fattori di crescita e strutturato in quattro sottodomini denominati L1, L2 (leucine-rich), CR1, CR2 (cysteinerich) ed infine un dominio intracellulare C-terminale, responsabile dell’attività tirosin-chinasica. La fosforilazione della tirosina nel recettore produce siti di legame per proteine che contengono domini SH2 (Src homology 2) e PTB (Phosphotyrosine binding). Fanno parte di questo gruppo di proteine Grb2, Grb7, Crk e Gab1, proteine e lipidi-chinasi come fosfatidilinositolo-3-chinasi, e fosfolipasi Cγ e proteine fosfatasi come SHP1 e SHP2 (28). Dopo attivazione si innescano meccanismi di trasduzione del segnale che portano a divisione cellulare. L’integrità del segnale di ErbB richiede l’unione, indipendente dalla fosforilazione, con proteine che regolano l’attività recettoriale e la corretta localizzazione in membrana. I fattori di crescita che legano questi recettori sono conosciuti come “hereguline” o “neureguline” ed il loro legame con ErbB3 ed ErbB4 induce un’eterodimerizzazione con ErbB2 e successiva trasduzione a
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valle del segnale. ErbB2 non è in grado di legarsi a fattori endogeni, ma forma dimeri con altri recettori della famiglia, già legati, stabilizzandoli ed innescando la trasduzione del segnale chinasi mediata. Tutte le combinazioni dei quattro recettori possono essere indotte da 10 specifici ligandi di ErbB, generando segnali molto diversi fra di loro. Alternativamente, l’iperespressione di recettori, che può essere osservata in alcuni tumori, incluso quello della mammella, promuove la dimerizzazione spontanea in assenza di ligando e quindi l’attivazione costitutiva.
Figura c: Espressione di HER2 in una cellula sana e in una cellula tumorale
L’amplificazione di ErbB2 e l’iperespressione della relativa proteina sono riscontrati nel 15-20% dei carcinomi della mammella (29) e sono associati alle metastasi linfonodali, all’elevato grado istologico, alla negatività per i recettori steroidei, alla più giovane età e più in generale ad una prognosi peggiore (30). Dati recenti suggeriscono come anche l’iperespressione di ErbB3 contribuisca al fenotipo maligno attraverso l’aumento della motilità cellulare, con induzione di potenziali metastasi e trasduzione di segnali anti-apoptotici che prolungherebbero la sopravvivenza cellulare e contribuirebbero all’insorgenza di
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instabilità genetica e di resistenza farmacologica. Le hereguline sono importanti fattori migratori delle cellule neoplastiche nel cancro della mammella, inducendo la riorganizzazione dell’actina e la formazione di strutture citoscheletriche mobili. Inoltre le hereguline stimolano anche PAK1 (p21- activate-kinase), chinasi implicata nella promozione della migrazione cellulare. Questo può avere rilevanza sia nello sviluppo della malattia metastatica che nel carcinoma della mammella.
L’iperespressione di recettori tirosin chinasici della famiglia ErbB, contribuisce al prolungamento del ciclo cellulare, permettendo la riparazione del DNA e sovraregolando membri antiapoptotici della famiglia Bcl2. L’espressione di ErbB2 risulta associata ad una sottoregolazione di BAX e ad una sovraregolazione di molecole antiapoptotiche come Bcl2 e Bcl-XL; il segnale apoptotico risulta quindi ridotto, venendo favorita l’instabilità genomica con comparsa della resistenza ad agenti chemioterapici. Questo vale per farmaci che agiscono producendo danni al DNA come analoghi nucleosidici (5-fluorouracile, citarabina, fludarabina), antibiotici intercalanti del DNA (adriamicina), agenti alchilanti che formano legami tra i due filamenti (ciclofosfamide) (31).
Il carcinoma mammario positivo per il fattore di crescita epidermico umano di tipo 2 (HER-2), è passato dall’essere una delle forme tumorali più aggressive e con prognosi infausta, all’essere una malattia facilmente trattabile, con una possibilità di sopravvivenza prolungata persino per le pazienti con malattia metastatica. Tutto ciò è stato reso possibile da uno studio approfondito del ruolo biologico di HER2 che ha portato allo sviluppo di potenti terapie target directed.
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1.7 Trastuzumab: anticorpo monoclonale target directed
Figura d: struttura tridimensionale di un anticorpo
Trastuzumab (HERCEPTIN ®) è un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato, prodotto da coltura di cellule di mammifero (cellule ovariche di criceto cinese), e concepito per riconoscere e agire contro il dominio extracellulare del recettore HER2, un recettore tirosina chinasi che risulta essere iperespresso in circa un quarto dei carcinomi mammari ed un quinto dei carcinomi gastrici . Trastuzumab è stato approvato per il trattamento del tumore mammario HER2 positivo metastatico e in fase iniziale, e per il tumore gastrico metastatico. Per quanto riguarda il tumore mammario, Trastuzumab è raccomandato sia come singolo agente terapeutico, nelle pazienti che in precedenza sono state sottoposte, senza esito positivo, ad almeno due cicli chemioterapici, sia in combinazione con i classici chemioterapici. In diversi studi clinici è stata dimostrata la sua efficacia sia nel setting adiuvante che in quello metastatico. In combinazione con la chemioterapia, riduce il rischio di ripresa di malattia e di morte quando somministrato nel setting adiuvante (33). Inoltre in combinazione
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con la chemioterapia, Trastuzumab migliore il tempo libero da progressione, la sopravvivenza globale e il tasso di risposta delle pazienti con malattia metastatica HER2 positiva (34,35). Ha modificato in maniera significativa la storia naturale di questo sottotipo tumorale.
