• Non ci sono risultati.

Gli Enti Locali come promotori di welfare comunitario e partecipativo. Il Piano Locale Unitario dei Servizi alla Persona in Sardegna. Il caso del PLUS di Oristano.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Gli Enti Locali come promotori di welfare comunitario e partecipativo. Il Piano Locale Unitario dei Servizi alla Persona in Sardegna. Il caso del PLUS di Oristano."

Copied!
169
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITÀ DI PISA

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea Specialistica in Programmazione e Politiche Sociali

Gli Enti Locali come promotori di welfare comunitario e partecipativo.

Il Piano Locale Unitario dei Servizi alla Persona in Sardegna.

Il caso del PLUS di Oristano.

Relatore Candidata

Prof. Nugnes Francesca Valentina Ponti

(2)

2

Gli Enti Locali come promotori di welfare comunitario e partecipativo. Il Piano Locale Unitario dei Servizi alla Persona in Sardegna.

Il caso del PLUS di Oristano.

INTRODUZIONE CAPITOLO 1.

GLI ENTI LOCALI COME PROMOTORI DEL WELFARE 1. Definizioni concettuali nell' evoluzione Istituzionale

1.1 Gli enti locali

1.1.2 Dalla Legge 142/90 al Testo Unico degli Enti Locali L.267/00

1.1.3 La modifica del Titolo V parte II della Costituzione, Legge 3/2001: l'’Autonomia Statutaria tra dottrina e giurisprudenza. Il federalismo fiscale.

1.2 Il Welfare State: evoluzione e crisi 1.2.1 Definizioni e breve introduzione

1.2.2 Il ruolo dello Stato nelle Politiche del Welfare e i diversi modelli teorici

1.2.3 Proposte di analisi del Welfare Multilivello aziendale e generativo. Gli esempi del Progetto Home Care Premium e del Sia- Rei.

CAPITOLO 2. LE POLITICHE SOCIALI 2.1 L’evoluzione delle Politiche Sociali in Italia

2.1.1. La legge 328/2000

2.1.2 Il Principio di sussidiarietà nella riforma del titolo V parte II della Costituzione 2.1.3 Uno sguardo ai numerosi nodi critici dei Livelli Essenziali di Assistenza

2.2 La programmazione sociale

2.2.1 Attori e risorse nel Welfare Plurale: Forme di collaborazione tra soggetti istituzionali e sociali nel processo di programmazione nazionale degli interventi e dei servizi sociali: I PIANI DI ZONA.

CAPITOLO 3

IL PIANO LOCALE UNITARIO DEI SERVIZI ALLA PERSONA IN SARDEGNA. 3.1 Evoluzione delle Politiche Sociali in Sardegna. Dalla Legge Regionale 4/88 alla Legge Regionale 23/2005.

3.2 La programmazione Locale: il Plus come risposta ad un sistema integrato di interventi e servizi sociali.

3.3 Organizzazione ed analisi del Plus del Distretto Socio Sanitario di Oristano. 3.3.1 La Governance nella programmazione associata 2012/2014

3.3.2 La programmazione partecipata

3.3.3 Lettura, analisi ed interpretazione dei progetti. CONCLUSIONI

(3)

3 INTRODUZIONE

L’attuale crisi economica ha avuto impatti diversi a seconda delle aree territoriali. I Comuni sono gli enti più vicini ai cittadini e come tali si trovano a dover assumere un ruolo centrale nella gestione dell’attuale crisi politica-economica.

Le problematiche politico-sociali e quelle economiche non possono mai essere del tutto sconnesse perchè strettamente interdipendenti tra loro, ecco perché i tagli di tipo finanziario ed il corrispondente aumento delle richieste di aiuto rischiano di far saltare l’intero sistema sociale locale.

Negli ultimi anni si è assistito alla crescente delega di competenze al livello locale, in ottemperanza del principio di sussidiarietà. Il territorio è l’ambito più confacente a realizzare risposte efficaci ai bisogni crescenti ed attuali dei cittadini e a fronte dell’attuale crisi economica il rischio che si corre è quello di ritrovarsi con un welfare ripiegato su stesso ridotto al puro assistenzialismo. La difficoltà di programmare, dovuta all’incertezza sia economica che politica, può compromettere la realizzazione di interventi pianificati ed attuati ed è per questo gli enti locali stanno cercando di riorganizzarsi per rendere efficaci azioni di politica sociale.

Nel presente elaborato si analizzerà come gli enti locali siano i soggetti più capaci di promuovere e generare nuovi modelli di governance mobilitando e valorizzando gli attori della comunità locale per attivare meccanismi virtuosi in grado di sanare il nostro Stato sociale. Si cercherà di capire come le politiche del welfare locale promuovano azioni ed interventi per rigenerarsi all’interno della rete in grado di preservare i diritti sociali dei cittadini con azioni di programmazione strategica nella prospettiva di un welfare integrato, partecipato e fintanto generativo.

Il percorso di analisi sarà approfondito dal riferimento a principi costituzionali e da elementi di legislazione nazionale e regionale come filo conduttore per una lettura completa e orientata a dare risposte ai numerosi dubbi interpretativi relativi alla materia.

Nel primo capitolo si definiranno gli enti locali descrivendo il passaggio da un sistema centralizzato ad uno autonomo e decentrato attraverso l’analisi dell’evoluzione legislativa, dall’edificazione dello Stato di diritto fino all’edificazione dello Stato ordinamento dove nel rapporto enti locali/Stato i primi diventano espressione di un potere proprio, non più derivante da quello statale ma preposti alla cura della collettività localmente stanziata. Con la modifica del titolo V parte II della Costituzione avvenuta nel 2001 si registra una forte inversione nel panorama istituzionale e gestionale edificata sul principio di sussidiarietà, autonomia, coordinamento e solidarietà. Sulla base della progressiva delega affidata agli enti locali si analizzano

(4)

4 contestualmente i passaggi che hanno permesso l’introduzione di una prospettiva di pluralizzazione degli attori con un passaggio dal government alla governance, dal welfare state al welfare generativo, integrativo e multilivello promotori di valori, metodologie ed impostazioni di solidarietà e responsabilità sociale.

Nel secondo capitolo si ripercorrerà la storia delle politiche sociali in Italia, un percorso che dalla carità e dall’assistenza sociale porta alla promozione dei diritti e della dignità, con uno sguardo particolare rivolto alla riforma compiuta dall’approvazione della Legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” e all’importanza del principio di sussidiarietà e definizione dei livelli essenziali di assistenza, oggetto di dibattito e riflessione, in seguito alla riforma costituzionale del 2001. Si evidenzierà come la riforma costituzionale abbia privato, in parte, di valore la legge 328/00 affidando alla Regione il potere di decidere in autonomia il proprio piano regionale relativo all’assistenza con l’obbligo di rispettare solamente i livelli essenziali definiti a livello statale. Si pone, quindi, l’accento sull’importanza della programmazione per garantire organicità ai servizi sociali in rapporto alle risorse disponibili, garantire il riequilibrio delle disuguaglianze sociali e ad assicurare il benessere sociale superando la concezione economica-centrista affidando al soggetto pubblico crescenti funzioni in termini di sicurezza, equità e ridistribuzione delle risorse.

Ci si chiede, pertanto, come gli enti locali possano partecipare alla programmazione dei servizi sociali. Si ricercano adeguate risposte nei principi di una programmazione strategica e partecipata, dove l’ente locale diventa promotore di una rete in grado di conservare il godimento dei diritti sociali dei cittadini, contrastando l’incertezza e rendendo corresponsabile del disagio la comunità intera, e nella promozione di una welfare community favorendo la formazione di sistemi locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili, stimolando le risorse locali di solidarietà e la responsabilizzazione dei cittadini.

Il passaggio dall’analisi dello strumento del piano di zona a quello del Piano Locale Unitario dei servizi alla persona in Sardegna è molto breve. Il terzo capitolo descrive come la Regione Sardegna ha affrontato la crisi del sistema economico locale affidando agli enti locali la responsabilità di attuare e garantire ai cittadini sardi risposte integrate in un sistema politico sociale estremamente complesso e multilivello. Si evidenzierà come si sviluppa il Plus, Piano Locale Unitario dei servizi alla persona, quale strumento di programmazione strategica locale a livello generale soffermandoci in maniera particolare sui percorsi sperimentali intrapresi dal Distretto Socio Sanitario di Oristano evidenziandone le caratteristiche e le criticità dalle quali prendere spunto per creare opportunità di miglioramento e motivi di riflessione partecipata.

