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Elisa Tosi Brandi, L’arte del sarto nel Medioevo. Quando la moda diventa un mestiere, Il Mulino, 2017

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https://doi.org/10.6092/issn.2611-0563/8235

ZoneModa Journal. Vol.8 n.1 (2018) ISSN 2611-0563

Elisa Tosi Brandi, L’arte del sarto nel Medioevo. Quando

la moda diventa un mestiere, Il Mulino, 2017

Bruna Niccoli

*

Pubblicato: 24 luglio 2018

Quando la moda diventa un mestiere: un sottotitolo c e ci orta

nel Medioevo

Un saggio sull’Arte del sartodi Elisa Tosi Brandi ricostruisce con finezza la complessità di un mestiere che prende nuova forma e struttura quando nasce la moda. Accogliendo infatti una consolidata tesi storio-grafica, l’autrice legge il fenomeno dell’origine della moda nel basso Medioevo grazie anche all’apparire di questa “arte lizéra” e chiarisce, con una notevole ricchezza di fonti e documentazione, come proprio l’insor-gere della professione del sarto costituisca uno degli “indicatori” della diffusione della moda nella società delle apparenze.

Il saggio offre una narrazione costruita per rispondere a domande precise in merito al ruolo dei sarti nell’e-conomia delle città del basso Medioevo, al valore della legislazione suntuaria e dell’omiletica, fondamentali fonti scritte in questa sede rilette in nuova chiave critica da Tosi Brandi, che servendosene procede ben oltre l’attestazione descrittiva di tipologie di abiti e modelli, permettendoci di scoprire sia significative pratiche del lavoro sia oggetti creati in sartoria. Ne esce un modello organizzativo del mestiere a oggi in gran parte inedito, interpretato anche grazie alla revisione degli statuti dell’arte, un’altra fonte tradizionale qui utilizza-ta per collocare il sarto nel mondo del lavoro e ricostruire il suo ruolo nella società iutilizza-taliana utilizza-tardo medioevale, dove scopriamo che il mestiere si piega ai flussi temporali della religiosità collettiva e a quelli della richiesta economica. Tosi Brandi chiarisce infatti come il sarto sia storicamente stato in certi specifici ambienti un mestiere “stagionale”, soggetto a momenti di produzione alternati a momenti di stasi.

L’autrice offre una trattazione in risposta anche ad un’altra domanda guida della ricerca, relativa a quale sia il sapere tecnico di questi artigiani e il loro apporto ideativo nella moda, interrogandosi di conseguen-za anche sulla scarsa considerazione sociale talvolta tributata alla categoria. La creatività dei sarti, da certa tradizione storiografica non solo discussa ma persino negata, si delinea e viene affermata in queste pagine,

* Università di Pisa (Italy);b.niccoli@arte.unipi.it

Copyright © 2018 Bruna Niccoli

The text of this work is licensed under the Creative Commons BY License.

http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/

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L’arte del sarto nel Medioevo ZMJ. Vol.8 n.1 (2018)

così dense di indicazioni bibliografiche che il lettore potrebbe quasi procedere a un secondo livello di lettu-ra, lasciandosi trasportare in una succulenta revisione critica della letteratura specifica su temi basilari della storia della moda tra basso Medioevo ed età moderna. Dell’artefice di questa “arte lizéra” (sic in Giovanni Antonio da Faie, XV secolo), un’arte leggera perché “si fa con pochi dinari”, emerge nel saggio la figura so-ciale nelle sue molte problematiche: quali sono leskillrichieste all’apprendista e come si differenziano dalle abilità che fanno un maestro, il taglio e il cucito, quali dunque le sottili relazioni del rapporto appunto tra maestro e allievo e, non ultimo, quale posto occupa il grande tema del controllo qualità, caro alla migliore prassi della bottega medioevale, di cui sono illustrate con cura dall’autrice le garanzie che potevano fare il livello dell’oggetto di moda. Non ci sono dubbi, per Tosi Brandi il sarto nel tardo Medioevo ha giocato un ruolo preciso nella “elaborazione delle novità”, ha gestito relazioni con i clienti, ha fatto la moda. La lettura incrociata delle fonti scritte, considerate nella eterogeneità delle sue tipologie, apporta un tassello significa-tivo per la storia economica della moda nel capitolo dedicato ai “Sarti al lavoro”, dove leggiamo di tariffari e prestazioni sartoriali in prospettiva nazionale che restituiscono un certo prestigio sociale alla professione stessa. La sezione culmina con la pubblicazione in appendice di un nutritocorpusdi tabelle organizzate come un grande campionario, fatto di indumenti, dei loro tessuti pregiati, delle meno nobili fodere, una accurata serie di dati che ci informa su tipologie di lavorazione e, cosa molto significativa, sui costi, un aspet-to che ha conosciuaspet-to molte dimenticanze nella trattatistica di saspet-toria della moda. Un altro dei tradizionali

omissis, e importante elemento di novità del saggio, è dato dalla raffinata ricostruzione del lavoro femmi-nile: le sarte si definiscono come artigiane e riemergono dal mondo del lavoro sommerso medioevale. Ed è proprio grazie a una delle fonti potremmo dire più inflazionate della storiografia di moda, la legislazio-ne suntuaria, che l’autrice ricava le sue conclusioni e spiega che: “Contrariamente infatti a quanto si possa ragionevolmente pensare e cioè che le leggi suntuarie rischino di offrirci una visione parziale del campo di azione femminile, limitato ai soli abiti e accessori di lusso, queste fonti lasciano in realtà intravedere anche le potenzialità del settore per le donne che producevano e commerciavano”.

Il ricorso del libro alle fonti materiali, dove il manufatto diventa protagonista, arricchisce la storiografia ita-liana con risultati che sono il frutto di indagini innovative (condotte in collaborazione con Thessy Schoe-nholzer Nichols): il farsetto di Pandolfo III Malatesta e la gamurra di Osanna Andreasi, due indumenti del Quattrocento che permettono di leggere la struttura e la costruzione di due capi emblematici di moda maschile e femminile, come ben spiegato e documentato nel testo.

Elisa Tosi Brandi si avvale per questa capillare ricerca di un metodo di indagine maturato in lunghi anni di studio e che ha i suoi debiti con l’università di Bologna e la cattedra di Giuseppina Muzzarelli, tanto citata quanto fondamentalmente compresa nella sua più importante lezione, quella per la storia della moda italiana del terzo millennio, cui questo saggio – con indiscutibile autonomia intellettuale e originalità – di buon grado contribuisce.

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