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La sostenibilità dei sistemi previdenziali:i Fondi pensione

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di laurea in Strategia, Management e Controllo

Tesi di laurea

LA SOSTENIBILITÁ DEI SISTEMI PREVIDENZIALI:

I FONDI PENSIONE

Relatore:

Prof. Luca Spataro

Candidato:

Maria Cristina Santeramo

ANNO ACCADEMICO

2015-2016

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Indice

Introduzione ... 5

Capitolo 1: L’invecchiamento demografico ... 9

1.1 L’invecchiamento in Europa ... 9

1.2 L’invecchiamento della popolazione: fenomeno globale ... 16

1.3 Principali indicatori demografici ... 17

1.4 L’impatto dell’invecchiamento sui bilanci pubblici ... 20

1.5 L’evoluzione della spesa pensionistica in Italia... 22

Capitolo 2: I sistemi pensionistici ... 27

2.1 Il funzionamento dei sistemi pensionistici ... 27

2.2 La previdenza in Europa ... 35

2.3 Struttura ed evoluzione del sistema pensionistico in Italia ... 40

2.4 Evoluzione del sistema pensionistico italiano: Riforma Amato-

Riforma Dini ... 43

2.5 Le riforme degli anni 2000: la riforma Maroni ... 47

2.6 La riforma Fornero ... 49

Capitolo 3: La previdenza complementare in Italia ... 53

3.1 Evoluzione normativa ... 53

3.2 Tipologie di fondi pensione ... 58

3.3 I fondi negoziali ... 63

3.4 I fondi aperti ... 67

3.5 Piani individuali pensionistici (PIP) ... 69

3.6 I fondi preesistenti ... 71

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Capitolo 4: Il mercato dei fondi pensione ... 81

4.1 Il mercato italiano dei fondi pensione ... 81

4.2 Risorse e contributi ... 85

4.3 Gli investimenti ... 86

4.4 I rendimenti ... 91

4.5 La previdenza complementare in ambito internazionale ... 94

Conclusioni ... 104

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Introduzione

La popolazione mondiale invecchia: ciò è quanto emerge dagli studi degli enti di ricerca delle principali organizzazioni nazionali ed internazionali. Entro il 2050 nei paesi più sviluppati una persona su 11 avrà più di 80 anni. L’invecchiamento della popolazione è un problema che riguarda tutte le regioni e tutti i paesi con vari livelli di sviluppo, la sua progressione è più rapida nei paesi in via di sviluppo, anche tra quelli che hanno un numero elevato di giovani. Attualmente tra i 15 paesi che hanno oltre 10 milioni di anziani, sette sono paesi in via di sviluppo.

L’invecchiamento è, d’altronde, un trionfo dello sviluppo, una longevità sempre in aumento è uno dei grandi successi dell’umanità: si vive più a lungo grazie a migliori alimentazione, igiene, progressi nel campo della medicina, cure mediche, istruzione e benessere economico.

Per invecchiamento della popolazione, precisamente, si intende l’aumento del peso relativo degli anziani rispetto al totale della popolazione residente. I tassi di fertilità in diminuzione e una maggiore durata della vita hanno portato a questo fenomeno; l’aspettativa di vita alla nascita, in particolare, è aumentata in modo sostanziale in tutto il mondo: nel lasso di tempo tra il 2010-2015 la stessa è di 78 anni nei paesi sviluppati e di 68 nelle regioni in via di sviluppo, entro il 2045-2050 i neonati avranno un’aspettativa di vita di 83 anni nelle regioni sviluppate e di 74 anni in quelle in via di sviluppo.

Nel 1950 nel mondo c’erano 205 milioni di sessantenni, nel 2012 il numero degli anziani è arrivato a quasi 810 milioni, si prevede che arrivi al miliardo in meno di dieci anni e che raddoppi entro il 2050, arrivando a due miliardi.

Ci sono differenze sostanziali tra le diverse regioni del mondo, per esempio, nel 2012, la percentuale della popolazione africana di 60 anni o più è del 6%, mentre è del 10% in America Latina e nei Caraibi, dell’11% in Asia, del 15% in Oceania, del 19% in America del Nord. Si prevede che per il 2050 le stesse percentuali arriveranno al 10% in Africa, 24% in Asia, 24% in Oceania, 25% in America

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Latina e nei Caraibi, 27% in America del Nord. A livello europeo la transizione demografica è, se possibile, ancora meno favorevole, nel vecchio continente, infatti, la forte diminuzione della fecondità e l’allungamento della vita sono alla base di un processo di invecchiamento ancora più marcato. Tali fenomeni sono misurati essenzialmente da due indicatori sintetici: il tasso di fecondità e la speranza di vita alla nascita che registrano una dinamica poco rassicurante. Nel 2050 il tasso di fecondità medio dei 28 Stati membri dell’Unione Europea si attesterà ad un valore di 1,6 figli per donna. Per ciò che concerne il secondo fattore, gli uomini avranno un’aspettativa di vita alla nascita di oltre 81,6 anni, mentre le donne di 86,6 anni, ossia 5 di più; ne consegue una sostanziale modifica nella struttura della popolazione che vede ridursi il numero di individui giovani ed in età lavorativa a fronte dell’incremento della platea degli anziani.

Nel contesto europeo, e addirittura mondiale, il paese che si configura come il più vecchio è l’Italia, a causa dei bassissimi tassi di fecondità e dell’innalzamento della speranza di vita, indicatore che registra i livelli più alti tra i paesi europei; ciò comporta un tasso di dipendenza degli anziani nel 2050 (62%) e, di conseguenza, un peso degli individui con oltre 65 anni in proporzione ai soggetti delle altre fasce di età, decisamente superiori ai valori delle altre nazioni.

Tali fenomeni incidono su importanti e molteplici aspetti della vita sociale ed economica di un paese, in primo luogo notevoli sono i riflessi che le tendenze demografiche in atto producono sui conti di finanza pubblica sotto il profilo dell’espansione della spesa sociale e previdenziale. Le previsioni sui valori assunti dalla spesa pensionistica nei prossimi decenni mettono in dubbio la sostenibilità finanziaria dei sistemi previdenziali e impongono l’implementazione di strategie volte ad evitare il loro collasso. La spesa sociale in percentuale del PIL subirà decisivi incrementi dovuti principalmente a due fattori: l’aumento della spesa pensionistica e quello non meno rilevante della spesa sanitaria. Entrambe le componenti, infatti, sono influenzate negativamente dall’allargamento della platea degli anziani che si traduce in un numero maggiore di pensioni da erogare e di cure

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mediche da fornire per l’assistenza agli individui affetti da malattie degenerative tipiche dell’età senile.

Non va, inoltre, dimenticato l’ulteriore aggravante della riduzione della fascia di popolazione in età attiva che comporta una quantità inferiore di risorse contributive su cui il sistema può contare per il finanziamento delle pensioni pubbliche. A tal proposito emerge la necessità di riforme del mercato del lavoro e di politiche a favore della famiglia allo scopo di favorire la crescita dei tassi di occupazione e di fecondità, funzionali ad incentivare la partecipazione dei giovani e delle donne al sistema produttivo, e con specifico riferimento a queste ultime, a rendere possibile la conciliazione del ruolo di mamme con quello di lavoratrici.

L’aumento della popolazione anziana rispetto alla popolazione in età attiva ha implicazioni economiche molto vaste, prima fra tutte l’incremento della spesa per la protezione sociale a favore degli anziani, che rappresenta, a sua volta, il principale fattore di pressione sugli equilibri del bilancio pubblico. In base alle stime Istat il rapporto tra ultrassessantenni e popolazione in età da lovoro aumenterebbe dal 55,5% del 2012 all’83% nel 20401. Affinché sia possibile

garantire nei prossimi anni l’erogazione di pensioni di importi adeguati, si ritiene indispensabile agire in due direzioni: aumentare l’età media di pensionamento e incentivare lo sviluppo delle forme previdenziali complementari.

In questo lavoro mi propongo di analizzare in che modo il fenomeno dell’invecchiamento demografico incida sulla sostenibilità di medio lungo periodo dei sistemi previdenziali, e delle soluzioni adottate dai diversi paesi, e in pricipal modo dall’Italia, per fronteggiarlo in modo tale da garantire a tutti i cittadini un reddito da pensione adeguato.