(5)

5

Gli Enti Locali come promotori di welfare comunitario e partecipativo. Il Piano Locale Unitario dei Servizi alla Persona in Sardegna.

Il caso del PLUS di Oristano.

CAPITOLO 1

GLI ENTI LOCALI COME PROMOTORI DEL WELFARE

1. Definizioni concettuali nell'evoluzione Istituzionale

I Comuni sono l'istituzione più vicina ai cittadini e come tali assumono un ruolo centrale nella gestione dell'attuale crisi politica ed economica. Essi sono fortemente legittimati dalla popolazione, che grazie al riconoscimento del principio di sussidiarietà (art.118 Costituzione) permette, tra l'altro, ai cittadini di avere un rapporto diretto con gli amministratori esercitando un maggior controllo sul loro operato.

La figura degli enti locali rimanda certamente al concetto di Stato o meglio di Stato come territorio nazionale, legandosi inscindibilmente alla specifica vicenda di formazione dello Stato unitario di fine ‘800, che ha posto le premesse istituzionali necessarie ad inscrivere la relazione giuridica tra centro e periferia tra i “tornanti fondamentali” della storia del pensiero giuridico moderno. Il concetto di territorio, è sempre più spesso messo in discussione nel dibattito dei giuristi contemporanei in quanto sospeso tra logiche economiche e politiche di ricostruzioni sistematiche, spesso staccate dal riferimento alla sovranità nazionale, e tendenze di segno opposto favorevoli ad un recupero della componente “comunitaria” dell’amministrazione radicata nel territorio.1

In una prospettiva storica è possibile delineare i tratti degli enti locali soltanto a partire dal momento in cui diventa predicabile una loro distinzione rispetto alla figura, prima di allora totalizzante, dello Stato-persona. Nel percorso di rafforzamento dello Stato-persona si colloca lo sviluppo della nozione di autarchia, intesa quale amministrazione indiretta dello Stato, che tanto peso ha esercitato nell’elaborazione del fenomeno dell’autonomia locale, e alla successiva sostituzione – non solo di ordine terminologico, ma soprattutto di natura concettuale – della nozione di autarchia, con quella distinta di autonomia.2

Alcuni degli elementi costitutivi di quest’ultima si sono definiti con grande difficoltà proprio a causa della tendenza a cogliere negli enti locali un elemento di disturbo e di minaccia rispetto all’ancora incerta unità politica ed amministrativa dello Stato nazionale. Passaggio decisivo per

1

Irti, N.,Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, 2001, ora in IV ed., 2006; Cassese, S.,Le trasformazioni dello Stato, in Cassese, S.-Schiera, P.-von Bogdandy, A.,Lo Stato e il suo diritto, Bologna, 2013, 11 ss.

2

Romano, S., voce Autonomia in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947 ora in L’ultimo Santi Romano, Milano, 2013, 601 ss.;

(6)

6 portare a compimento l’edificazione dello Stato di diritto, secondo una prospettiva teorica statalista, si rinviene nella distinzione fortemente innovativa tra Stato-persona e Stato-ordinamento.

Intanto che il concetto di autarchia si collocava nel quadro di una relazione enti locali/Stato quale rapporto tra amministrazione locale e Stato-persona dove la prima fungeva da mera articolazione territoriale del secondo, l’ingresso dell’autonomia fu reso possibile dall’inscrizione del rapporto enti locali/Stato nella diversa prospettiva dello Stato-ordinamento, dove i primi, espressione di un potere proprio non più derivante da quello statale, sono preposti alla cura di istanze della collettività localmente stanziata, non necessariamente coincidenti con l’interesse pubblico-statale3.

In questo quadro di evoluzione storica ed istituzionale l’emanazione della Costituzione del 1948 ha sicuramente rappresentato un progresso, almeno nel senso del riconoscimento esplicito degli enti locali (Province, Comuni) quali componenti territoriali necessarie della Repubblica, secondo declinazioni che si estendono alla loro autonomia politica, normativa, organizzativa, amministrativa, finanziaria.

La forza imperativa delle norme costituzionali che direttamente edificano l’autonomia degli enti territoriali è rimasta a lungo tempo sospesa, probabilmente in attesa dell’emanazione delle riforme legislative sul governo locale, che avrebbero dovuto riempire di contenuti più stringenti quelle disposizioni costituzionali – qualificate come di natura meramente programmatica – realizzando l’auspicato raccordo tra il titolo I ed il titolo V della Costituzione.4

In questo contesto di predisposizione di una legislazione di principi, che stabilisse i limiti esterni dell’autonomia, si inserisce la prima legge sugli enti locali (la l. 8.6.1990, n. 142), più volte modificata e da ultimo confluita nel testo unico del 2000 (approvato con d.lgs. 18.8.2000, n. 267). Il cammino di definizione legislativa degli enti locali si era giovato anche di altri interventi normativi intermedi (cd. “legge Bassanini”: Legge 15.3.1997, n. 59) che avevano già previsto il trasferimento dell’esercizio di funzioni amministrative dallo Stato agli enti locali in attuazione del principio – già contenuto nelle tradizioni giuridiche di altri stati europei – in base al quale il livello ottimale di svolgimento della funzione amministrativa debba essere quello più prossimo ai cittadini.

La riforma del titolo V della Costituzione effettuata nel 2001 codifica ed asseconda questo disegno legislativo, introducendo esplicitamente a livello costituzionale il principio di sussidiarietà (art. 118 Cost.) e dando finalmente attuazione agli enunciati programmatici contenuti nella prima

3

Romano, S.,Il decentramento amministrativo, in Scritti minori, Milano, 1990, vol. II, 7 ss.; Id.,Gli interessi dei soggetti autarchici e

gli interessi dello Stato, in Scritti minori, Milano, 1990, vol. II, 351 ss.; Id., Il Comune, in Tratt. Orlando, vol. II, Milano, 1908,

542-543; Rugge, F., Autonomia e autarchia degli enti locali, in I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia, a cura di Mazzacane A.,

Napoli, 1986, 276 ss.;

4

Mazzacane A, a cura di., Autonomia e autarchia degli enti locali, in I giuristi e la crisi dello Stato liberale in Italia, Napoli, 1986, 276 ss.;

(7)

7 parte della Costituzione. Ai fini del recupero dei poteri spettanti agli enti locali acquista un significato cruciale la nuova formulazione dell’art. 114 Cost., che sembra fornire definitiva conferma della previsione a livello costituzionale del potere normativo, statutario e regolamentare, degli enti locali5

Una delle questioni interpretative più complesse per comprendere le modifiche costituzionali introdotte nel 2001 si trova nel significato da annoverare alle diverse tipologie di funzioni descritte nell’articolo 118 Cost. (attribuite o conferite, fondamentali e proprie), e soprattutto nella precisazione legislativa, richiesta dalla riserva di legge statale contenuta nell’art. 117, co. 2, lett.p, Cost. delle cosiddette funzioni fondamentali, dirette a delineare la struttura organizzativa e funzionale essenziale degli enti locali.6

Ad oggi, pur in un quadro legislativo fortemente instabile e non ancora del tutto definitivo l’elemento veramente distintivo degli enti locali risulta essere l’autonomia l’art. 114 Cost. testualmente ricomprende gli enti locali tra gli enti autonomi nell’ambito dei principi contenuti nella Costituzione-, comprovato dal legame costitutivo con il territorio e qualificata in una duplice direzione: sia verso l’interno, ossia rispetto alla comunità locale del quale l’ente territoriale è esponenziale, sia rispetto all’esterno, ossia nei confronti dell’ordinamento generale, che riconoscendola la garantisce.7

Ed è proprio nella prospettiva della complessità degli ordinamenti che appare possibile risolvere il rapporto d’equilibrio che lega le fonti del diritto; l’ordinamento generale alle fonti primarie e agli interessi pubblici così come gli ordinamenti particolari (ovvero autonomi) alle fonti secondarie e agli interessi pubblici digradati, in un significato parziale dovuto alla loro inattività, alle specifiche esigenze del territorio, geograficamente, socialmente, ed economicamente connotate.8

5

Romano, S.,Il Comune, cit., passim; recentemente sull’interpretazione dell’art. 114 Cost. nell’assetto costituzionale modificato nel 2001 si veda Romano Alb.,Notabio-bibliografica,in L’ultimo Santi Romano, Milano, 2013, 843 ss., spec. 851 ss.