Il trattamento della forma tumorale metastatica prevede una somministrazione di Herceptin ogni settimana oppure ogni tre settimane, con protrazione della terapia fino a perdita di efficacia. Il trattamento della forma tumorale in fase iniziale, prevede una somministrazione ogni 3 settimane per un anno, o fino a perdita di efficacia. Herceptin può anche essere somministrato settimanalmente in associazione ad altri medicinali antitumorali.
1.8
Individuazione
dell’iperespressione
di
HER2
o
dell’amplificazione del gene HER2/neu nel carcinoma
mammario
Trastuzumab (Herceptin) deve essere utilizzato soltanto nei pazienti affetti da tumore mammario iperesprimente HER2, o con amplificazione del gene HER2/neu come determinato mediante un test accurato e convalidato.
L’iperespressione di HER2 deve essere individuata tramite un esame immuno-istochimico (IHC) di sezioni tumorali fissate. L’amplificazione del gene HER2/neu deve essere individuata mediante ibridazione in situ tramite fluorescenza (FISH) o ibridazione in situ cromogenica (CISH) di sezioni tumorali fissate. Sono candidati al trattamento con Herceptin i pazienti che mostrino marcata iperespressione di HER2 con indicazione di punteggio IHC pari a 3+ o un risultato positivo nel test FISH o CISH. Per assicurare risultati accurati e
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riproducibili, gli esami devono essere effettuati in laboratori specializzati e in grado di garantire la validazione delle procedure analitiche.
1.9 Meccanismo d’azione di Trastuzumab
Benchè i precisi meccanismi d’azione di Trastuzumab non siano ancora conosciuti nel dettaglio, vengono ipotizzati almeno 5 possibili meccanismi di funzionamento.
Meccanismo extracellulare:
Citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC antibody dependent cellular cytotoxicity)
Meccanismi intracellulari:
Inibizione del clivaggio del dominio extracellulare
Inibizione del meccanismo di trasmissione del segnale intracellulare Riduzione dell’angiogenesi
20 Figura e: meccanismo d’azione di trastuzumab
Trastuzumab è diretto contro HER2, inibisce il meccanismo di trasmissione del segnale dipendente da HER2 e blocca il ciclo cellulare di fase G1 con conseguente inibizione della crescita cellulare (36). Durante lo sviluppo di Trastuzumab è stato osservato che l’elevata specificità di legame dell’anticorpo con il recettore, è in grado di neutralizzare le proteine di membrana che regolano la crescita tumorale: bloccando questo recettore, gli anticorpi possono portare la cellula legando il loro bersaglio specifico. Questo meccanismo specifico è mediato dalla porzione dell’anticorpo monoclonale deputata al legame con la porzione antigenica bersaglio, risultando responsabile dell’efficacia clinica del farmaco stesso. Tuttavia, l’attività terapeutica degli anticorpi monoclonali può andare oltre questo meccanismo (37).
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Legandosi al dominio extracellulare, Trastuzumab previene il clivaggio del dominio stesso, così come la dimerizzazione di HER-2, inibendo l’attivazione recettoriale e la successiva trasmissione del segnale a valle, coinvolgente molteplici vie intracellulari, quali le vie delle fosfatidil inositolo 3,4,5 trifosfato chinasi (PI3K) e delle MAP chinasi (MAPK). La riduzione del segnale può condurre ad una internalizzazione recettoriale con successiva degradazione (38,39). Tale evento resta tuttavia controverso in seguito all’evidenza dei livelli recettoriali in risposta al trattamento con Trastuzumab che risultano non modificati (40).
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1.10 Herceptin® EV
(Trastuzumab): caratteristiche del prodotto
Composizione: La formulazione di Herceptin somministrato per infusioneendovenosa è costituita da una soluzione di 150 mg di polvere per concentrato per infusione. Ciascun flaconcino contiene 150 mg di Trastuzumab, anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato, prodotto da colture di cellule di mammifero ( cellule ovariche di criceto cinese) in sospensione, purificate emdiante cromatografia di affinità e a scambio ionico, con procedure di inattivazione e rimozione virale specifiche. La soluzione ricostituita di Herceptin contiene 21 mg/ml di trastuzumab.
Forma farmaceutica: Polvere per concentrato per soluzione per infusione.
Polvere liofilizzata di colore da bianco a giallo chiaro.
Indicazioni terapeutiche: Herceptin® viene utilizzato per il trattamento di
Carcinoma mammario
Carcinoma mammario metastatico Her 2 positivo:
- In monoterapia per il trattamento di pazienti che hanno ricevuto almeno due regimi chemioterapici per la malattia metastatica
- In associazione a paclitaxel per il trattamento di pazienti che non sono stati sottoposti a chemioterapia per la malattia metastatica
- In associazione a docetaxel per pazienti che non sono stati sottoposti a chemioterapia per la malattia metastatica
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- In associazione ad un inibitore dell’aromatasi nel trattamento di pazienti postmenopausa affette da carcinoma mammario metastatico positivo per i recettori ormonali, non precedentemente trattati con trastuzumab
Carcinoma mammario in fase iniziale Her 2 positivo:
- Dopo chirurgia, chemioterapia (neoadiuvante o adiuvante) e radioterapia
- Dopo chemioterapia adiuvante con doxorubicina e ciclofosfamide, associato a paclitaxel o docetaxel
- In associazione a chemioterapia adiuvante con docetaxel e carboplatino
- In associazione a chemioterapia neoadiuvante, seguito da terapia adiuvante con Herceptin, nella malattia localmente avanzata o in tumori di diametro >2 cm.