Il lavoro è organizzato come segue:

1. Nel primo capitolo viene analizzato il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, sia a livello comunitario che a livello mondiale, con la

1 Previsione della popolazione dai dati Istat 2016. Disponibile:

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descrizione dei principali indicatori demografici, fondamentali per analizzare il fenomeno.

2. Il secondo capitolo espone le caratteristiche generali e il funzionamento dei sistemi pensionistici, con la descrizione dei sistemi previdenziali dei principali paesi dell’Unione Europea; in particolare viene approfondita l’evoluzione normativa del sistema pensionistico italiano.

3. Nel terzo capitolo viene esposta l’evoluzione normativa della previdenza complementare in Italia oltre ad una descrizione dettagliata delle diverse tipologie di Fondi pensione e dei PIP.

4. L’elaborato si conclude con un’analisi dei dati relativi al mercato italiano dei fondi pensione e dei dati relativi ai paesi dell’area OCSE.

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Capitolo 1. L’invecchiamento demografico

1.1. L’invecchiamento in Europa

La maggior parte dei paesi dell’Unione Europea si trova a fronteggiare il medesimo problema, infatti, secondo le previsioni demografiche (EUROSTAT,2014) nel 2030 oltre un quarto della popolazione europea avrà 65 anni o più. Il processo di invecchiamento che coinvolge l’Unione Europea non è omogeneo dal punto di vista geografico, sia come intensità che come stadio raggiunto. Ad esempio nel 2013 l’età media europea era pari a 41,9 anni, con un valore minimo rilevato in Irlanda (35,5 anni) ed un valore massimo in Germania (45,3 anni). L’indice di invecchiamento medio europero è pari al 18,2%: in altre parole quasi una persona su cinque ha un’età pari a 65 anni e oltre. La percentuale di over 65 sul totale della popolazione raggiunge il suo massimo in Italia (21,2%) seguita, a breve distanza, dalla Germania (20,7%). Sono, invece, l’Irlanda (12,2%), la Slovacchia (13,1%) e Cipro (13,2%) i paesi europei con il minor grado di invecchiamento della popolazione.

In particolare, La Slovacchia è indubbiamente uno dei paesi più giovani in Europa per struttura per età della popolazione residente: oltre ad un basso indice di invecchiamento mostra infatti un indice di dipendenza particolarmente contenuto (39,8%) ed inferiore di oltre dieci punti percentuali rispetto a quello medio europeo.

Anche con riferimento all’indice di dipendenza degli anziani, la Slovacchia registra un valore contenuto (18,4%) se confrontato con quello di molti altri membri dell’Unione; la Slovacchia, però, si caratterizza anche per una bassa speranza di vita a 65 anni (14,6 anni per gli uomini e 18,5 anni per le donne). L’Italia , grazie all’elevata longevità e alla contemporanea bassa natalità , detiene il primato della più alta quota di popolazione over 85 (3,0%), a fronte di un valore

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medio europeo di 2,3%. Anche in Francia, come già in Italia, si rileva un progressivo invecchiamento della popolazione: anche se l’età mediana si mantiene ancora su livelli inferiori rispetto alla media europea (40,5 anni) grazie a livelli sostanzialmente elevati di fecondità e natalità, l’indice di dipendenza raggiunge il valore più alto tra i paesi dell’UE28 (56,6%). Analogamente accade per la speranza di vita a 65 anni che raggiunge proprio in Francia il suo valore massimo, sia per i maschi (19,1) sia per le femmine (23,4 anni).

L’Italia, e più in generale, l’Europa sono poste di fronte ad una sfida che non possono aggirare, ma che devono combattere e vincere. I dati non lasciano spazio a dubbi: la popolazione invecchia e la piramide dell’età diviene un rombo che denota l’assottigliamento delle classi più giovani e l’ispessimento della classe dei quarantenni. La stabilità dei sistemi previdenziali è in serio pericolo e i moniti delle organizzazioni internazionali confermano la criticità della situazione europea e italiana in particolare, se nulla sarà fatto la sostenibilità della spesa pensionistica, nonché del sistema di welfare, in generale, barcolleranno sotto il peso del pensionamento della generazione del baby boom e allora sarà il caos.

Si prevede che nel 2069 la popolazione totale, relativamente ai paesi dell’Unione Europea, sarà poco più numerosa rispetto a quella attuale (517 milioni contro 503 milioni nel 2015) ma molto più anziana, secondo le proiezioni almeno il 30% degli europei avrà 65 anni.

In particolare in base alla previsione effettuata dalla Commissione Europea nel 2015, la struttura per età della popolazione dell’UE è destinata a modificarsi in maniera drammatica, come mostrato dal grafico presente nel “The 2015 ageing

report: Economic and budgetary porjection for the EU28 Member States”. Il

grafico evidenzia come nel 2013 l’età mediana europea fosse di 40 per gli uomini e di 43 per le donne, nel 2060, si prevede che questa salirà a 45 e 47, rispettivamente per gli uomini e per le donne e che la popolazione più anziana sarà destinata ad occupare una quota sempre più crescente della popolazione a causa della combinazione tra le numerose nascite riscontrate negli anni 1950-1960, e l’aumento dell’aspettativa di vita.

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11 FIG.1.1. Principali indicatori demografici della popolazione europea

Allo stesso tempo, la base della “Age Pyramide” diventa più piccola a causa della graduale riduzione dei tassi di fertilità degli ultimi decenni. Di conseguenza la forma della piramide cambia gradualmente, nel 2060 assumerà la forma di un cilindro irregolare, caratterizzato da una maggiore ampiezza della parte superiore, dovuto all’aumento della numerosità delle classi più anziane e all’arrivo delle coorti del baby boom. Sempre secondo il grafico la percentuale di giovani (di età

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compresa tra 0-19 anni) è destinata a rimanere costante entro il 2060 nella zona EU28, mentre, la percentuale degli individui di età compresa tra 20-64 è destinata a diminuire (in calo dal 61% al 51%).

La fetta di popolazione di età pari o superiore a 65 anni di età è destinata a crescere notevolmente (in aumento dal 18% al 28%) e gli individui d’età pari o superiore ad 80, nel 2060, raggiungeranno una percentuale della popolazione quasi pari a quella dei giovani.2

FIG.1.2. La piramide dell’età

Come risultato di queste diverse tendenze demografiche il tasso di dipendenza degli anziani (persone di età pari o superiore a 65 rispetto ad individui di età compresa tra 15-64 anni) è destinato ad aumentare nel periodo di proiezione, ciò implica che nell’Unione Europea dall’avere quattro persone in età lavorativa per ogni persona di età pari o superiore ai 65 anni, si troverà ad avere solo due persone in età lavorativa.

2 European Commission, The 2015 Aging Report: Economic and budgetary projection for the 28 EU

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Dunque, per l’UE e l’EA (l’area euro), si prevede una riduzione della popolazione in età lavorativa, a partire dall’inizio del periodo di previsione (2013), di circa il 13%, si prevede ,inoltre, un notevole incremento del tasso totale di dipendenza ( dal 64,9% al 94,5%).3 Per quanto riguarda il tasso di fertilità, secondo le previsioni EUROPOP 2013, è destinato ad aumentare, in particolare si prevede che questo passi dall’1,59 (2013) all’1,68 (2030), e infine all’1,76 nel 2060. L’aumento del tasso di fertilità, nel periodo di proiezione si prevede in aumento in quasi tutti gli Stati membri, con l’eccezione dell’Irlanda, della Francia e della Svezia, dove si prevede che il tasso diminuisca, nel Regno Unito, il tasso di fertilità dovrebbe mantenersi stabile. Quindi, in generale, in tutti i Paesi membri i tassi di fertilità sono destinati a rimanere al di sotto del naturale tasso (2,1), almeno fino al 2060.4

FIG 1.3. Previsioni del tasso di fertilità

3 European Commission, Ivi (p.16-17). 4 European Commission, op.cit.(p. 19)

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14 FIG.1.4.Tasso totale di fertilità

L’aspettativa di vita è in aumento nella maggior parte dei paesi sviluppati, sin dal 1950, ci sono stati aumenti significativi della speranza di vita alla nascita in tutti gli Stati membri, soprattutto per le donne, l’incremento è ancora più pronunciato per i paesi nella EA (euro-area), dove la speranza di vita alla nascita è aumentato di tre mesi per ogni anno di vita.