6

Cfr. Cerulli. V.-Pinelli, C.,Verso il federalismo. Normazione e amministrazione nella riforma del Titolo V della Costituzione, Bologna, 2004; De Lucia L., Le funzioni di province e comuni nella Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 2005, 23 ss

7

Romano, S., voce Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico, ristampa Milano, 1983, 14 ss; ora anche in Id,L’ultimo Santi

Romano, cit., 601 ss.; Romano, Alb., voce Autonomia, cit., 30 ss.; 8

Romano, Alb.,Interesse legittimo e ordinamento amministrativo, in Atti del Convegno celebrativo del 150° anniversario della

istituzione del Consiglio di Stato, Milano, 1983, 95 ss.; Id.,Potere amministrativo e situazioni giuridiche soggettive, in Contieri,

A.-Francario, M-Immordino, M.-Zito, A., a cura di, Interesse pubblico tra politica e amministrazione, Napoli, 2010, vol. II, 405 ss; Id.,L’“Ordinamento giuridico” di Santi Romano, il diritto dei privati e il diritto dell’amministrazione, in Dir. amm., 2011, 241 ss.

(8)

8 1.1 Gli Enti locali

Nell' ordinamento giuridico Italiano un Ente Locale è un ente pubblico, appartenente agli enti territoriali, dotato di un certo grado di autonomia statutaria, normativa, organizzativa, impositiva e finanziaria (ente autonomo).

L’organizzazione della nostra Repubblica è regolamentata da due principi fondamentali: quello dell’unitarietà ed indivisibilità dello Stato che lo riconosce come ente sovrano e dotato di una sua personalità giuridica, interna ed internazionale; e quello del decentramento sia legislativo che amministrativo con il riconoscimento delle autonomie territoriali locali.

Caringella precisa che gli enti pubblici sono chiamati così perché il territorio è considerato un loro elemento costitutivo. Ogni punto del territorio nazionale appartiene ad un solo Comune, ad una sola Provincia e Regione, per questi enti il territorio rappresenta sia l'ambito sia l'oggetto dell'attività, in quanto ne costituisce elemento della personalità. Gli enti territoriali sono detti “ a competenza generale” in quanto costituiti da una popolazione locale, delimitata territorialmente, dotati di un proprio ordinamento e di strumenti propri dell'autorità nonché di organi rappresentativi rispetto alla comunità di riferimento. Sono inoltre, enti a “fini generali” perché hanno come scopo istituzionale quello di curare gli interessi generali della comunità di cui sono portatori.9

Le Regioni, Provincie, Comuni e Città Metropolitane sono pertanto enti a garanzia costituzionale la cui autonomia è riconosciuta sia nei confronti dello Stato sia nei rapporti reciproci. La Costituzione disegna il profilo di uno Stato caratterizzato da un pluralismo autonomistico. All’articolo 5 della Costituzione “ La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua dei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” si riconoscono nella prima parte i principi dell'autonomia locale e del decentramento amministrativo nella seconda parte invece si qualificano tali principi come criteri guida della norma giuridica per improntare la conformazione ed il funzionamento dell'ordinamento repubblicano.

La dottrina più antica e tradizionale individua come elemento caratterizzante la figura dell’ente pubblico nel suo collegamento con lo Stato. La sovranità risiede nella persona giuridica- Stato ed allo stesso va riferito il concetto di pubblico.10 Pertanto saranno enti pubblici quelli che lo Stato abbia in un certo senso “delegato” ad agire per lui, ovvero quelli che possono ritenersi operanti nell’interesse o del servizio dello Stato.

9

Caringella F. Compendio di Diritto Amministrativo. Compendi Maior. VIII edizione. Dike Giuridica Editrice. Pag 184,185

10

(9)

9 All’indomani dell’Unità di Italia, la difficoltà maggiore che la classe politica dovette affrontare fu la riorganizzazione del nuovo Stato che si presentava fortemente differenziato nelle varie articolazioni territoriali costituenti precedentemente altrettanti Stati autonomi.

Nella convinzione che l’unificazione giuridica ed amministrativa fosse indispensabile per la realizzazione dello Stato Italiano prevalse dapprima, a causa dell’influenza della legislazione francese di matrice napoleonica, l’istanza accentratrice rivolta a negare diritto di esistenza ad ogni persona giuridica intermedia tra l’individuo e lo Stato non dando peso alle esigenze delle realtà preesistenti all’unificazione.

I primi ed i principali enti pubblici ad essere riconosciuti, nel 1865, sono i Comuni e le Province. La legge n. 2248 del 20 marzo 1865 «Legge sull'amministrazione comunale e provinciale» riordinò la materia introdotta dalla precedente legge Rattazzi del 1859, definendo i Comuni e le Province quali enti deputati alla pari dello Stato alla cura di interessi generali e dotati di poteri di imperio. 11

Si trattava di un ordinamento caratterizzato da una potente Amministrazione Centrale, che si avvaleva su base provinciale, dell’istituto Prefettizio per vigilare e provvedere affinché l’Amministrazione locale si svolgesse sempre secondo le proprie direttive ed indirizzi.

Successivamente in fasi intermedie fu esteso il concetto di ente pubblico alle Opere Pie- legge Cripsi del 1888, ai consorzi di bonifica o di irrigazione, alle Camere di Commercio, alle Casse di Risparmio e Previdenza e a qualche altra istituzione similare.12

Giolitti, con la legge n.103 del 1903 optò poi per la municipalizzazione dei servizi di pubblico interesse da parte dei Comuni. Con questo provvedimento si stabilirono le norme per la costituzione e l’amministrazione delle aziende speciali dei comuni, il procedimento per l’assunzione diretta dei pubblici servizi e per la vigilanza sulle aziende anche consorziali.

L’ultimo testo normativo organico emanato dallo Stato Liberale fu il Regio Decreto n.148 del 1915 “Testo Unico della legge Comunale e Provinciale” in cui il Comune assume quella che sarà poi la sua struttura organizzativa, fondata su tre organi fondamentali: il Consiglio, la Giunta e il Sindaco.13

Con l’avvento della Costituzione Repubblicana del 1948, trovano accoglimento e valorizzazione istanze pluralistiche ed autonomistiche sotto ogni aspetto: pluralismo politico, ideologico, sociale ed istituzionale. Pluralismo inteso come autonomia e decentramento con la sostituzione ad un unico apparato di potere posto al centro, incorniciato da enti ausiliari o

11

Cfr. Giorgi. La Dottrina delle persone giuridiche i corpi morali. Firenze 1899, volume II. Pag 10.

12

Cfr. Giorgi. La Dottrina delle persone giuridiche i corpi morali. Firenze 1899, volume V p.3.

13

(10)

10 strumentali e da organi dipendenti prive di attribuzioni definitive, di una pluralità di strutture rappresentative e di sedi decisionali. 14

E’ l’art.5 della Costituzione, norma inclusa tra i solenni principi fondamentali dello Stato, che proclama, condizionato all’inviolabile principio dell’unità e indivisibilità della Repubblica, il riconoscimento e la promozione di tutte le autonomie locali quali criteri guida per il legislatore ordinario. Gli ordinamenti delle comunità locali si inseriscono così nel più generale ordinamento statale come sue articolazioni, essi sono politicamente rappresentativi e operano come enti esponenziali nelle comunità stanziate nel territorio e nel loro generale interesse. 15

Esaminando la norma se ne deducono tre punti fondamentali:

- unità ed indivisibilità della Repubblica quale limite invalicabile al riconoscimento e alla promozione delle autonomie locali;

- attuazione del più ampio decentramento amministrativo nell’erogazione dei servizi; lo Stato organizza la propria amministrazione secondo un “sistema binario” che individua accanto agli organi centrali altri centri di azione o apparati di potere.