Herceptin deve in ogni caso essere utilizzato soltanto in pazienti con carcinoma mammario metastatico o in fase iniziale i cui tumori presentano iperespressione di HER2 o amplificazione del gene HER2 in seguito a determinazione tramite test accurato e convalidato.
Posologia e modo di somministrazione: prima di poter iniziare una terapia a
base di Herceptin, è obbligatorio effettuare la misurazione dell’espressione di HER2. Il trattamento inoltre deve essere necessariamente iniziato da un medico esperto nella somministrazione di chemioterapia citotossica e il farmaco deve essere somministrato esclusivamente da un operatore sanitario. La formulazione endovenosa di Herceptin non è destinata a somministrazione sottocutanea e deve essere somministrato unicamente mediante infusione endovenosa.
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Posologia: per il trattamento del carcinoma mammario metastatico è possibile
effettuare una somministrazione di farmaco ogni tre settimane. Questo trattamento consiste in una prima dose iniziale di carico raccomandata di 8 mg/kg di peso corporeo, seguita da una dose di mantenimento di farmaco raccomandata di 6 mg/kg di peso corporeo, con inizio tre settimane dopo la prima dose di carico. La somministrazione di Herceptin può essere anche settimanale in concomitanza con paclitaxel dopo chemioterapia con doxorubicina e ciclofosfamide. In questo caso avremo una dose iniziale di carico di 4 mg/kg di peso corporeo seguita da una dose settimanale di mantenimento di 2 mg/kg di peso corporeo.
Modo di somministrazione: La dose di carico di Herceptin deve essere
somministrata mediante infusione endovenosa della durata di 90 minuti. Il farmaco si somministra per infusione in vena (somministrazione goccia a goccia) attraverso una cannula (un tubicino sottile che viene introdotto nella vena del braccio o della mano); attraverso il catetere venoso centrale (CVC) che viene inserito sotto cute (PORT) in una vena vicino alla clavicola; attraverso la linea cosiddetta PICC, acronimo dall'inglese peripherally inserted central catheter, che è inserita in una vena periferica, solitamente del braccio. Il trattamento è attuato in day hospital. Non deve essere somministrata come iniezione endovenosa o bolo endovenoso. L’infusione endovenosa di Herceptin deve essere somministrata da personale sanitario preparato a gestire l’anafilassi e in presenza di strumentazione di emergenza. I pazienti devono essere tenuti sotto osservazione per almeno sei ore dopo l’inizio della prima
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infusione e per due ore dopo l’inizio delle successive infusioni per rilevare sintomi, quali febbre e brividi o altri sintomi correlati all’infusione. Tali sintomi possono essere controllati interrompendo l’infusione o rallentandone la velocità. L’infusione può essere ripresa una volta che i sintomi si sono alleviati. Se la dose iniziale di carico risulta essere ben tollerata dal paziente, le dosi successive possono essere somministrate in infusioni di 30 minuti.
Effetti tossici: I pazienti trattati con Herceptin sono maggiormente esposti a
rischio di sviluppare insufficienza cardiaca congestizia (CHF) o disfunzione cardiaca asintomatica. Questi eventi sono stati osservati nei pazienti trattati con Herceptin in monoterapia o in terapia di associazione a paclitaxel o docetaxel, in particolare dopo chemioterapia con antracicline (doxorubicina o epirubicina). Sono risultati di intensità da moderata a severa e sono stati associati anche a decesso. Se durante la terapia con Herceptin insorge insufficienza cardiaca sintomatica, questa deve essere trattata con le terapie farmacologiche standard per insufficienza cardiaca congestizia. La maggior parte dei pazienti che hanno sviluppato insufficienza cardiaca congestizia o disfunzione cardiaca asintomatica negli studi registrativi, è migliorata con il trattamento standard a base di un inibitore dell'enzima di conversione dell'angiotensina (ACE) o un bloccante dei recettori dell'angiotensina (ARB) e un beta-bloccante. La maggior parte dei pazienti con sintomi cardiaci ed evidenza di un beneficio clinico associato al trattamento con Herceptin, ha proseguito la terapia senza ulteriori eventi clinici cardiaci. Sempre legati all’uso di Herceptin nel contesto post-commercializzazione, sono stati individuati eventi polmonari severi, alcuni occasionalmente fatali.
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Reazioni relative all’infusione e ipersensibilità: alcune delle reazioni avverse più
gravi che sono state riscontrate relativamente all’infusione di Herceptin sono dispnea, ipotensione, respiro sibilante, ipertensione, broncospasmo, tachiaritmia sopraventricolare, ridotta saturazione dell’ossigeno, anafilassi, distress respiratorio, orticaria e angioedema. Per ridurre il rischio di tali eventi si può ricorrere a premedicazione.
Istruzioni per la ricostituzione: per prima cosa utilizzando una siringa sterile si
devono iniettare lentamente 7,2 ml di acqua per preparazioni iniettabili nel flaconcino contenente Herceptin liofilizzato. Successivamente si fa roteare lentamente il flaconcino per permettere la ricostituzione del prodotto. Non si deve agitare il prodotto. La formazione di una lieve schiuma durante il processo di ricostituzione è un fenomeno non insolito. È necessario lasciar riposare il flaconcino in posizione verticale per circa 5 minuti. Una volta avvenuta la corretta ricostituzione Herceptin appare come una soluzione trasparente, incolore o giallo chiaro, priva di particelle visibili.