Nell’UE si prevede un aumento di 7,1 anni per quanto riguarda la speranza di vita alla nascita per la popolazione maschile (da 77,6 nel 2013 a 84 nel 2060), invece per le donne si prevede un aumento di 6 anni (da 83,1 nel 2013 a 89,1 nel 2060). Le previsione indicano che i maggior incrementi, relativi all’aspettativa di vita, si avranno negli Stati membri che presentano nel 2013 i livelli più bassi. Per quanto riguarda l’aspettativa di vita della popolazione maschile i paesi che presentano i livelli più bassi (tra i 69 e 72 anni) sono Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria e Romania, nei quali si potrebbe verificare un incremento di più di dieci anni entro il 2060; per quanto riguarda la popolazione femminile, i

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paesi in cui si potrebbe avere un incremento di più di 8 anni della speranza di vita alla nascita sono Bulgaria, Lettonia,Lituania, Ungheria, Romania e Slovacchia.5

FIG.1.5. Previsione dell’aspettativa di vita alla nascita, EUROPOP2013, uomini

FIG.1.6. Previsione dell’aspettativa di vita alla nascita,EUROPOP2013, donne

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16 1.2. Invecchiamento della popolazione: fenomeno globale

L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che coinvolge non solo l’Unione Europea ma, anzi, andamenti simili sono presenti in altre parti del mondo anche se non a pari livelli. Le statistiche e proiezioni demografiche delle Nazioni Unite mostrano come la percentuale della popolazione degli attuali stati membri dell’UE, rispetto alla popolazione mondiale, sia scesa dal 14,7% (1950) al 5,1% nel 2010, e si prevede che scenda ulteriormente, ovvero al 4,7% nel 2060, nonostante i flussi migratori. Le percentuali sulla popolazione mondiale della Cina, degli Stati Uniti e del Giappone sono state in calo negli ultimi sei decenni, in contrasto con la crescita delle percentuali di popolazione in Africa, Asia e America Latina. Osservando il grafico 2 si nota come l’Europa sia, attualmente,il continente più “vecchio”, con il maggior indice di dipendenza dagli anziani e rimarrà tale fino al 2060.

FIG.1.7. L’indice di dipendenza degli anziani delle principali aree geografiche (in percentuale),1950, 2010, 2060, 2100

Fonte: European Commision (2015)

Entro il 2100, si prevede che l’America Latina sorpassi l’Europa, altre parti del mondo, allo stesso tempo, stanno sperimentando il drammatico fenomeno

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dell’invecchiamento della popolazione, con rapporti di dipendenza degli anziani che stanno salendo a livelli chiaramente superiori rispetto a quelli attuali dell’Europa, tutti i continenti sono coinvolti da questo fenomeno eccetto l’Africa. Il cambiamento demografico è particolarmente evidente in Cina, dove si prevede che l’indice di dipendenza degli anziani, entro il 2100, raggiungerà livelli simili a quello europeo (50%), mentre, si prevede che l’indice dovrebbe salire dal 35% al 50% in Asia (nel suo complesso), lo stesso vale per l’Oceania, America del Nord e America Latina. L’Africa resta l’unico continente ad aver un rapporto di dipendenza relativamente basso (11% nel 2060, 22% nel 2100).

1.3. Principali indicatori demografici

Negli studi di popolazione si definisce comunemente invecchiamento demografico il processo generato dal progressivo aumento della proporzione degli anziani in una popolazione (INV=((P65+ / Ptot) · 100). Come popolazione anziana viene generalmente considerata quella che ha sessantacinque anni o più: questa soglia di età è stata determinata sulla base di motivazioni di natura economica poiché questa è, generalmente, l’età di uscita dal mercato del lavoro utile per l’accesso alla pensione.

La stessa età-soglia viene utilizzata anche in ambito internazionale, garantendo la comparabilità tra indicatori demografici calcolati con riferimento ai diversi paesi. Occorre però sottolineare come il limite di età utilizzato per definire chi è anziano sia quindi arbitrario e di natura prettamente anagrafica: all’interno di tale segmento di popolazione coesistono sottopopolazioni fortemente eterogenee in termini non solo di partecipazione economica e sociale ma anche di condizioni di salute. Gli indicatori demografici che verranno qui presentati non hanno difatti la pretesa di misurare l’esatta “fisionomia economica” della popolazione, quanto piuttosto di sintetizzarne la struttura per età e rendere possibile dei confronti

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territoriali e temporali dello stadio in cui si trova il processo di invecchiamento che sta investendo i diversi paesi europei.

Dal punto di vista della misurazione statistica del grado di invecchiamento di una popolazione, esistono in letteratura una molteplicità di indicatori oltre all’indice di invecchiamento già presentato. Una prima tipologia comprende gli indicatori costruiti fissando delle età – soglie costanti nel tempo allo scopo di dividere la popolazione residente in sotto-popolazioni – quali quelle dei giovani, degli anziani, della popolazione attiva e così via. Il grado di invecchiamento di un Paese viene quindi misurato utilizzando indicatori ottenuti rapportando la numerosità delle diverse sotto-popolazioni così identificate al totale della popolazione o ad una specifica parte di essa .

Una seconda tipologia di indicatori demografici che sintetizzano la struttura per età della popolazione sono quelli – di introduzione più recente – che invece di individuare un’età soglia fissata a priori per definire il sottoinsieme della popolazione degli anziani, fissa un criterio che individua l’età-soglia superata la quale inizia la vecchiaia. Ne consegue che tale età può variare nel tempo e nello spazio. Tra la molteplicità di indicatori esistenti per misurare il grado di invecchiamento di una popolazione, ed appartenenti alla prima tipologia, ricordiamo quelli utilizzati con maggiore frequenza (oltre alla già citata quota di popolazione in età pari a 65 anni ed oltre): la quota di popolazione in età pari ad 85 anni ed oltre, l’indice di dipendenza, l’indice di dipendenza degli anziani, l’indice di vecchiaia, la speranza di vita a 65 anni. La quota di popolazione in età pari ad 85 anni ed oltre si calcola dividendo il numero dei “grandi vecchi” (ossia degli anziani che hanno 85 anni o più) per il totale della popolazione residente (P85+ = (P85+ / Ptot) · 100). L’utilizzo di tale indicatore si è andato diffondendo nel tempo: l’aumento della longevità alla quale si è assistito negli ultimi decenni ha infatti comportato un aumento sia in termini assoluti sia relativi non solo della popolazione anziana nel suo complesso ma anche del suo segmento più invecchiato.

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In effetti, la classe della popolazione con 65 anni o più – come ricordato precedentemente – è assai eterogenea dal punto di vista della partecipazione sociale ed economica, ma anche in termini di condizioni di salute e nell’espressione dei bisogni che ne scaturiscono. Focalizzare l’attenzione sugli over 85 consente proprio di analizzare il segmento di popolazione anziana più fragile. L’indice di dipendenza si ottiene dividendo l’ammontare della popolazione che, per ragioni di tipo anagrafico, si ritiene sia dipendente da un punto di vista economico, per l’ammontare complessivo della popolazione che dovrebbe mantenerla (ID = ((P0-14+ P65+)/ P15-64) · 100). In particolare, il numeratore dell’indice è definito considerando non solo il contingente degli anziani (anche qui definito come l’ammontare della popolazione con 65 anni e più) ma anche i giovani in età inferiore ai 15 anni.

Il denominatore, invece, è definito considerando l’ammontare di popolazione in età attiva. Tale indicatore (che ha il pregio di considerare non solo gli anziani come segmento di popolazione portatore di bisogni economici, di assistenza e di salute) sconta due limiti. Il primo è quello di considerare tutti i dipendenti come economicamente inattivi e i non dipendenti come economicamente attivi (ipotesi che ovviamente non si verifica necessariamente nella realtà). Il secondo limite è che l’indice – ponendo al numeratore la somma dei giovani e degli anziani – può assumere valori simili in due aree territoriali con strutture per età della popolazione assai diverse. A parità di popolazione con 15- 64 anni, lo stesso valore dell’indice può difatti essere ottenuto sia quando si ha un elevato peso dei giovanissimi ed un basso peso degli anziani, sia quando si verifica la situazione opposta (ossia si è in presenza di pochi giovani e tanti anziani).