- adeguamento della legislazione dello Stato alle esigenze dell’autonomia e del decentramento; nell’ipotesi di trasferimento di funzioni politiche pubbliche in capo agli organi locali più largamente rappresentativi quali i Consigli regionali, provinciali e comunali, con il fine di realizzare una più ampia partecipazione democratica alla vita pubblica.

Fondamentali sono i concetti di autonomia, di autarchia e di autotutela.

L’autonomia è rinvenibile nella sussistenza di due poteri: la potestà di darsi un proprio assetto normativo e la potestà di indirizzo politico-amministrativo.

L’autonomia normativa è secondo Staderini “la capacità riconosciuta ad un ente di costituire il proprio ordinamento mediante l’emanazione di norme aventi la stessa natura e la stessa efficacia della normazione statale” e negli enti locali si estrinseca nella potestà statuaria e in quella regolamentare; mentre l’autonomia politica è intesa, invece, come libertà di autodeterminazione sul piano politico-amministrativo nella scelta dei fini da perseguire, nell’individuazione delle modalità di azione e nella valutazione degli atti da adottare.

Il termine autarchia definisce, oltre al concetto di autosufficienza giuridica, ossia di autogoverno, quello di autosufficienza economica, chiamato anche "economia chiusa", in cui non sono presenti relazioni commerciali con l'estero e l'ecosistema economico nazionale non è

14

Benvenuti F. L’Ordinamento Repubblicano, Venezia 1965.

15

(11)

11 influenzato dalle tendenze internazionali.16 Oggi le situazioni di autarchia sono molto rare: una delle caratteristiche fondamentali che hanno caratterizzato i governi democratici succedutisi nell'ultimo dopoguerra, è quella dell'interdipendenza sia politica che economica, che ha trovato la sua più ampia e valida espressione in Europa nella costituzione dell'Unione europea.

Conseguente all’autarchia è l’autotutela intesa come la capacità dell’ente di risolvere i conflitti, potenziali o attuali, insorti relativamente al momento dell’emanazione (legittimità – opportunità), dell’esecuzione e dell’efficacia degli atti. 17

Accanto al principio fondamentale di autonomia vi è quello di decentramento amministrativo. Il decentramento amministrativo costituisce uno dei principi fondamentali dell’organizzazione amministrativa e una conseguenza dell’ordinamento democratico, essendo finalizzato a realizzare la partecipazione effettiva della collettività all’esercizio e alla cura degli interessi pubblici attraverso l’esercizio diretto delle funzioni amministrative. È enunciato nell’art. 5 della Cost., in base al quale «la Repubblica italiana, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali e attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». L’art. 97, co. 2, specifica che «nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari»; il principio del decentramento è altresì previsto agli art. 114-133, Titolo V, parte II, della Costituzione, laddove si descrive l’assetto organizzativo della Repubblica.

Lo sviluppo delle autonomie locali, garantisce pertanto, un significativo decentramento di funzioni mentre il più ampio decentramento amministrativo consente di avvicinare ai destinatari i servizi e le funzioni che dipendono dallo Stato. Malgrado il riconoscimento e la promozione delle autonomie locali e rispetto al principio di unità ed indivisibilità lo Stato resta comunque l’Ente sovrano per eccellenza.

A partire dal 1990, con l’entrata in vigore della legge sul nuovo ordinamento delle autonomie locali, è iniziata una fase che può essere definita di lunga transizione verso la concreta affermazione del principio autonomistico che, seppur facente parte dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale, per tanti anni è rimasto una mera dichiarazione d’intenti che non ha avuto alcun seguito all’interno di concreti interventi normativi.

Gli anni novanta hanno visto il legislatore fermamente impegnato nella volontà di riformare dalle basi l’assetto complessivo delle pubbliche amministrazioni attraverso un graduale

16

Gottlieb Fichte Johann, Lo Stato commerciale chiuso, Editori Bocca, Milano, 1909.

17

(12)

12 spostamento verso il basso del proprio nodo centrale, tentando in questo modo di avvicinare progressivamente al cittadino la gestione delle funzioni amministrative e dei servizi.

Il vertice del processo di riforma viene senza dubbio toccato con la legge di revisione Costituzionale n. 3 del 2001 che riscrive pressoché integralmente il Titolo V della Parte II della Costituzione in materia di Comuni, Province e Regioni, introducendo nella Carta fondamentale e ampliando notevolmente l’essenza dei principi ispiratori che avevano già animato la legge del 1997.

Ad oggi non possiamo ancora considerare chiusa tale transizione che intende trasformare gli enti locali da titolari di un’autonomia concessa e tutelata dall’alto, ad enti responsabili del loro autogoverno, della loro autorganizzazione e del loro autocontrollo.

Affinché i contenuti della Costituzione siano attuati concretamente è necessario che vi sia qualcuno che li faccia propri e che si preponga l’obiettivo di svilupparli e tradurli in realtà, illuminante fu in proposito Pietro Calamandrei che in un discorso pronunciato il 26 gennaio 1955, in occasione dell’inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana, illustrò in modo accessibile a tutti i principi morali e giuridici che stanno a fondamento della nostra vita associativa specificando che “ la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé.” 18

1.1.2 Dalla Legge 142 del 1990 al Testo Unico degli Enti Locali Decreto Legislativo 267/2000 Se pur la Costituzione repubblicana ha inteso attribuire garanzie e significati nuovi alle autonomie locali, il sistema locale italiano è rimasto a lungo regolato da normative emanate in epoca pre costituzionale, a loro volta spesso ripetitive di schemi e formule risalenti ad epoca assai più antica; le transazioni concrete nelle riforme amministrative si riscontrano a partire dai primi anni degli anni ’70, con i primi Decreti quali il D.P.R. 748/1972 che disciplina la materia della regionalizzazione e introduce l' istituzione della dirigenza; ed il D.P.R. 749/1972 che disciplina la riforma dei segretari comunali.

E’ nel 1975 che la seconda legge di delega n.382/1975 consente l'adozione dei conseguenti decreti legislativi quali il n.616 e il n.617/1977 con i quali si parla di secondo decentramento: questa volta le riforme e i mutamenti condotti toccano in misura significativa lo stesso sistema degli enti territoriali con l’assegnazione di nuove e importanti competenze, limitando il trasferimento delle stesse e dei conseguenti beni e risorse, in favore delle Regioni. I vincoli costituzionali continuano

18

(13)

13 tuttavia a pesare, e le Regioni entrano in quello che viene definito un "cono d'ombra" che dura fino alla XIII legislatura.

Con il DPR 24 luglio 1977 n.616 vi è stato un massiccio trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni ed agli Enti locali e, contemporaneamente, si sono sciolti una moltitudine di organismi nazionali e locali. In sostanza il DPR 616/77 poneva l'accento su due aspetti quali la valorizzazione delle Regioni con l'espletamento delle funzioni di indirizzo, programmazione e coordinamento e il rilancio dei Comuni singoli o associati quali organi destinati a dare le risposte concrete alla popolazione. Il DPR 616 consentiva di modificare in misura concreta l'assetto del potere pubblico, valorizzando le Autonomie locali e permettendo quindi ai cittadini di influire maggiormente sulle scelte e di poter controllare le realizzazioni in materia.

In particolare, per quanto riguarda i servizi sociali (comprendenti la sanità, l'assistenza, la formazione professionale, i musei e le biblioteche di interesse locale, le attività relative al diritto allo studio ed i servizi culturali), il DPR 616 dava mandato alle Regioni di aggregare i Comuni secondo ambiti territoriali idonei alla gestione dei servizi sopra elencati. Alla Regione era attribuita la possibilità di emanare, con il solo limite dei principi generali stabiliti da leggi dello Stato, leggi di riordino nelle materie oggetto di trasferimento.

L'attribuzione ai Comuni singoli o associati di nuovi rilevanti compiti, l'evolversi del ruolo del Comune stesso insieme alla necessità di riorganizzare la gestione delle competenze tradizionali, hanno posto alle forze politiche l'esigenza di proporre specifici provvedimenti legislativi diretti a dare un assetto istituzionale coerente alle nuove esigenze.