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1.11 Herceptin® SC (Trastuzumab): caratteristiche del prodotto
Composizione: la formulazione di Herceptin sottocute è costituita da unflaconcino di 5 ml contenente 600 mg di trastuzumab, un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato, prodotto da coltura di cellule di mammifero (cellule ovariche di criceto cinese) in sospensione, purificate mediante cromatografia di affinità e a scambio ionico, con specifiche procedure di inattivazione e rimozione virale.
Forma farmaceutica: Soluzione per iniezione con aspetto variabile da chiaro
limpido a opalescente, da incolore a giallastra.
Indicazioni terapeutiche: sono le medesime previste per la formulazione di
Herceptin EV.
Posologia: la dose raccomandata per Herceptin formulazione sottocutanea è di
600 mg indipendentemente dal peso del paziente. Tale dose deve essere somministrata in un periodo di tempo di 2-5 minuti con intervalli di tre settimane.
Durata del trattamento: I pazienti con carcinoma mammario metastatico (MBC)
devono essere trattati con Herceptin fino a progressione della malattia. I pazienti con tumore mammario in fase iniziale devono essere trattati con Herceptin per 1 anno o fino a comparsa di recidiva, a seconda dell’evento che si verifichi per primo. Il prolungamento del trattamento nel tumore mammario in fase iniziale per un periodo superiore a un anno non è raccomandato.
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Modo di somministrazione: La dose di 600 mg deve esser somministrata
unicamente mediante iniezione sottocutanea in 2-5 minuti ogni tre settimane. Il sito di iniezione deve essere alternato tra la coscia sinistra e quella destra. Le nuove iniezioni devono essere somministrate ad almeno 2,5 cm dal precedente punto di iniezione e mai in zone in cui la cute è arrossata, livida, sensibile o indurita. Durante il trattamento con Herceptin formulazione sottocutanea la somministrazione per via sottocutanea di altri farmaci deve avvenire possibilmente mediante iniezione in altri siti. Uno dei vantaggi della formulazione sottocutanea inoltre è quello di non richiedere necessità di somministrazione tramite catetere venoso centrale. I pazienti devono essere posti sotto osservazione per sei ore dopo la prima iniezione e per due ore dopo le iniezioni successive per rilevare eventuali segni o sintomi di reazioni correlate alla somministrazione.
Effetti tossici: sono i medesimi riscontrati con la somministrazione di Herceptin
EV.
Reazioni correlate alla somministrazione: con la formulazione di Herceptin
sottocutanea sono state osservate reazioni correlate alla somministrazione. L’insorgenza di tali reazioni può essere inibita tramite premedicazione. Studi clinici con Herceptin formulazione sottocutanea non hanno riscontrato reazioni relative alla somministrazione gravi come dispnea, ipotensione, respiro sibilante, broncospasmo, tachicardia, ridotta saturazione dell'ossigeno e di stress respiratorio che si presentano invece in caso si somministrazione di Herceptin EV.
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Profilo di sicurezza: Tra le reazioni avverse più gravi e/o comuni riferite finora
con l’uso di Herceptin (formulazione endovenosa e formulazione sottocutanea) vi sono: disfunzione cardiaca, reazioni correlate alla somministrazione, ematotossicità (in particolare neutropenia), infezioni e reazioni avverse polmonari. Il profilo di sicurezza di Herceptin formulazione sottocutanea (valutato in 298 e 297 pazienti trattati rispettivamente con la formulazione endovenosa e con la formulazione sottocutanea) nello studio sul tumore mammario in fase iniziale, è stato complessivamente simile al profilo di sicurezza noto della formulazione endovenosa. Tuttavia alcuni eventi/reazioni avversi/e sono stati/e riferiti/e con una frequenza maggiore per la formulazione sottocutanea:
Eventi avversi gravi (identificati per la maggior parte nell'ambito di un ricovero ospedaliero o di un prolungamento di un ricovero): 14,1% per la formulazione endovenosa versus 21,5% per la formulazione sottocutanea. La differenza nei tassi di eventi avversi gravi tra le formulazioni è stata principalmente dovuta a infezioni associate o meno a neutropenia (4,4% versus 8,1%) ed eventi cardiaci (0,7% versus 1,7%).
Infezioni postoperatorie delle ferite chirurgiche (severe e/o gravi): rispettivamente 1,7% versus 3,0% per la formulazione endovenosa e la formulazione sottocutanea
Reazioni correlate alla somministrazione: rispettivamente 37,2% versus 47,8% per la formulazione endovenosa e la formulazione sottocutanea a dose fissa durante la fase di trattamento.
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Ipertensione: rispettivamente 4,7% versus 9,8% per la formulazione endovenosa e la formulazione sottocutanea
Herceptin formulazione sottocutanea è una soluzione pronta all’uso che non deve essere miscelata o diluita con altri prodotti. Trastuzumab SC contiene un innovativo eccipiente rHuPH20 (carrier del principio attivo di un farmaco) sviluppato da Halozyme Therapeutics, Inc. rHuPH20 (ialuronidasi umana ricombinante) che agisce disgregando in maniera reversibile l’acido ialuronico, che forma una barriera nei tessuti tra le cellule sottocute, permettendo un rilascio sottocutaneo di volumi di farmaco che non potrebbero altrimenti essere possibili.
1.12 Studio clinico HannaH: Trastuzumab SC vs. EV
Lo studio clinico HannaH è uno studio di fase III, randomizzato, internazionale, in aperto, che ha comparato il profilo farmacocinetico, l'efficacia e la sicurezza di due diverse formulazioni di Trastuzumab (SC. vs EV.) nel trattamento neoadiuvante/adiuvante del tumore mammario HER2-positivo, operabile, localmente avanzato o infiammatorio.