Questo limite viene in parte superato dall’indice di dipendenza degli anziani (IDA = (P65 +/ P15-64) · 100): esso infatti – pur mantenendo al denominatore la popolazione in età da lavoro – pone al numeratore esclusivamente la popolazione con 65 anni o più. Infine, un altro indicatore che misura il livello di invecchiamento di una popolazione è la speranza di vita, ossia il numero medio di anni che restano da vivere ai sopravviventi all’età x. Tale età x coincide, in genere, con la nascita,

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ma per misurare il livello di invecchiamento di una popolazione (specie se si vogliono effettuare confronti territoriali o nel tempo) sarà utile considerare la speranza di vita a 65, 70, 80 anni e così via. Data la diversa longevità di maschi e femmine, la speranza di vita viene calcolata non solo per il complesso della popolazione ma anche separatamente per genere.6

1.4. L’impatto dell’invecchiamento sui bilanci pubblici

Il processo demografico verificatosi negli ultimi decenni e le previsioni circa il suo percorso futuro fanno emergere un interrogativo a livello non solo nazionale, ma Europeo circa la sostenibilità dei sistemi di protezione sociale. L’aumento della sopravvivenza in età avanzata e la diminuzione delle nascite sono i tratti caratteristici dell’evoluzione demografica in corso la quale ha implicazioni economiche molto vaste, prima tra tutte l’incremento della spesa per la protezione sociale.

L’invecchiamento della popolazione determinerà un aumento delle necessità di trasferimenti e di servizi pubblici ad esso legati. L’impatto dell’invecchiamento sui bilanci pubblici dovrebbe essere notevole in quasi tutti gli Stati Membri, in particolare, sulla base delle attuali politiche, si prevede che la spesa pubblica connessa all’invecchiamento dovrebbe aumentare, in media, nell’UE, di circa 4 punti percentuali del PIL entro il 2060 e di più di 5 punti percentuali nell’area dell’euro, in particolar modo per pensioni, assistenza sanitaria e assistenza a lungo termine.

Nel complesso, le differenze dell’impatto dell’invecchiamento della popolazione da uno Stato membro all’altro sono notevoli. Si prevede che l’incremento della spesa pubblica sarà notevole in nove Stati membri dell’UE (Lussemburgo, Grecia, Slovenia, Cipro, Malta, Spagna, Irlanda, Paesi Bassi, Romania), sebbene alcuni di

6 G.Capacci;Francesca Rinesi, L’invecchiamento demografico in Italia e nell’Europa del futuro,2013,

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essi partano da un livello di spesa relativamente basso. Per un secondo gruppo di stati (Belgio, Ungheria, Finlandia, Repubblica Ceca, Lituania, Slovacchia, Germania) si prevede che i costi legati all’invecchiamento demografico siano più limitati, seppur ancora molto alti. Infine, l’incremento è più moderato in Bulgaria, Svezia, Portogallo, Danimarca, Francia, Italia, Lettonia, Estonia e Polonia e Svezia.7

FIG.1.8. Costo dell’invecchiamento nell'UE 27, in percentuale la differenza dei punti del PIL

Fonte: Commissione europea, relazione 2009 sull’invecchiamento: previsionie conomiche e finanziarie per l'UE-27 (2008-2060), European Economy

Nonostante gli andamenti demografici dovrebbero spingere notevolmente verso l’alto la spesa pensionistica pubblica in tutti gli Stati membri le riforme pensionistiche approvate in alcuni dei paesi europei stanno producendo risultati positivi in termini di sostenibilità delle finanze pubbliche. Quasi tutti gli Stati membri, infatti, hanno inasprito i requisiti per l’ottenimento di una pensione pubblica, innalzando il limite d’età pensionabile e limitando l’accesso ai regimi di prepensionamento. Queste riforme, che di norma sono introdotte nel lungo

7 Ministero delle Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Le

tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio sanitario, Rapporto n. 17, Roma,

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periodo, dovrebbero portare a diversi risultati; in primo luogo ad un incremento dei tassi di partecipazione dei lavoratori più anziani, che possono risultare anche dal rafforzamento del legame tra le prestazioni pensionistiche e la partecipazione al regime pensionistico, invogliando così maggiormente i lavoratori più anziani a rimanere sul mercato del lavoro.

Oltre alle riforme relative ai sistemi pensionistici pubblici, molti paesi hanno introdotto regimi pensionistici complementari, alcuni (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Ungheria, Polonia, Slovacchia e Svezia) hanno addirittura spostato una parte dei contributi dai regimi pubblici verso fondi pensioni obbligatori a capitalizzazione e verso regimi a gestione privata.

Al momento, i suddetti fondi a capitalizzazione sono in fase di costituzione, ma nei decenni a venire la loro percentuale rispetto all’insieme delle prestazioni pensionistiche sarà significativa. Diversi paesi (come la Svezia, la Danimarca, i Paesi Bassi, il Regno Unito e l’Irlanda) fanno già in gran parte affidamento sulle pensioni professionali private ed alcuni di essi prevedono di rafforzarne ulteriormente il ruolo.8

1.5. L’evoluzione della spesa pensionistica in Italia

In primo luogo, si procede ad illustrare l’evoluzione del rapporto tra la spesa pensionistica e il PIL, con riferimento all’orizzonte temporale di previsione 2013-2060. Nell’ipotesi dello scenario base nazionale, realizzato dalla Ragioneria Generale dello Stato, le previsioni della spesa per pensioni sono state effettuate sulla base della legislazione vigente a marzo 2016. Come evidenziato dal grafico 1.9, successivamente al periodo di recessione (che raggiunge la fase più acuta nel biennio 2008-2009), la spesa pensionistica in rapporto al PIL flette gradualmente portandosi al 15,8% nel 2015, in presenza di una crescita economica che ritorna ad

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essere lievemente positiva, tale tendenza prosegue raggiungendo un minimo del 1,9% nel 2029.

Negli anni che seguono, si apre una nuova fase di crescita al termine della quale il rapporto raggiunge un livello pari a 15,5%, nel 2044. Da qui in poi, il rapporto decresce rapidamente attestandosi al 15% nel 2050 ed al 13,7% nel 2060, con una decelerazione pressoché costante nell’intero periodo. Gli interventi che hanno sensibilmente contribuito al contenimento della dinamica del rapporto tra spesa pensionistica e PIL sono:9

 l’eliminazione della componente reale dell’indicizzazione delle pensioni ed il passaggio ad un sistema di indicizzazione ai soli prezzi;

 l’introduzione del sistema di calcolo contributivo in base al quale le prestazioni risultano, automaticamente, relazionate sia ai contributi pagati che alla speranza di vita del pensionato e dell’eventuale superstite;

 l’innalzamento dei requisiti minimi per l’accesso al pensionamento di vecchiaia ordinario e anticipato.