Con l'emanazione del DPR 616/77 sono stati introdotti ampi potenziali elementi di rinnovamento sul piano politico, istituzionale e culturale. I contenuti di tale rinnovamento tuttavia non stavano interamente all'interno di un quadro politico-amministrativo locale, ma andavano ricercati in un più vasto movimento che in quegli anni si era determinato nel Paese.

Nel 1979 il “Rapporto della Commissione Giannini” produce studi avanzati che ancora una volta vengono accolti solo in minima parte nelle conseguenti riforme fino al 1983 con l’emanazione della legge 20 marzo 1983, n. 93, "Legge quadro sul pubblico impiego", che introduce le qualifiche funzionali senza riformare la struttura organizzativa degli uffici.

Mentre le riforme costituzionali non riuscirono ad avere successo e fecero registrare numerosi e ripetuti tentativi falliti, il processo di riforma delle strutture amministrative e di governo ebbe sorte migliore, sfociando, in particolare, in misure incidenti sui procedimenti amministrativi, sull'organizzazione amministrativa e sulla stessa struttura del governo e della presidenza del Consiglio.

(14)

14 Alla fine degli anni ’80 si presenta una duplice innovazione tra il sistema delle amministrazioni locali e il sistema del raccordo tra amministrazione e cittadini.

Nonostante le numerose proposte di riforma all’inizio degli anni '90 l'amministrazione è incapace di rispondere alle istanze della società, il sistema locale italiano è rimasto a lungo disciplinato da una normativa antica, e proprio l'istituzione delle Regioni ordinarie, ha posto in risalto tutta l'inadeguatezza della disciplina comunale e provinciale.

Assistiamo pertanto ad un periodo caratterizzato da una fluente attività legislativa in materia che ha consentito l'approvazione della Legge 142/1990: di un nuovo ordinamento delle autonomie locali.

La legge 8 giugno 1990, n. 142 "Ordinamento delle autonomie locali", è la prima legge generale che con la sua portata innovativa conclude positivamente un processo pluriennale dettando i principi informatori dell’ordinamento delle autonomia locali attribuendo nuova fisionomia ai Comuni e alle Province e al loro rapporto con le Regioni e lo Stato.

Tra le principali innovazioni apportate dalla legge di riforma del 1990 si evidenzia il riconoscimento dell’autonomia statuaria e regolamentare degli enti locali: la legge ridefinisce gli assetti del sistema comunale e provinciale riconoscendo per la prima volta a Comuni e Province la facoltà di dotarsi di propri Statuti, spettando ad essi (approvati dai rispettivi Consigli a maggioranza dei 2/3 dei membri o, in difetto, per due volte dalla maggioranza assoluta) stabilire le norme fondamentali per l'organizzazione dell'ente, determinando, in particolare le attribuzioni degli organi, l'ordinamento degli uffici e dei servizi, le forme di decentramento e d'accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi. Le norme degli Statuti dovranno rimanere nell'ambito dello schema definito dalla legge per quanto riguarda l'assetto degli organi di governo identificati in: Consiglio (organo deliberativo), Giunta (organo esecutivo), Sindaco o Presidente della Provincia (organo monocratico).

Al Consiglio è riconosciuto un ruolo d'indirizzo e controllo, adottando gli atti fondamentali tassativamente indicati dalla legge (statuti, regolamenti, bilanci, piani, programmi ecc.); la competenza generale residuale (un tempo attribuita al Consiglio) è ora demandata alla Giunta; il Sindaco e il P.d.P. rappresentano l'ente, sovrintendono al funzionamento degli uffici e dei servizi nonché all'esecuzione degli atti. Il Sindaco mantiene del resto la tradizionale qualità di ufficiale di Governo. L'elezione del Sindaco e del P.d.P., nonché della Giunta spettano al Consiglio e si effettua con un'unica votazione a scrutinio palese ed a maggioranza assoluta (deve avvenire entro 60 giorni dalla proclamazione degli eletti). Per la composizione della Giunta viene introdotta la possibilità (quando sia previsto dallo Statuto) di eleggere assessori cittadini non consiglieri.19

19

Cfr Legge 8 Giugno 1990 n. 142 Ordinamento delle Autonomie Locali. (G.U Serie Generale n.135 del 12.06.1990- Supp. Ordinario n. 42)

(15)

15 Si introduce la distinzione tra compiti di direzione politica, attribuiti agli organi elettivi, e compiti amministrativi, attribuiti appunto ai dirigenti cui spetta il compito di attuare gli obiettivi fissati dai primi. Il Comune si configura come ente esponenziale degli interessi della comunità locale, con competenza a tutte le funzioni che riguardano la popolazione e il relativo territorio con la valorizzazione degli istituti di partecipazione popolare e l’incentivazione dei processi di fusione tra piccoli Comuni nonché l’individuazione delle Aree Metropolitane con il conseguente ampliamento delle forme di gestione dei servizi pubblici locali e lo sviluppo delle forme di associazione e collaborazione tra Comuni. 20

Con la l. 142/1990, il legislatore italiano in realtà non ha definito ma, piuttosto, delineato il riordino degli enti locali; limitandosi a tracciare alcune direttrici di fondo, affidandone lo sviluppo a fonti statali, regionali, locali.

Conseguentemente la legge 7 agosto 1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi", costituisce un punto di approdo molto importante di un processo riformatore delle modalità di azione della pubblica amministrazione che ha finalmente l'effetto di ampliare significativamente i diritti concreti dei cittadini, le modalità di partecipazione ai procedimenti amministrativi, le possibilità di accelerazione e di coordinamento delle attività amministrative facenti capo ai diversi soggetti dell'ordinamento. La legge 241 del 1990, successivamente modificata dalla legge n. 15/2005, sancisce, pertanto, regole comuni a tutti i procedimenti amministrativi, svolti davanti ad amministrazioni statali ed enti pubblici nazionali, risolvendo, in tal modo, il problema della mancanza di una disciplina generale del procedimento amministrativo.

In armonia con il dettato costituzionale (art. 9721) si definiscono regole di carattere generale ispirate ai seguenti principi:

1. il principio del giusto procedimento attuato mediante: la previsione del diritto di partecipazione del cittadino interessato al procedimento, l’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo, l’obbligo per la PA di individuare preventivamente l’ufficio e il dipendente responsabile del procedimento amministrativo ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi;

2. il principio di semplificazione che introduce taluni istituti, in conformità con l’art. 97 cost., volti a snellire e rendere più celere l’azione amministrativa (silenzio assenso, denuncia in luogo di autorizzazione, conferenza di servizi).

20

Collana Timone 266/1. Ordinamento degli Enti Locali. II Edizione.cap 1 pag 6

21

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

(16)

16 Il responsabile del procedimento (artt.4-6) è il soggetto al quale è affidata la gestione del procedimento amministrativo. La previsione di tale figura è stata una novità assoluta non essendo, in precedenza, in alcun modo prevista creando come problemi principali l’ irresponsabilità civile, penale ed amministrativa degli amministratori nonché il rallentamento dell’azione amministrativa e la mancanza di trasparenza.22

Il Legislatore della legge 241/90 ha recepito i precetti della dottrina in tema di giusto procedimento prevedendo (artt.7-13): l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento; il diritto di intervento nel procedimento; gli accordi procedimentali e sostitutivi.

Il principio di partecipazione al procedimento amministrativo consente di soddisfare i criteri informatori dell’azione della PA e cioè:

- la trasparenza, garantita anche mediante l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, permette ai destinatari dell’azione amministrativa di esserne informati e, di conseguenza, in qualche modo, anche di orientarla;

- l’economicità, grazie alla deflazione del contenzioso con relativo abbattimento dei costi;

- l’efficacia, grazie anche alla partecipazione del privato che, con il proprio intervento, chiarendo le situazioni di fatto e di diritto su determinate questioni, mette la PA nelle condizioni di conseguire meglio gli obiettivi pubblici.