Gli endpoint co-primari, per dimostrare la non-inferiorità della formulazione SC vs EV di Trastuzumab in termini di concentrazione minima nel siero e di risposta patologica completa, sono stati raggiunti, e i profili di sicurezza sono risultati comparabili ad un follow-up mediano di 12 mesi. La concentrazione di farmaco nel sangue misurata appena prima della chirurgia è risultata pari tra le due formulazioni (69,0 e 51,8 µg/mL, rispettivamente). Questo è importante per dimostrare un'efficacia comparabile. Inoltre, l'efficacia, determinata in base alla
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risposta patologica completa, e registrata nelle pazienti del braccio SC, è paragonabile con quella registrata nelle pazienti sottoposte al trattamento endovenoso (45,4% e 40,7% rispettivamente).
Gli endpoint secondari hanno incluso sicurezza e tollerabilità, profilo farmacocinetico, immunogenicità e sopravvivenza libera da eventi.
Lo studio ha coinvolto 596 pazienti, che sono state trattate con 8 cicli di chemioterapia neoadiuvante, somministrata in concomitanza con trastuzumab SC ogni 3 settimane (alla dose fissa di 600 mg), o secondo il metodo standard per via EV al dosaggio calcolato sul peso corporeo.
Dopo la procedura chirurgica, le pazienti hanno continuato il trattamento con trastuzumab per completare un anno di terapia. Sono state condotte analisi aggiornate dei dati di farmacocinetica, efficacia, sicurezza e immunogenicità. I risultati dello studio indicano che trastuzumab SC è stato generalmente ben tollerato e che l'incidenza di eventi avversi, inclusi quelli di grado 3 o 4, tra i due gruppi di trattamento era comparabile. Un'incidenza leggermente superiore di eventi avversi gravi, principalmente dovuta a infezioni, è stata riportata con il trattamento per via SC (n = 64, 21.5%, intervallo di confidenza [IC] 95%: 17.0 - 26.7; vs n = 42, 14.1%, IC 95%: 10.4 - 18.6 nel gruppo trattato con trastuzumab EV). Tuttavia, le differenze erano minime e soprattutto basate su eventi rari, senza schemi osservabili in tutti gli eventi riportati. Un'analisi iniziale della sopravvivenza libera da eventi ha indicato tassi del 95% in entrambi i gruppi un anno dopo la randomizzazione e analisi esplorative non hanno evidenziato alcuna associazione tra tossicità e peso corporeo o esposizione (41).
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Figura f: Programma di di svolgimento dello studio HannaH
Progettazione dello studio e trattamento previsto: le pazienti presentanti tumore
mammario HER-2 positivo, operabile, localmente avanzato o in stato infiammatorio, sono state randomizzate ad otto cicli di trattamento neoadiuvante con docetaxel, fluorouracile, epirubicina e ciclofosfamide somministrati in concomitanza con Trastuzumab con cadenza trisettimanale nella formulazione sottocutanea (al dosaggio prefissato di 600mg), oppure intravenosa (al dosaggio calcolato in base al peso corporeo). In seguito ad operazione chirurgica, le pazienti hanno proseguito con un trattamento in monoterapia di trastuzumab per un periodo di un anno. Lo studio è stato condotto secondo le linee guida di Good Clinical Practice e la dichiarazione di Helsinki, e tutte le pazienti hanno fornito il consenso. L’approvazione del protocollo e del materiale di accompagnamento fornita alle pazienti, è stata ottenuta dalle istituzioni partecipanti attraverso un comitato etico indipendente.
Efficacia: la risposta patologica completa è stata definita come l’assenza di
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La sopravvivenza libera da eventi, è stata definita come il periodo di tempo dalla randomizzazione alla data della progressione di malattia (locale, regionale, distale o controlaterale), o del decesso per qualsiasi motivazione.
Sicurezza: le analisi di sicurezza sono state condotte sulla popolazione di
pazienti che hanno ricevuto una o più dosi durante lo studio. Eventi avversi e eventi avversi gravi sono stati classificati e riportati secondo il National Cancer Institute Common Toxicity Criteria. A differenza da quanto accaduto nel gruppo di pazienti trattati con formulazione EV, la maggior parte di eventi avversi che hanno portato all’abbandono dello studio da parte di pazienti appartenenti al gruppo trattati con formulazione sottocutanea, sono stati eventi avversi di grado I o II (61% contro il 50% nel gruppo EV). Sedici pazienti appartenenti al braccio EV e undici pazienti appartenenti al braccio SC, sono deceduti in seguito a progressione della malattia. Due pazienti trattati per EV e quattro pazienti trattati per SC sono deceduti a causa di eventi avversi. I disordini cardiaci hanno contribuito maggiormente alla differente percentuale di uscita dallo studio (1,7% nel gruppo EV, 3% nel gruppo SC). La maggior parte degli eventi avversi cardiaci è stata di grado I o II e non vi è stata differenza di incidenza tra i due gruppi. Il numero delle riduzioni significative del valore di frazione di eiezione ventricolare sinistra (EF), è risultato simile nei due gruppi.