In dettaglio, possiamo suddividere il periodo di previsione in tre fasi temporali. Nel periodo 2014-2029, a partire dal 2014 il rapporto tra spesa pensionistica e PIL inizia una fase di decrescita che si protrae fino al 2029 circa, tale fenomeno è dovuto sia alla prosecuzione graduale dell’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e sia all’applicazione del sistema di calcolo contributivo. Nei quindici anni successivi (2030-2044) il rapporto riprende a crescere a causa dell’aumento del numero di pensioni, tale aumento è imputabile sia alla generazioni del baby boom che transitano dalla fase attiva alla fase di quiescenza, sia dal progressivo innalzamento della speranza di vita. Nell’ultima fase del periodo di previsione (2045-2060) vi è una decrescita del rapporto tra spesa pensionistica e PIL, tale decrescita è dovuta essenzialmente alla progressiva stratificazione delle pensioni liquidate integralmente con il sistema di calcolo contributivo che continua a produrre un contenimento della pensione media

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rispetto ai livelli retributivi, tale risultato è favorito anche dall’inversione di tendenza del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati la cui crescita tende ad azzerarsi poco prima del 2050, dove raggiunge il livello massimo dell’87,4%, per poi flettere negli anni successivi.10

FIG.1.9. Spesa pubblica per pensioni - Scenario nazionale base Spesa in rapporto al PIL

Se consideriamo l’evoluzione della spesa pensionistica in ambito europeo sulla base delle previsioni EPC-WGA 2015, noteremo che, per buona parte dei paesi europei è previsto un aumento del rapporto tra spesa pensionistica e PIL (fra cui Belgio e Germania), oppure si prevede che questo resti tendenzialmente stabile. I paesi che invece presentano riduzioni del rapporto spesa/PIL superiori a quella dell’Italia, mostrano generalmente un livello medio delle prestazioni pensionistiche assai contenuto rispetto al livello medio dei salari, anche in conseguenza di interventi di riforma che hanno ridotto strutturalmente ed in misura

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rilevante le prestazioni tramite un aggiornamento delle regole di calcolo e/o di indicizzazione, pur partendo da importi pensionistici generalmente non particolarmente elevati. Vediamo come la figura 1.11, mostra in chiave comparativa il rapporto spesa pensionistica/PIL nel 2013 e nel 2060 che sono, rispettivamente gli anni di inizio e fine del periodo di previsione. In entrambi gli anni l’Italia si pone al di sopra del valore medio dei 28 stati membri e della Norvegia. Tuttavia, mentre nell’anno iniziale lo scarto è di circa 4,4 punti percentuali, nel 2060 esso risulta di 2,6 punti percentuali.11

Se confrontiamo le previsione dello scenario nazionale base con quelle dello scenario EPC-WGA baseline, noteremo che il rapporto spesa pensionista/PIL è allineato con quello dello scenario nazionale base fino al 2020 ma è notevolmente maggiore nella parte centrale del periodo di previsione, mentre nell’ultimo quindicennio le previsioni sono abbastanza omogenee. Le differenze del rapporto tra spesa pensionistica e PIL nella parte centrale del periodo di previsione sono dovute essenzialmente ai differenziali di crescita economica, in quanto i tassi di mortalità ipotizzati non presentano differenze sostanziali. Infatti in questo primo periodo di previsioni i tassi di crescita reali del PIL risultano più bassi nello scenario EPC-WGA rispetto allo scenario nazionale. Mentre, nel secondo periodo di previsione si ha una dinamica della produttività maggiormente favorevole, pertanto si ha un recupero del tasso di crescita del PIL, il quale nel 2060 resta relativamente più basso di circa 0,7%.12

11 Ministero delle Economia e delle Finanze, op. cit. (pp. 68-70). 12 Ministero delle Economia e delle Finanze, ibidem.

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26 FIG.1.10. Confronto tra scenario nazionale e scenario EPC-WGA

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Capitolo 2: I Sistemi Pensionistici

2.1. Funzionamento dei sistemi pensionistici

I sistemi pensionistici, e più in generale i sistemi previdenziali rappresentano una delle componenti più rilevanti dei sistemi di “walfare state”. In Europa possiamo distinguere diversi modelli di welfare state, in particolare quattro: il modello liberale, il modello social-democatico, il modello conservatore e il modello mediterraneo.

1)Il modello liberale ha come obiettivo fondamentale quello di ridurre la diffusione della povertà e di altri fenomeni quali l’esclusione sociale. Solo le prestazioni sanitarie hanno carattere universale a differenza dei programmi pubblici di assistenza sociale, dove l’intervento dello Stato è residuale. Pertanto le prestazioni assistenziali vengono erogate in seguito ad un attento controllo delle condizioni di bisogno, quindi sono finalizzate esclusivamente alla copertura di bisogni di specifici gruppi di rischio. Vi è, inoltre, un forte incoraggiamento verso le soluzioni offerte dal mercato, che è il principale attore nella copertura dei rischi. Per quando riguarda le modalità di finanziamento, le spese sanitarie sono fiscalizzate, ovvero sono pagate dai contributi dei cittadini, mentre le spese assistenziali sono coperte dai contibuti sociali. Questo modello è presente in Inghilterra e in Irlanda

2)Il modello conservatore favorisce la protezione dei lavoratori e delle loro famiglie dai rischi di: malattia, invalidità, disoccupazione e vecchiaia, ovvero il diritto alle prestazioni sociali è collegato alla qualità di lavoratore piuttosto che di cittadino. Il finanziamento si basa prevalentemente sui contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro, mentre l’assistenza nei confronti dei soggetti che non fanno parte della forza lavoro risulta inadeguata. Tale modello è presente in Francia, Austria, Olanda e Germania.

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3)Il modello social-democratico si ispira al principio dell’universalismo, ovvero ha come obiettivo fondamentale la protezione di tutti in maniera indiscriminata. È caratterizzato da elevati livelli di spesa è dal ruolo preminente dello Stato nell’erogazioni di programmi assistenziali, riducendo al minimo la dipendenza dal mercato. Il modello è presente in Svezia, Danimarca e Norvegia e viene finanziato prevalentemente attraverso la fiscalità generale.

4)L’ultimo modello è quello mediterraneo, presente appunto in Italia, Spagna, Grecia e Portogallo. L’intervento dello stato è residuale, in quanto assume un ruolo fondamentale la famiglia che deve fornire cure ed assistenza ai proprio componenti, quindi la famiglia assume un ruolo di ammortizzatore sociale. I meccanismi di welfare, pertanto, si attivano soltanto nel caso in cui le reti sociali primarie falliscano o siano impossibilitate nel fornire assistenza agli individui in condizione di bisogno. L’assistenza sanitaria, tuttavia, è garantita a tutti i cittadini. Le spese sono finanziate attraverso contributi sociali e contributi dello Stato.13

Il welfare state quindi è un sistema politico in cui lo Stato assume come propria prerogativa e responsabilità la promozione della sicurezza e del benessere sociale ed economico dei cittadini. Le prestazioni del sistema di welfare italiano si possono scomporre in tre macrocategorie: previdenza, sanità ed assistenza. Nella prima vi rientrano le pensioni (previdenza in senso stretto) e gli ammortizzatori sociali, nella seconda le diverse forme di prestazioni sanitarie, e l’ultima racchiude gli interventi finalizzati a contrastare la povertà, l’esclusione e l’emarginazione sociale.

Per quanto riguarda il sistema pensionistico, sono state individuate diverse ragioni che giustificano l’intervento dello Stato. In primo luogo la previdenza, e nello specifico le pensioni di vecchiaia, sono considerate come un bene meritorio, (ragione di equità). Un sistema pensionistico ha la funzione di trasferire il reddito dal periodo lavorativo a quello non lavorativo, ovvero di inattività, in base ad un sistema pensionistico pubblico tale trasferimento avviene mediante l’imposizione di un risparmio forzoso, senza l’intervento dello Stato questa operazione potrebbe

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essere erogata da un sistema assicurativo privato, in tal senso l’intervento dello Stato è giustificato dall’inadeguatezza e instabilità dei mercati finanziari. In primo luogo, esso è necessario per evitare che gli operatori privati gestiscano le operazioni in maniera azzardata, generando così dei fallimenti, in secondo luogo, il risparmio pensionistico richiede che al momento della pensione sia assicurata al lavoratore una rendita periodica protetta dal rischio inflazionistico, rischio che le compagnie assicurative non sono in grado di coprire integralmente.

Una terza motivazione a sostegno dell’intervento dello Stato può trovarsi nella possibilità di creare una forma di assicurazione intergenerazionale, ciò in quanto le generazioni colpite da eventi negativi quali guerre o grandi inflazioni, se entrano nel sistema dividono il rischio con le generazioni future. Un’ulteriore spiegazione a favore di un sistema previdenziale obbligatorio ed universale può collegarsi alla presenza di individui che non si mostrino sufficientemente previdenti per pensare alla propria vecchiaia.