Gli strumenti introdotti dalla legge 241 del 1990 volti a snellire l’azione amministrativa, sono (artt. 14 -21):

 la conferenza dei servizi: costituisce una forma di cooperazione tra pubbliche amministrazioni, alla quale un’amministrazione ricorre tutte le volte in cui si renda necessario un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti nel procedimento amministrativo (conferenza istruttoria, art. 14, comma 1), ovvero quando sia necessaria l’acquisizione di intese, concerti, nulla osta o assensi di diverse amministrazioni, con conseguente adozione di una determinazione che ha l’effetto di sostituirsi ai predetti atti (conferenza decisoria, art. 14, comma 2);

 il silenzio facoltativo: è anch’esso una forma di semplificazione e di snellimento dell’azione amministrativa e si ha in tutti i casi in cui debba obbligatoriamente, per legge, essere sentito un organo consultivo e questo non abbia nei termini previsti (in mancanza di fissazione entro 90 giorni) espresso il proprio parere. L’amministrazione richiedente può procedere prescindendo dal parere. Questo istituto non opera nelle ipotesi in cui i parere debbano essere rilasciati da amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini;

 il silenzio devolutivo: quando debba essere acquisito un parere tecnico, e questo non venga rilasciato, il responsabile del procedimento può rivolgersi ad altra amministrazione o istituto

22

Legge 7 agosto 1990 n.241. Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti amministrativi (G.U Serie Generale n.192 del 18.08.1990)

(17)

17 universitario che abbia le stesse competenze. Tale istituto non si applica nell’ipotesi in cui il parere debba essere rilasciato da amministrazione preposta alla tutela dell’ambiente, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini;

 l’autocertificazione: facilita il rapporto tra amministrazione e cittadini e fa conseguire ad essi, in tempi ridotti, un determinato atto. Tale istituto solleva il privato dall’onere di certificare, determinati requisiti e dati, accontentandosi di una sua dichiarazione, detta sostitutiva;

 la denunzia in luogo di autorizzazione: riconosce al privato la facoltà, in tutti i casi in cui l’esercizio dell’attività privata sia subordinata (sulla base di un mero accertamento di presupposti e requisiti legislativi) ad autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, di intraprendere l’esercizio di un’attività sulla base di una mera denuncia, detta dichiarazione sostitutiva, senza dover conseguire il titolo autorizzativo. L’amministrazione nei 60 gg successivi alla DIA controlla la sussistenza dei requisiti di legge e in caso di assenza, con provvedimento motivato, dispone il divieto di prosecuzione dell’attività e la rimozione degli effetti.

 il silenzio assenso: l’art. 20 è informato ad un’ottica di liberalizzazione dell’attività dei privati e di miglioramento dei rapporti tra PPAA e cittadini, ed opera una sostanziale generalizzazione dell’istituto. Esso individua, con un apposito regolamento, i casi in cui la domanda di rilascio di un provvedimento autorizzatorio, necessario per l’esercizio di una attività privata, si possa considerare accolta senza che venga comunicato all’interessato il provvedimento di diniego entro un dato termine (fissato per categorie di atti in relazione alla complessità del rispettivo procedimento).

Infine l’accesso agli atti garantisce la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa. Infatti tale diritto attribuisce ai cittadini il potere di esercitare un controllo democratico sull’operato dei soggetti pubblici al fine di verificare la conformità agli interessi sociali ed ai precetti costituzionali.

Una prima importante legge che ha inciso sul riordino delle autonomie locali è stata, successivamente, la legge n. 81/199323, sull'elezione diretta del Sindaco e P.d.P. e la riforma del sistema elettorale per i Consigli. Stabilendo che, "il Sindaco e il P.d.P. sono eletti dai cittadini a suffragio universale e diretto" e, coerentemente, nell'assegnare ad essi il potere di nominare e di revocare i componenti della Giunta.

23

Legge 25 marzo 1993 n.81 Elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio Comunale e del Consiglio Provinciale. Pubblicata nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale n.72 del 27 marzo 1993

(18)

18 La legge n. 81/1993 ha ridisegnato i tratti essenziali del sistema di governo locale; mentre la Legge 142/90, mantenendo il tradizionale schema di governo (in cui un organo assembleare esprime al proprio interno un organo esecutivo ristretto e l'organo individuale che li presiede entrambi) ha ritoccato alcuni tratti ad esempio con la previsione degli assessori non consiglieri e l’elezione del Sindaco e del P.d.P con un'unica votazione entro un termine di 60 giorni (dalla proclamazione) pena lo scioglimento del Consiglio stesso. La Legge 81/93 ha previsto:

 l'elezione diretta del Sindaco e dei Presidenti delle Province, con sistema a doppio turno per Province e comuni maggiori, con turno unico per i Comuni minori.

 l'elezione dei Consigli comunali e provinciali con sistema proporzionale con premio di maggioranza per Province e Comuni maggiori; con sistema maggioritario per i Comuni minori.

 l'accentuazione della separazione e della reciproca autonomia tra Consiglio ed esecutivi; separazione ed autonomia perseguite (fatta eccezione per i comuni minori) sia sottraendo al Sindaco il tradizionale compito di presiedere il Consiglio, ora dotato di un proprio Presidente, sia stabilendo un'incompatibilità tra le cariche di consigliere e di assessore.  l'attribuzione al Sindaco e al P.d.P. dei poteri di nomina (e di revoca) degli assessori, dei

dirigenti e in generale dei rappresentanti dell'ente presso aziende, istituzioni, ecc.

Nel 1993 il Decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29 "Razionalizzazione dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell' art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 241", disciplina la riforma del pubblico impiego e la netta separazione fra responsabilità politica e amministrazione dando inizio al primo programma generale di riforme amministrative della storia repubblicana, delineato e parzialmente portato a compimento dal Governo Ciampi, con successivi aggiustamenti.

Fondamentalmente, il periodo compreso tra la X legislatura (1992) e l'inizio della XIII legislatura (1996), ha registrato i seguenti fenomeni:

 il ripetuto fallimento di ogni tentativo di avviare una riforma organica della Costituzione;  il forte mutamento intervenuto nel sistema politico, anche a livello regionale e locale,

dovuto sia a fattori politici (crisi di delegittimazione legata a Tangentopoli) sia a fattori istituzionali (le nuove leggi elettorali adottate);

 la ripresa incisiva di un processo riformatore che estese e portò avanti la riforma dell'amministrazione pubblica, specialmente centrale e statale, già avviato negli anni precedenti;

(19)

19  la sostanziale, perdurante, incapacità di incidere profondamente sul rapporto tra Stato, da un

lato, Regioni e sistema degli enti territoriali minori dall'altro.24

L'esperienza maturata in quegli anni dimostra che senza significative innovazioni costituzionali, e senza avere il coraggio di superare i limiti formali e sostanziali posti dall'ordinamento costituzionale vigente, è impossibile dar vita a un compiuto salto di qualità in un senso che già si comincia a definire "federale", ma che più giustamente potrebbe essere qualificato come orientato a garantire il pluralismo reale dei soggetti titolari di competenze legislative e amministrative e un coerente e forte sistema di articolazione policentrica dell'ordinamento complessivo.

Dopo la riforma del '93, si presentava necessario un processo di completamento della riforma delle autonomie locali in sostegno a varie esigenze quali il rafforzamento del ruolo e dei poteri degli enti locali, la drastica riduzione del sistema dei controlli e vincoli ed il necessario adeguamento ed armonizzazione delle leggi 81/93 e 142/90 annullando le parti non più condivise.

E’ in questo periodo che si sviluppa in questa direzione, un progressivo processo di mutamento legislativo destinato ad incidere profondamente sull'organizzazione e sull'attività delle amministrazioni locali.

Tutte le riforme proposte dal '90 in poi sono state nettamente riviste dalla legge 59/1997 e dai relativi decreti delegati; la riforma dell'amministrazione statale ed enti pubblici nazionali ha profilato l'apertura di un processo di mandato per una complessiva ristrutturazione dello Stato, con una trasferimento di poteri e compiti alle Regioni e alle autonomie locali avviando l'esperienza della Conferenza Stato-città-enti locali25, composta da Sindaci e P.d.P., quale sede di consultazione sulle politiche governative che riguardano il sistema locale. 26

La legge Bassanini al fine di assegnare le funzioni alle Regioni e agli enti territoriali ha introdotto per la prima volta nell’ordinamento italiano il principio di sussidiarietà.