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Figura g: numeri e percentuali di eventi avversi e di eventi avversi gravi che si sono verificati durante lo studio HannaH
Considerazioni: lo studio HannaH ha dimostrato che il valore di concentrazione
minima di farmaco nel sangue calcolato precedentemente alla chirurgia, e la risposta patologica completa per la formulazione sottocutanea, non sono risultati inferiori a quelli riportati per la formulazione intravenosa, con un profilo di sicurezza similare. I risultati aggiornati, ottenuti con un follow up mediano di 20 mesi, hanno chiarito alcuni importanti questioni riguardanti il trastuzumab sottocutaneo. In particolare, gli effetti che una somministrazione con dosaggio prefissato può avere nei confronti di peso estremo (fortemente sottopeso o fortemente sovrappeso) (42). In tal caso è stato analizzato e poi successivamente dimostrato, come non vi sia un’alterazione di efficacia né di sicurezza in seguito ad utilizzo di formulazione SC con dosaggio fisso rispetto alla formulazione EV. Anche se il dosaggio fisso di trastuzumab somministrato
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per via sottocutanea ha riportato una più alta esposizione nei pazienti di basso peso corporeo, analisi esplorative non hanno identificato alcuna associazione clinicamente significativa tra l’incidenza di eventi avversi gravi di grado uguale o superiore a 3, ed esposizione o peso corporeo. Inoltre, i tassi di eventi avversi nei pazienti di peso corporeo molto basso e trattati con trastuzumab SC, sono stati coerenti con quelli riportati nel gruppo trattato con trastuzumab EV, fornendo ulteriore prova di quanto non vi sia aumento del rischio di sicurezza nei pazienti di basso peso corporeo relativo all’utilizzo di una dose fissa di trastuzumab SC.
I vantaggi della somministrazione sottocutanea di trastuzumab, includono miglioramento della semplicità della modalità di somministrazione, aumento della compliance della paziente, riduzione dei tempi di preparazione e allestimento da parte della farmacia e ottimizzazione delle risorse mediche.
Conclusioni: in accordo con i dati riportati dallo studio, è stato possibile quindi
affermare come il profilo di sicurezza relativo alla formulazione sottocutanea di trastuzumab ( incluso il profilo cardiaco), sia similare a quello della formulazione endovenosa gia precedentemente approvato.
1.13 Studio clinico PrefHer: trastuzumab sottocute
Lo studio clinico PrefHer è uno studio internazionale, randomizzato, multicentrico, in crossover di fase II, mirato a valutare la preferenza da parte di pazienti e personale sanitario nei confronti della somministrazione sottocutanea di trastuzumab rispetto a quella endovenosa, per il trattamento di pazienti con carcinoma mammario positivo per lo stato HER2. Si tratta quindi di uno studio
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che presenta come obiettivo la valutazione della preferenza dei pazienti per una specifica terapia tumorale. È uno studio condotto a livello mondiale, che ha visto 12 Paesi e 488 pazienti totali coinvolti. Sono state arruolate come candidate pazienti con carcinoma mammario positivo per lo stato di HER2 in trattamento precauzionale con trastuzumab. Le pazienti sottoposte a trattamento adiuvante con trastuzumab sono state randomizzate a ricevere quattro cicli di trastuzumab somministrato per via sottocutanea, seguiti da quattro cicli di trastuzumab somministrati per via endovenosa, o in sequenza inversa, in due bracci dello studio.
Le pazienti della coorte 1 hanno ricevuto quattro cicli di trastuzumab sottocutaneo (dose fissa di 600 mg) tramite un dispositivo di iniezione monouso (SID) e quattro cicli di trastuzumab EV.
Le pazienti della coorte 2 hanno ricevuto quattro cicli di trastuzumab sottocutaneo tramite siringa manuale e quattro cicli di trastuzumab EV. (43)
Parallelamente alla sperimentazione, è stato condotto un sottostudio “Time and Motion” che ha voluto analizzare i tempi impiegati dal personale sanitario nelle attività relative a ciascuna sessione di trattamento delle pazienti. Il tempo di trattamento per paziente viene calcolato come la somma dei tempi medi di attività con trastuzumab EV rispetto a trastuzumab per via sottocutanea.
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Figura h: dimostrazione delle diverse tempistiche necessarie per le due differenti formulazioni di trastuzumab (SC e EV) riportate dallo studio PrefHer.
I risultati dello studio hanno mostrato che il 92% delle pazienti sottoposte a tale studio randomizzato ha dichiarato di preferire la formulazione sottocutanea di trastuzumab, indipendentemente dal fatto che venga utilizzato un dispositivo di iniezione monouso SID o una siringa manuale. Quasi tutte le pazienti infatti hanno affermato di preferire tale formulazione sottocutanea poiché meno invasiva, in quanto un gran numero di esse ha dichiarato di aver percepito dolore e irritazione cutanea di intensità minore rispetto a quanto percepito con somministrazione EV di trastuzumab. Inoltre grazie a questo studio è stato enfatizzato un altro grande vantaggio relativo alla somministrazione sottocutanea di trastuzumab che è quello di ridurre sia i tempi di somministrazione sia il tempo che il personale medico e infermieristico dedicano alla terapia, contribuendo in questo modo ad aumentare l’efficienza ospedaliera (44). L'approvazione della Commissione europea è basata sui dati dello studio HannaH, che ha dimostrato che la formulazione sottocutanea di trastuzumab è associata ad un'efficacia comparabile a quella di trastuzumab somministrato per via endovenosa, in pazienti con tumore della mammella
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HER2-positivo in stadio precoce e concentrazioni plasmatiche di trastuzumab non inferiori. Globalmente, il profilo di sicurezza in entrambi i bracci dello studio HannaH è stato in linea con quello previsto per il trattamento standard con trastuzumab e chemioterapia in questa indicazione. Non si sono osservati nuovi segnali di rischio per la sicurezza. Lo studio PrefHer quindi non riporta differenze clinicamente rilevanti durante lo switch tra trastuzumab EV e SC, o viceversa, nel periodo di cross over (45).