In generale, quindi, il sistema pensionistico è un meccanismo di redistribuzione della ricchezza prodotta dallo Stato o dalla popolazione attiva a favore di chi:

 ha cessato la propria attività lavorativa in seguito al raggiungimento dell’età anagrafica o contributiva, rispettivamente pensioni di vecchiaia e pensioni di anzianità;

 non può più partecipare al processo produttivo a causa di una sopravvenuta incapacità lavorativa, in questo caso si parla di pensione di invalidità;  non ha mai lavorato ma è caratterizzato da legami familiari con soggetti

deceduti, che hanno fatto parte della forza lavoro, le pensioni dei superstiti;  infine, è sprovvisto di reddito e non può lavorare (pensioni assistenziali). I sistemi previdenziali assolvono, sostanzialmente a tre funzioni fondamentali:

1) FUNZIONE ASSICURATIVA: garantisce all’individuo, nel momento in cui cessa la sua attività lavorativa, la restituzione di quanto ha accantonato in età lavorativa maggiorato dei rendimenti.

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2) FUNIONE ASSISTENZIALE: assicurare a tutti i cittadini un reddito minimo, ovvero adeguato ad un’esistenza dignitosa.

3) FUNZIONE PREVIDENZIALE: garantire a tutti i cittadini il mantenimento del tenore di vita raggiunto nella fase finale della vita lavorativa anche quando si è in pensione.

Ogni sistema pensionistico, inoltre, è costituito da tre pilastri:

1) Il primo pilastro è costituito dalla previdenza sociale pubblica obbligatoria. Consiste in una pensione minima che viene finanziata dai lavoratori e dai datori di lavoro e pagata dallo Stato. Tale previdenza è gestita dagli enti previdenziali, che sono organi istituiti o integrati dallo Stato, come previsto dall’art. 38 della nostra Costituzione. In particolare, in Italia, l’INPS e oltre trenta enti di diritto pubblico e privato utilizzano i contributi dei singoli lavoratori attivi per sostenere la spesa delle pensioni in pagamento. Non esiste, pertanto, una forma di accumulo e di investimento del denaro raccolto.

2) Il secondo pilastro è costituito dalla previdenza complementare la cui funzione è quella di completamento della pensione pubblica. Questa previdenza privata integrativa è gestita dallo Stato o da società come assicurazioni o banche ed è costituita da fondi occupazionali o collettivi, in genere basati su un sistema a capitalizzazione.

3) Infine, l’ultimo pilastro è del tutto volontario, ed è una forma di previdenza integrativa. Ciascun individuo può integrare sia la previdenza pubblica che la previdenza complementare attraverso forme di risparmio individuali, in modo tale da poter mantenere il proprio tenore di vita al momento della cessazione dell’attività lavorativa. Gli strumenti principali che formano il terzo pilastro della previdenza sono le assicurazioni vita, i Fondi comuni di investimento, le azioni, le obbligazioni, i Buoni postali fruttiferi.

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I sistemi pensionistici possono essere organizzati secondo vari modelli che presentano caratteristiche diverse con riferimento al metodo di finanziamento e di calcolo della prestazione da corrispondere agli aventi diritto. Una prima fondamentale distinzione è quella tra sistema a capitalizzazione e sistema a ripartizione.

Nel sistema a capitalizzaione i contributi che ogni lavoratore versa nel periodo di attività lavorativa vengono versati presso istituti assicurativi o fondi pensionistici e investiti nel mercato dei capitali, pertanto l’ammontare della pensione di ciascun lavoratore dipenderà dal proprio gettito contributivo e dai rendimenti ottenuti dall’investimento dello stesso nel mercato dei capitali. Si parla, in quest’ipotesi, di redistribuzione intergenerazionale del reddito, in quanto vi è un trasferimento di ricchezza tra due periodi diversi della vita di uno stesso individuo. Nel sistema a ripartizione, i trattamenti pensionistici vengono finanziati dai contributi versati dalla popolazione attiva, ovvero dai lavoratori, e dai datori di lavoro si tratta, pertanto, di un vero e proprio “patto intergenerazionale”. Questo modello è sostenibile sole se si rispettano due fondamentale condizioni: le contribuzioni, in qualsiasi momento, devono essere sufficienti per coprire le pensioni, inoltre deve sussistere, appunto, un patto intergenerazionale implicito, ossia i lavoratori di oggi devono avere la garanzia che le loro pensioni saranno finanziate dai contributi dei lavoratori di domani. Il metodo a capitalizzazione può essere realizzato sia attraverso accordi contrattuali privati sia attraverso sistemi pubblici, mentre il metodo a ripartizione può essere realizzato solo attraverso un sistema di gestione pubblico.

Procediamo ad illustrare il funzionamento di entrambi i meccanismi. Supponiamo che la vita di ogni individuo sia costituita da due periodi, di cui il primo è dedicato al lavoro e il secondo alla pensione. Si supponga, inoltre, che il tasso di crescita della popolazione sia n per periodo, che lo stipendio lordo percepito all’inizio di ogni periodo dai giovani sia W per la loro intera vita lavorativa, che il tasso di crescita delle retribuzioni sia costante ed equivalga al tasso di crescita della produttività u, che l’aliquota contributiva gravante sulla

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retribuzione lorda sia pari a s, che ciascun individuo percepisca l’intero importo P della pensione all’inizio della propria vecchiaia, che il tasso di interesse reale, r, sia costante e corrispondente al tasso di interesse nominale, in mancanza di inflazione, ed infine che il tasso di crescita del prodotto nazionale sia pari a g. In un regime a ripartizione, in un dato periodo l’ammontare totale delle prestazioni pensionistiche coincide con i contributi sociali versati in quello stesso periodo dai lavoratori. Posto che questi sono dati dal prodotto tra l’aliquota di contribuzione ed il monte salari, l’entità della pensione pro-capite, per esempio in

t + 1, è pari a:

P

t+1= sWt+1

(1+n)

Considerando che Wt + 1 = Wt × (1 + u) e che (1 + g) = (1 + u) × (1 + n), l’equazione può essere riscritta nel modo seguente:

P

t+1=sWt

(1+g)

In un regime a capitalizzazione, invece, il monte pensioni disponibile in un determinato periodo corrisponde al montante derivante dall’investimento al tasso

r del gettito contributivo raccolto nel periodo precedente, per cui, in t + 1, pensione

pro-capite è uguale a:

P

t+1=

sW

t

(1+r)

Entrambi i sistemi di finanziamento sono caratterizzati da aspetti negativi e positivi. Per quanto riguarda il metodo a ripartizione, detto anche pay-as-you-go (PAYG), comporta il sostenimento di minori costi di gestione e l’assenza di rischio di rendimento degli investimenti nel mercato dei capitali. Tuttavia affinchè questo

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sistema funzioni è necessario che vi sia un continuo equilibrio tra numero di soggetti che lavorano, e quindi versano i contributi, e numero di soggetti pensionati. Se, al contrario il Paese è caratterizzato dal fenomeno dell’invecchiamento demografico, o vi è un aumento del tasso di disoccupazione allora il sistema potrebbe trovarsi in una situazione di sofferenza, le cui uniche soluzioni sarebbero quelle di aumentare l’aliquota contributiva o di diminuire l’importo delle pensioni o aumentare l’imposizione fiscale.

Il maggiore difetto dei sistemi a capitalizzazione consiste nel fatto che in caso di inflazione elevata il montante dei contributi versati garantisce una pensione che in termini reali potrebbe essere insufficiente, inoltre la pensione dell’individuo è completamente in balia dell’andamento del mercato finanziario.

In generale, quando si fa riferimento ad un sistema pensionistico è necessario considerare che essi hanno comunque dei rischi, tali rischi sono fondamentalmente quattro:

1) Il rischio demografico: tale rischio deriva dal fatto che gli andamenti demografici, ovvero la speranza di vita alla nascita e i tassi di fecondità e natalità assumano nel lungo periodo delle dinamiche differenti rispetto a quanto previsto, generando così situazioni in cui le prestazioni pensionistiche sono differenti rispetto a quanto ipotizzato. Tale rischio, sicuramente è maggiormente evidente nei sistemi a ripartizione, ma è collegato anche ai sistemi a capitalizzazione anche se in misura minore.14 2) Il rischio finanziario: è legato all’andamento dei mercati finanziari ed è

particolarmente rilevante per i sistemi a capitalizzazione, poichè i contributi versati vengono investiti in attività finanziarie e il loro rendimento, quindi, dipende dal tasso di interesse di mercato.