Sul criterio di assegnazione delle funzioni ai diversi livelli territoriali di governo viene introdotto il principio della c.d. “sussidiarietà verticale” formulato in modo da affermare che la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative deve spettare ai Comuni, alle Province e alle Comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali e organizzative, mentre ai livelli superiori, che in questa logica è la sola Regione perché le competenze amministrative dello

24

Cfr. Labriola Silvano. Il Parlamento Repubblicano: 1948-1998 . Edizione Giuffrè 1999

25La Conferenza Stato-città e autonomie locali è un organo collegiale con funzioni consultive e decisionali, sede istituzionale

permanente di confronto e raccordo tra lo Stato e gli Enti Locali. Istituita con il DPCM 2 luglio 1996 ( Gazzetta Ufficiale 27 gennaio 1997 n.21) è disciplinata dal Dlgs 28 agosto 1997 n. 281( Gazzetta Ufficiale 30 agosto 1997 n. 202). E' presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o per sua delega dal Ministro dell'Interno congiuntamente al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Ne fanno parte anche i ministri dell'Economia e delle finanze, delle infrastrutture, della Salute, i presidenti di Anci, Upi, Uncem, nonché su designazione delle rispettive associazioni, sei presidenti di Provincia e 14 Sindaci, di cui cinque sindaci di città che siano aree metropolitane.

26

(20)

20 Stato e delle amministrazioni centrali sono limitate alle materie e ai compiti elencati dalla legge di delega stessa, spettano solo le funzioni non compatibili con le dimensioni territoriali e associative e organizzative proprie dei Comuni, delle Province e delle Comunità montane.

Sul piano della ripartizione delle competenze assegnate fra ambiti amministrativi pubblici ed eventuali soggetti privati, la c.d. “sussidiarietà orizzontale” stabilisce chi deve operare “anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità”. Nell’applicazione del principio di sussidiarietà, si esclude pertanto l’ipotesi che il terzo settore possa sostituirsi allo Stato nell’assolvimento di tutte le funzioni ed i compiti.

Tale riforma non vuole limitarsi a una pura operazione di trasferimento di funzioni e competenze dal soggetto centrale (Stato) ai soggetti periferici (Regioni ed enti territoriali), ma ha l’ intento di definire i criteri guida di un’amministrazione moderna e attenta al rispetto dei criteri di efficienza, efficacia, responsabilità, unicità, omogeneità ed adeguatezza delle competenze assegnate ai diversi soggetti titolari di funzioni e compiti amministrativi.

In seguito la legge 15 maggio 1997, n. 127 "Bassanini bis" riforma degli enti locali, alla riforma del decentramento accompagna quella della semplificazione amministrativa con l'obiettivo di ridisegnare l'organizzazione ed il funzionamento dell'amministrazione pubblica con particolare riferimento a quella locale. In estrema sintesi, i due oggetti della Bassanini bis sono:

 la riforma dei procedimenti (snellimento)  la riforma degli uffici (riorganizzazione)

 semplificare le regole e liberare i Comuni e Province da vincoli e interventi che ne limitano fortemente l'autonomia, affidando pienamente ai Sindaci le scelte sui vertici dell'amministrazione.

 distinzione dei ruoli nei confronti della gestione riservata ai funzionari

 sul piano finanziario si sono definite linee di significativo rafforzamento dell'autonomia tributaria, di Regioni, Comuni e Province, attribuendo ai trasferimenti statali una funzione essenzialmente perequativa.

Le due leggi Bassanini sono successivamente state integrate con le leggi Bassanini tere Bassanini quater: legge 16 giugno 1998, n. 191 "Modifiche ed integrazioni alle leggi 15 marzo 1997, n.59, e 15 maggio 1997, n.127, nonché norme in materia di formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle pubbliche amministrazioni. Disposizioni in termini di edilizia scolastica"; e legge 8 marzo 1999, n. 50 "Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - legge di semplificazione 1998".

(21)

21 La tendenza ai continui aggiustamenti in materia amministrativa è in buona parte conseguente alla consapevolezza della necessità di una riorganizzazione di una realtà disordinata e frammentaria, che richiede distinti e successivi interventi e al continuo mutamento della società, che deve essere accompagnato da altrettanta elasticità degli apparati amministrativi.

In questo senso, l'art. 20 della legge 59/1997 obbliga il Governo alla presentazione, entro il 31 gennaio di ogni anno, di un disegno di legge per la delegificazione di norme concernenti i provvedimenti amministrativi. In allegato al disegno, deve essere presentata una relazione sullo stato di attuazione della semplificazione dei procedimenti amministrativi (il primo disegno ha dato come frutto la legge di semplificazione 1998 detta Bassanini quater).

Da qui, infine, la forte spinta all'attuazione di innovazioni anche strutturali nell'organizzazione e nel funzionamento degli apparati amministrativi, nonché all'introduzione di nuovi e massicci programmi di informatizzazione e di ammodernamento delle regole e delle procedure dell'attività amministrativa, specialmente di quella rivolta a garantire i servizi ai cittadini.

A completamento della riforma legislativa degli anni 90 vi è infine, l’emanazione della legge n.265 del 3 agosto 1999 intitolata “Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali” che riforma la legge n. 142/90 introducendo nuove disposizioni in materia.27

La prima novità è il riconoscimento ad ogni ente locale di una più ampia autonomia statuaria e regolamentare. Dagli statuti dipende la definizione di caratteri fondamentali degli enti, prima rigidamente determinate dalla legge, mentre la potestà regolamentare la si può esercitare dalle disposizioni statuarie e dai principi generali ricavabili dalla legge.

Vi è poi l’allargamento degli spazi e degli istituti di partecipazione all’attività e decisioni delle amministrazioni locali attribuendo alle Province funzioni di coordinamento riducendo al contempo il ruolo delle Regioni nella disciplina delle forme di cooperazione fra enti locali, della programmazione socio-economica e della pianificazione territoriale. L’atteggiamento favorevole verso la gestione sovra comunale delle funzioni di competenza di più enti locali si concretizza nell’incentivazione delle fusioni e delle Unioni di Comuni, partecipanti alla convenzione, introducendo apposita disciplina per l’esercizio associato delle funzioni. 28

La legge Napoletano-Vigneri disciplina, inoltre, il rafforzamento del decentramento locale promuovendo le Comunità Montane e le Aree metropolitane nonché l’introduzione di norme più incisive sul funzionamento dei Consigli e delle Giunte degli enti locali con un’accurata disciplina dello status degli amministratori locali.

27

Legge 3 agosto 1999 n. 265. Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990 n. 142. ( pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 183 del 6 agosto 1999. Supplemento Ordinario n.149)

28

(22)

22 Momento conclusivo del lungo decennio di riforma che ha coinvolto gli enti locali è dato dall’emanazione del Decreto Legislativo 18/08/2000 n. 267 “Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” (TUEL).

Dopo il Testo Unico del 1934 il TUEL codicizza la decennale opera del legislatore nella promozione degli enti locali riconoscendone l’autonomia statuaria così come previsto dall’art. 128 della Costituzione e dalla legge 142/90 precedentemente citata.