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CAPITOLO II
Scopo della tesi
Come indicato nell’introduzione, l’entrata in commercio della nuova formulazione sottocutanea di Herceptin (trastuzumab) come terapia alternativa alla somministrazione endovenosa, ha suscitato pareri positivi nella maggioranza di pazienti affette da carcinoma mammario di tipo HER2 positivo, le quali hanno accettato di sottoporsi ad uno switch della terapia iniziale prevista con trastuzumab (da EV a SC) esaltandone i vantaggi che questa porta rispetto alla somministrazione EV. Herceptin sottocute ha suscitato consensi non solo tra le pazienti ma anche tra il personale sanitario, poiché a variare non è solo la modalità di somministrazione ma anche la tempistica necessaria ad essa associata, la quale viene ridotta notevolmente e garantisce quindi un minor tempo di occupazione del letto sanitario ed una maggiore disponibilità del personale, che può così dedicarsi ad un più ampio numero di pazienti. Lo scopo di questo lavoro di tesi è quindi quello di verificare quali siano i vantaggi della recente formulazione sottocutanea di trastuzumab, sia in termini di compliance delle pazienti, sia in termini di miglioramento del profilo gestionale del farmaco e di diminuzione del tempo di occupazione del letto sanitario, grazie ai brevi tempi di somministrazione previsti per la formulazione sottocutanea. Oltre ad uno studio mirato ad analizzare le preferenze di pazienti e personale sanitario in termini di scelta della formulazione del prodotto e della sua gestione, ho considerato anche la componente di tossicità legata all’utilizzo di trastuzumab, analizzando nello specifico i singoli casi di tossicità cardiaca riportati nelle pazienti, che risultano essere in ogni caso minimi. Grazie alla disponibilità di personale infermieristico, medici e farmacisti referenti dell’area oncologica, è
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stato possibile inoltre verificare quale sia l’impatto organizzativo – gestionale che la nuova formulazione sottocutanea di trastuzumab genera in un centro ospedaliero.
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CAPITOLO III
Materiali e metodi
In questo studio sono state coinvolte 55 pazienti affette da carcinoma mammario di tipo HER2 positivo, metastatico o in fase iniziale, che hanno dato il consenso all’analisi delle cartelle cliniche di tipo cartaceo riportanti per ciascuna di esse, la storia clinica e i piani terapeutici previsti per trattamento di tale forma tumorale, presso l’Ospedale “Versilia” dell'Azienda USL n. 12 di Viareggio (confluita dal 1/1/16 nell'Azienda USL Toscana Nord Ovest). Nello specifico sono state arruolate le pazienti che hanno subito terapia con Herceptin nel periodo di tempo compreso tra gennaio 2015 e marzo 2016. Per ciascuna paziente ho provveduto a raccogliere i rispettivi dati anagrafici, caratteristiche della forma tumorale, tipo di trattamento affrontato (adiuvante, neoadiuvante), durata della terapia, monitoraggio della frazione di eiezione (EF) come parametro per valutare una possibile tossicità relativa alla formulazione di Herceptin utilizzata nella terapia (EV o SC), comparsa di reazioni avverse o di sensibilità relative alla somministrazione del farmaco che abbiano giustificato un eventuale switch dalla terapia endovenosa a quella sottocutanea o viceversa.
Ho lavorato riportando il numero totale di pazienti con carcinoma mammario di tipo HER2 positivo che si sono sottoposte a terapia con trastuzumab nell’arco di tempo indicato, suddividendole in due gruppi:
- Gruppo 1: coloro che al momento dello studio si sono sottoposte a terapia con trastuzumab nella formulazione endovenosa,
- Gruppo 2: coloro che al momento dello studi hanno affrontato la terapia con formulazione sottocutanea.
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A loro volta, ho diviso ulteriormente questi due gruppi di pazienti in base al tipo di trattamento previsto per tumore, ovvero ho raggruppato coloro che hanno subito trattamento chemioterapico adiuvante, neoadiuvante, e ho considerato a parte i casi di carcinoma metastatico, riportando in questo caso specifico la durata del trattamento e le sedi di metastasi.
Per le pazienti che hanno affrontato un cambio di terapia, passando dal trattamento con formulazione endovenosa a quello con formulazione sottocute (o viceversa), ho provveduto a raccogliere le impressioni relative al trattamento con la nuova formulazione scelta.
Terminata la raccolta dei dati necessari, ho proceduto sottoponendo personale infermieristico, medici e farmacisti a semplici interviste in cui ho chiesto loro di esporre e motivare quale sia la formulazione migliore e più vantaggiosa di Herceptin, tenendo in considerazione quello che è l’impatto in ambito organizzativo – gestionale del farmaco. Oltre a questi aspetti, ho valutato inoltre la componente vantaggiosa che la formulazione SC di trastuzumab presenta considerando gli aspetti di rischio clinico, di “scarti” del farmaco e di costi, a carico dell'azienda sanitaria, che risultano essere notevolmente diminuiti rispetto a quelli attribuiti alla formulazione EV.
L’approccio metodologico sviluppato per il progetto è stato strutturato in diverse fasi rappresentate da :
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- Identificazione dei possibili impatti della nuova formulazione (SC)
- Raccolta dati e informazioni sul campo sulle nuove modalità di gestione del farmaco (SC)
- Quantificazione degli impatti della nuova formulazione
Sulla base della tipologia dell’area d’ impatto, è stata impostata e sviluppata la raccolta dei dati e delle informazioni sul campo, con il coinvolgimento dell’unità operativa Oncologica e Farmaceutica dell’Azienda Ospedaliera “Versilia”.