3) Rischio di inflazione: l’inflazione comporta una sensibile riduzione del valore reale della pensione, quindi il valore reale della prestazione pensionistica non si mantiene costante nel tempo a causa della crescita dei prezzi.

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4) Rischio politico: consiste nella possibilità che i vari legislatori possano modificare le regole previdenziali, provocando un trattamento iniquo tra le diverse generazioni.

Per quanto riguarda il calcolo della prestazione pensionistica, esistono due diversi metodi di calcolo: il metodo contributivo e il metodo retributivo. Nel primo caso, l’ammontare della pensione è strettamente collegato ai contributi versati, ovvero la rendita del montante accumulato dipende dal tasso di interesse degli investimenti, in un sistema a capitalizzazione, o ad un tasso di interesse implicito nozionale stabilito dal legislatore (in un sistema a ripartizione).

Nel secondo caso, invece, l’importo della pensione viene calcolato sulla base del salario che il lavoratore ha percepito nell’arco della sua vita lavorativa o nell’ultimo periodo di attività, indipendentemente dai contributi versati.

In base a quanto illustrato, possiamo individuare quattro diverse categorie di modelli pensionistici:

1. Sistemi a capitalizzazione a prestazione definita: l’ammontare della pensione viene stabilito “a monte”, generalmente in base al numero di anni di lavoro e al reddito percepito negli ultimi anni lavorativi. I contributi vanno a finanziare un fondo che può essere affidato sia alla gestione pubblica che privata (non influiscono sull’ammontare della rendita), e vengono investiti nel mercato in attività finanziare, i cui rendimenti dovranno garantire il raggiungimento del livello di pensione prestabilito. In questo sistema il rischio è principalmente a carico del soggetto che promuove il fondo pensione.

2. Sistemi a capitalizzazione a contribuzione definita: in questo caso si stabilisce “a monte” l’ammontare dei contributi del lavoratore e del datore di lavoro, che confluiranno in un conto di investimento individuale. Il livello della pensione dipenderà dal montante contributivo (costituito dalla somma di tutti i contributi accumulati durante il periodo di attività) e dal rendimento dei contributi investiti sul mercato. In questo sistema il rischio è soprattutto a carico del beneficiario del fondo pensione.

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3. Sistemi a ripartizione a contribuzione definita: l’importo della rendita pensionistica dipende dai contributi versati che vengono capitalizzati ad un tasso di interesse nozionale implicito. Tali contributi, tuttavia, non vengono investiti ma vengono utilizzati per pagare le attuali pensioni.

4. Sistemi a ripartizione a prestazione definita: l’importo della prestazione viene calcolato sulla base degli anni di lavoro e sui salari percepiti. I contributi versati, non confluiscono in un fondo, ma vengono utilizzati per pagare le prestazioni dovute agli attuali pensionati.

2.2. La previdenza in Europa

I sistemi pensionistici esistenti nei diversi paesi dell’Unione Europea differiscono notevolmente tra loro, ma nella maggioranza dei casi sono stati adattati negli ultimi decenni per renderli più sostenibili.15 La sfida principale è quella di assicurare la

sostenibilità dei sistemi pensionistici nel lungo periodo, messa a dura prova dall’invecchiamento demografico, in modo da garantire una prestazione minima a tutti i cittadini e l’equità tra le generazioni. Gli Stati membri hanno, allo stesso tempo, cercato di garantire l’adeguatezza delle pensioni e di rispondere meglio all’evoluzione dei mercati del lavoro e del ruolo di uomini e donne. Le principali tendenze sono state le seguenti:

1) l'incentivazione dell'allungamento della durata della vita attiva perché i lavoratori possano mantenere gli stessi diritti pensionistici: aumentando l'età pensionabile; premiando e penalizzando chi posticipa o anticipa il pensionamento; rapportando le pensioni alla media delle retribuzioni percepite durante l'intera vita lavorativa anziché alle retribuzioni degli anni migliori; eliminando o limitando le possibilità di pensionamento precoce;

15 Commissione Europea, LIBRO VERDE: Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa

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attuando politiche miranti a indurre i lavoratori anziani a continuare a lavorare e a favorire la parità uomo-donna sul mercato del lavoro;

2) il passaggio da sistemi basati essenzialmente su un unico meccanismo di finanziamento a sistemi più articolati: in molti Stati membri (non in tutti) si osserva una diminuzione della quota delle pensioni pubbliche a ripartizione e un ruolo crescente assunto dai regimi complementari privati prefinanziati, spesso del tipo a contribuzione definita;

3) l'adozione di interventi diretti a rendere le prestazioni più adeguate, ad esempio estendendo la copertura, sostenendo la maturazione dei diritti, agevolando l'accesso alle pensioni per le categorie vulnerabili e aumentando l'aiuto finanziario ai pensionati più poveri;

4) per quanto riguarda le disparità tra uomini e donne, si può constatare che i contratti atipici riguardano prevalentemente le donne, che guadagnano meno degli uomini e interrompono la carriera più spesso degli uomini per assumere responsabilità familiari. Di conseguenza, le loro pensioni sono tendenzialmente più basse e il rischio di povertà è più elevato tra le donne anziane, anche perché vivono più a lungo. Alcuni sistemi a ripartizione prevedono la copertura dei periodi dedicati all'assistenza a familiari, mentre nei regimi a capitalizzazione questo avviene più di rado e si pone il problema di come finanziare questa forma di solidarietà.16

Nonostante la condivisione di medesimi obiettivi, molteplici e differenti sono i regimi previdenziali presenti nell’area europea, ciascuno caratterizzato da particolari forme di prestazioni e da diverse modalità di finanziamento e metodi di calcolo delle medesime. In generale, però, si può affermare che la maggior parte dei paesi europei ha adottato per il finanziamento del primo pilastro il metodo della ripartizione. Inoltre, pochi sono gli Stati che utilizzano, all’interno dei sistemi a ripartizione, schemi di tipo universalistico, mentre più diffusi sono quelli di tipo assicurativo.

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Nella prima categoria rientrano gli stati anglosassoni, la Danimarca e l’Olanda, in questi paesi sono garantiti a tutti i cittadini benefici minimi, a prescindere dalla loro passata storia lavorativa. Gli stati che fanno parte della seconda categoria, invece, tendono ad erogare trattamenti pensionistici legati al reddito percepito o ai contributi versati durante l’attività lavorativa.

Procediamo con un’analisi più dettagliata dei sistemi pensionistici dei principali Stati membri dell’Unione Europea.

In Germania il sistema varia a seconda delle categorie lavoratori/settori produttivi,in particolare esistono dei regime speciali per gli agricoltori e i liberi professionisti, mentre i lavoratori autonomi non sono assicurati obbligatoriamente con il regime generale, ma hanno la possibilità di contribuirvi.

Il sistema previdenziale tedesco si basa, come il nostro, su tre pilastri: il primo quello pubblico, il secondo quello ad adesione collettiva per determinate categorie lavorative e il terzo privato, caratterizzato dall’adesione individuale a piani previdenziali offerti da banche e compagnie di assicurazioni. L’età di base per il pensionamento è 65 anni e l’aliquota contributiva è il 19,5% della retribuzione, ripartita tra lavoratore e datore di lavoro. Il tasso di sostituzione medio della previdenza obbligatoria si aggira intorno al 70%. Il repentino invecchiamento della popolazione ha reso indispensabile intervenire per prevenire squilibri, nel 2001 infatti, con la riforma Riester, è stata sancita la tripartizione del sistema previdenziale, introducendo forti incentivi fiscali per le adesioni alla previdenza complementare, la garanzia del capitale versato e la limitazione alla prestazione in capitale17. Inoltre sono stati innalzati i requisiti di idoneità alla pensione stabilendo

un’anzianità contributiva di almeno 45 anni ed un’età anagrafica di 65 anni per entrambi i sessi.