Il Tuel29 è la legge che stabilisce i principi e le disposizioni in materia di ordinamento degli enti locali. E' suddiviso in tre parti ed è composto da 276 articoli. E’ stato recentemente aggiornato e modificato con il D.Lgs. 19 agosto 2016 n. 175, dalla Legge 11 dicembre 2016 n. 32 e dal Decreto legge del 30 dicembre 2016 n. 244; introduce alcune novità che si possiamo sintetizzare nei seguenti punti:

 la competenza della fonte statuaria nella disciplina dei modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente con l'adozione di statuti e regolamenti (art.6. comma 2)  introduzione dei “pareri” ai sensi dell'art.49 su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla

giunta e al consiglio che non sia di mero indirizzo;  disciplina delle funzioni del Difensore Civico;

 il principio di separazione fra sfera politica e sfera gestionale con l'attribuzione agli organi di governo dei soli “atti ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto fra funzioni di indirizzo e di controllo politico amministrativo” ed il potenziamento delle competenze dirigenziali estese a tutti gli atti di gestione e a quelli di carattere amministrativo (art. 107) in relazione a quanto disposto dal D.Lgs. 165/2001;

 potenziamento delle metodologie e degli strumenti adeguate a garantire efficaci controlli interni nel rispetto dei principi di legalità, regolarità e correttezza dell'azione amministrativa; nonché controlli esterni e di gestione;

 potenziamento delle funzioni del Segretario Comunale (art.97) in considerazione dalla materia sancita dal D.Lgs. 97/2016;

 in attuazione del D.Lgs 126/2014, aggiornamento e modifica del D.Lgs n.118 del 2011, si provvede a definire un processo di “armonizzazione dei sistemi contabili” e degli schemi di bilancio degli Enti locali e dei loro enti ed organismi strumentali.

Gli enti locali devono conformare la propria gestione oltre che ai principi contabili generali anche a quelli di: principio della programmazione (allegato 4/1) nella quale elenca tra gli strumenti di programmazione degli enti locali il Documento Unico di Programmazione e i

29

Decreto Legislativo 18 agosto 2000 n. 267 Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti Locali. ( G,U Serie Generale n.227 del 28.09.2000 – Suppl. Ordinario n. 162)

(23)

23 suoi allegati tra cui il Piano Esecutivo di Gestione e delle performance e lo schema di bilancio di previsione finanziario; principio della contabilità finanziaria (allegato 4/2) che disciplina nel dettaglio le modalità di contabilizzazione dei fatti gestionali che abbiano contenuto finanziario, economico e patrimoniale; principio della contabilità economico-patrimoniale ( allegato 4/3) che prevede l'adozione di un sistema contabile integrato che garantisca la rilevazione unitaria dei fatti gestionali sia sotto il profilo finanziario che sotto il profilo economico- patrimoniale; principio relativo al bilancio consolidato (allegato 4/4). I comuni devono redigere un bilancio consolidato che rappresenti in modo veritiero e corretto la situazione finanziaria e patrimoniale e il risultato economico dell'attività complessiva svolta dall'ente attraverso le proprie articolazioni organizzative e le sue società controllate e partecipate.30

1.1.3 La modifica del Titolo V parte II della Costituzione. Legge 3/2001: l'autonomia Statutaria tra dottrina e giurisprudenza. Il federalismo Fiscale.

Nel 1999 e nel 2001 sono intervenute in Italia due importanti leggi costituzionali che hanno profondamente modificato il Titolo V parte II della Costituzione, si tratta della Legge Costituzionale n.1 del 1999 e della Legge costituzionale n.3 del 200131.

In particolare la legge costituzionale n.3 del 2001, di modifica del Titolo V della Costituzione ha profondamente modificato il complessivo sistema dei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali attribuendo agli stessi una posizione di pariteticità. 32

La riforma costituzionale ha ribaltato l'impostazione tradizionale ispirata alla centralità dello Stato e alla residualità del ruolo normativo e istituzionale di Regioni ed enti locali, affermando la sostanziale corrispondenza di tutti gli enti territoriali.

A tal proposito Caringella evidenzia che suddetta riforma si fonda principalmente su determinati pilastri che ne delineano nuovi equilibri, riscontrabili nell' unitarietà dei diritti con il nuovo riparto di competenza legislativa tra lo Stato e le Regioni (art.117 Cost.) e dei livelli delle prestazioni; nell'autonomia rafforzata dalla valorizzazione del ruolo delle Regioni nella legislazione e di quello degli enti locali nell'esercizio delle funzioni amministrative (art.114 Cost.); nel

30

Il Libro Concorso Simone, L'Assistente Sociale. Manuale Completo per concorsi e prove selettive. Edizione Simone. 2017.Capitolo 22 pag. 487

31

Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n.3. Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione (G.U Serie Generale n.248 del 24.10.2001)

32

Tra federalismo e regionalismo: la Costituzione italiana dopo le riforme del Titolo V.pag 74 www.giappichelli.it/stralci/3489808.pdf

(24)

24 coordinamento con l'abolizione del sistema dei controlli e l'introduzione del nuovo sistema di finanza locale (art.119 Cost.) e nella solidarietà evidenziata in particolare nel principio di perequazione.33

Nel testo del 1948, l'art. 117 della Costituzione definiva le materie di competenza legislativa regionale con la conseguenza che la competenza a legiferare nelle materie non enumerate rimaneva in via residuale e generale allo Stato; pertanto le scelte perseguibili dalle Regioni nelle materie di loro competenza erano vincolate ai limiti stabiliti con legge dello Stato.

La legge costituzionale n.3 del 2001 ha modificato questo schema, annullando la subordinazione e parificando lo Stato alle Regioni. Le norme generali di riferimento sono costituite dall'art. 114 della Costituzione che stabilisce la equi-ordinazione degli enti a base territoriale rispetto alla Repubblica e dall'art. 117 della Costituzione che esplica le competenze esclusive e concorrenti ai diversi livelli di governo.

Nel vecchio testo, infatti, l'art. 114 Cost. stabiliva che “ La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni” mentre nel nuovo testo si stabilisce che “ La Repubblica è composta da Comuni, Città Metropolitane, Province, Regioni e Stato”; al comma 2 si specifica che “I Comuni, le Città Metropolitane, le Province e le Regioni sono autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.

Il nuovo articolo 114 rivoluziona, così, il tradizionale assetto centralistico nei rapporti fra gli enti locali ed il fatto che tutti siano necessari, in egual misura, all'esistenza e continuità dell'ordinamento giuridico presuppone che i loro rapporti reciproci siano regolati da protocolli fondati sul principio di leale collaborazione e sul rispetto dell'autonomia normativa ed organizzativa di ciascuno di essi.

La sentenza della Corte Costituzionale n.274/2003 definisce l'esatto significato del principio di equi-ordinazione tra enti di cui all'art. 114 della Costituzione. Quest'ultima infatti ritiene che “lo stesso art.114 della Costituzione non comporta affatto una totale equiparazione fra gli enti in esso indicati, che dispongono di poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che i Comuni, le Città Metropolitane e le Provincie ( diverse da quelle autonome) non hanno potestà legislativa.” Ne deriva pertanto che la misura dei poteri di cui sono investiti i vari enti locali sarà proporzionata e dimensionata in relazione agli interessi allocati territorialmente di cui essi sono promotori.34

La Costituzione, pertanto, costituisce sia il fondamento che lo strumento di garanzia dei poteri autonomistici e dei rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali (è all'interno di queste

33

Caringella op.cit. Pag 186

34

Riferimenti

Documenti correlati

La Regione con Deliberazione N. 27/44 del 17.7.2007 ha emanato le Linee di indirizzo per la costituzione e il finanziamento degli Uffici per la programmazione e la gestione associata

Il modello di Programmazione adottato dal GTP prefigura, nell‟ottica appunto della semplificazione della gestione degli interventi e dei servizi, la costituzione di un

Il lavoro svolto nel territorio dal Gruppo Tecnico di Piano (GTP) nel corso del 2006 per un approfondimento della conoscenza del territorio e del rilevamento dei bisogni,

Utenza - Gli utenti sono complessivamente 9, con un massimo di 5 nel Comune di Iglesias. Dal piano socio assistenziale di Gonnesa risulta che nell‟anno 2005 si è reso

La costruzione del sistema dei servizi territoriali, come superamento della programmazione parcellizzata nei singoli Comuni e costruzione di forme di gestione associata,

91 Da diversi anni sono presenti nella Città di Carbonia un Centro Giovani, una Ludoteca, una Sala Prove Musicali e un Servizio Informagiovani. Il Centro Giovani è

La Regione con Deliberazione N. 27/44 del 17.7.2007 ha emanato le Linee di indirizzo per la costituzione e il finanziamento degli Uffici per la programmazione e la gestione

Area multiutenza: in quest’area rientrano i servizi sociali che si rivolgono a più tipologie di utenti, le attività generali svolte dai Comuni e i costi sostenuti per esenzioni