Come punto di partenza è stato necessario definire e tracciare la modalità di gestione di Herceptin nella formulazione endovenosa ed i cambiamenti che la nuova formulazione sottocutanea ha introdotto. Per individuare gli impatti è stato necessario valutare le informazioni cliniche e gestionali del farmaco interessato, in entrambe le formulazioni (EV e SC):
Regime di erogazione delle prestazioni,
Tipologia e tempistiche della pre-medicazione,
Modalità di somministrazione, tempi di somministrazione (prima somministrazione e successive)
Modalità e tempistiche dell’osservazione post-somministrazione, Quantità dei dosaggi, tipologia dei rifiuti prodotti,
Possibili scarti di farmaco.
Di seguito sono riportati i dati relativi alle analisi condotte sulle pazienti, e i risultati ottenuti nelle differenti aree di impatto della formulazione sottocute.
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CAPITOLO IV
Risultati e discussioni
4.1 Pazienti e compliance
Pazienti che hanno effettuato terapia con Herceptin sottocute (neo)adiuvante per il trattamento del carcinoma mammario HER2 positivo in fase iniziale
N° di pazienti 29
Tipo di trattamento Adiuvante (28) /
neoadiuvante (1)
Durata del trattamento 12 mesi
Casi di tossicità cardiaca 1 (EF= 47%)
Le pazienti appartenenti a tale gruppo presentano carcinoma mammario HER2 positivo in fase iniziale, e sono state sottoposte ad intervento chirurgico prima del trattamento con chemioterapia o radioterapia (adiuvante). Per una sola paziente è stato previsto trattamento neoadiuvante sottoponendola a chemioterapia prima dell’atto chirurgico. In entrambi i casi il trattamento terapeutico prevede Herceptin sottocute (in associazione a chemioterapia) alla dose fissa di 600 mg indipendentemente dal peso corporeo, da somministrare mediante iniezione sottocutanea in 2-5 minuti ogni tre settimane per una durata totale del trattamento di 12 mesi. Il sito di somministrazione deve essere alternato tra la coscia sinistra e quella destra. Tra le 29 pazienti che si sono
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sottoposte a questo tipo di programma terapeutico nel periodo di tempo compreso tra gennaio 2015 e marzo 2016, solo 2 di loro hanno effettuato uno switch di terapia ritornando alla precedente somministrazione endovenosa alla quale erano già state sottoposte. Le motivazioni della scelta delle due pazienti sono state ricercate nelle complicanze comportamentali e psicologiche riportate da entrambe, in quanto considerate pazienti borderline. 8 pazienti su 29 erano state precedentemente sottoposte a terapia con Herceptin endovenosa, ed hanno accettato di effettuare un cambio di terapia passando alla formulazione sottocute. Nessuna delle 8 pazienti ha riscontrato comparsa di effetti avversi di tipo cutaneo o tossicità cardiaca. Tutte hanno proseguito con la nuova terapia sottocutanea in quanto di essa hanno particolarmente apprezzato il minor tempo occupazionale richiesto per la somministrazione rispetto a quello previsto per la formulazione endovenosa. Le pazienti che hanno iniziato il programma terapeutico direttamente con la formulazione sottocutanea di Herceptin, non hanno mai manifestato desiderio di cambiare terapia. Tra le 29 pazienti totali, si è registrato un unico caso di tossicità cardiaca, con una riduzione della frazione di eiezione per un valore del 47% (i valori normali devono essere superiori o pari al 55%). Questo ha confermato quanto la formulazione sottocutanea sia paragonabile in termini di sicurezza a quella endovenosa.
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Pazienti che hanno effettuato terapia con Herceptin sottocute per il trattamento del carcinoma mammario HER2 positivo di tipo metastatico
PAZIENTE 1
La paziente in questione è stata sottoposta ad una prima terapia neoadiuvante con chemioterapia, successivamente in seguito ad analisi FISH, ha iniziato il trattamento con Trastuzumab direttamente nella formulazione sottocute, in associazione con un altro antitumorale (Paclitaxel). La terapia è ancora in corso. La risposta patologica al momento dello studio è risultata essere parziale. Non sono stati riscontrati casi di tossicità cardiaca né casi di reazioni di sensibilità nell’area di somministrazione del farmaco. La paziente non ha manifestato interesse nel voler provare la formulazione endovenosa di trastuzumab, vuole continuare con quella sottocutanea.
Sedi di metastasi Epatiche, scheletriche, cerebrali, linfonodali
Tipo di trattamento Herceptin SC 600 mg in
associazione a Paclitaxel
Durata del trattamento Fino a progressione delle malattia (ancora in corso, 6 mesi)
Tossicità cardiaca Assente
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PAZIENTE 2
Sedi di metastasi Polmonari, linfonodali
Tipo di trattamento Herceptin SC 600 mg in
associazione a Paclitaxel
Durata del trattamento Fino a progressione della malattia (ancora in corso, 10 mesi)
Tossicità cardiaca Assente
Risposta Parziale
La paziente in questione è stata sottoposta direttamente a terapia con Trastuzumab sottocute in associazione con un altro antitumorale (Paclitaxel) senza essere sottoposta precedentemente a trattamento (neo)adiuvante e senza aver provato prima la formulazione endovenosa di trastuzumab. La terapia è ancora in corso. La risposta patologica alle cura al momento dello studio è risultata essere parziale. Non sono stati riscontrati casi di tossicità cardiaca né casi di reazioni di sensibilità nell’area di somministrazione del farmaco. La paziente non ha manifestato interesse nel voler provare la formulazione endovenosa di trastuzumab ma vuole continuare con la formulazione sottocutanea.