In Francia il sistema pensionistico si basa su regimi a ripartizione obbligatori, inoltre a partire dal 1972 è stato introdotto l’obbligo, per tutti i lavoratori iscritti

17Bardizza M.,Ecco come funzionano le pensioni, IL giornale.it. Disponibile:

http://www.ilgiornale.it/news/ecco-funzionano-pensioni-usa-e-negli-altri-paesi-europei.html. Accesso 20/10/2016

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ad un ente previdenziale di base di aderire ad una forma previdenziale complementare. Le condizioni per acquisire il diritto al pensionamento sono fissate a 62 anni o 67 per percepire la pensione completa. Ma se si vuole andare in pensione a 62 anni sarà necessario aver versato i contributi per almeno 43 anni (tale provvedimento sarà introdotto gradualmente in modo tale da essere pienamente attivo nel 2035)18.

Il Regno Unito, invece, ha un sistema previdenziale strutturato su tre livelli, i primi due dei quali di natura obbligatoria. Il primo livello ha natura esclusivamente pubblica ed è costituito dalla Basic State Pension, il cui importo è indipendente dal reddito del soggetto. Il secondo livello, è costituito da un’ulteriore prestazione pubblica per i soli lavoratori dipendenti, che possono rinunciare a questa pensione e optare, in alternativa, a forme previdenziali private, di natura individuale oppure offerte dal datore di lavoro. Il Regno Unito, inoltre, dispone di un sistema di previdenza complementare ad adesione individuale tra i più evoluti del mondo, che consta di un tasso di adesione del 70%. In presenza di una copertura pubblica deficitaria, sono stati introdotti alcuni provvedimenti finalizzati ad incentivare l’adesione alla previdenza complementare e il consolidamento del risparmio personale a scopo previdenziale. In particolare, in alternativa alla pensione pubblica nel Regno Unito è stato introdotto un meccanismo, denominato contracting out, che da la possibilità al lavoratore di aderire a schemi pensionistici privati di tipo aziendale (occupational) o individuale. L’adesione ai fondi occupational è la forma più diffusa e più conveniente per i lavoratori, poiché include il contributo del datore di lavoro.19

L’età pensionabile per gli uomini è di 65 anni, per le donne 60 anni, anche se entro il 2018 anche per le donne l’età pensionabile sarà di 65 anni e nei prossimi decenni l’età minima si alzerà a 67 anni.

18 Anche in Francia stangata in vista nel 2014: Iva, pensioni, energia e tabacco, IL SOLE 24 ORE.

Disponibile: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-12-29/stangata-iva-pensioni-energia-e-tabacco-2014-sacrifici-la-francia-163437.shtml. Accesso 20/10/2016

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La Spagna, si compone di un regime generale legato al reddito finanziato con contributi e di regimi speciali per alcune categorie di lavoratori. . Il regime generale è obbligatorio per tutti i lavoratori dipendenti e autonomi e dà diritto alla pensione dopo almeno 15 anni di anzianità contributiva. A partire dal 2013 l’età pensionabile è stata innalzata da 65 a 67 anni d’età, con un passaggio graduale fino al 2027.

Inoltre, sono stati incrementati gli incentivi per restare al lavoro: per ottenere il 100% della pensione occorrono 37 anni di contribuzione. Tali cambiamenti sono stati adottati a seguito della riforma del 2011, finalizzata a correggere lo squilibrio causato prevalentemente dall’invecchiamento della popolazione.

In Danimarca, oltre ad un sistema pubblico a ripartizione, esiste un parallelo sistema pubblico a capitalizzazione dal 1964. Sul finire degli anni novanta è stato introdotto, per sviluppare ulteriormente il secondo pilastro, un ulteriore schema a capitalizzazione chiamato Supplementary Pension Scheme. In questo paese le pensioni private sono molto estese e risultano iscritti a piani privati circa il 95% dei lavoratori a tempo pieno.20

In particolare, il sistema danese è composto da quattro schemi pensionistici:  una Folkepension che è finanziata dalle tasse, che assicura a ciascun

cittadino un reddito in età anziana e la cui piena fruizione è condizionata a quarant’anni di residenza in Danimarca tra i 15 e i 65 anni. Il periodo temporale minimo per poterne usufruire è di tre anni per i cittadini danesi e di dieci anni per i cittadini non danesi.

 Due tipi di pensioni supplementari obbligatorie per gli impiegati con un lavoro a tempo pieno: l’ATP e la Special Pension (SP). L’ATP è pagata per due terzi dal datore di lavoro ed è detratta direttamente dalla busta paga. Complessivamente questi contributi rappresentano l’1% del salario. L’ammontare della SP, invece, è dell’1% della retribuzione ed è pagato unicamente dall’impiegato,

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 uno schema pensionistico collettivo l’AMP, negoziato mediante contrattazione a livello settoriale. Il contributo versato nel settore privato corrisponde al 9% del salario lordo per gli operai e al 15% per gli impiegati, i cui 2/3 sono pagati dal datore di lavoro mentre il restante 1/3 viene detratto dalla busta paga. Nel settore pubblico, invece, il contributo è del 12% ed è totalmente sostenuto dallo Stato. Qualora il settore non sia coperto da contrattazione collettiva, esistono schemi pensionistici a livello aziendale, che seguono generalmente le stesse regole dello schema pensionistico collettivo.

 infine i fondi pensione privati, che sono un supplemento al sistema pensionistico statale.21

2.3. Struttura ed evoluzione del sistema pensionistico in Italia

La storia del sistema pensionistico italiano nasce subito dopo l’Unità d’Italia con alcune leggi istitutive che conivolgono prima i dipendenti dello Stato e successivamente anche i lavoratori dipendenti del settore privato.22

Il primo intervento sostanziale dello Stato in materia di tutela pensionistica si fa risalire al 1898 quando, con la legge del 17 luglio n.350, venne istituita la Cassa Nazionale di Previdenza per l’Invalidità e la Vecchiaia degli operai con il compito di gestire forme facoltative di assicurazione. Nello stesso anno era stata introdotta l’assicurazione per gli infortuni, che era obbligatoria, a differenza di quelle di vecchiaia e invalidità che erano facoltative.

Tuttavia dopo la Prima Guerra Mondiale venne sancita l’obbligatorietà dell’assicurazione di vecchiaia e invalidità per tutti i lavoratori dipendenti.

21 Bocchino S., Di Santantonio n., Il sistema pensionistico danese. Disponibile su

http://web.unitn.it/files/download/11244/piepagina.pdf. Accceso: 19 ottobre 2016.

22 Albanese A., Fracchini C., Virotti G, Dal lavoro al pensionamento vissuti, progetti, Milano, Franco

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Le caratteristiche del sistema istituito nel 1919 possono essere così sintetizzate: 1) il finanziamento era basato sulla contribuzione paritaria dei lavoratori e dei datori di lavoro, con un modesto intervento dello Stato che corrispondeva a 100 lire per ogni pensione liquidata;

2) il regime assicurativo era quello della capitalizzazione, ovvero, i contributi versati venivano investiti e portavano alla costituzione di riserve tecniche;

3) il metodo di calcolo delle pensioni era quello contributivo, in base al quale i trattamenti pensionistici erano collegati ai contributi versati dal singolo;

4) l’età di pensionamento era fissata, per uomini e donne, a 65 anni, un’età estremamente elevata in rapporto alla speranza di vita che all’epoca era molto inferiore rispetto a quella attuale.

Nel 1939 la Cassa Nazionale di Previdenza per l’Invalidità e la Vecchiaia prende il nome di I.N.P.S, inoltre l’età di pensionamento fu abbassata a 60 anni per gli uomini e a 55 anni per le donne; inoltre venne modificato il finanziamento non più paritario, ma a carico dei datori di lavoro per i 2/3 e il restante 1/3 a carico dei lavoratori.

Tale sistema però venne travolto dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale, le riserve furono polverizzate dall’inflazione e le prestazioni, già di modesto importo, furono del tutto irrisorie. Dopo un periodo di transizione, caratterizzato da provvedimenti di emergenza, l'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti venne riordinata con la legge del 4 aprile 1952, n. 218. Con questa legge il sistema tecnico della capitalizzazione venne di fatto abbandonato, infatti, solo per una quota minima di contribuzione, progressivamente ridotta e denominata contribuzione base, era prevista la capitalizzazione, mentre la pensione adeguata, che era la vera misura della prestazione, era finanziata con il sistema della ripartizione. Venne inoltre introdotta un’ innovazione fondamentale: l'istituzione del regime del trattamento minimo.

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